Capitolo 16
«Non credete, padre, che dopo la visita ad Hannover il nostro segreto sia in pericolo?» Henry parlò con una punta di sarcasmo, e scaricò la tensione dando un colpo di tacco al cavallo.
Francis non si voltò nemmeno. «E che differenza fa? Prima o poi sarebbero venuti a saperlo comunque.»
Strinse le redini con dispetto. Non sopportava la supponenza del padre. In realtà, non sopportava proprio nulla dell’uomo colpevole di averlo messo al mondo. Ma essere un Jacobson voleva dire convivere con decine di trame che suo nonno Ralph metteva in piedi di continuo. Quei giochi di potere giovavano molto anche a lui e non si era mai fatto molti scrupoli, almeno fino a quando l’idea di sposare Nora era diventata qualcosa di più di un semplice matrimonio combinato. Un amore intenso. Da cui non poteva sfuggire.
«Si metteranno a ficcare il naso, ora.» Sbottò, nelle viscere di nuovo l’odiosa sensazione di essere a un bivio: scegliere il puro sentimento verso Nora, e proteggerla da ciò che stava per succedere, o seguire la famiglia, la sicurezza e il potere.
«Non temete. Faremo in modo di metterli subito alle strette. Lawrence è distratto. Da un lato la Compagnia dei Mari del Sud e il registro nero, dall’altro Hans. È troppo agitato per vedere cosa sta per succedere. Douglas farà il resto, ha delle interessanti bande di scozzesi qui intorno. Una di queste potrebbe sempre rapire qualche importante esponente della famiglia…»
Fermò il cavallo, una goccia di sudore freddo lungo la fronte. «Non Nora, mi auguro.»
Il padre sbuffò. «No, lei no.» Gli sorrise maligno. «Ma la graziosa duchessa di Groundale potrebbe essere una buona leva per far smuovere le labbra di Lewis.»
Nora prese posto su una panchina, le foglie di carpino le solleticavano il collo. Circondati dalle alte pareti del labirinto, potevano godere dell’ombra al riparo da sguardi indiscreti.
Lorenzo le prese la mano e se la portò alla bocca, con ardore. «Non riesco a starvi lontano, milady. Dovete perdonarmi se vi sembro inopportuno.»
Lo lasciò fare, il respiro che indugiava su quel contatto lieve, carico di desiderio. Arrossì, prima di alzarsi e iniziare a camminare. «Voi siete troppo sfrontato.»
«E voi troppo bella.»
«Finirete con il diventare banale.»
«E voi rischiate di condannarmi all’inferno se non vi fermate un attimo.»
«Due mesi e sarò promessa» disse, prima di raccogliere le gonne tra le mani e allontanarsi da lui, in una corsa lungo i sentieri del labirinto, fino a un corridoio di siepe senza uscita. Sentiva il richiamo dell’uomo alle sue spalle e, allo stesso tempo, il desiderio di sfuggirgli. Non voleva commettere ancora l’errore imperdonabile di cedere a quelle labbra, a quel tocco.
Intravide un varco in fondo al sentiero. Lorenzo riuscì ad allungare la mano sulla sua spalla, trattenendola. «Il vostro fidanzamento è solo uno dei tanti dogmi che vi impongono. Un buon matrimonio, un’eredità per i vostri figli.» Avvicinò, crudele, il volto al suo collo. «Nulla più di un freddo contratto.» Le labbra si posarono, tentatrici, sulla sua pelle. «è davvero questo che volete?»
Si voltò di scatto, arrabbiata. Non sopportava l’arroganza e quel potere seducente da cui non riusciva a sottrarsi. «Sapete che cosa voglio, Lorenzo?» gli chiese, le gambe che facevano un passo per scostarsi da lui, per raggiungere quel varco di salvezza tra le foglie. «Evitare di vedervi rantolare su un prato con la spada di Groundale nel cuore.»
«Si dice che vostro fratello vi ami alla follia.»
«Appunto per questo vi sto mettendo in guardia.»
«E perché, se vi ha così a cuore, dovrebbe impedirvi di amare?»
Nora fece un lungo sospiro indispettito, caldo, confuso, poi raggiunse il varco e riprese a camminare veloce, alla ricerca disperata dell’uscita.
Lewis era sceso in giardino, intenzionato a cercare Leila e parlarle, ma appena aveva messo piede nei viali, una voce gli era giunta alle orecchie.
Nora e Lorenzo che passeggiavano insieme. Allegri, complici… intimi.
Strinse il pomello fino a far emergere le nocche. Si stupiva di sua sorella, da quando era così ingenua da prestarsi a giochi come quelli?
Il pettegolezzo su di lei si era sparso in fretta, come il profumo dei fiori che decoravano Hampton Court . E in fondo, bastava vedere la faccia livida con cui andava in giro Henry, per intuire che ci fosse molto di più dietro l’amicizia con il musicista italiano.
Imprecò contro i genitori, troppo presi dagli intrighi del passato per accorgersi dei guai del presente.
Imboccò l’entrata del labirinto. Le lingue biforcute delle dame lo avevano indirizzato verso quel gigantesco serpente di carpino, le cui spire si avvolgevano l’una sull’altra, in un complicato gioco di strade senza uscita, varchi e sentieri. Un luogo dove i cortigiani passavano il loro tempo a rincorrersi fra inviti maliziosi e rifiuti cortesi. Un rifugio dove nascondere sfide di rossa passione.
Inforcò uno dei viali e tese l’orecchio, le parve di sentire la voce della sorella.
Nora era sfuggita di nuovo, camminava veloce ma Lorenzo riuscì ugualmente a metterle le mani sulle spalle, a bloccare la sua corsa.
«Vi prego, datemi solo un altro bacio.» La voce era bassa, graffiante. Quel maledetto respiro sul collo era irresistibile. «E vi lascerò in pace.»
Nora voltò il capo, i ricci che dondolavano ai lati del viso arrossato, fino a fronteggiare gli occhi scuri e densi di fascino dell’italiano. Lanciò uno sguardo oltre i rami della siepe. Una ramillies di fiocchi neri svolazzava oltre le foglie.
«Mio fratello!» sussurrò, spaventata. La paura del giudizio e dell’errore che si abbatteva, prepotente, sul desiderio.
Ma Lorenzo non le diede modo di fuggire dalla sua colpa. La sigillò in un bacio che racchiudeva l’ardore del loro primo incontro.
Lewis era certo, ancora una svolta e avrebbe colto in fragrante quello sfrontato di Colonna.
Mancavano pochi passi al varco verso il prossimo dedalo di viali, quando sentì delle parole sussurrate, incomprensibili.
Vocali aspirate e quella “r”…
Si bloccò e tornò sui suoi passi.
Nora accolse Lorenzo con un gemito di protesta e gioia. Il suo sospiro fu assaporato dalla lingua umida e calda che, ancora una volta, si prendeva gioco di lei, dei doveri e delle paure.
Incapace di resistere, allungò una mano a cingere la schiena e, per l’ennesima volta, le mani di Colonna cercarono un varco tra lo scudo di stoffa e crinolina.
Vide di nuovo suo fratello passare veloce oltre le foglie. E per assurdo, il pericolo rese ancora più travolgente quel bacio da cui non riusciva a staccarsi.
Leila era arrabbiata. Nelle orecchie rimbombava la frase che Lewis aveva gridato al padre e, d’improvviso, tutta la solitudine della sua condizione arrivò a chiederle conto.
«Aileen oggi non ti accompagna?» Il console ruppe il silenzio e lei finì con il serrare la mascella.
«Ti stai affezionando molto a lei.» Non si curò di nascondere l’irritazione.
«Principessa, è una donna molto simpatica…» Ahmed calò lo sguardo, colpevole. «Sono solo anche io, dopotutto.»
Leila lasciò perdere il discorso. Staccò una foglia dalla siepe e alzò gli occhi verso il cielo terso sopra di loro. Un uccello teneva aperte le sue ali, il vento a sostenerlo. Una visione che sapeva di libertà.
«Devo tornare a casa?» domandò.
«Devi fare ciò che ti senti, Leila. Abbass ti vuole con lui…»
Strinse appena le spalle. «Sarò solo una donna, ma conosco mio padre e Abbass. Ho come l’impressione che mio fratello mi rivoglia a casa solo per ricattare gli inglesi, strappargli qualche sterlina in più.» Lasciò cadere la foglia ai suoi piedi. «Forse è meglio tornare a casa, anche se so che è per puro interesse, piuttosto che rimanere qui a farsi prendere in giro.» Lasciò la panchina. «Ma se devo tornare indietro, credo che debba sapere la verità. Con chi ha stretto un patto, Abbass? Con i giacobiti? »
Ahmed non rispose, le poggiò una mano sulla spalla. «Dunque verrai?» Il volto del console fu illuminato da una speranza. «Sono sicuro che Abbass ti concederà tutto quello che desideri…»
Leila fu avvolta da un brivido caldo. Ahmed era l’unico legame rimasto con la sua terra. Le offriva una via di fuga e lo sguardo intenso con cui la guardava, prometteva amore e devozione incontrastata. Con lui sarebbe stata di nuovo una principessa rispettata e amata.
Intravedeva il riflesso del suo volto danzare sulle iridi di Ahmed. E vi scorse molto più di semplice ombre. Vide scorrere una vita carica di passione che ardeva sotto il sole d’Arabia. Negli occhi del console c’era il miraggio di ciò che poteva essere. Della decisione mancata di suo padre.
Le labbra si schiusero appena, il volto scese verso Ahmed. Le loro braccia si unirono, senza scampo.
E decise di assaporare, almeno per un istante, il gusto di quella alternativa.
I giardini di Hampton Court sparirono.
Le siepi e i fiori del labirinto sfumarono verso il giallo intenso della sabbia, i profumi delle rose divennero spezie che inebriavano la mente. La brezza di quel pomeriggio diventò il morso caldo di Mulay.
Fu come tornare a essere di nuovo Leila Kaalifa.
Un incantesimo di ricordi e sensazioni, di cuori impazziti e di sospiri che sapevano di proibito. Una magia potente, un’illusione improvvisa che la riportò indietro nel tempo, quando ogni cosa era come doveva essere. Quando il mondo fluiva nella giusta direzione decisa per lei dal sangue che le scorreva nelle vene.
Le labbra di Ahmed erano sulle sue. Le mani le stringevano la schiena, la lingua scostava l’esile scudo di due labbra che si aprirono, consapevoli, per accogliere una carezza delicata.
Il ricordo familiare di un’antica fantasia d’amore.
Un rumore, un sospiro. Aprì gli occhi. Lucida e pentita.
E si ritrovò a fissare due iridi castane che, immobili, la scrutavano tra le foglie della siepe.