Capitolo 30
Leila sistemò meglio il cappello sul capo e lasciò vagare lo sguardo sul canale di St. James . Le foglie iniziavano a colorarsi d’oro e di rosso, e molte di loro fluttuavano in balìa dell’aria per poi posarsi sulla superficie dell’acqua. Allungò una mano a raccoglierne una, venature vermiglie si allargavano sulla superficie in netto contrasto con le sfumature verdi del fondo.
Prese il gambo con due dita, e rimase così per qualche tempo a osservare la fragile delicatezza della foglia, a godere dell’ultimo sole caldo di quell’anno.
Intorno a lei era un unico vociare di dame e gentiluomini che attraversavano il canale sulle piccole barche. Sembrava tutto così perfetto, armonioso, con i vestiti delle signore, dorati come i colori d’autunno. Come l’abito di Lewis, di un oro quasi brillante, che pareva donare un’aria ancora più affascinante al suo viso, in quel momento sospeso nella solita espressione che poteva significare troppe cose per poterla decifrare.
Lo guardò da sopra il bordo della foglia. Scivolò lungo il naso, sulle labbra accattivanti, sostò ai limiti degli occhi, lontani, assorti e, per la prima volta, Leila sentì di essere in pace con se stessa. Si godette la sensazione di essere lì, nel giardino della complicata Londra, del tutto a suo agio nella sua vita, nel suo ruolo.
Forse era per via delle tante avventure passate negli ultimi tempi, della paura che ancora aleggiava intorno a lei, ma per la prima volta, da tanto, troppo tempo, era sicura dei suoi sentimenti.
Lewis voltò appena il capo e le sorrise. Un’emozione calda, sincera, che le fece allargare le labbra a sua volta. Nonostante tutti i pensieri oscuri ancora imprigionati nella mente, Leila poteva individuare la serenità che era riuscita a donare al cuore del marito.
Lasciò libera la foglia di fluttuare verso l’acqua e allungò una mano verso quella di Lewis. Intrecciarono le dita e rimasero a dialogare in silenzio, i rumori della natura e della vita che parlavano al posto loro, e il calore della loro pelle che veniva scambiato in quella stretta, fugace preludio del desiderio che scorreva sotto le loro palpebre.
Tutto sarebbe potuto rimanere così, incantato, immobile in quel tiepido pomeriggio. Una sola, splendida giornata di assoluta tranquillità, in grado di scacciare i pericoli appena passati.
Ma la voce di Henry Jacobson fluttuò lungo la superficie del canale fino a incupire gli occhi di Lewis che ritrasse la mano.
«Forse dovresti parlare con Nora!» Leila trattenne a stento il sospiro di delusione. Non sarebbe bastata una sola giornata di sole a scacciare la tempesta.
«Pensavo sul serio di andare a Berwick. Mi piacerebbe restare un po’ con te a godermi la tranquillità di quel posto.» Fu la risposta, gli occhi e la bocca che avevano già cacciato l’espressione ombrosa di poco prima.
«Posso capire che tu voglia cambiare aria per un po’, Lewis. Ma credo comunque che tu debba parlarle.» Gli scoccò un sorriso testardo.
Il marito sospirò, mentre immergeva una mano nell’acqua. «Non ho nulla da dirle.»
«È tua sorella. Non puoi trattarla in questo modo.» Stavolta fu lei ad assumere un’aria oscura. «L’ami troppo per lasciarla da sola.»
Non le rispose, si limitò a tirare su la mano. Chiusa a pugno.
«Senti, Lewis» si sporse in avanti e gli avvolse le dita serrate, il marito provò a fare resistenza, ma alla fine rinunciò e socchiuse gli occhi. «Vuoi sapere che cosa mi ha detto Abbass andando via? Che mio padre ha sbagliato a darmi in sposa a uno straniero, ma in fondo, non sono altro che una donna macchiata dalla vergogna. Sì, ha detto proprio macchiata. Che gli manco, e che manco anche al Sultano e a mia madre, ma una principessa araba sventurata è troppo umiliante da tenere sotto gli occhi.» Rise appena, per evitare di mordersi il labbro. «Insomma, sono troppo impura per loro.»
«Perché mi dici tutto questo, Leila?» Gli occhi castani la fissarono, stanchi.
«Non voglio che Nora si senta come me. Se non la perdonerai, passerà la vita a biasimarsi per una colpa che non ha.»
«Non è stata rapita.» Fu la secca risposta.
«No, ma ha solo sbagliato ad innamorarsi. E sta per essere sposata a un uomo che non ama. Che conosce il suo tradimento. E ogni giorno vedrà in volto un bambino, senza sapere il destino del padre.» Strinse più forte la mano di Lewis. «Non lasciarla da sola. Ha bisogno di te.»
Lewis accarezzò il muso sudato di Ares. Faticava a lasciarlo nelle mani dello stalliere, avrebbe voluto cavalcare ancora, per l’intera notte, per il giorno successivo. Forse per l’eternità.
Desiderava annullarsi, pensare solo al moto ondulatorio con cui il cavallo lo cullava. Sentire il vento in faccia, il sudore scivolare lungo i muscoli.
A malincuore lasciò Ares, dopo avergli passato, ancora una volta, una mano sul muso corvino. Gli occhi del cavallo parevano guardarlo con lo stesso biasimo della moglie. Scrollò le spalle. Tutti gli chiedevano di fare una sola cosa in quei giorni. E lui fuggiva. Proprio com’era scappato lontano da Mary e da Londra due anni prima.
Non faceva più paura guardare quella finestra, non era più doloroso giacere in quel letto e non lo era stato nemmeno far visita alla tomba. O meglio, poteva dire che si trattava di un dolore diverso, che non provocava rabbia. Solo una malinconica accettazione degli eventi.
E ora che i suoi antichi mostri erano stati tutti esorcizzati, non riusciva a credere che Nora fosse diventata il suo nuovo fantasma. Ogni volta che pensava a cosa aveva fatto, con chi si era legata e cosa tutti loro erano stati costretti a fare a causa della sua irrazionale passione, sentiva di nuovo l’insana voglia di affogare nel brandy. Asciugò la fronte accaldata con la manica zeppa di sudore e polvere, legò alla meglio i capelli, battendo il frustino lungo il fianco per scaricare il tremito che agitava corpo e anima.
Salì lungo le scale. Valutò l’idea di rifugiarsi in camera sua e fumare oppio fino a stordirsi, ma dopo un ennesimo colpo di frustino che si propagò lungo lo stivale inzaccherato, girò su se stesso e a grandi passi raggiunse la camera della sorella.
Un lenta musica s’irradiava soave dal clavicembalo, la interruppe spalancando la porta con vigore.
«Perché?» Le abbaiò contro.
Nora sussultò, ritirò le mani dallo strumento, le portò sul grembo, destinato a ingrossarsi.
Gli occhi, con quelle particolari sfumature verdi, si alzarono verso di lui, mostrandogli tutto il dolore che l’attraversava, serrò le labbra e lasciò lo sgabello foderato di rosso, per fuggire vicino alla finestra e nascondergli il volto.
«Vieni qui dopo tutti questi giorni e non sai chiedermi altro?»
La voce le tremava eppure era decisa, con quella nota di inconfondibile testardaggine che sfociava verso la più altezzosa impudenza.
Non c’erano formalità. Non ce n’era più bisogno.
«E che cos’altro dovrei chiederti, Nora? Come va la tua gravidanza?» Fece un passo verso di lei.
«Vuoi che ti chieda scusa, Lewis? È questo che vuoi?» La sorella si voltò, per affrontarlo in tutta la sua dolorosa rabbia. «Mi dispiace! Vuoi questo? Mi spiace non averti permesso di vedere Francis morire sul patibolo, i Jacobson rantolare nel fango, perché è questo che ti preme! Ho rovinato la tua meravigliosa partita!» Le labbra di Nora tremavano sotto lacrime che rifiutava di versare.
«Pensi questo? Che sia arrabbiato con te per questo? Al diavolo Francis! Maledizione! Tu hai gettato la tua vita al vento! Ti sei svenduta come una sgualdrina!»
«Mi sono innamorata!» Glielo urlò contro con tale forza, che a Lewis parve di vacillare sotto quel grido.
«Per la miseria!» La raggiunse, le sfiorò il mento con la mano e la costrinse a guardarlo. «Ci sono centinaia di uomini a corte! Ti sei data proprio a quello più pericoloso di tutti. Ti rendi conto di cosa hai rischiato?»
Gli occhi del fratello erano tremolanti, il ricordo di ciò che erano stati costretti a vedere li rendeva torbidi d’angoscia. A Nora parve di sentire le viscide mani di Francis addosso.
«Non si sceglie chi amare. E non mi sono svenduta.» Alzò il viso, fiera, nonostante tutto, di aver seguito i suoi sentimenti. «Lo so. Sono andata a letto con un traditore della corona. E vuoi sapere la cosa più assurda? Lo sapevo.»
Vide gli occhi del fratello spalancarsi sotto lo stupore. Le labbra sottili di Lewis boccheggiarono, in cerca d’aria. «Cosa stai dicendo, Nora?»
«Che amo Lorenzo, nonostante ciò che è. E lui ama me, nonostante ciò che voleva farmi. Inganno e vendetta non sono bastati a separarci. Non è bastato il rischio di vedere nostro padre morire e noi gettati in disgrazia. E non riesco a trovare una giustificazione a tutto questo, se non che si tratti di un amore così forte da superare ogni scudo.» Sorrise, suo malgrado confortata da quelle parole che assumevano un gusto amaro, sotto la consapevolezza di non sapere più nulla di Lorenzo.
«Nora, maledizione!» La voce di Lewis traballò. «I sentimenti così puri servono solo a ispirare storie, ballate e poesie. Non valgono in questo mondo. Non biasimo il tuo cuore, ma la tua carne. Non dovevi donare con tanta leggerezza la tua verginità.»
«è importato a qualcuno a chi tu hai donato la tua? No, certo sei un uomo. Più donne ti porti a letto, meglio è. Ma noi donne no, dobbiamo rimanere caste, violentare i nostri stessi sentimenti solo per il buon nome della famiglia!» Deglutì, e così facendo riuscì a tenere a bada le lacrime. «Lo so, sono una svergognata, perché sarò costretta a sposare un uomo che ho tradito ancor prima di pronunciare i voti. E lo farò con un figlio in grembo di un uomo di cui non saprò più nulla. Vivrò la mia vita elemosinando il perdono di Henry. Con mio padre che vedrà nel nipote gli occhi di chi ha tentato di ucciderlo.
E con te, che con quei tuoi maledetti occhi profondi, mi ricorderai ogni giorno quanto sono stata debole, come ti ho impedito di vendicarti dell’uomo che ha tentato di violentarmi! A cui era disposta addirittura a donarmi per far uscire nostro padre di prigione!»
«Cosa stai dicendo?»
«Che ho cercato di fare un accordo con Francis. Andare a letto con lui pur di salvarvi. Mi rendo conto di ciò che ho fatto, Lewis, e sto pagando molto cari i miei errori.
Andremo a vivere in Francia, lo sai no? Henry teme il padre mandato lontano, e questo perché non ha avuto il cuore di portarmi al sicuro quando ne ha avuto la possibilità. Non ha avuto il coraggio di denunciare la famiglia che ha sempre odiato per paura di perdere il suo retaggio. Ha visto il padre che stava per violentarmi e non ha fatto niente per portarmi al sicuro. È andata così.
E allora, Lewis, non venire a gettarmi addosso la tua rabbia e il tuo disgusto, perché amando quell’uomo mi sono condannata da sola a un’esistenza di dolore e rimpianto!» Si voltò verso la finestra incapace di mostrargli le lacrime. «E non mi serve anche la tua disapprovazione!»
Pianse in silenzio, con le mani poggiate sul ventre. Il fratello, alle sue spalle, respirava in maniera malferma e profonda, come fosse preda di una viva emozione.
Era un destino atroce quello in cui sembrava destinata a vivere. Salva, al sicuro dai ricatti, lontana dai tradimenti e gli inganni giacobiti, con Francis che presto sarebbe partito.
E lei sarebbe rimasta inchiodata a una vita che non le apparteneva più. Tra le dita il ricordo di un sogno. Quello di un uomo che l’amava con passione e di una ragazza che si sentiva completa.
Un frammento unico di felicità condannato a sfumare nei contorni di un rimpianto.
Ebbe l’impressione di essere sull’orlo di un momento decisivo. Temeva che se Lewis non si fosse deciso a parlare, tra loro due si sarebbe aperta una crepa insanabile e lei avrebbe perso, per sempre, anche l’adorato fratello.
Aveva paura di muoversi, di voltarsi, persino di respirare. Temeva che un suo gesto avrebbe accelerato quell’addio.
Rimase in ascolto, nelle orecchie i loro respiri agitati, avvolta da una nube indefinita di emozioni contrastanti, una situazione che conosceva bene, ormai.
Lewis deglutì a vuoto per l’ennesima volta. Su e giù, nel vano tentativo di calmare ciò che gli danzava in petto. Osservava la schiena della sorella, avvolta da un grazioso abito dalle calde tonalità del giallo. Le aveva sempre donato quel colore.
Non riusciva a capire se fosse stata una buona idea quella di precipitarsi lì. Ma sapeva che lo aveva fatto spinto dalle parole di Leila che si erano rivelate crudelmente vere. Nora aveva espresso le paure della moglie, ma faceva troppo male sapere che la sua adorata sorellina era stata coinvolta nel gioco oscuro del potere. Gli bruciava il sangue averla usata come mezzo di scambio per la salvezza del regno, saperla in mano a Ralph. Sposata a un uomo non abbastanza coraggioso da proteggerla.
Ripensò al modo in cui Francis aveva cercato di umiliarla davanti a lui.
E capì che, proprio come per Mary, era se stesso che stava odiando in quel momento. Tutti lo consideravano un soldato, un uomo coraggioso, difficile da battere, ma sembrava destinato a fallire ogni volta che si trattava di proteggere chi amava.
Questa cosa lo rendeva furibondo.
Tornò a respirare, un ennesimo giro d’aria che non servì a farlo sentire meglio.
Infine, gli occhi si posarono sul nastro rosso che spiccava sui ricci della sorella. Da quanti anni se ne stava lì, imperterrito, in barba alla coordinazione di colori che imponeva la moda. Rosso, fulgido, forse un po’ sbiadito dal tempo, emergeva dalle corpose onde castane di Nora. Un regalo che le aveva fatto tanti anni prima, quando era solo una bambina, a simboleggiare quel legame di complicità e affetto.
Nora si sentiva sul punto di urlare. Non poteva resistere oltre. Le lacrime stavano per tradirla.
Fu prima un tocco delicato, leggero, come quello di un fiore di campo. Si voltò, le lacrime in bilico sulle guance, trovò conforto tra la spalla e il collo, e le braccia la cinsero con forza, fino a stringerla in quel nascondiglio che da sempre era stato il suo porto sicuro.
Lì si abbandonò al pianto, al sollievo di avere ancora Lewis. Di aver ricevuto il suo perdono. Le baciò i capelli.
«Non posso liberarti dal matrimonio, mia piccola sorella. E nemmeno riservarti il lieto fine che merita il tuo amore. Posso solo giurarti che ti proteggerò. E che lo farò ad ogni costo.»