Capitolo 23
Il carretto avanzava lento, tra le strade di una Londra ancora addormentata. La luce diventava sempre più chiara, iniziando a disegnare contro il cielo i profili dei velieri e delle case. La cattedrale di St. Paul emergeva maestosa con la grande cupola, ancora colorata di nero dalle ombre della notte. Dalle vie iniziavano a giungere le prime voci, la città era pronta a svegliarsi e la luce d’oro che si alzava all’orizzonte prometteva una giornata serena e limpida.
Leila si strinse di più nel mantello, e sistemò le pieghe della gonna dai colori scialbi. La cuffia le raccoglieva i capelli sul capo, e un grembiule rattoppato era legato in vita.
Lewis teneva le redini, un filo di barba incolta a incupirgli la mascella, un berretto logoro calato sulla fronte. Non appena avevano messo in atto quel piano, lasciando a Douglas il compito di tornare dai giacobiti, per tranquillizzarli e controllarli dall’interno, il marito si era spogliato della nobiltà per indossare i panni di un popolano. Uno dei centinaia che abitavano quell’enorme città.
Era del tutto a suo agio. Sapeva come parlare, come muoversi. A vederlo, nessuno avrebbe mai potuto pensare che, sotto quelle vesti, si nascondesse un duca.
La capacità di Lewis di adattarsi alle situazioni, di confondersi con ciò che gli stava intorno, la affascinava e, allo stesso tempo, la inquietava.
Quell’uomo riusciva a mascherare emozioni e identità in maniera così perfetta che si domandava quale fosse il suo reale volto. Ogni volta che pensava di averlo capito, di aver scoperto ogni carta nascosta di Lewis, si ritrovava con le mani vuote.
Cambiava forma, aggirava ostacoli, si scavava da solo una via.
Era un torrente testardo ed enigmatico che era destinata a seguire senza alcuna difesa. Misteri, intrighi e segreti, non bastavano a farla smettere di sentirsi viva, appagata e serena quando stava vicino a lui.
Ma si chiedeva anche se fosse davvero possibile una vita, per lei, al riparo da lotte, duelli e fughe. Forse era questo che lui intendeva, quando le aveva detto che meritava un marito diverso.
Il carro continuò a costeggiare il lungo Tamigi e contro il chiarore dell’alba, si stagliò più scuro, di fronte a loro, il profilo della Torre di Londra.
Voltò appena gli occhi verso Lewis. La mascella del marito si serrò. «Sei preoccupato per tuo padre?»
«Devo trovare un posto dove tu possa stare al sicuro. Potrei affidarti ad Ahmed.»
Leila, suo malgrado, non poté fare a meno di arrossire. Dopo tutto quello che era successo in quei giorni, il bacio con il console sembrava appartenere a un’epoca lontanissima nel tempo.
«Ma a corte non mi fido di nessuno. E non voglio che tu sia coinvolta in qualche assurdo ricatto per stanarmi.» Scosse il capo, contrariato. «Ma non puoi nemmeno stare qui con me. Non ho la più pallida idea di cosa debba affrontare. E sono da solo.» Fece una smorfia. «Devo trovare un modo per parlare con Augusto. Non può averci voltato le spalle con tanta facilità.»
Leila continuò a osservare i tetti delle case che le sfilavano intorno. Lo scomodo sedile del carretto la faceva sobbalzare senza alcun ritegno. «Quei Johnson, sono tuoi amici?»
«Sì, li conosco da una vita. Ma proprio per questo Von Grouber ha mandato subito dei soldati a sorvegliare le loro proprietà.»
«Aileen!» Esclamò quel nome all’improvviso, rendendosi conto, solo in quel momento, che la donna al centro di tutto quell’intrigo era scomparsa dalla circolazione.
L’aver pronunciato quel nome mise a disagio Lewis, che si guardò intorno, circospetto. Di rimando, Leila abbassò la voce a poco più di un sussurro. «Dove si trova Aileen?»
«Al sicuro.» Lewis fece un sorriso scaltro. «Possono essere furbi quanto vogliono, ma nessuno di loro aveva un nonno incline agli incontri amorosi con una spia. Abbiamo più di una carta nascosta, Leila.»
Tornò di nuovo il silenzio e si mise a osservare alcune donne appena uscite dalle abitazioni. Erano vestite come lei, con abiti poveri ma dignitosi, le mani che reggevano le gerle. Una di loro portava, in una fascia, un bambino appena nato.
Un batuffolo rosa abbarbicato nella copertina, con gli occhi vispi che scrutavano il mondo. Quella visione le provocò uno strano senso di calore allo stomaco. Un misto di tenerezza e malinconia.
Ripensò alla sensazione contrastante provata quando aveva perso un bambino di Evry. Felicità e desolazione.
Si era accorta da tempo che faticava a rimanere incinta.
Portò una mano sul grembo. Per la prima volta si rese conto di desiderarlo davvero, forse perché accanto a lei c’era finalmente qualcuno che amava.
Seguì la donna che, con un sorriso compiaciuto, raggiunse una signora più anziana. Le arrivarono le loro voci allegre.
«La loro vita è molto più dura della nostra.» commentò Lewis, quasi avesse seguito il suo stesso filone di pensieri. «Povertà e fatica. Ma allo stesso tempo, credo sia molto più semplice. A volte vorrei addosso solo la responsabilità della mia famiglia, dei miei figli. Senza il peso di un regno.»
Quella confessione improvvisa e inaspettata le dipinse sul volto un caloroso sorriso, gli avvolse la mano che teneva le redini e appoggiò la testa sulla sua spalla. E finse di essere davvero una popolana che stava raggiungendo il banco del mercato.
Ma quando arrivarono in prossimità del porto, la realtà la riportò al presente.
Dapprima osservò con incredulità, poi sentì il cuore allargarsi sotto un moto di gioia intensa.
Contro il cielo illuminato dall’alba, sventolava l’acceso stendardo blu e giallo di suo padre.
Il tavolo di legno massiccio rifletteva le lame di luce del primo mattino. Un antico arazzo, eredità del periodo Tudor, troneggiava sul camino di marmo in fondo alla stanza.
Quella era in assoluto la camera di St. James che, più di tutte, rifletteva l’arredo austero, quasi spartano, del palazzo. Le pareti erano ricoperte di legno scuro a cassettoni, così come l’ampio soffitto. Solo l’oro delle cornici donava un po’ di colore, insieme alle tende di damasco rosso.
Maximilian si avvicinò a una delle finestre. Gli occhi, senza nemmeno volerlo, si posarono sulla sedia a capotavola, di fronte a quella occupata da un silenzioso principe del Galles.
«Sedetevi.»
Maximilian Von Grouber obbedì ad Augusto, staccò gli occhi dal posto appartenuto a Evonshire e si accomodò accanto al principe.
«Siamo nel caos più totale, conte. Da un momento all’altro la mia famiglia verrà accusata di corruzione. Avrete visto da voi, immagino, la fila di mercanti e banchieri di fronte al palazzo. Sono tutti qui per chiedermi spiegazioni, per sapere come sia stato possibile che i loro risparmi siano finiti in fumo. Così, all’improvviso. Ieri c’erano, oggi sono solo carta straccia. Quando sapranno che noi abbiamo finanziato i criminali dietro tutto questo, per mio padre governare il regno sarà davvero difficile.»
«Capisco le vostre preoccupazioni, maestà.»
Il pugno che Augusto diede al tavolo lo fece sobbalzare. «No, non le capite! Sono da solo, l’unica persona che poteva darmi una mano a gestire una situazione simile, e lanciare una controffensiva, è rinchiusa nella Torre, e con tutto il rispetto che ho per voi, Von Grouber, non avete l’esperienza di Evonshire.» Il principe parve calmarsi per un istante. «Non vi sembra una strana coincidenza? La principale compagnia finanziaria del paese, quella che ha acquistato parte del debito dello Stato, sta fallendo nello stesso momento in cui il capo dell’esercito e delle spie, è stato arrestato per tradimento, lasciandomi il fianco scoperto.»
Von Grouber abbassò il capo sotto quella riflessione. La stessa che da giorni gli impediva di dormire. Mosse le labbra per rispondere, ma il principe scostò la sedia per raggiungerlo. Puntellò una mano sul tavolo e calò la testa, fino a fissarlo negli occhi.
«Siete voi che mi avete messo in guardia. Voi che mi avete raccontato un’ipotesi diversa sulla morte di Mary. Vostra figlia è stata uccisa da Lewis perché aveva scoperto che gli Hawk, in realtà, erano dei giacobiti. E, in effetti, le prove raccolte in questi ultimi tempi sono tutte a loro sfavore. Ma ora ditemi: come avete scoperto la verità su Mary? Per due anni avete lavorato al fianco di Evonshire e suo figlio, senza dire nulla. Che cosa è cambiato?»
Von Grouber deglutì, lento. «Altezza…» mormorò, in cerca di una buona scusa, perché in fondo sapeva che era stato un azzardo ascoltarlo, dar voce alla sete di vendetta che gli pulsava nel cuore.
«Parlate Von Grouber!» Il tono di Augusto non lasciava nessuno spazio.
«Ho parlato con Douglas Mackay. Mi ha avvicinato qualche mese fa, raccontandomi questa storia. Mary aveva colto Lewis sul fatto e si era confessata con Douglas. Furono scoperti. Lewis tentò di uccidere Mackay e poi buttò Mary giù dalla finestra.»
Vide il volto del principe accartocciarsi in un’espressione carica di sdegno e preoccupazione. «E vi ha fornito delle prove a sostegno di questa tesi?»
«No.» Fece un lungo respiro nervoso. «Mi ha consigliato di vendicarmi di Lewis, uccidendolo. Ma io ho preferito indagare e i rapporti delle mie spie hanno dato ragione a Douglas.»
«Oppure lo scozzese vi ha messo su una falsa pista facendo leva sul dolore che ancora provate.»
«Potrebbe essere così, altezza. Non mi sento di escluderlo, vista la situazione.»
Augusto gli riservò uno sguardo carico di pietà. «Siete un imbecille, e io più di voi.» Raggiunse la porta. «Devo parlare con Evonshire, seduta stante. E voi fareste bene a trovare Groundale.»
Lewis guardò con attenzione gli occhi della moglie. Erano velati di una sincera e viva felicità. Le pupille continuavano a osservare il vessillo che si muoveva.
D’improvviso gli strinse la mano con forza, quasi a cercare di trattenere il flusso di emozioni che non riusciva a nascondergli.
«Cosa pensi sia venuto a fare tuo padre?»
«Credo si tratti di Abbass. Mio fratello.»
«La domanda non cambia.» Si rese conto di aver risposto in maniera piccata, ma la situazione era già abbastanza complicata, i famigliari di Leila non aiutavano di certo a migliorarla.
Con ogni probabilità, avrebbero creato un caso diplomatico, arrabbiati per le accuse oltraggianti rivolte alla nuova famiglia della loro principessa.
E poi, quel vessillo sgargiante che contrastava in maniera quasi antipatica contro il cielo pallido, portava con sé un pericolo capace di fargli rizzare i capelli in testa.
La possibilità di vedere Leila partire.
«Non lo so. Forse vuole il mio aiuto per dei problemi che ha con nostro padre… io…» Distolse gli occhi dai suoi. Un gesto che gli provocò un guizzo nello stomaco.
«Questo complica ulteriormente le cose» bofonchiò.
«O potrebbe esserci d’aiuto.»
S’irritò, mentre lanciava occhiate circospette intorno. «E come? Facendomi ammazzare da tuo fratello al posto del boia?»
Leila assottigliò appena le labbra, in un gesto che denotava stizza. «Hai bisogno di parlare con il principe o sbaglio?»
«Sì, ma non vedo come…»
«Abbiamo vestiti diversi dai vostri, che ci coprono il capo, a volte persino il volto. E usanze che voi occidentali non capireste mai.»
Aggrottò le sopracciglia. «Vuoi che mi mischi al seguito di tuo fratello?»
«Sì. Può frequentare la corte in maniera libera. E nessuno gli sarà d’impiccio, vista la delicata situazione in cui mi trovo. Abbass e le sue guardie possono esserci molto utili.» Leila gli sorrise. «Fidati di me. Dobbiamo salire su quel veliero.»
Strinse le redini con forza e scrutò, per un momento, la strada di fronte a lui. Iniziava a essere affollata e tra l’ingombro di donne, sporte, carretti, emersero le giubbe rosse di una pattuglia. Alla testa dei soldati, Von Grouber spiccava per altezza, con il viso spigoloso che pareva scandagliare ogni volto.
Allungò una mano ad afferrare il braccio di Leila e, con uno strattone deciso, saltarono insieme giù dal carretto, scesero lungo le rive del Tamigi, e trovarono un nascondiglio di fortuna tra le ceste cariche di pesce fresco.
Da quella posizione, aveva una visuale migliore sui velieri ormeggiati. Dietro il colorato scafo dell’imbarcazione araba, spuntava il blu e il giallo di una nave da guerra inglese. I colori opachi, sbiaditi dal sole e dalle intemperie di numerosi viaggi, ricordavano la faccia abbronzata e i modi rozzi del capitano.
E sullo scafo, lettere eleganti componevano il nome Hms Royal Oak.
La loro salvezza.