Capitolo 10
Leila osservava le sue scarpe verdi spuntare dall’orlo della gonna e macinare, veloci, la ghiaia candida che portava all’ingresso. I grandi alberi che costeggiavano il viale creavano un arco d’ombra, e i fiori delle aiuole contribuivano a donare una piacevole atmosfera delicata.
Pace.
Quella parte del giardino emanava un senso di tranquillità che la induceva quasi a fermarsi, a sedersi su un prato e chiudere gli occhi, per lasciare che la brezza la trasportasse in un mondo incantato, lontano da tutto. Dall’angoscia, dalle preoccupazioni.
E da Ahmed che, tenace, continuava a seguirla.
«Non posso darti una risposta adesso, lo vuoi capire?» Voltò il capo verso di lui per fissarlo, esasperata.
«Ma devi pensare al tuo futuro!» le rispose il console, preoccupato.
Portò una mano al corpetto, dove custodiva la strana, inaspettata lettera di suo fratello Abbass. Ahmed gliel’aveva recapitata la stessa sera in cui Lewis era stato ferito.
Quel lampo dal passato era arrivato nel momento in cui Aileen stava per raccontarle qualcosa che avrebbe illuminato con più chiarezza il suo futuro. E ora si ritrovava con un marito in punto di morte, centinaia di domande in testa e quella richiesta pressante vergata sulla lettera.
«Non è ancora morto, Ahmed. Sono la moglie del duca di Groundale ed è mio dovere rimanere qui. Cosa dovrei fare, scappare come una ladra approfittando del fatto che è stato ferito?» Scostò, con rabbia, una ciocca di capelli sfuggita all’acconciatura.
Ahmed le prese una mano facendo convergere su di loro gli sguardi curiosi dei domestici, che tuttavia non potevano capire una sola parola del loro discorso.
«Tuo fratello ti ha spiegato la situazione.»
Rise, sarcastica. «Dovrei credere che Abbass si è improvvisamente ricordato di me?»
«La lettera annuncia qualcosa di più serio, Leila.»
«I problemi di successione.» S’incupì improvvisa. «Prima non batte ciglio quando nostro padre mi esilia, mi abbandona, mi fa sentire una vergogna per Mulay, poi decide che mi vuole accanto nella sua battaglia. Abbass mi scrive che mi vuole con lui. Che vuole il mio aiuto per salvare Mulay.» Sfregò i denti l’uno contro l’altro. «E tutto questo dopo avermi costretto a vivere qui, fino ad abituarmi all’idea che sia questa la mia nuova casa che, forse…» Alzò le mani e le agitò nell’aria. «Tutto questo mi sembra un’assurdità. Tentarmi in questo modo, proprio adesso che lui è così vulnerabile!»
Ahmed le strinse la mano con più forza. «Non ci sarà più niente per te qui, una volta che sarà seppellito.»
Irritata dalla sicurezza del console sul destino di Lewis, Leila emise uno sbuffo e girò i tacchi. Iniziò a correre lungo il viale, fino a raggiungere la facciata bianca del casotto di caccia, scambiò un muto sguardo con il falco di marmo con in bocca la rosa, e scivolò oltre l’uscio.
Rimase in silenzio, a sentire il cuore che batteva furioso contro il costato.  Il denso profumo d’incenso riempiva il salone, filtrando da oltre il battente in fondo.
In un misto di rabbia, dolore e angoscia, attraversò l’ampia camera, con i mezzi busti per gli allenamenti di scherma che sfilavano davanti ai suoi occhi, inquietanti, pieni di buchi. Decine di spade erano appese al muro, insieme ai caschi per proteggersi il viso.
Raggiunse la porta e la spalancò, delicata.
Un solo candelabro era acceso accanto al letto. Una penombra densa di sinistri presagi aleggiava sui presenti.
Sulla duchessa di Evonshire, Marielene, seduta con le mani in grembo, su Nora, stretta alle dita di Aileen, e sul dottor Howard, chino sul volto addormentato di Lewis.
Raggiunse il capezzale del marito.
Decine di speranze e un futuro che sapeva, finalmente, d’amore si agitavano su quel viso da poeta che Leila desiderava ogni notte.
Il corpo ebbe un fremito, il cuore uno spasmo. La mente si rassegnò all’ennesima beffa della sua vita. Proprio quando aveva avuto la possibilità di conoscere un sentimento buono, tutto era naufragato nel rosso del sangue.
«Che cosa avete da dirci, dottore?»
La voce di Marielene le arrivò ovattata alle orecchie. Non ebbe la forza di guardare l’uomo in faccia.
«Ha battuto forte la testa. È normale rimanere privi di sensi, ma siamo al terzo giorno, se non ritorna in sentimenti entro domani, credo che non ci sia nulla da fare.»
Ci furono i singhiozzi di Nora, il sospiro disperato di Marielene, un fremito di Aileen.
Lei riuscì solo a rimanere immobile. Nel corpo un freddo gelido. Quello della vita che andava in pezzi.
Di nuovo.
Francis Jacobson aveva lo sguardo perso verso un punto indistinto della camera. In bocca ancora il sapore delle erbe. L’intera notte era trascorsa in una nebbia carica di alcol, ma non era servita a cancellare lo strano senso d’insoddisfazione che lo attanagliava. Sapeva quale fosse il patto con Douglas, ma non riusciva a sopportare l’idea che Lewis morisse. Non così in fretta, almeno, prima voleva godersi la lunga discesa del duca di Groundale verso un inferno fatto di umiliazione e dolore.
Abbassò, languido, lo sguardo verso la donna china in mezzo alle sue gambe.
La sguattera era poco più di una ragazzina, con le gote arrossate dallo sforzo e le ciocche di capelli castani che le ricadevano lungo le spalle nude. La costrinse ad alzare il capo e nel suo stato confusionale, immaginò Nora, nuda, fremente, tutta per lui.
«Mio dio, padre! Chiudetevi a chiave quando…»
Suo figlio Henry entrò nella camera, sul volto l’indignazione.
La giovane tentò di divincolarsi, ma le premette il capo fino a quando non fu costretta a riprendere il lavoro.
«Volete favorire, Henry? Siete sempre troppo teso. Vi farebbe bene.» Rovesciò il capo indietro.
Una nuova voce risuonò nella stanza. «L’indecenza non vi abbandona mai.»
Non si mosse, accolse suo fratello Morgan con un sorriso beffardo. «Che siete venuti a fare?»
«Maximilian Von Grouber strepita come un corvo. Sostiene che ci sia un infiltrato a corte. Qualcuno che ha avvertito i giacobiti.»
Francis aprì la bocca e stese i muscoli sotto al piacere. «Quindi è venuto il momento di dargli un colpevole.»
«Ralph non vuole che ci esponiamo, dice che voi, padre, state già attirando un po’ troppo le attenzioni degli Hawk.» Il figlio parlò con uno strano tono. Qualcosa di simile al disgusto.
Scostò la donna dalle gambe e le intimò, con un gesto secco della testa, di sdraiarsi sul letto.
Rimase in piedi davanti al fratello e al figlio, le brache calate intorno alle caviglie. Morgan pareva indifferente, Henry era rosso di rabbia e sconcerto.
«Figliolo, fate il sostenuto? Ma siete sempre stato partecipe degli affari di famiglia. E se volete davvero sposare Nora, vi conviene levarvi dalla faccia quell’aria da superiore.»
Mosse verso il baldacchino, dove la sguattera lo attendeva già con le cosce aperte e umide.
«Manderemo Douglas, di sicuro ha degli ottimi argomenti per convincere Von Grouber. E i falchi hanno gli occhi puntati tutti al capezzale del grandioso eroe di Messina.» Afferrò le gambe della ragazza con cupidigia. «È il momento perfetto.»
Il profilo di Mary si stagliava contro le ombre della notte. I capelli, così biondi da sembrare oro vivo, e gli occhi azzurri oscurati dai demoni perenni che agitavano la giovane anima.
«Ricominciamo da capo?»
Lei scosse la testa, il viso stravolto dalla rabbia. «Con lui ridotto a un mostro rantolante?» fece un ghigno crudele, di quelli in grado di strappare, di colpo, l’anima dal petto. «Non ti perdonerò mai!» Scoppiò a piangere, isterica. Era il volto più nero di Mary, quello che in pochi conoscevano. Grida e pianti, sfogo di un odio verso tutto e tutti. Passava dall’amore alla rabbia nel tempo di un battito di ciglia.
Eppure…
Si avvicinò.
«Come posso vivere senza di lui?»
Incurante di quelle parole, più letali di qualsiasi veleno, l’abbracciò, in un disperato tentativo di calmarla. «Non ho avuto scelta, Mary.»
«Non è vero!» urlò. «Lo hai fatto solo per gelosia.» Gli diede una spinta, lo allontanò con violenza. «A te piace quello che fai! A te piace bagnare la tua spada nel corpo degli altri!»
«Ma non capisci! L’ho fatto per proteggerti!»
D’improvviso la stanza diventò buia e soffocante. Un melenso odore d’incenso e oppio arrivò prepotente alle narici.
Un vortice di profumi che lo fece precipitare su un tavolo.
Il retro di una casa da tè. Di Mary, nessuna traccia.
Era una stanza illuminata dai candelabri.
Van Tell lo guardava malizioso, davanti a lui una scatolina. Prese tra le dita una piccola palla chiara e la infilò nella pipa. Diede fuoco allo scodellino, che si accese con una vampata di fumo. Un odore dolciastro lo raggiunse in una debole scia bianca.
«L’ho fumato per la prima volta in India, dovreste provarlo. è un’esperienza unica.»
Allungò una mano a prendere la pipa. Era già ubriaco. Non ricordava più il motivo per cui fosse lì, sapeva solo che era lì, appunto, per non ricordare.
E poi la faccia di Douglas, orribilmente mutilata, con il sangue che cadeva lungo il collo, ondeggiò davanti a lui.
Mise il cannello tra le labbra e aspirò il fumo. Due, tre boccate e un oblio vuoto arrivò a inondargli la mente.
Sentiva qualcuno stringergli la mano, alzò di scatto gli occhi verso Van Tell, ma il vecchio olandese era sparito e Mary era di nuovo lì, in piedi contro la finestra aperta.
«Non hai il coraggio di chiedermelo, vero?»
Abbassò, agitato, gli occhi sul ventre della moglie. «No.»
«è tuo.» Gli ringhiò contro con odio. «è tuo figlio. Non ho avuto il fegato di fare questo a mio padre, di dargli un nipote bastardo.»
«E allora buttiamoci tutto alle spalle!»
Un capogiro. Di nuovo quella stretta alla mano, la sensazione di trovarsi in un posto buio. Un odore forte d’incenso e di erbe.
«No, Lewis. Non posso.»
E poi tutto divenne sfocato. Le mani di Mary sulle sue spalle, le unghie lo graffiavano, le loro grida si mischiavano insieme.
Il corpo di lei rigido, aggrappato ai battenti della finestra.
Urla, schiaffi, persino morsi.
E la sua disperata richiesta…
Buio e incenso. Oppio e pipa. Nero e azzurro.
Notti di dolore, le carezze di Aileen. Due occhi neri, scuri. Scuri come quel buio che lo avvolgeva.
Scuri come la notte.
Ci vuole coraggio per convivere con le proprie cicatrici.
Una principessa, un duello, il volto sfregiato di Douglas.
Mary in una pozza di sangue. Le urla di dolore. La sua colpa incancellabile. L’incenso.
C’era un segreto. Suo padre?
Aprì gli occhi di colpo.
Ci volle del tempo prima che la sua mente si abituasse all’idea di essere sveglia e non più vittima degli incubi.
Lewis riconobbe il soffitto del casotto di caccia. Sua madre e Leila lo fissavano, preoccupate, sorprese.
Un martello continuava a battergli in maniera costante dentro la testa. Come dopo una sbronza.
Solo che non era lì per una sbronza. O forse sì?
Che diavolo era successo?
Il vuoto lo colpì prepotente. Annaspò in cerca d’aria e di ricordi.
Ma l’unica cosa che apparve fu la notte passata con Leila. Sapeva di aver lasciato Hawk’s House , ma non il motivo.
Portò una mano verso la fronte e, con orrore, il braccio destro non obbedì al comando. Rimase inerte, un formicolio che saliva dalle dita fino alla spalla.
Sua madre stava piangendo. Anche Leila era travolta dalle lacrime. Da quando si preoccupavano così per una sbronza?
Un’altra fitta alla testa.
Il terrore gli paralizzò i muscoli. Una sensazione orribile. Le lacrime premevano ai lati degli occhi, aprì la bocca che rimase spalancata. Non riusciva a parlare, stava cercando di imporre alla lingua di muoversi, di formulare la domanda che aveva in testa, ma non usciva nulla, apriva e chiudeva le labbra senza che nessun suono sensato venisse prodotto.
Il cuore batteva all’impazzata, in maniera folle.
Voleva gridare aiuto, era come se fosse finito in trappola, come se il corpo non gli appartenesse più.
Mosse ancora la mascella, in un movimento che gli provocò un dolore lancinante alla testa, per un attimo gli mancò perfino il respiro.
Le lacrime uscirono, sotto quella sensazione di completa impotenza. Era stato diverse volte a un passo dalla morte ma non si era mai sentito così avvilito. Così sconvolto.
Quella stupida lingua doveva sforzarsi di battere contro il palato. Avanti, non era difficile.
Un peso enorme gli schiacciò il petto e l’angoscia triplicò. Era come se qualcosa si fosse posato sul suo cuore, impedendogli di respirare.
Pianse. Ostinato, mosse ancora le labbra.
E infine parlò.
Un grido disperato e lancinante. «Mary.» Si aggrappò al lenzuolo. «Voglio Mary.»