The Rolling Sea Bonus Extra
Le avventure di Johnny Shiver
Simboli d’amore e di guerra
*
Indie Occidentali, 1713
Il sangue scuro e denso scivolava lungo il polso come i pensieri che gli martellavano nella testa da troppo tempo. Pressato tra i suoi compagni di sventura, li sentiva gemere, arsi dalla sete e stravolti dalla morsa della fame. Dalla Carolina in Giamaica. Da baracche mal messe e piene di pulci ad altre. Non un viaggio lungo. Niente a che vedere con la traversata che dal carcere di Newgate, in Inghilterra, lo aveva portato nelle Indie Occidentali. Un lento stillicidio di vite umane ormai al limite che si disintegravano sotto la mancanza d’aria e cibo adeguato.
Ma lui aveva resistito. Tenace. Gli anni di prigionia continuavano a piegarlo ma non riuscivano a vincerlo. Resisteva, testardo, e non sapeva nemmeno lui il perché. Mentre continuava a sfregare il ceppo che gli avvolgeva i polsi, ripensò alle lettere che si era fatto marchiare sulla pelle. Forse era per via di quei pigmenti che anni prima alcuni selvaggi gli avevano fatto penetrare nel corpo, ma sentiva di essere ancora maledetto, incatenato a ciò che quel nome rappresentava, a tutto quel che aveva perduto. Tormento e àncora di salvezza allo stesso tempo.
Le lettere gli ricordavano sprazzi di paradiso e di come fosse stato doloroso rotolare all’inferno da un giorno all’altro.
Continuò ancora il suo lento e meticoloso lavoro, preso d’improvviso da una frenesia cieca e illogica. La goccia scorreva lenta, raggiungeva le altre macchie di sangue rappreso che si erano fermate sulla camicia logora e sporca.
La pelle intorno al polso era fuoco vivo, irritata da quel continuo sfregare, tentativo inutile eppure familiare.
Non era la prima volta che si liberava in quel modo, con una buona dose di pazienza e di dolore fisico, si riusciva a far passare le mani attraverso i ceppi. Il problema era ciò che avveniva dopo. Un paio di guardie potevano essere messe fuori combattimento, ma ne sarebbero arrivate altre due, poi cinque, infine si veniva circondati e trascinati al palo per subire una buona dose di frustate.
Ricordava ancora la punizione sofferta quattro anni prima, al suo arrivo nella piantagione. Il sole caldo dei Caraibi, il profumo del mare tanto vicino, avevano finito con il riaccendere il suo desiderio di libertà.
Strofinò appena la schiena contro la parete di legno alle sue spalle. E sospirò. Da quell’ultima volta in cui il carnefice gli aveva lasciato profonde cicatrici, una delle quali gli attraversava lo zigomo, deturpandogli il volto, non aveva più tentato alcuna fuga. Era rimasto quieto a lavorare, godendo dell’unico lato positivo di quella schiavitù forzata. Quantomeno ogni giorno respirava aria pulita, poteva sentire il calore del sole e il lento scroscio delle onde.
Onde che adesso sentiva prepotenti sciabordare contro lo scafo del veliero. Poteva immaginare le vele in coperta, gonfiate dal vento, l’orizzonte azzurro e lucente, la velocità della prua che scalfiva il cobalto dell’oceano.
Sospirò ancora e mosse di nuovo i polsi, il ferro tornò a graffiare la pelle, e un altro rivolo di sangue scese lungo l’avambraccio.
Alzò gli occhi e finì con l’essere inghiottito da uno sguardo nero pece. Ribolliva come gli abissi del mare, profondo e oscuro, brillava di una luce sinistra. Apparteneva a un uomo legato di fronte a lui. Indosso aveva gli abiti da ufficiale di marina, i lunghi capelli neri e mossi se ne stavano arruffati ai lati della testa, una lieve barba ispida ricopriva un viso ovale e magro. Occhiaie cariche d’insonnia e fatica creavano un vuoto sotto gli occhi, che risaltavano vivi e attenti.
Abbassò le iridi verso i polsi dell’altro prigioniero, erano rossi di sangue come i suoi.
«Non credo sia una buona idea, presto torneranno le guardie» gli disse, dopo aver lanciato un lungo sguardo intorno.
Occhi di pece ricambiò il sorriso e mise in mostra i denti. Un’espressione selvaggia.
«No, non lo è. Ma bisogna pur passare il tempo, non trovi?» Aveva una voce calda e gioviale.
«Che cosa ti è successo?»
L’altro perse il sorriso. «Io e il capitano la vedevamo diversa su alcune questioni.»
«Capisco, ma solo gli insubordinati vengono messi agli arresti.»
Il sorriso sul volto dell’altro tornò, più vivo e sinistro che mai. «E che mi dici degli ammutinati?»
Lui fece per rispondere ma furono interrotti dalle voci concitate delle due guardie, impegnate a scendere nella prigione.
«Ha ragione Drummond. Il capitano ci tratta come una pezza da piedi, perdio. Noi ci spacchiamo la schiena e non si degna nemmeno di darci una razione decente di cibo…» Stava dicendo il ragazzo alto e muscoloso, appena sceso dall’ultimo gradino.
«Lo so che ha ragione quel pazzo di Edward, ma che dovremmo fare?» Il secondo, più tarchiato, scosse il capo e lanciò un lungo sguardo sconsolato verso i prigionieri incatenati. «Io come questi non ci voglio finire.»
Il primo si avvicinò all’orecchio del compare e gli bisbigliò qualcosa. Quello più in carne spalancò gli occhi a metà tra l’orrore e la sorpresa, fece per rispondere poi serrò le labbra screpolate e soppesò l’idea che gli era appena stata insinuata nel cervello.
«Ho come l’impressione che tu sia l’Edward Drummond di cui parlavano» disse continuando a tenere gli occhi puntati sulle due guardie.
Occhi di pece si strinse nelle spalle. «Il seme della discordia è un veleno potente» sorrise, malefico.
Intanto i due avevano preso a litigare, il più alto aveva staccato le chiavi dalla cintura, l’altro tentava di riprenderle, continuando a dire che era un’assurda follia.
Il tintinnio seducente di quel litigio si propagò nello stretto corridoio saturo di sudore e umidità, le chiavi dei ceppi penzolavano avanti e indietro, appese alla cintura delle guardie.
Alzò il capo: negli occhi neri di fronte ai suoi vi lesse la stessa speranza. L’identica voglia di sangue e libertà.
Strinse i denti, i cerchi scivolarono lungo il dorso delle mani, graffiando, lacerando e spezzando fino a cadere in terra. Un solo, lungo sguardo complice all’inaspettato compagno d’avventura, poi si alzò.
Con passi veloci raggiunse il soldato, Occhi di pece lo imitò. Colse il più tarchiato alle spalle e gli cinse il collo con l'avambraccio e strinse. La guardia cadde a terra esanime, l’altra, decisa a seguirli, passò loro le armi del morto.
Per lui tenne la spada, Occhi di pece prese pistola e pugnale. Gli altri prigionieri, eccitati, richiamavano a gran voce le chiavi che il marinaio ammutinato non tardò a lanciare.
«Saliamo?»
Fissò lo stivale di Occhi di pece già poggiato sul primo scalino che portava verso la coperta. Da sopra proveniva la voce del nostromo che impartiva gli ordini.
Scrutò la ripida scala, il boccaporto che lo avrebbe portato verso la morte o la libertà. Il cuore si scontrò con violenza con le costole del suo petto, costrette in un respiro che conteneva una speranza disperata e una rabbia covata in anni di buio, sudore, frustate e pidocchi. Dopo quasi una decade di prigionia, la morte, in fondo, era solo una libertà più definitiva.
Strinse la spada e si augurò che anni di mal nutrizione e lavori forzati non avessero fiaccato per sempre la sua capacità di combattere.
Gridò. Il sangue che fluiva nel suo corpo come mare in burrasca. I marinai e i soldati della Rose accolsero con sorpresa la loro entrata. Il boccaporto continuava a vomitare prigionieri. Demoni appena risputati dal più crudele girone infernale.
Le prime vittime caddero in un silenzio surreale. Per un attimo stentò a riconoscere la mano che brandiva la lama appena affondata nel cuore di un soldato. Ma era la sua, e con sollievo si accorse di saper ancora combattere. La rabbia non faceva altro che renderlo più spietato e ogni volta che vedeva cadere a terra un uomo, sentiva la vita tornare a scorrere poderosa nelle vene.
Ritirò la spada dalla schiena di un ufficiale, aveva il fiato corto e il sudore scivolava lungo il viso. Il sole era basso, di lì a poco sarebbe calato a picco oltre l’orizzonte, giù nelle profondità dell’oceano che lo salutava con sfumature d’oro fuso e scie di zaffiro brillante.
Tornò ad alzare la spada, ma Occhi di pece lo travolse schiacciandolo a terra, un colpo di moschetto si piantò a poca distanza.
«Dobbiamo muoverci, prima che arrivi un’altra nave a scoprire questo mattatoio…» Il suo compagno di ribellione aveva parlato con un tono spensierato. Il viso imbrattato di schizzi di sangue e una strana ilarità negli occhi.
Ebbe la sensazione che quelle pupille di pece fusa stessero riflettendo la sua stessa espressione e, per un attimo, uno strano guizzo di paura gli gelò il pensiero. Il retaggio della vecchia vita, di ciò che era stato. Lo scacciò in fretta, si era preparato a seppellire quella parte di lui anni fa, forse era giunto il momento di prepararle un funerale adeguato.
Sputò saliva amara di euforia e inquietudine. «Diamoci da fare.» Raccolse il moschetto da un cadavere e lo passò al compagno che, con mosse esperte, lo caricò per poi sparare la palla contro la testa di uno degli inglesi. 
Lui invece puntò verso il timone, il capitano vi era poggiato contro, sudato e con una macchia di sangue che si allargava sul ventre. Il cappello nero a tesa larga, con le piume bianche scosse dal vento, stonava con la morte che aleggiava sul viso pulito e sbarbato.
Gli fu addosso.
«Maledetto bastardo!» Il capitano tentò di affrontarlo. «Vai all’inferno e restaci.»
«Ci sono già stato, all’inferno» rispose, sorridendo crudele, strinse gli occhi azzurri che in passato qualcuno aveva paragonato al cielo, e una zaffata di vento gli appiccicò i ricci rossi al viso.
Il capitano perse ogni traccia di orgoglio, lo vide irrigidirsi, teso in un brivido che trascendeva la paura. Era qualcosa di oscuro e tremendo a terrorizzare quell’uomo. Si rese conto di essere lui a provocare quei sentimenti, e intuì che i tredici anni d’inferno dovevano averlo reso qualcosa di più di un semplice demone in cerca d’aria.
«E credo proprio che ci resterò.» Fu con una consapevolezza nuova che sgozzò quell’uomo.
C’era un solo modo per vendicarsi del mondo che lo aveva rinchiuso a Newgate. Diventare il diavolo dei loro incubi più oscuri.
Prese in mano il timone, ed ebbe l’impressione di ricongiungersi con un vecchio amico.
Tornò alla vita nello stesso istante in cui lo mosse, e la sua voce gridò gli ordini all’equipaggio improvvisato che aveva davanti.
I cadaveri ricoprivano la tolda, insieme alla nebbia provocata dalla polvere da sparo. L'odore del sangue aleggiava denso e pungente, solo alcuni uomini della Rose erano ancora vivi, arresi, intenzionati a seguire l'orda di demoni che si era impadronita del veliero.
Occhi di pece lo raggiunse sul cassero. «Ci sai fare con il timone, amico.»
«Me la cavo. Ti piace sparare a quanto vedo?» Fissò il moschetto che l'altro si era messo a tracolla e le pistole che ancora impugnava.
«Mi piace salvarmi dal cappio.»
Rimasero un istante in silenzio, poi Occhi di pece raccolse il cappello a tesa larga che ricopriva di sbieco la faccia esangue del capitano. «Ti starebbe bene» glielo porse.
Lui lo soppesò un attimo, poi se lo mise sul capo. Era un buon riparo, un posto dove tenere in ombra i pensieri cupi, i fantasmi destinati a infestare il suo cuore.
L’insolito compagno che si era ritrovato, finì con il fargli la domanda a cui sapeva di non poter rispondere.
«Qual è il tuo nome?»
Trattenne il fiato. Non poteva più usare il suo. L’uomo a cui apparteneva era appena morto insieme all’inglese sgozzato ai propri piedi. Raccattò qualche ricordo nella testa. Unì il ricordo del suo primo amico conosciuto a Newgate con il brivido che aveva visto negli occhi della sua ultima vittima.
«Johnny Shiver.» Gli porse la mano dai polsi escoriati e insanguinati.
Occhi di pece parve per un attimo turbato. Le pupille sfuggirono lontane, alla ricerca di un nome dietro cui confondersi.
«Suppongo che anche io debba lasciare indietro l’ufficiale Drummond.» Infine sorrise e gli strinse la mano con forza. «Da oggi sarò Edward Teach.»
***
Indie Occidentali, 1715
Seduti ai tavoli fuori dalla taverna, Shiver, in compagnia del suo quartiermastro, si godeva l’euforia che aveva portato con l’ultimo bottino.
Ormai mieteva vittime senza sosta, arraffava carichi ricchi e succulenti, terrorizzava mercanti potenti e la marina britannica iniziava a sentire il pericolo che si spandeva dal nome sussurrato con timore in ogni porto.
Tamburellò le dita sul cappello con le piume poggiato davanti a lui, ammirò gli anelli d’oro e d’argento. Si sentiva a suo agio tra i pirati, al comando di un veliero che seminava paura. Il giusto risarcimento per quello che aveva patito. Eppure, ogni tanto, sentiva qualcosa alla base del petto. Una morsa che sbatteva, in cerca di attenzioni. Il vuoto era sempre lì.
Forse un giorno ci avrebbe fatto l’abitudine.
Lasciò vagare gli occhi sulla gente che affollava la strada di terra battuta ricoperta di sabbia e la vide, sorridente, le mani che stringevano la sporta.
«Ti piace, ammettilo.» Teach sogghignò sotto la lunga barba mentre gli passava il boccale colmo di rum.
Shiver distese le labbra in un sorriso impertinente, gli occhi che seguivano Rosemary che camminava tra le case cigolanti di Nassau. «Ci passerei insieme dei bei momenti, senza alcun dubbio» ammise, allegro.
Il vestito di buona fattura era scollato, metteva in risalto il seno sodo della giovane, la pelle brunita dal sole. Aveva un viso ovale dai lineamenti perfetti, occhi grandi e capelli neri e lucenti, il collo messo in risalto dalla crocchia.
«Ma non è una puttana» aggiunse, forse deluso.
Edward lo squadrò quasi avesse appena detto qualche assurda bestialità, poi rise. «Mi spieghi qual è il problema? Sei Shiver, perdio! Sei al comando di una nave. Il padre di riempirebbe le tasche di soldi…»
Ingollò un buon sorso di rum e si pulì le labbra con la manica della camicia. «Vuole maritarla, non si limiterà a mettermela tra le cosce.»
Altro sguardo torvo e perplesso da parte del suo quartiermastro. «La cavalchi, vi divertite, la paghi per il disturbo e se il padre frigna gli tiri un pugno in faccia!» Teach scosse il capo. «Insomma, che ti prende? La gente inizia a pregare pietà non appena la guardi!» Fu lui stavolta a bere il liquore. «Per il culo del demonio, a volte sembra che in te vivano due uomini…»
Shiver si strinse nelle spalle. «Se le farà piacere avermi intorno, vedrò che fare…» rispose meditabondo. Gli occhi ancora fermi sulla figura sinuosa di Rosemary e il cuore che cercava un po’ di pace.
***
Nassau era una sorta di scorcio verso le passioni più sfrenate dell’animo umano. Era permeata dall’odore di sesso e rum, di mare e polvere da sparo, sudore e sangue. Quella specie di agglomerato di tende e capanne, su cui sovrastava il forte, era da tutti chiamata città, ma sembrava molto di più una bolgia infernale di carne e spregiudicatezza.
Rosemary affondava le scarpe nella sabbia e osservava la vita scorrere intorno a lei, irruenta come solo Nassau sapeva essere.
Spostò la lunga treccia di capelli scuri di lato, sbuffando per il troppo caldo, ed entrò in uno dei pochi edifici solidi che sorgeva in quel luogo.
Uomini e donne bighellonavano ai tavoli, avvolti dal fumo di carne alla brace e oli profumati con cui le ragazze si rendevano più appetibili.
Ancora un sospiro. Era felice che non fosse costretta a fare quella vita, per lo meno non ancora. Lei era una sorta di strana creatura su quell’isola, se ne rendeva conto. La sua famiglia era una delle poche ad avere una parvenza di civiltà. Viveva in una bella casa nell’entroterra, suo padre era un chirurgo stimato che arrotondava facendo da raccordo tra i pirati e i governatori delle colonie più vicine.
Lei così era cresciuta con un’educazione simile a tante altre ragazze e con l’obiettivo ultimo di un buon matrimonio che, nel suo caso, voleva dire sposare un pirata pronto ad abbandonare la partita sul mare. Nel mentre era perciò rispettata, ma al contempo libera di avere modi e comportamenti che di certo avrebbero fatto rabbrividire di orrore qualunque coetanea oltreoceano.
Rosemary e la sua famiglia si erano creati un mondo tutto loro di regole e sopravvivenza ma non sapeva per quanto sarebbe durato. Erano tutti in balìa di gente assai capricciosa.
I pirati erano crudeli, sadici e si prendevano ogni cosa volessero. E un giorno forse la gentile figlia del medico dell’isola sarebbe finita spolpata dalle belve che spesso curava lei stessa, anziché maritata e ricca.
Rosemary, camminando tra quei volti rossi d’alcol e segnati d’arroganza, si augurò che quel giorno non arrivasse tanto in fretta.
Strinse la sacca con l’occorrente e abbassò gli occhi. Non ci si abituava mai a quegli sguardi predatori che luccicavano sotto le tese dei cappelli. Di ciurme che si trastullavano al caldo sole di Nassau ce n’erano parecchie, ma alcune riuscivano a gettare una tela di timore persino su un’isola ribelle come quella.
In città il capitano della Blue Revenge e il suo quartiermastro dagli occhi di pece erano considerati capi indiscussi.
L’ufficiale silenzioso la condusse fino alla porta del capitano Shiver.
L’uomo che Rosemary doveva curare.
Entrarono nella camera offuscata dalle tende.
«Lasciaci pure da soli.» Johnny Shiver aveva parlato dal letto su cui era sdraiato. La voce profonda, a cui lei ormai era abituata, la fece tremare comunque.
La porta si richiuse dietro l’ufficiale e lei posò la sacca sul tavolo accanto al cappello con le piume bianche che il pirata indossava sempre.
«Posso?» chiese, cercando di non far trapelare il suo timore, le dita a indicare le tende.
«Un po’ di luce non guasta, ragazza.»
Le aveva rivolto un sorriso, lo si intuiva nella penombra che lo avvolgeva, e lei si sentì meno a disagio. Tirò la stoffa e lasciò al sole il compito di spezzare gli ultimi timori.
Nel letto, ora, non c’era più un demone infernale, ma un uomo dal pizzetto ramato ben curato e ricci rossi sfumati di bianco tirati in un codino spettinato.
Rosemary fece scorrere lo sguardo sul corpo che aveva curato più di una volta. Muscoloso, abbronzato e pieno di cicatrici.
Sentì un battito nel petto quando le iridi azzurre come il cielo si posarono nelle sue. Tutti temevano gli occhi di quell’uomo. Forse era per via del contrasto. Erano così limpidi e luminosi eppure pieni di un’oscurità gelida e insondabile. Lei, però, ogni volta che scrutava quell’abisso, sentiva di essere preda di sentimenti molto diversi dalla paura.
Chiuse le palpebre e scacciò il brivido.
«Che cosa vi ha ferito, stavolta?» chiese, prendendo contatto con la benda che gli avvolgeva per tre quarti il braccio.
«Sono rimasto troppo vicino alla murata durante l’arrembaggio.» Alzò le labbra nel solito cipiglio arrogante. «I loro stupidi cannoni hanno tentato di farci affondare ma ora sono loro a giacere in fondo al mare.»
Rosemary fece per scoprire le bende e solo allora si accorse che erano pulite e ben strette. Il lavoro di qualcuno che sapeva fare quel mestiere, non il solito tocco di un pirata più avvezzo a fare squarci piuttosto che curarli.
Aggrondò le sopracciglia, chiedendosi chi avesse medicato per primo il quartiermastro e dovette ammettere di sentire una vaga punta di dispetto e gelosia.
Shiver parve intuire la sua domanda. «Ti ho chiamato per controllare il lavoro del nostro nuovo acquisto.»
«Il medico che già tutti chiamano “rosicamorti”?» domandò, mentre iniziava a prendere un lembo di stoffa per assicurarsi che il lavoro fosse stato davvero ben fatto.
«Mi piace circondarmi di anime oscure, lo sai.» Il pirata chiuse per un momento gli occhi. «E Deruan, anche se a Londra preferiva mettere il naso tra i cadaveri, sembra essere bravo anche con i vivi, unguenti ed erbe.»
Rosemary finì di scoprire le ferite. Le schegge di legno avevano decorato l’avambraccio muscoloso ma i tagli erano stati richiusi con minuziosa maestria e cauterizzati al meglio.
«Devo dire che questo Deruan se la sa cavare davvero bene» ammise. «Nemmeno mio padre avrebbe potuto fare di meglio.»
«Sì, finalmente abbiamo trovato un rimpiazzo per il nuovo chirurgo di bordo.»
Lei si limitò a un piccolo sorriso. L’ultimo medico della Blue Revenge, arruolato a forza, aveva tentato di uccidere il capitano ed era morto con la sciabola di Shiver piantata nel cuore.
«Oh, non ti preoccupare, credo che continuerò comunque ad affidarmi a te, quando sbarcherò a Nassau.» Le sfiorò appena il braccio. «Le tue mani sono le più delicate e ogni tanto ho bisogno di concedermi qualche piccolo vizio, non trovi?»
Rosemary avvertì il rossore scaldarle le guance.
Il tono del pirata più temuto di quei mari con lei si faceva caldo e gentile. S’intravedeva eleganza, il retaggio di una vita che nulla centrava con la crudele esistenza dei predoni.
Shiver la stava corteggiando eppure era chiaro che la volesse nella stanza per motivi che superavano la lussuria. Si chiedeva perché non la facesse sua, invece di continuare quella danza di timidezza che mal si addiceva a un uomo come lui.
Immaginò il pirata baciarla, slacciare i lacci del corpetto e assaporare le forme con occhi voraci.
Si ridestò sotto il sorriso di Shiver, malinconico. Impegnato a rincorrere ricordi che lei non poteva conoscere ma che rendevano quelle iridi azzurre quasi lucide, liquide, increspate da un vento che poteva diventare, da un momento all’altro, tempesta.
Così fu lei, per una volta, a prendersi quello che desiderava. Imbarazzata, un po’ malferma, tornò ad avvolgergli il braccio con bende pulite e quando risalì oltre il gomito ruppe ogni indugio e si voltò verso le labbra famose per emettere le più crudeli sentenze di morte. E le assaporò come un frutto proibito, capace di incenerirla all’istante.
Le trovò calde e non ci volle molto prima che la lingua le sondasse ogni angolo della sua bocca in una danza furente. Shiver le agguantò il braccio e le fece fare una leggera torsione, così si ritrovò seduta su di lui.
Le dita forti le carezzavano i fianchi, fino a risalire sul seno e Rosemary venne travolta da un’ondata di eccitazione potente. Nulla di paragonabile alle avventure avute fino a quel momento.
Il tocco di Shiver era impetuoso come il mare, oscuro eppure incredibilmente seducente.
L’incanto però durò poco, lui si scostò, il respiro agitato. «Non posso» ammise, gli occhi si fecero ancora più gelidi. «Non ne può venire nulla di buono, ragazza.»
Agitata dal cambiamento repentino, Rosemary si scostò da lui, il capo chino, ciuffi di capelli scuri a adombrarle gli occhi, lucidi di delusione.
«Io sono un uomo adatto alle puttane, Rosemary» mormorò lui mentre si alzava dal letto per avviarsi alla finestra.
Lei rimase a guardargli la schiena piena di cicatrici di frustate, i calzoni che fasciavano i glutei sodi, e sospirò, dandosi della stupida bambina. Come aveva potuto pensare che un uomo come quello fosse incline a desiderare una ragazza banale come lei?
Shiver le diede le spalle e strinse le mascelle. Sentiva gli occhi di Rosemary penetrarlo e forse maledirlo, ma non poteva illuderla. Aveva riconosciuto i flebili contorni dell’amore nello sguardo della ragazza che si prendeva cura di lui. Un legame che aveva lasciato maturare. Il solito capriccio che di tanto in tanto lo coglieva.
La voglia sconsiderata di guardare occhi gentili, di assaporare la delicatezza di labbra sensuali. Movenze che lo riportavano a un tempo antico, ma tutte le volte finiva allo stesso modo.
Riconosceva l’inganno, assaggiava con crudeltà la mancanza, la certezza che mai più nessuno avrebbe potuto eguagliarla.
«Non è saggio per te frequentarmi, Rosemary» le disse, ancora consapevole di doverle delle spiegazioni.
«Perché mai?» mormorò. «Mi sembra chiaro che voi mi chiamate nella vostra stanza ma non avete affatto bisogno delle mie capacità. A bordo sanno sempre come curarvi in un modo o nell’altro…»
«Ci sono cose che pirati con le mani sporche di sangue non possono sanare» ammise.
Staccò le pupille dal mare azzurro e dall’intrico di tende che affollava la spiaggia per voltarsi verso la donna.
Continuava a tenere il capo chino. Forse si era persino innamorata di lui ma nonostante questo lo temeva. Aveva paura.
Si chiese se mai un giorno qualcuno avrebbe avuto davvero l’ardire di guardare oltre la sua oscurità.
Si avvicinò e le prese una mano. «Volevo qualcosa di bello da guardare, tutto qui. Alle prostitute permetto di scaldarmi il letto ma la tua dolcezza riesce a far sentire un po’ meno crudele la mia anima.»
«Allora lasciate che io…» mormorò Rosemary, le labbra piccole e rosse erano decisamente seducenti.
Shiver sentiva l’istinto di possederla farsi pressante, ma non aveva intenzione di trascinare quella ragazza con sé nell’abisso.
«Voi siete innamorato di un’altra donna, non è così?»
Lui ritrasse la mano. Serrò ancora di più le mascelle e si rese conto di essere diventato freddo e furente. Come se d’improvviso qualcuno gli avesse strappato dal cuore il suo più oscuro segreto.
D’istinto tornò verso il tavolo e agguantò il cappello. Se lo mise sul capo e calò la tesa sulla fronte.
Erano passati pochi miserabili anni da quando aveva guadagnato con il sangue quel gingillo. Da allora era diventato quartiermastro, si era fatto un nome. Aveva tinto l’anima di un cupo velo rosso sangue per celare a tutti chi era e cos’era stato, e ora bastava una ragazzina qualunque per farlo sentire a disagio.
Era lunga la camminata verso l’inferno. Addosso si portava ancora l’eredità di un uomo che aveva deciso di seppellire, remore morali con cui combatteva ogni giorno, come la stupida decisione di non portarsi a letto Rosemary o la dannata costanza con cui la stoffa, ogni mattina, copriva le lettere intorno al polso.
Era calato il silenzio tra loro. Il seno di lei, stretto nel corpetto, si alzava e si abbassava, preda di un respiro agitato. Quasi senza accorgersene la donna aveva fatto due passi indietro verso la porta, il capo ancora più basso e forse persino due lacrime a rigare le guance.
Era sul punto di gridarle di andarsene e lasciarlo da solo. Invece si limitò a prendere il fiasco di rum per ingollare un buon sorso.
Quando ebbe finito sedette di nuovo sul letto e indicò a Rosemary la poltrona accanto. Tremante, la ragazza obbedì a quel cenno.
«Potrei raccontarti quel che mi è capitato, ma ho solo voglia di dimenticare.» Chiuse gli occhi e per la prima volta dopo tanto tempo si concesse di essere di nuovo il prigioniero magro e smunto di Newgate, il forzato costretto a lavorare sotto il sole cocente, il pazzo che si era liberato scannando l’equipaggio della Rose.
L’anima in pena che si tormentava con tutto ciò che aveva perso. Con il dolore di una vita distrutta e lacerata, costretta a rinascere dal lato sbagliato della barricata.
«Voglio solo vivere e divertirmi, nulla di più.»
Rosemary gli sorrise. «Dunque perché non volete che io e voi…»
«Ti meriti qualcuno che ti ami davvero.»
Lei lo fissò negli occhi. Aveva lasciato la poltrona, forse per abbandonarlo da solo una volta per sempre.
Shiver osservò ancora le curve morbide del seno strette nel corpetto, le labbra appena socchiuse tese tra la paura e la comprensione. In fondo quella ragazza aveva dimostrato più coraggio di tanti altri capitani nel rimanere lì, a tentare di sbirciare dentro il suo spirito.
E in fondo era stata lei a baciarlo per prima. Perché aveva così paura di farlo a sua volta? Non era una ragazza di nobili natali, vergine e ingenua, non era qualcuno la cui reputazione potesse essere rovinata irrimediabilmente.
Gli venne quasi voglia di tirare un pugno contro la parete. Le sue colpe si mischiarono con quelle dei suoi aguzzini, la violenza tornò prepotente e decise che era stufo di dividere il letto con puttane pagate a cui non era permesso fare niente di più che dargli piacere fisico.
La donna di fronte a lui lo desiderava. Forse era la prima a farlo dopo tutti quegli anni d’oscurità.
Era così disdicevole tornare per un momento a essere un uomo?
Così le strinse la mano, fuori qualcuno aveva preso a cantare una lenta canzone di mare, e un violino risuonava malinconico.
Mentre attirava a sé Rosemary, decise che ne avrebbe comprato uno per sé. Diavolo, gli mancava suonare.
Lei non si oppose, la paura abbandonò il volto dolce e tornò un sorriso gentile ma seducente. Si chinò a baciarle di nuovo le labbra, si beò di quel calore perduto che gli mancava come l’aria.
Lasciò che le sue dita saggiassero le curve morbide e si sdraiò nel letto con lei.
Rosemary baciò le cicatrici, incendiandogli la pelle, esaltando la lussuria che si era fatta quasi furente in quegli anni. Sfogava nel sesso e negli arrembaggi tutto il suo dolore ma si accorse quel giorno di avere un disperato bisogno di umanità.
Di qualcuno che oltre il piacere gli concedesse anche un po’ di pura comprensione.
Per qualche ora si donò il privilegio di essere se stesso, di pronunciare dietro le palpebre socchiuse per l’amplesso, il suo vero nome ormai dimenticato, che tuttavia non ebbe il cuore di sussurrare a Rosemary.
*
Rosemary scivolò fuori dall’abbraccio di Shiver. Fare l’amore con lui era stato intenso come aveva immaginato. Onde di puro e selvaggio ardore che l’avevano cullata in un ballo oscuro e tempestoso in grado di lasciarla senza fiato.
Poggiò i piedi nudi a terra e infilò il vestito, dando uno sguardo al pirata addormentato.
Ricordava ancora il tocco sul suo corpo. Il momento in cui le aveva slacciato il corpetto e i seni avevano aderito al torace caldo e solido. I baci languidi che si erano fatti incandescenti. Per molto tempo avrebbe ancora sentito il sapore di quelle labbra e la voracità delle dita che l’avevano saggiata per prepararla a un assalto deciso, eppure incredibilmente appassionato.
Shiver avrebbe potuto essere duro e violento come ci si aspettava da qualcuno con quella fama, prendersi il piacere, fare in modo che lei fosse solo un corpo per sfogare gli istinti e invece aveva fatto in modo che fosse appagante anche per lei. Ogni carezza, spinta e bacio l’avevano portata verso il culmine del godimento, ed era stato infine meraviglioso vedere nell’azzurro di Shiver il riflesso di una luce, di un’emozione pura e primitiva. Era come se, d’improvviso, fosse caduto uno scudo e le fosse stato concesso di vedere oltre le cicatrici, il sangue e la fama da pirata.
E Rosemary aveva visto il viso di un uomo.
Un uomo buono, sofferente.
Camminò fino alla finestra. Il riverbero del sole sull’oceano faceva risaltare le sfumature azzurre.
Non ci si poteva innamorare del mare. Era pericoloso.
Non si poteva prevedere quando ti avrebbe portato con sé nell’abisso.
Con Shiver era la stessa cosa.
Ormai aveva capito perché lui voleva starle lontano… C’era qualcosa in quell’uomo, un grido d’aiuto. La voglia di aggrapparsi a qualcuno in grado di cavarlo fuori dalla tempesta ma c’era anche la ferrea volontà, invece, di rimanere nascosto tra i marosi gorgoglianti.
Lo amava? Forse. E come ogni donna destinata a vivere in luoghi di mare, sarebbe rimasta a cantare canzoni malinconiche alla luna per narrare di un amore mai nato.
Senza aspettare oltre, prese la sua sacca e scivolò via dalla stanza.
*
La baia di Ocraoke era avvolta da un silenzio irreale e il fuoco del falò al centro della spiaggia si era quasi spento, crepitava, rossastro, disegnando lingue d’oro sulle tende dell’accampamento.
Shiver lasciava affondare i piedi nella sabbia, gli occhi sulla sagoma del veliero imponente e maestoso.
«Non credi sia il caso di metterti in proprio?» domandò a Edward Teach, il suo quartiermastro, quando lo raggiunse.
«Mi trovo bene al tuo comando. Perché mai dovremmo dividerci?»
La voce dell’amico era sempre allegra, lo sguardo di pece ribolliva di euforia. Blackbeard, come ormai gli uomini avevano iniziato a chiamarlo da un po’, non era oscuro come lui.
Amava la vita, sembrava volerla sfidare ogni giorno, assaporarla fino all’ultimo boccone e forse era questo che spaventava le vittime del capitano dalla folta barba nera. Era come se si cibasse di continuo della linfa vitale altrui. Che lo facesse solo per divertirsi ancora un po’ e danzare con la morte.
«Non lo so, la ciurma si fa numerosa e non sono sicuro di poter durare a lungo al comando» rispose con un mezzo sorriso.
«Questa è bella. Sei un tipo capace, assalti una preda dopo l’altra e sai divertirti… a nessuno verrebbe in mente di cambiare capitano.»
E aveva ragione. Si faceva trascinare dai bagordi della ciurma, eseguiva gli ordini, spendeva il bottino. Una buona vita dopotutto, qualcosa che riusciva a scacciare i suoi rimorsi, la preda di quell’odio gelido che gli serrava il cuore.
Il fiele che aveva provato a raccontare a Rosemary.
Rosemary… pensò al corpo morbido della giovane, a come era stato bello lambirle i seni con la lingua, godere del piacere che le vedeva brillare in volto. Stringerla tra le lenzuola con la luce del tramonto che arrivava a sorprenderli, a concedere ore in cui scaldare il cuore.
Si era sentito spensierato.
E per questo aveva provato una fitta quasi dolorosa quando al risveglio aveva trovato il letto vuoto. Era sparita, come un’apparizione, un sogno. O semplicemente come qualcuno troppo spaventato per concedersi di indulgere in sentimenti amorevoli verso un predone come lui.
La risata di Teach era così derisoria che gli fece fremere i muscoli di dispetto. «Che ti prende, adesso?»
«Oh, Johnny, devi decidere una volta per tutte da che parte stare.»
«Sto dalla nostra, dalla mia, dalla tua, dalla parte di chi batte bandiera nera e non capisco il senso di questa domanda.» Infastidito dal tono indagatorio dell’amico continuò a camminare fino a raggiungere il limite della spiaggia. Le onde si abbattevano lente e allegre, producevano quella musica unica, in grado di spandersi in ogni angolo del suo essere e di farlo sentire libero. Invincibile.
«Sì, certo, sei un pirata. Assalti i velieri, uccidi, ridi, ti ubriachi e fai fremere le puttane di piacere ma in realtà ogni giorno cerchi di ricordarti chi eri, e quasi ti detesti per essere caduto così in basso.» Edward, nel dire quelle parole, aveva lanciato un’occhiata verso un ragazzo seduto sulla spiaggia in disparte da tutti gli altri.
Il riverbero del falò metteva in risalto una mascella decisa, un filo di barba bionda e incolta, capelli lunghi e spettinati e due occhi che desideravano farsi inghiottire da quel misto di luce rossastra e buio.
Shiver riconobbe il naufrago di English Harbour, quello che la Blue Revenge aveva recuperato mezzo annacquato e sfinito. Addosso i segni di una evidente e tragica prigionia, di certo la causa che lo aveva spinto a gettarsi giù da una scogliera. Aveva parlato poco, silenzioso. Riottoso verso la nuova compagnia che lo aveva arruolato.
«Non essere in pena per me, Teach. So badare a me stesso. Credo solo di essere un po’ stanco e magari tu potresti condurre gli uomini con più allegria e audacia. Tutto qui.»
«Balle!» Edward sorrise, facendo emergere i denti tra la barba. «Tu stai tentennando solo perché hai paura di ciò che puoi diventare.» Teach gli aveva strappato il pensiero dal cervello con tale rapidità che Shiver provò quasi un senso di perdita. «Capita a tanti, quando si diventa pirata. Non a me, ma io sono un caso particolare… mentre tu, tu sei proprio uno di quelli. Non mi hai raccontato molto ma credo che un tempo fossi qualcuno estremamente ligio al dovere, e magari pure impegnato a cacciare quelli come noi. È normale tu abbia delle remore. Come è normale la paura che provi verso il tuo odio per il mondo civile di cui facevi parte.»
Shiver si era voltato verso il naufrago, gli era sembrato di vedere sussultare le spalle del giovane, come fosse stato pungolato d’improvviso da una lama affilata. Sorrise, perché le parole del suo capitano avevano sortito lo stesso effetto su di lui e provò uno strano moto di simpatia per quello sconosciuto dai capelli arruffati.
D’istinto sfiorò con le dita le lettere che portava incise sul polso. Teach, attento come sempre, aveva assottigliato gli occhi.
«Di certo nella tua vecchia vita hai viaggiato parecchio, di uomini dabbene con una simile decorazione non se ne vedono molti.»
Prese un respiro, i polpastrelli che saggiavano la stoffa che nascondeva le quattro lettere. Le onde continuavano a infrangersi contro gli stivali.
Guardava l’oceano e la volta di stelle che tentavano, invano, di rispecchiarsi in quell’acqua oscura e tempestosa, e ripensò a quando, durante uno dei suoi primi viaggi per mare, aveva incontrato una tribù indigena dalle parti dell’Asia.
«Sì, ho girovagato a lungo e sono rimasto affascinato dall’usanza di alcune popolazioni di luoghi incantati…»
«Gente che si incide sulla pelle simboli di fede e di guerra» aggiunse Teach.
«O d’amore.»
L’amico scosse leggermente il capo. «L’avevo detto io che ti porti un bel fardello sulle spalle.» Il viso spigoloso ricoperto di barba tornò a fissare il mare di fronte a loro, si era fatto teso, pensoso. «Ho sentito di Rosemary, pare che alla fine tu ti sia deciso.»
Non rispose, si limitò a stringersi nelle spalle.
«Potresti mettere su famiglia con lei.»
«Non essere ridicolo» sentenziò deciso. «Ti pare che io sia un uomo da focolare?» La rabbia che l’uscita del quartiermastro gli aveva provocato era quasi impossibile da trattenere.
«Chiedevo…» Teach aveva tirato fuori la pipa dalla tasca e iniziò a caricarla di tabacco. «Insomma, se vuoi posso anche mettermi per conto mio, ma solo se navighiamo insieme come una flotta.»
«Non è una cattiva idea, dopotutto» rispose, mentre imitava l’amico, ma non diede fuoco allo scodellino, si limitò a far girare il cannello della pipa da un lato all’altro della bocca.
«No, non lo è affatto. Di certo tu sei l’unico con cui potrei mettermi in società.»
Teach gli lanciò un sorriso deciso oltre il fumo del tabacco.
Shiver fissò la sagoma della Blue Revenge. Imponente, elegante, una vera e propria nave da guerra. Sentì i muscoli tendersi, eccitati quasi come se fosse di nuovo tra le cosce di Rosemary. In fondo amava terribilmente essere al comando di un vascello. Sentire di avere tra le mani la linfa vitale del mare e del vento. Dominare gli elementi, essere parte di essi.
E mettersi a capo di una coppia di velieri ben armati avrebbe di certo soddisfatto la sua perenne sete di vendetta…
«Ci servirà qualcosa che tenga testa alla Revenge» borbottò, con la pipa stretta tra i denti.
«Potrei avere quello che fa al caso nostro.» Blackbeard si girò verso la ciurma. «Israel!» tuonò.
Poco dopo trotterellò verso di loro un uomo dinoccolato, quasi pelle ossa. La gracilità era solo apparente, tuttavia. Gli occhi rispecchiavano l’anima di ferro e luccicavano di tradimento. I vestiti sporchi e smunti ricordavano quelli di un ufficiale di marina.
«Questo scricciolo l’ho recuperato a Nassau. Un disertore.»
Shiver lo fissò interessato.
«Ha notizie stimolanti, sai?» Teach diede una pacca sulla spalla al tizio magrolino, che rischiò di cadere gambe all’aria sotto la manata del quartiermastro. «Racconta.»
Israel fece un sorriso sbieco. Non si capiva se fosse impaurito di essere lì o se semplicemente condividesse lo stesso sentimento di sfida che animava Teach quando si parlava di affrontare la marina britannica. «Hanno assegnato il nuovo ammiraglio alla Giamaica. Sarà il nuovo comandante in capo della flotta nelle Indie Occidentali.»
«Non mi sembra una gran notizia, sapevamo che prima o poi sarebbe successo.» Shiver fissò l’uomo.
Lo sguardo luccicava e non era per il rum. Sembrava trattenere il resto delle notizie nel palato, come il boccone di una qualche pietanza prelibata. «Arriverà qui con la sua nuova ammiraglia nuova di zecca. Agile, veloce, snella, come la Revenge.»
«E tu vorresti rubare la nave alla marina britannica?» Shiver guardò perplesso Teach.
«Verrà di certo l’occasione adatta e tu saprai coglierla, se ti interessa.» Edward sembrava molto sicuro di sé.
Shiver tornò a guardare verso Israel. «E qual è il povero sventurato a cui dovremmo rubare il veliero?» Era curioso di sapere se si trattasse di qualche fantasma del passato.
«David Jacobson.»
Quasi vacillò, fece un passo indietro. Il cuore che batteva pugni di furia contro il costato. Eccitato, sorpreso, sconcertato.
Non sapeva se essere felice o disperato davanti a quella notizia.
«Si trasferirà qui con la famiglia. Lady Rachel e sua figlia Arabelle.»
Era sul punto di agguantare il collo di Israel e stringere, per sfogare contro quel messaggero di sventura tutto lo sconvolgimento interiore che aveva reso il suo sangue un mare in tempesta.
Le dita di nuovo ad accarezzare il nome sul suo polso. Gente che si incide sulla pelle promesse di fede o di guerra. Pensò alle parole pronunciate da Barbanera poco prima.
Di guerra . Quelle parole iniziarono a rimbalzare nella sua testa, lungo le vene, fremevano, tiravano, pungolavano. Nemmeno fosse di nuovo preda dei suoi aguzzini nella piantagione.
Chiuse gli occhi, assordato da tutto quel trambusto e poi d’improvviso il cuore riprese a cadenzare il ritmo della vita in maniera più calma e decisa.
A ogni battito refluiva dal suo sangue l’idea che le parole di Teach, parlando di Rosemary, gli avevano fatto venire in mente. Sposarla, passare con lei una vita tranquilla al sole di Nassau. Per un po’ aveva coccolato quelle immagini, desideroso di essere di nuovo avvolto dal calore e dall’affetto di relazioni umane che non sapessero di lame e rum.
Ma ora la prospettiva era stata spazzata via come un veliero fragile che sfidava una tempesta. Il cuore batteva regolare il suo urlo di guerra.
«Ci prenderemo quella nave, Teach. E un giorno di David Jacobson non rimarrà altro che cenere.»
*
Lui e Teach avevano deciso di ribattezzare il vecchio veliero Queen Anne’s Revenge e da settimane continuavano a cacciare sull’oceano, galvanizzati dal loro progetto di seminare il terrore con una coppia di navi. No, ancora non era arrivato l’ammiraglio, ma tra qualche settimana lo sventurato sarebbe giunto in Giamaica, convinto di trovare gloria e non il diavolo in persona pronto a divorarlo.
Mentre scrutava la tavolozza di blu e azzurro piatta e calma che si faceva fendere docile dalla prua con un allegro gorgoglio di acqua e spuma, Shiver strinse i denti sotto il dolore. L’istinto fu quello di massaggiarsi il polso, dolente per essere stato inciso e decorato.
Alla fine dovette posare il cannocchiale e carezzare la stoffa dietro cui aveva riparato il suo nuovo giuramento tracciato da lame aguzze e pigmenti scuri.
«Dovresti metterci un unguento o ti andrà in cancrena.» A parlare era stato il naufrago.
Se ne stava aggrappato a una cima a fissare l’oceano, i capelli biondi raccolti in maniera disordinata sotto un fazzoletto, e l’aria oscura di chi avrebbe preferito gettarsi nelle viscere del mare e non fare più ritorno.
«Ti intendi di medicina?» gli chiese, come sempre incuriosito da quel ragazzo.
«Ero un chirurgo di bordo prima che…» Christopher, così si chiamava il giovane, strinse le labbra già seccate dalla salsedine e rimase in silenzio, il vento che si prendeva gioco di capelli e camicia.
«Potrei aver bisogno di un segaossa quando mi metterò in proprio.» Abbozzò un sorriso.
Non gli chiese nulla, non c’era bisogno di sapere il resto della frase per capire che il naufrago era stato trascinato via da una vita onesta da eventi tragici, che gli era stata spezzata l’anima, masticata e sputata dalla stessa gente per cui prima si era impegnato. Di cui credeva di fare parte.
«Non ho intenzione di curare la gente.» Christopher aveva parlato con tono freddo e definitivo. «Ho voglia di usare la spada.»
«Vendetta?»
«Rivincita.» Il giovane voltò il viso verso di lui. Gli occhi verdi e profondi luccicarono di vita e determinazione per la prima volta da quando era stato ripescato.
Shiver sorrise. Era sicuro che sarebbe andato molto d’accordo con quell’uomo. Potevano ricucirsi a vicenda, dopotutto.
Allungò il polso verso di lui. «Prima di abbandonare per sempre la tua vecchia professione, ti andrebbe di darmi una mano con questo?» chiese. «Perdio, sembra di avere un tizzone ardente sulla pelle.»
L’altro lo guardò, incuriosito. «Deruan mi pare bravo, perché dovrei farlo io?»
Shiver rise. «Incredibile, quel rosicamorti non ha problemi a guardare nel ventre di un cadavere, ma detesta le pratiche dei selvaggi. Ha detto che non avrei mai dovuto andare a Nassau da quella strega mulatta a farmi questi segnacci sulla pelle e che mi sarei dovuto arrangiare.» Si strinse nelle spalle. «Dice che sono assurde stregonerie.»
Christopher rise a sua volta. «Vediamo…» Iniziò a svolgere la stoffa e scoprì il diavolo stilizzato che copriva le quattro lettere. «Uhm… non è così grave. Ci vuole qualcosa per calmare il bruciore ma non vedo segni di cancrena.» Gli teneva ancora la mano e lo scrutò a fondo. «Perché il diavolo?»
«Un segno di fede verso il mio nuovo credo.» Assottigliò le labbra.
Il giovane assunse un’aria oscura, pensosa e tuttavia comprensiva. Riprese a fasciare il polso con la stoffa ma prima si accorse delle lettere. «Il nome di un’amata perduta?»
Scosse il capo mentre l’ultimo pezzo di stoffa ricopriva l’incisione. «Della mia guerra personale.» Sorrise ancora al giovane. «Avrò bisogno di gente brava per la mia nuova ciurma, quando sarà il momento.»
«E ti sembro adatto?» Christopher era ritornato a guardare il mare.
«Abbiamo entrambi una rivincita da prendere o sbaglio?» gli porse la mano e il giovane la strinse.
E tornarono a fissare l’oceano.
Shiver sapeva che non poteva più tornare indietro. La sua vita, ormai, era una bandiera nera che sventolava al vento propositi di vendetta.
Si calò meglio la tesa del cappello sugli occhi e diede una pacca sulla spalla al nuovo amico. Quel nome sul polso lo aveva condiviso con poche persone al mondo.
Sapere che Christopher ne era a conoscenza creava con lui una sorta di legame che, ne era convinto, sarebbe diventato solido e indissolubile.
Il giovane naufrago aveva il suo stesso ardore, la stessa identica voglia di tingere le lame nel rosso pulsante e vitale di nemici che li avevano resi diavoli.
E nonostante tutto, liberi.