Capitolo 15
Lewis rimase a lungo sprofondato nella poltrona, sentiva le domestiche impegnate nella vestizione della moglie e soppesò l’idea di imitarla. Ma si rese conto di non avere alcuna voglia di ritornare alla vita mondana di corte.
La passione con cui aveva amato Leila, per un momento, era stata in grado di cancellare l’amaro dalla bocca e l’angoscia dal cuore ma, tornata la calma, si rese conto che gli stava mancando il coraggio di andare fino in fondo.
Stropicciò i bordi della camicia lasciata aperta sul torace, poi fece vagare le dita sulla cicatrice. Socchiuse gli occhi, sempre più angosciato. Nemmeno l’oppio e il brandy riuscivano a dargli un po’ di tregua.
«Ah, eccovi qua.» Suo padre entrò nella stanza. Un sorriso di benvenuto sul volto.
Lewis lo fissò a lungo. Scrutò le rughe sulla fronte, il profilo degli zigomi e del naso, le labbra tirate in un sorriso imperturbabile. E per la prima volta, vide il riflesso di un estraneo e non quello di se stesso.
«Ho portato le missive a Sofia Dorotea, come d’accordi» mormorò appena. Lasciò la poltrona e si diresse verso la giacca abbandonata sul letto.
«Come sta?»
Ma Lewis non rispose, gli gettò ai piedi, con un gesto carico di rabbia, il diario di Königsmarck.
«E questi che modi sono? Cosa vi prende, Lewis?» borbottò il padre, mentre si chinava a raccogliere il piccolo libro.
«Sapete che cos’è?»
Nello sfogliare le pagine, Lawrence si fece sempre più livido. «Dove lo avete trovato?»
«Tra le cose di Hans Schum. Che per la cronaca è stato ucciso e torturato da una spia italiana, che fortunatamente non ha trovato il diario.» Sbraitò.
Il padre era diventato così pallido che Lewis pensò stesse per svenire. Lo vide reggersi con tutte le forze al bastone da passeggio. «Hans è morto?»
«Già.» Lo raggiunse, gli sfilò dalle mani tremanti il libro e gli mostrò le pagine incriminate. «Quando avevate intenzione di dirmelo?»
Il padre arrancò fino alla poltrona e si mise seduto. «Mai, Lewis. Meno persone sanno, meglio è. Come avete visto, è un segreto per cui si muore.»
Lewis artigliò i braccioli della poltrona e si chinò verso di lui. «Ma ora che lo so, non credete sia il caso di dirmi la verità?»
«Che cosa intendete?» Il padre lo guardò stranito.
«Ho venticinque anni e sono nato più o meno sette mesi dopo l’esilio di Sofia.» Ripensò alle gentilezze della donna. A quel segreto che non voleva rivelargli. «Quindi, alla luce di certi comportamenti che mi ha mostrato Sofia, alla luce di questo dannato diario, ora pretendo che voi mi diate una risposta.»
Il padre incupì lo sguardo e rise appena, amareggiato. «Vi siete fatto un’idea sbagliata Lewis. Nelle vostre vene scorre il sangue di Marielene Brunswick-Lüneburg, e il mio. Avete il sangue di Carlo II e di Nell Gwyn.»
«E allora perché Sofia mi ha detto che non voleva rivelarmi la verità, per non distruggermi la vita?» Serrò di più le mani intorno alla poltrona. «Dannazione, quella donna mi guardava come se…»
«Perché non lo sa!» Il padre lo guardò dritto negli occhi. «Sa che suo figlio è vivo. Che mi sono rifiutato di ucciderlo come ci aveva comandato Giorgio. Ma non l’ha mai visto. Non sa nemmeno se sia maschio o femmina. L’unico modo per garantire a quel bambino una vita al sicuro, era fare in modo che solo due persone al mondo ne conoscessero la vera identità. Sofia accettò il patto, l’importante era sapere che la sua creatura fosse viva.» Scosse il capo. «Non potete di certo biasimarla se ha formulato delle ipotesi.»
A Lewis parve di sentire la vita tornare a fluirgli nel corpo. Per settimane aveva vissuto in un limbo in cui vedeva ogni certezza scardinarsi. «Mi state dicendo la verità?»
«Non vi vedete allo specchio? Abbiamo la stessa fronte, lo stesso modo di sorridere. Avete i capelli ondulati di vostra madre, il suo stesso taglio degli occhi. La mia identica corporatura.»
Con un sospiro, Lewis raggiunse la bottiglia di brandy. «Sofia era così tenera, così intima… e poi quando ho letto quelle pagine.» Ingollò il liquore. «Dunque chi è?»
«No, Lewis. Non ve lo dirò.»
Le dita si strinsero intorno al bicchiere. «Perché?» ringhiò. «Non vi fidate di me?»
«Non mi fido delle conseguenze, Lewis. Vostra madre era la più intima amica di Sofia e quando la sposai, fui coinvolto, mio malgrado, nella tresca tra Philip e Sofia. Giorgio ordinò l’omicidio di Philip per mettere al sicuro il suo casato ed era quasi disposto a perdonare la
moglie, ma lei gli rivelò della gravidanza. Prova inconfutabile di una relazione carnale, di un dubbio che poteva estendersi ai figli di Giorgio, alla sua intera eredità.
Al tempo, il trono inglese era solo una vaga prospettiva, ma era un’ambizione che non poteva essere sporcata dal sospetto. Ripudiò la moglie e chiese a me e a vostra madre, gli unici oltre ad Hans a sapere della gravidanza, di uccidere quel bambino al primo vagito. Doveva sparire.
Per nove mesi, Sofia visse da reclusa. Senza domestiche, solo con vostra madre. E alla fine, non riuscimmo a farlo. Scambiammo il neonato con quello di una donna del villaggio, un bambino nato morto, e lo portammo fuori da Hannover. Non rivelammo né ad Hans né a Sofia il sesso di quel bambino e li tenemmo all’oscuro sul luogo dove decidemmo di nasconderlo.
Da allora viviamo con l’ombra di quel tradimento. Perché capite che lo è. Mi sono battuto contro i pettegolezzi giacobiti eppure nascondo il figlio di Sofia e Philip. Se Giorgio dovesse scoprirlo… No, non vi renderò mio complice.»
Lewis posò il bicchiere, appoggiò le mani alla consolle
e fece due, tre pesanti sospiri. «Complice
. Non volete rendermi vostro complice! Se qualcuno sa di questo segreto, e a quanto pare è così, visto quello che è successo ad Hans, rischiate o, per meglio dire, rischiamo, ogni cosa. E voi non volete coinvolgermi? Non volete farvi aiutare?»
«No!» Lawrence aveva lasciato la poltrona per raggiungerlo. Gli artigliò una spalla. «No. Che cosa vi ho detto? Che cosa vi ho insegnato per depistare un eventuale interrogatorio?»
«Che una buona spia deve solo conoscere parte di un segreto. Così non può rivelarlo sotto tortura.»
«Ho privato la madre della verità. Non chiedetemi di rivelarla a voi.»
«Bravo, padre! Continuate a proteggere il vostro peccato.» Si staccò dalla consolle
. «Continuate a incaponirvi, ad affrontare da solo il possibile inferno delle conseguenze. Ballate pure sulle braci ardenti di un fuoco che potrebbe mangiarsi l’intero regno. Che cosa dovrei fare io, eh? Aspettare di vedervi bruciare?»
«Non fate il testardo. è
una questione che posso risolvere io soltanto.»
La rabbia gli montò nel cuore, era intollerabile sapere che veniva chiuso fuori da una questione di così vitale importanza. «Lo fate per proteggermi?»
«Sì.»
Fece un lungo sospiro. «Oppure pensate che gli eventi degli ultimi due anni mi abbiano reso inaffidabile?»
«Ora state blaterando! Siete mio figlio!»
«Sì, infatti. Sono l’erede del magnifico duca di Evonshire. Il maestro delle spie!» Per calmarsi, riempì di nuovo il bicchiere di brandy. «Mi avete cresciuto a vostra immagine e somiglianza.» Si rese conto di aver abbandonato il tono basso con cui aveva portato avanti la conversazione. «Per anni ho indossato solo questo dannato sorriso indifferente! Ho nascosto tutte le emozioni. Ho mentito.» Stava urlando. «Ho torturato degli uomini, nonostante lo detesti. L’ho fatto per voi! Per questo diavolo di regno che sembra volersene andare in malora ogni giorno di più!» Posò il bicchiere con un tale impeto che il cristallo gli si ruppe tra le mani in una cascata di schegge.
«Calmatevi, Lewis! Voi non capite la mia posizione!»
«Dannazione! La capisco! Non sono un idiota, padre! So perché siete diffidente nei miei confronti! Mi avete difeso, tutti quanti mi avete protetto, ma Francis, quel dannato bastardo, mi ha visto! Ci siamo guardati a lungo. Io affacciato alla finestra e lui sotto. E tra noi il cadavere di Mary.» Ansimò. «Nessun altro testimone. è
sempre stata la mia parola contro quella di tutti. Contro il vostro sguardo accondiscendente. Il dubbio vi ha sfiorato, non è così?» Gli puntò il dito indice contro. «Striscia nella vostra mente, mina la fiducia che avete in me. Mi vedete fumare e bere. E temete che possa spezzarmi con troppa facilità.»
Lawrence lo fissò, calmo, incupito. «Vi sbagliate. Non è questo. Con un segreto così, le torture possono essere inimmaginabili. Il vostro ufficiale, quel Pilgrim, è stato interrogato per molto meno, eppure avete visto voi stesso come l’hanno ridotto. E al di là di questo, io vi voglio proteggere. Voglio tenervi la testa lontano dal ceppo. Lo volete capire, testardo, orgoglioso che non siete altro?» Il padre aveva abbassato la voce a poco più di un sussurro.
«Quindi, dopo tutto quello che ho fatto per voi, m’impedite di starvi accanto?» Rise. «Scusate, padre, ma io alla vostra maledetta protezione non credo più. Quando mi avete dato per sposa una donna matta che mi detestava, avete protetto il mio cuore?» Tornò ad alzare la voce. «Quando mi avete fatto sposare una principessa straniera, sventurata, solo perché la mia reputazione era macchiata, avete pensato a me?» Scosse il capo con foga. «No, certo. Il regno prima di tutto. Per questo tenete la vostra bocca chiusa. Solo per proteggere questa fottuta nazione!»
Il padre serrò le mascelle, intristito. «Pensatela come volete, Lewis. Vi ho già detto perché vi terrò all’oscuro.»
Osservò il padre uscire dalla stanza e poi raggiunse la poltrona, portò una mano alla fronte e scrutò per lunghi istanti il vuoto. Il sangue gli pompava nella testa e il respiro era agitato, sotto l’improvviso scatto di rabbia.
Alzò gli occhi verso la parete alla destra, la porta socchiusa. Si alzò di scatto e diede un’occhiata all’interno. Vide frusciare una gonna color verde brillante, si avvicinò. Gli occhi di Leila lo fissavano, duri.
In quel momento si rese conto quanto fosse pericoloso lasciarsi andare ai sentimenti, alla rabbia che faceva fluire parole inopportune.
Tentò di entrare, ma la porta venne chiusa con un tonfo.