Capitolo 11
Maximilian Von Grouber sistemò il tricorno e s’incamminò nella notte. La città era ancora addormentata, una lieve brezza soffiava tra i vicoli. Strinse l’elsa della spada e si affrettò a raggiungere la carrozza.
L’ombra gli piombò addosso con velocità, senza dargli il tempo di reagire. Una mano forte gli bloccò la bocca, l’altro braccio gli premette sullo sterno, immobilizzando, al contempo, anche i suoi arti. Con uno strattone, l’aggressore lo trascinò in un vicolo e poi dentro una carrozza, e solo allora Maximilian fu libero di tornare a respirare. Con la gola secca, il cuore in tumulto per lo spavento, appiattito sul fondo della vettura, tentò di riacquistare lucidità. Qualcosa di appuntito spingeva sul collo. La punta di una lama fredda e tagliente.
«Alzatevi.»
La voce dell’aggressore era un nitido ricordo del recente passato.
Poggiò le mani a terra e fece leva, si aggrappò ai sedili e fu in piedi. «Che cosa volete da me?» chiese. Si sedette, poi alzò gli occhi verso il viso di Douglas Mackay. Il volto del giovane, pur così deturpato, riusciva a mantenere un’ombra delle sue vecchie fattezze.
Alto, muscoloso. Capelli biondi e profondi occhi azzurri. Una volta era stato un bel giovane. Uno di quelli che facevano sospirare le ragazze, compresa sua figlia Mary. Ma quegli occhi tanto limpidi, si erano tramutati in un misto d’odio e rabbia che incupivano ancor di più l’orribile cicatrice, simbolo d’infamia e tradimento.
«Conte, mi scuso dei modi poco gentili. Ma era l’unica possibilità per avvicinarvi.» Douglas aveva parlato con calma, e una nota di calore troppo simile a una richiesta d’aiuto.
«E perché volevate vedermi?»
«In tanti mi hanno considerato un traditore, ma non lo sono!» Douglas gli poggiò le mani sulle spalle. Aveva parlato con trasporto e rammarico. Fissò gli occhi azzurri, attraversati dal dolore.
«Non sono un giacobita. Ho vagato come un mostro nell’ombra della mia disgrazia ma ora che ho scoperto la verità…»
«Verità
?»
«Sì, conte. Ho scoperto chi si cela davvero dietro l’uomo che mi ha ridotto così. Una verità
che rischia di affossare tutto ciò per cui avete combattuto.» Douglas fece una lunga pausa. Un silenzio che preannunciava qualcosa di sinistro e inquietante. «La verità per cui Mary è morta.»
L’ascia continuava a essere piantata nella testa e la nausea era lì, pronta a ribaltargli lo stomaco al solo pensiero di ingoiare qualcosa.
Aprì gli occhi, gli intarsi del soffitto a cassettoni iniziarono a ondeggiare davanti a lui, una lunga ciocca di capelli corvini gli solleticò il viso e due diamanti neri e profondi lo fissarono, carichi di apprensione.
Lewis posò lo sguardo sul collo lungo, sulle spalle, e infine scese fino alla scollatura che si alzava e si abbassava seguendo il ritmo di un respiro preoccupato.
Sorrise, certe pulsioni si presentavano sempre in momenti inopportuni.
Cercò di alzarsi, venne colto da un capogiro e si ritrovò a fissare le assi di legno del pavimento.
Dita delicate gli afferrarono un braccio. «Vi siete alzato dal letto e siete svenuto. Stavo per chiamare qualcuno» gli spiegò.
Fece un grosso sospiro e, con l’aiuto di Leila, riuscì a mettersi seduto. «Non ricordo di averlo fatto.» Mise una mano nei capelli, afferrò una ciocca nel tentativo di frenare l’ennesima fitta di dolore. «Non ricordare… Per me è un incubo» mormorò.
«Proprio non riuscite a rammentare gli ultimi giorni?» gli chiese.
Malizioso, puntò lo sguardo sulla scollatura della moglie. «Beh, qualcosa ricordo.»
Leila arrossì. Com’era ingenua e delicata. Sorrise, ancora perso nel ricordo tenero della sua prima notte con lei, poi sospirò, lo sguardo che vagava sulle alte finestre, i tendaggi color oro tirati per metà, e la vasta distesa della campagna che si perdeva verso l’orizzonte.
«Ho sempre amato questo posto» mormorò, nel tentativo di dimenticare l’angoscia che gli opprimeva il petto.
Leila gli porse un bicchiere d’acqua. Nell’afferrarlo, una fitta di dolore attraversò la spalla e il braccio destro. Osservò la benda che gli avvolgeva la scapola fino al polso. Almeno non era rotto.
Posò di nuovo gli occhi verso la moglie. Ne seguì i lineamenti degli zigomi, la forma allungata degli occhi. Sensazioni confuse albergavano nel cuore.
Quella donna gli accendeva un desiderio irruento. Desiderio che si confondeva con i
contorni pallidi di Mary.
Portò il bicchiere alla bocca, ne bevve un sorso. L’acqua che scendeva lungo la gola… Gocce fredde che colavano dentro ai vestiti, fango…
«Pioggia. Ricordo qualcosa sulla pioggia.»
«C’era un forte temporale quand’è successo» spiegò Leila.
Gli sfiorò le mani per riprendersi il bicchiere e lo fece con delicatezza. «Dovreste mettervi a letto» disse, le mani ancora vicine.
Un contatto lieve che gli provocò un brivido. Sentì il respiro della moglie posarsi come una carezza sul volto. «Leila, che cosa vi hanno raccontato di me?» Un’altra fitta.
Perché aveva posto quella domanda? Forse si era reso conto, in quel momento, che Leila non conosceva nulla di lui, del suo passato, degli intrighi che lo tenevano in gabbia.
Lei poggiò il bicchiere sullo scrittoio. «Che cosa…» la vide umettarsi le labbra, agitata.
«Voglio dire, vi hanno spiegato qual è il mio ruolo a corte?» precisò. Non aveva voglia di porre la domanda in termini più diretti. Temeva il giudizio di quegli occhi neri e ardenti.
Lei strinse il bicchiere tra le dita. «L’altra volta mi avete detto che eravate un capitano dei dragoni. Un soldato.»
«Una spia» concluse.
Leila sgranò gli occhi, colpita.
«Questa parte non la riportano mai.» Fece un lungo sospiro mentre con passi incerti raggiungeva il letto. «Il mio compito è quello di scoprire i segreti più infidi del regno e dei suoi nemici. Di conseguenza sono un bugiardo e non mi fido di nessuno» confessò «E faccio il lavoro sporco, il che vuol dire anche torturare per avere le informazioni.»
Tu ti diverti, Lewis, tu ami quello che fai, non mentire!
Mise l’altra mano nei capelli. Che cosa stava facendo? Non si era imposto di tenerla fuori dagli oscuri intrighi in cui era coinvolto?
«Un’eredità di famiglia.» Lanciò uno sguardo alla camera, osservando le fini decorazioni. Le iridi si posarono infine sul ritratto di sua nonna. Adagiata su una poltrona, la veste aperta sul petto a lasciar scoperti i seni, lo sguardo impertinente e i lunghi boccoli castani che le circondavano il volto. Leila seguì il suo sguardo, e nello scorgere il quadro nascosto nella nicchia arrossì, un po’ sorpresa.
«Questo casotto di caccia fu costruito apposta da Carlo II per passare piacevoli giornate in compagnia di mia nonna, la sua amante preferita, Nell Gwyn. La sua spia migliore» spiegò.
«Sapete, era un’attrice di teatro. Iniziò vendendo arance al pubblico, poi la notarono e la fecero recitare. Fu una delle prime attrici donne a calcare le scene inglesi. Mio nonno, il re, se ne invaghì, la fece diventare sua amante e approfittò di alcune abilità di Nell per portare alla luce un po’ di intrighi.»
Leila sembrava stupita. Una domanda ovvia albergava nelle sue iridi scure. «Come ha fatto il figlio di una venditrice di arance a diventare duca?» Domandò lui, anticipandola. «I figli illegittimi hanno privilegi molto simili a quelli dei principi.»
Sbuffò, stanco. E infine, pose un quesito che, già da diverso tempo, vagava per la mente. «E dunque Leila, che idea vi siete fatta di me?»
Lo fissava, immobile accanto allo scrittoio. «Che siete un uomo solo» rispose in un soffio, prima di nascondere le labbra dietro alle dita, in un gesto di pentimento e imbarazzo. Forse si era confusa, magari voleva esprimere un altro concetto, ma di fatto lei era la prima persona che aveva dato voce alla verità.
«Sì, avete ragione. Sono solo.» Le sorrise. «E da cosa l’avete dedotto?»
«I vostri occhi.»
«Che cos’hanno che non vanno?»
«Sfuggono di continuo.» La moglie annaspò, le labbra un po’ tremanti. «Ho come l’impressione che voi diciate solo una minima parte di ciò che pensate sul serio.» Scosse il capo, imbarazzata. «Spero di non avervi offeso, in fondo anch’io sono sola.»
Leila lasciò cadere le parole dalle sue labbra. Il cuore galoppava nel petto e gli occhi fissavano il volto di Lewis, così triste, tormentato.
Da quando si era risvegliato, il cuore era inondato da un sole carico di gioia. Per la prima volta, le preghiere che aveva rivolto ad Allah, quel dio a cui aveva voltato le spalle ben prima della sua conversione, si erano esaudite.
Eppure, ogni volta che fissava le labbra di Lewis, ci leggeva quel nome. Il sospiro di un uomo che chiamava il suo antico amore.
Si era forse illusa che una sola notte avrebbe potuto legare il cuore di Lewis al suo, per sempre?
Tornò a guardarlo in viso, com’erano tristi quegli occhi. Lo capiva, forse nessun altro al mondo era in grado di capire cosa volesse dire essere condannati alla solitudine.
«A Mulay ero circondata di amiche, sorelle e ancelle. Poi sono rimasta prigioniera di un uomo che a stento capiva ciò che dicevo. E per far finire i tormenti che m’infliggeva, ho dovuto
sforzarmi di andare d’accordo con lui.»
Sedette sul bordo del letto; il marito rimase in silenzio, continuò a guardarla e Leila individuò, senza errore, ciò che gli stava colorando gli occhi.
Desiderio, caldo e dolce.
Oh, quanto avrebbe voluto gettarsi tra le sue braccia e amarlo, curarlo, cancellargli dalla mente Mary.
Si rese conto che era arrivato il momento, per lei, di avere delle risposte, di sapere com’erano davvero andate le cose due anni prima, ma le domande le morirono sulle labbra. Non ne aveva il coraggio.
Gli posò la mano sulla sua e lo vide sorridere. Fissò la cicatrice che spuntava oltre la camicia, il torace asciutto. Senza riuscire a resistere oltre, si avvicinò alle labbra e lo baciò, delicata, timida.
Lewis rispose appena al bacio, la scostò con un gesto gentile che tuttavia la ferì.
Lui era altrove, lontano da lei …
«Come va la mano?» gli chiese, intenzionata a cancellare l’imbarazzo che le incendiava le guance.
Lui riuscì ad alzarla ma non a chiudere le dita. «Migliora.» Il tono era ottimista, ma l’ombra della preoccupazione gli incupì lo sguardo.
«Siete angosciato? Temete di non riuscire più a usare la spada?» Sapeva quanto fosse bravo, doveva essere difficile per lui sopportare la prospettiva di rimanere con un braccio invalido.
«Certo che lo sono, ma il dottore dice che ho speranze.» Fece un sospiro e una smorfia. «Ho bisogno del laudano.»
«Laud…ano» balbettò.
Ne sentiva parlare di continuo, Marielene lo aveva usato per la tosse, e si diceva che il re lo prendesse per sconfiggere l’insonnia.
«Che cos’è?»
Sua suocera la mandava a lezione d’inglese, di storia e di comportamento, ma c’erano un infinità di cose della vita quotidiana che non conosceva. Faceva poche domande, si vergognava a dover chiedere di continuo spiegazioni su quel che avveniva intorno a lei. Rimarcava il suo essere straniera.
«Una medicina?»
«Sì, è a base d’oppio.»
«Mash Allah
» mormorò Leila. «Noi lo chiamiamo regalo di Dio.»
«Dunque lo conoscete?»
«Sì, lo usiamo come medicinale ma anche come…» Non riuscì a trovare subito le parole adatte. «Non so come spiegarvi… da noi viene usato anche come toccasana per lo spirito, per assopire i dolori del cuore.»
«Conosco anche questo lato dell’oppio…» Lewis girò gli occhi verso la consolle,
fissando il barattolo dove c’erano le pillole di laudano.
Leila ne prese una e gliela porse.
Nella mente le balenò la parola pronunciata da Aileen.
Vendetta.
«E quali sono i dolori del cuore che volete curare?»
Lewis la fissò, sgomento. Era davvero paura quella che gli aveva seccato le labbra? Negli occhi neri di Leila leggeva l’urgenza di avere una risposta.
Si domandò quante versioni avesse ascoltato sulla morte di Mary.
Ma non era pronto a rivelarle l’errore che si portava nel petto, a rovesciarle addosso il senso di colpa che nascondeva dietro una finta mancanza di ricordi. Non voleva, perché non poteva sopportare il disprezzo emergere in quegli occhi.
Le strinse la mano. In principio pensò di renderle il bacio di poco prima, ma il freddo non se ne andava. Il gelo dell’incubo che l’aveva risvegliato soffiava nel cuore, nell’anima.
«Vi prego, Leila.» Chiuse gli occhi, scivolando sul cuscino. «Lasciatemi solo, ho bisogno di riposare.»
Le labbra di Leila tremarono, maledicendosi per la domanda inopportuna. Sarebbe mai riuscita a entrare nell’anima del marito? Lui glielo avrebbe mai permesso?
Cos’era quel lampo oscuro che era balenato negli occhi castani? Colpa?
Era stato davvero lui a spingere Mary oltre la finestra?
Lo osservò ancora, incapace di credere che sotto quel castano dolce ed enigmatico si nascondesse un demone.
Gli occhi di Lewis erano oscurati da centinaia di segreti ma, allo stesso tempo, erano lo specchio di un’anima limpida e orgogliosa che la spingeva a fidarsi di lui.
In silenzio, abbandonò la stanza.
Amore, sconosciuto amore che sfuggiva di continuo dalle sue mani.
Il re sedette al tavolo del consiglio privato e, per un lungo istante, rimase pensoso. «Von Grouber, ho bisogno di sapere che non siete mosso da altri istinti.» Scrutò il volto del conte, teso e spigoloso, imprigionato in un’espressione che era rimasta identica dal giorno in cui era morta la figlia.
«No.» Ci fu un sospiro. «Ma gli Hawk hanno l’abitudine di muoversi in solitaria. Sì, agiscono così per il bene del regno ma… hanno un tale potere…»
«Maximilian, non pensate che potrebbe esserci qualcuno dietro a tutti questi improvvisi sospetti?»
Giorgio non si voltò verso Augusto che aveva appena parlato. Rimase fermo a fissare il conte, infastidito dal modo in cui il figlio riusciva a entrare sempre di forza nei discorsi. E sempre con una nota di sospetto. Di biasimo.
«Altezza, non sto dicendo di arrestarli, solo di tenerli d’occhio.» Von Grouber accennò un sorriso che tuttavia si perse in una smorfia.
Il re tamburellò le dita sul tavolo. «Non credo che esista qualcosa di più inglese degli Hawk. Abili spadaccini, cavalieri instancabili, intelligenti e sagaci. Eleganti e fini giocatori d’azzardo. Tutte qualità che a me mancano.»
«Ma sono anche vostri parenti.»
Stavolta si girò a guardare di sottecchi il figlio. «Non credo che il sangue di Marielene possa ammansire la loro indole. Sono nobili, con sangue reale, ma allo stesso tempo appartengono al popolo, visto che la famiglia è stata originata da una attrice di teatro… Gli inglesi li amano. Per loro sarebbe molto facile condurre al trono un nuovo re, e tenere buona la gente.»
Augusto lo raggiunse. «Padre, credete sul serio a ciò che state dicendo? Dopo tutto quello che hanno fatto per voi?»
«Sono certo di una sola cosa: tra me e il bene dell’Inghilterra, gli Hawk sceglieranno sempre l’Inghilterra.» Negli occhi del figlio passò un lampo di rabbia. Non lo stava mai a sentire. Era un maledetto testardo. «Ascoltatemi, Augusto. Partirò per Hannover e vi lascerò a capo del regno, e se volete davvero tenere il comando, dovreste fidarvi di me, lasciar da parte l’amicizia che vi lega a Groundale ed essere quanto più possibile obiettivo.»
Von Grouber riprese la parola. «Non possiamo esporci a una minaccia solo perché non
crediamo possibile che ci tradiscano.» Fissò con intensità Augusto. «Fonti certe mi hanno detto che conoscono il registro della Compagnia dei Mari del Sud. Sanno chi, della famiglia reale, è stato corrotto. Avete idea del peso che potrebbe avere sul popolo una prova del genere, se mai le cose dovessero andare male?»
La rabbia sul volto di Augusto svanì e il re ne fu soddisfatto. «Mio caro figlio, in questi sei anni ho sedato due rivoluzioni giacobite e sventato svariati complotti… e nel farlo ho capito una cosa: l’Inghilterra è una donna capricciosa i cui equilibri cambiano con la stessa frequenza con cui muta il tempo.»