Capitolo 28
Era buffo come il tempo, in certe situazioni, risultasse perfino odioso per la sua lentezza. Aileen osservò l’ennesima candela che moriva, affogata nella cera calda. Accese un nuovo mozzicone che avrebbe fatto compagnia agli innumerevoli che si erano consumati in quella lunga attesa.
Le giungevano le voci delle donne al piano di sopra, di Marielene, i passi delle domestiche. Sopra la sua testa, la vita continuava come sempre e il tempo scorreva veloce.
Lì, in quelle camere segrete scavate sotto al casotto di caccia di Hawk’House
, invece, ogni cosa pareva sospesa nel vuoto dell’incertezza. Lei, che tutti bramavano, con quella maledetta voglia a congiungerla con un fratello che era rimasta a osservare per due anni con timore e curiosità, era nascosta proprio nel luogo più assurdo di tutti, dove ogni spia puntava l’occhio. E proprio per questo, a nessuno, come Lawrence aveva spiegato, era venuta l’idea di cercarla lì.
Forse la credevano lontana, chissà dove.
La porta si aprì e il cuore si fermò nel petto. Suo fratello Douglas comparve nella stanza e la fiamma dell’odio le increspò le labbra. «Che diavolo ci fai tu qui?»
Le prese la mano. «Dobbiamo andarcene.»
Chiuse e riaprì gli occhi diverse volte. Incredula. «Dopo tutto quello che mi hai fatto vieni qui…» Il respiro si spezzò nella gola con un rantolo carico d’inquietudine. «Chi ti ha mandato?» La voce tremava sotto la certezza di essere stata scoperta.
«è
una lunga storia e non abbiamo tempo. Devi fidarti di me.»
Il fratello le tese la mano. La guardava con sincera preoccupazione e, per un attimo, un sorriso di affetto tornò a colorarle le labbra. «Non metterò in mano la mia vita a un omicida!»
L’odio per ciò che le aveva fatto finì per farla allontanare da lui.
Douglas si voltò verso la porta. «E va bene» mormorò afflitto. «Non ho scelta: devo raccontarti come sono andate davvero le cose.»
Esca.
Era questa la parola d’ordine per mettere fine a quella faccenda. Augusto aveva messo
Nora in mano ai Jacobson per farlo uscire allo scoperto e Lewis aveva deciso di usare la cosa a suo vantaggio.
Douglas lo spingeva con aria trionfante. Solo lui poteva rendersi conto che nell’azzurro dello scozzese si agitavano emozioni molto diverse da quelle che dava a vedere.
Una sorella era stata portata in salvo, un'altra era in pericolo.
L’intero equilibrio di spie e fiducia si era spezzato. Dopo aver convinto Augusto a ritornare in sé, Lewis si era reso conto di essere solo. Isolato. Qualunque ordine del principe volto a ribaltare la situazione, poteva finire con il fare uccidere il padre in cella e mettere in pericolo Nora. Per questo si era appoggiato a James Skyrm, il valido ammiraglio attendeva con i suoi uomini nascosto tra i vicoli intorno alla casa verso cui si stavano dirigendo.
Entrarono in un edificio abbandonato. La porta di legno si richiuse alle loro spalle. Aveva previsto ogni minimo dettaglio, avrebbe lasciato loro credere di essere ancora in vantaggio, di avere la situazione in mano. Nel mentre, i suoi uomini si sarebbero occupati di neutralizzare le guardie giacobite appostate lungo tutta la via.
E infine, avrebbero chiuso i topi in trappola.
«L’ho trovato!» Douglas lo spinse all’interno dell’edificio dove si erano riuniti i congiurati. Lewis alzò la faccia sudata e livida verso Francis Jacobson seduto su una sedia. Accanto a lui Lorenzo Colonna. Cinque uomini armati attendevano ai lati della porta, ma ciò che colpì il suo stomaco fu la visione di Nora, legata e inginocchiata ai piedi di Francis.
«Eccoti qua, finalmente.» Jacobson si alzò e ordinò agli scozzesi di chiudere la porta a chiave, dall’interno. La sprangarono con pesanti assi.
Lewis iniziò a sentire il tempo farsi più denso. Dilatarsi, in un’attesa che prometteva di essere estenuante.
Francis lo raggiunse, gli occhi accesi di furore. Brillavano sotto una nota di sadismo che si tramutò in un pugno in pieno viso. Jacobson lo lasciò boccheggiare prima di strattonarlo e costringerlo a piegarsi sul tavolo. Lo stomaco impattò sul bordo, mentre gli tenevano schiacciata la testa contro la ruvida superficie di legno. Gli presero le mani e gliele torsero dietro la schiena. Un gemito di dolore gli uscì dalle labbra, mentre Francis gli afferrava i capelli e gli tirava la testa indietro. «Lo so che sei furbo, Lewis. Alla fine hai ritenuto opportuno uscire allo scoperto, non è così? Ma per quale motivo lo hai fatto? Sei disperato perché tuo padre domani morirà sul patibolo? O come al solito sei stato più furbo di noi?» Lo sollevò dal tavolo e il pugno lo colpì al centro dello stomaco, violento, gli sconquassò ogni fibra del suo essere. Diavolo, era forte quel bastardo, pensò, e raccolse tutta la propria coscienza per evitare alla nausea di uscire in un disgustoso conato di bile.
«Forse Douglas ti ha sul serio catturato o magari, chissà come, sei riuscito a convincerlo a stare dalla tua. Non lo so. Dubito che tu te ne sia stato zitto e quieto a fare la parte del fuggitivo.» Jacobson fece un segno ai suoi uomini che immobilizzarono Douglas.
«Che diavolo stai facendo?» protestò lo scozzese.
«Prendo precauzioni. Per questo Nora è qui. Sai, ho tentato di portarmela a letto, ma poi ho deciso di assaggiare questo delizioso frutto con tutta calma.» Gli avvicinò le labbra a un soffio dal viso. «Davanti a te.»
Il cuore iniziò a strepitare contro il bordo del tavolo, mentre una vampata rossa di rabbia e indignazione bruciò il volto. Piano o no, nella sua mente iniziò a strisciare, traditrice, la paura. Un’emozione viscida, bruciante, che si annidava nella bocca dello stomaco.
Da fuori giunse il rumore di uno scontro, urla e spari. Lewis guardò allarmato verso la finestra.
«Sai, mi piace giocare con le spalle coperte.» Sogghignò Jacobson, mentre strattonava Nora.
Lewis affranto e angosciato, sollevò il busto quel tanto che bastava per alzarsi e incontrare gli occhi sgranati di sua sorella, legata e imbavagliata con i capelli scomposti, il vestito sgualcito e gocce cristalline di paura che scendevano lungo le tempie.
Spalancò la bocca in un ringhio «Ho come l’impressione che la questione dei giacobiti per te sia solo un pretesto» sbraitò, impudente. Vano tentativo di mantenere un atteggiamento sicuro. Perdere il controllo poteva mettere a dura prova la riuscita del suo piano. «Se ce l’hai tanto con me, Francis. Sfidami!» Gli sibilò.
La risposta fu uno strattone ai capelli di Nora, che fu costretta a inginocchiarsi. La sorella serrò le mascelle in un’espressione di disgusto, le ginocchia che impattavano contro il pavimento con un rumore violento.
Nelle mani di Jacobson comparve un coltello. «Mettiamo le cose in chiaro, Lewis: ora mi dirai chi è il figlio segreto di Königsmarck. Se lo farai, forse posso evitare di farti assistere.»
La punta le sfiorò il collo, gelida e minacciosa. Nora alzò gli occhi verso il soffitto di travi annerite. Il pulviscolo che giocava con le lame di luce. Fissò quel legno scurito dagli anni, per evitare di guardare il fratello e rischiare di scoppiare a piangere. La punta continuò ad accarezzarle la pelle, fino a trovare il contatto con la stoffa del vestito.
«Tanto lo farai comunque, stronzo bastardo!» Ringhiò Lewis, fuori di sé.
«Forse.» Francis sogghignò. «Vogliamo fare una scommessa? Riuscirò prima io a
scoparmi tua sorella o i tuoi uomini ad arrestarmi? Ti sei finto un’esca per poi andare dal principe e riportare le mie minacce? Per farmi trascinare nella Torre con prove schiaccianti del mio tradimento?» Jacobson fece spallucce. «Ti devo confessare una cosa. C’è solo un modo per salvare l’Inghilterra dalla banca rotta. Lo Smeraldo di Venere
.»
«Pensate che una stupida pietra possa salvarvi?» Lewis rise, sprezzante.
«Sì. Una delle pietre preziose più grandi del mondo sta per arrivare a Londra dalla Giamaica, e verrà affidata al tesoro reale e venduta per risarcire i disastri della Compagnia dei Mari del Sud. E sarà tutto merito dei Jacobson, di mio fratello David che l’ha protetta oltreoceano e di mio padre che ha deciso di regalarla al re.» Francis era trionfante. «I reali non offenderanno mai la famiglia che li ha salvati dal disastro e dall’accusa di corruzione, mandando un suo esponente a morte.» Jacobson tornò a fissare Nora. «Quindi, mio caro Lewis, anche se uscirai vivo da qui, non avrai mai la soddisfazione di vedermi con la testa staccata dal collo.»
Nora non riusciva a capire quale fosse il sentimento che stava violentando il suo cuore in quel momento. Paura, sì, forse sì, ma non del coltello. E non delle minacce lette negli occhi lascivi di Francis. Le aveva già affrontate. Ciò che le sconquassava il petto era il dubbio.
Lorenzo era alle sue spalle, silente. Gli occhi freddi quando l’aveva accolta nella stanza. E l’unica certezza a cui si era aggrappata nelle ultime settimane, quell’amore così forte da sconfiggere le ostilità che li dividevano, rischiava di svanire sotto la sicurezza di un inganno.
Dunque era stata così sfacciatamente debole? Aveva ceduto ai richiami del desiderio solo per scoprire di essere stata davvero ingannata?
Fermò il labbro inferiore, preda di un tremore che rischiava di mandarla in pezzi. Chiuse gli occhi. La lama che lacerava la stoffa con un colpo secco. Il vestito iniziò a scivolarle lungo le spalle, insieme alla sottoveste, recisa con la stessa avida perizia.
Il fratello iniziò a sbraitare tutta una serie di insulti verso Francis. E la muta attesa di Lorenzo la uccideva, come se il coltello le stesse scavando dentro, fino al centro più delicato del cuore.
«Hai perso, Lewis.»
Nora aprì appena le palpebre, intravide il viso paonazzo del fratello. L’ombra selvaggia della furia che gli contraeva le mascelle. Si mosse agitato, diede uno strattone, lo spinsero di nuovo sul tavolo e lo colpirono al volto.
«Il punto Lewis è che ti conosco: so quali sono i tuoi vizi, i tuoi demoni. So quanto è difficile batterti. Quanto è facile per te ricoprire le vesti dell’eroe. Non mi è mai fregato davvero molto degli Stuart. Volevo solo piegarti. E vederti strisciare ai miei piedi.»
Come una bestia che sbranava la preda, Francis afferrò i lembi del vestito di Nora e glieli stracciò di dosso, lasciandola nuda e tremante al cospetto degli uomini presenti. I denti di Lewis sfregavano, tentò per l’ennesima volta di sfuggire agli aguzzini.
Le parve di udire il respiro di Lorenzo farsi più affannoso, ma non vi furono parole, nulla. La stava sul serio sacrificando in nome della causa?
Ci fu un fruscio di stoffa. Voltò la testa d’istinto e la bocca le si aprì in un sospiro di pura, desolante disperazione. Gli occhi che si chiusero per proteggerla dalla vista disgustosa del membro di Francis, turgido e pulsante. Le strattonò i capelli, lottò, ma la sua bocca finì con l’avvicinarsi in maniera pericolosa al caldo e rivoltante arnese che sostava davanti a lei.
L’urlo di Lewis le trapassò le orecchie. Ci fu un colpo secco. Il rumore di carne e di ossa che sbattevano con violenza. Il fracasso di legno rovesciato.
Aprì gli occhi e vide Lorenzo chino su Francis, il tavolo ribaltato. Lo teneva per il collo e con l’altra mano lo stava colpendo con tale violenza, che già una cascata rossa scivolava lungo il mento di Jacobson per raggrumarsi ai suoi piedi.
«Che diavolo stai facendo Colonna?» sbraitò Francis. Altri giacobiti erano accorsi e lo avevano diviso dall’italiano.
«Non la toccherai mai più!» strepitò Lorenzo, furibondo.
«Sei un traditore, dunque! Ti interessa di più tenerti la tua puttana inglese, eh?» Francis rise, isterico, il polso che sfregava sulla bocca. Il sangue gli si era appiccicato lungo le guance, un grottesco sorriso che illuminava lo sguardo folle.
Nora intercettò gli occhi di Lewis, di nuovo trattenuto a forza. La risposta che ricevette dal fratello fu carica di domande e non ebbe più il cuore di sostenere quel silenzioso scambio di sentimenti. Abbassò le iridi, colpevole.
Un pugno, un altro ancora. Francis iniziò a tempestare il corpo di Lorenzo, trattenuto da due uomini. E le lacrime iniziarono a scenderle dagli occhi sconvolti.
Non c’era inganno nell’amore che li univa. Ma solo tragedia.
Quando comparve la pistola nelle mani di Francis, urlò. La canna si poggiò sull’occhio di Lorenzo. Gridò per la seconda volta.
«Farò finta che non sia successo niente. Ti farai da parte e scoperò quella troia fino a quando il grazioso duca di Groundale non mi chiederà pietà.» Fu la tetra minaccia di Francis. Non rideva più. Dal suo sguardo era sparita ogni traccia di follia. C’era solo uno scintillio sinistro, carico di morte.
Nora trattenne il respiro.
«No, bastardo figlio di un cane! Ti ho già detto una volta che non la devi toccare! E non lo farai! Ho già avuto abbastanza pazienza, avrei dovuto farti saltare le cervella appena hai messo piede in questa stanza insieme a lei.» Lorenzo aveva parlato con furore.
«E allora, crepa!»
«No!» Nora fu assordata dal suo stesso grido che coprì il fruscio della porta.
I soldati, finalmente, irruppero. Colpi, pugni, lame. Lorenzo si ritrovò libero, così pure Lewis.
Nora rimase immobile, in mezzo alla stanza che si riempì di grida e clangore di lame. Di sangue e polvere da sparo.
Lorenzo la raggiunse, l’abbracciò. «Mi dispiace, non conoscevo il suo piano. Devi credermi.»
Non ebbe la forza di rispondergli. Rimase accoccolata al suo petto, i rumori della rissa intorno a lei svanirono, divennero lontani. E in mezzo a quel trambusto emerse solo il ritmico battere del cuore di Lorenzo. Un cuore che batteva solo per lei.
C’erano certi legami in quel mondo che nascevano disperati. Maledetti. E che, nonostante tutto, riuscivano a trovarsi una strada nell’oscura trama del destino.
La vita, a volte, riusciva a essere scura come la notte più buia. Eppure, in fondo al battito che, ostinato, le cullava il petto, percepiva la speranza. Una fiamma che ardeva, in cerca dell’alba.
«Addio!»
Lorenzo si divincolò e la lasciò da sola. La sua mano che scivolava lungo il polso di lui. Un contatto che svanì.
Francis era stato appena immobilizzato da James Skyrm. Lewis gli puntava una lama all’altezza del cuore.
Jacobson sogghignava, strafottente. «Vuoi ammazzarmi? Così, a sangue freddo, davanti a tutti? Te l’ho detto, i reali ci amano. Piuttosto, se davvero vuoi farti bello davanti al re al principe, ti converrebbe inseguire Colonna. È un uomo del Papa, l’emissario più fidato del Pretendente. Io dico che potrebbe rivelarti molte cose interessanti.»
«Un giorno di questi ti infilerò la spada nello stomaco. Guardati le spalle. Perché lo farò. È una promessa.» Lewis gli schiantò un pugno sul naso, poi si precipitò verso Lorenzo.
Scavalcò il davanzale e saltò sul tetto sottostante. Colonna era rimasto in bilico al centro, le mani alzate in cerca di equilibrio, e lo imitò. Iniziarono a inseguirsi, sospesi sopra metri di
altezza, oltre le teste dei primi artigiani che uscivano nell’aria rarefatta da una tenue nebbiolina.
Lorenzo saltò più in basso, su un altro tetto. Fece altrettanto, le mani che si aggrappavano alle tegole viscide e i piedi pronti a risalire per ritrovare la stabilità. L’italiano pareva un gatto, saltellava agile, e si calò giù dalla grondaia, prima di saltare nella strada sottostante.
«Fermati!» gridò, più che altro per dare sfogo alla frustrazione di essere rimasto indietro.
Seguì i movimenti di Colonna e si ritrovò ad atterrare accanto a uno stupefatto mercante che si arrabattava con la tenda del banco.
Lewis gridò ancora, in direzione di quelle gambe che correvano veloci. Un attimo e Lorenzo sparì dietro l’angolo.
Impose ai suoi muscoli maggiore forza. Il sudore scivolava e tremolava nella brezza del mattino, fredda, sotto l’autunno incombente. I capelli si appiccicavano al viso teso, con le mascelle intenzionate a bucare gli zigomi, costrette in un morso che addentava rabbia e concentrazione.
Finirono in un vicolo già affollato, con Lorenzo costretto a rallentare la sua corsa davanti a un carro lento e zeppo di mercanzia. Con velocità e istinto, l’italiano si abbassò in avanti e rotolò sotto al carro, passando vicino alle grandi ruote cigolanti e riemergendo dall’altro lato.
Lewis imprecò, mentre già le ginocchia si flettevano in avanti e imitavano lo stesso fluido movimento. Spalle, piedi, faccia, sfregarono contro la terra battuta della strada, la ruota anteriore che sfiorò con una carezza pericolosa la sua nuca.
Riemerse con la bocca impastata di saliva, terra e imprecazioni e riprese la corsa furibonda verso il codino scuro che ballonzolava ormai poco distante. L’ennesimo carro rallentò la corsa e Lewis fu svelto a saltare in avanti. Le mani che si aggrappavano alle spalle di Colonna e lo trascinavano giù, nella polvere.
Rotolarono così, agguantati l’uno all’altro. Le bocche digrignate sotto lo sforzo e le mani armate di pugni che si alzavano per ferire.
C’erano mille domande in quei colpi. La rabbia per l’umiliazione rischiata da Nora. Il dolore per saperla coinvolta in quel gioco da cui aveva sempre tentato di tenerla distante. Le parole di Francis, il gesto di Colonna di farsi quasi ammazzare per proteggerla.
Lewis riuscì ad agguantargli la gola. «Dimmi che cosa ti lega a Nora! Dimmi che non sei stato tu a coinvolgerla in tutto questo e forse eviterò di strozzarti!» Gridò, stravolto da una furia omicida che gli faceva tremare muscoli e anima.
Ma gli occhi scuri e grandi di Lorenzo Colonna erano lucidi di fatica, spalancati sotto un senso di colpa che Lewis aveva già intravisto nel covo, quando aveva assalito Francis.
Qualcosa di sinistro, che parlava di passione. L’unica cosa che poteva permettere a un uomo di gettare al vento la propria vita con tanta facilità.
Gli schiantò un pugno sul naso. «Parla!»
Colonna parve rinvenire all’improvviso, lottò con mani e piedi, fin quando una testata non tramortì Lewis, che perse vigore nella presa.
Si ritrovarono in piedi, impolverati e sanguinanti, Lorenzo evitò l’ennesimo pugno al volto. Gli fermò la mano e lo fissò negli occhi. «Ti serve sapere una cosa soltanto: io l’amo.» Lo vide fremere, preoccupato, poi, riuscì a liberarsi dalla presa e tornò a correre.
Lewis fece altrettanto, travolto da un sentimento simile al dolore, sporco di indignazione e nero d’odio. Preso com’era dalla lotta per la protezione di Aileen, aveva abbandonato Nora a se stessa.
Continuò a correre, Lorenzo era allo stremo, come lui del resto. Non poteva fuggirgli tanto lontano.
Arrivarono ai margini di una strada. Solo allora Lewis si rese conto di essere vicino al palazzo di St. James
. Pall Mall Street
lo accolse con uno strano silenzio. Nessun carro che transitava. Lorenzo aveva attraversato la strada con facilità. Si spinse in avanti, ma un dragone lo ributtò ai margini del ciglio con severa prepotenza. Lewis cadde seduto e, stravolto e sudato, osservò il corteo reale procedere austero verso il palazzo.
Giorgio era tornato.