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Pirati, rotte da evitare
Articolo scritto per il blog di Linda Bertasi per la rubrica “Quel libro nel cassetto” che racchiude alcuni consigli da tenere a mente quando si vuole scrivere di pirati.
Rum, sciabole, pappagalli, vestiti colorati, occhi guerci e uncini. È senz’altro questa l’idea che vi salta in mente quando sentite nominare la parola “pirati”. Buontemponi dalla risata facile, dagli abiti sgargianti e la pancia piena di rum, tipi simpatici, adatti per lo più ad avventure per bambini o perfetti per diventare uno strumento milionario nelle mani di Walt Disney. Oppure uomini romantici e coraggiosi come il Corsaro Nero o Sandokan, ideali per un romanzo d’amore.
Sono questi i primi cliché con cui si scontra chi decide di scrivere di pirati, ma se è vostra intenzione creare un romanzo ambientato nel diciottesimo secolo, con un contesto storico e personaggi veritieri, bisogna tenere a mente che la pirateria può risultare molto più insidiosa di quanto si pensi.
Basta una differenza di un paio di decadi per farvi prendere un grosso granchio. Henry Morgan e Barbanera erano due capitani carismatici e pieni di fascino, ma si muovevano in epoche diverse.
Henry Morgan apparteneva al diciassettesimo secolo, periodo di corsari e “Fratelli della Costa”, attenzione, infatti, agli appellativi: corsaro non è un sinonimo di pirata.
Il primo era investito dal proprio governo da una lettera di corsa che lo autorizzava ad attaccare i nemici della nazione; il secondo, invece, agiva di propria iniziativa, libero da qualsiasi vincolo, considerato un criminale da tutte le autorità e destinato a finire sulla forca, se catturato.
Un altro mito da sfatare è l’idea che tutti i capitani fossero dotati di navi maestose e imponenti. L’abbinamento pirata – galeone è naturale, ma sbagliato, retaggio dei colossal di Hollywood e di qualche serie tv recente.
Questo tipo d’imbarcazioni era ormai in disuso e sostituto dal più sinuoso e veloce vascello. Inoltre, non tutti i pirati avevano a disposizione un veliero grande e con numerosi cannoni, la maggior parte navigava su piccoli sloop che contenevano una decina di uomini. Imbarcazioni adatte a navigare tra le secche e le insenature dei Caraibi, e in grado di offrire una buona via
di fuga dalle navi della marina
Pochi sono stati i capitani al comando di velieri grandi e maestosi: Barbanera con la sua Queen’s Anne Revenge e Roberts, con la Royal Fortune. Due imbarcazioni dotate di quaranta cannoni, in grado di essere veloci e letali allo stesso tempo.
Una nave di queste dimensioni andava di pari passo a una ciurma adatta a governarle, quindi solo i comandanti più famosi, spietati e di successo, si potevano permettere una potenza di fuoco simile. Non a caso, il nome di Barbanera ancora oggi è sinonimo di arrembaggi spietati e bottini sontuosi.
Parliamo del bottino…cliché che si accompagna al famigerato tesoro sepolto. Il traffico di oro e argento era in mano a spagnoli e portoghesi che, consci dei pericoli, muovevano le grosse quantità di questi preziosi in flotte scortate da imponenti navi da guerra.
Mettere le mani su una di quelle imbarcazioni era tutt’altro che semplice ma non impossibile. Roberts lo dimostrò con il suo attacco a una flotta portoghese, ma di certo non era un obiettivo semplice da ottenere o un’impresa facile da ripetere. Più comodo era mettere le mani su oro e argento approfittando del naufragio di queste flottiglie, recuperando il possibile dai relitti arenati.
Accaparrarsi oro e preziosi era perciò considerato il colpo della vita, un ottimo escamotage per una trama d’avventura, ma che non dovrà essere considerato come la norma.
Il bottino ordinario di ogni pirata era costituito dalle decine di navi mercantili che dalle Indie Occidentali trasportavano qualsiasi tipo di merce in Europa. Tabacco, cotone, zucchero… merci che non luccicavano come l’oro, ma che valevano comunque molto. Bastava rivenderle e trasformarle in monete sonanti che venivano spese nel giro di una notte, senza bisogno di seppellirle.
Per farlo non occorreva un segreto porto di contrabbando, ma una qualsiasi città costiera dei caraibi. I pirati erano mal visti dalle autorità, ma le Indie Occidentali erano un misto di culture, un luogo ancora selvaggio, in cui si alternavano la civiltà e la foresta, gli indigeni e gli europei. Lontano dalle autorità delle nazioni a cui appartenevano, le colonie si erano create delle regole diverse, molto meno rigide e basate sul commercio. E i pirati, spesso, permettevano di arricchirsi in maniera veloce e sicura. Persino molti governatori erano in combutta e compiacenti, basti pensare a Charles Eden, che diede rifugio a Barbanera.
Altro dettaglio importante, e mai da sottovalutare: la ciurma. Sotto il Jolly Roger si univano uomini di diverse nazioni, ex – schiavi liberati, mulatti, creoli, dettagli da non scordare quando si va a descrivere gli uomini che si occupavano di un veliero pirata.
Inoltre non si trattava di pirati che ascoltavano gli ordini del capitano senza proferire
parola. I rapporti tra il comandante e la propria ciurma erano molto delicati persino per i pirati più temerari. Era la ciurma che eleggeva il capitano, il quartiermastro, il nostromo, e tutti loro potevano essere sollevati dall’incarico da un voto.
Il capitano aveva il potere assoluto solo durante gli arrembaggi e gli scontri, tutte le altre decisioni andavano prese di comune accordo con il resto degli uomini. Più il capitano era carismatico, più aveva possibilità di farsi ascoltare e di mettere in pratica ciò che riteneva più giusto, ma non erano infrequenti, nemmeno nelle ciurme di Barbanera o Roberts, tentativi di spodestare il comando, di minarlo, di creare fazioni interne e dissapori. Altro ingrediente per una trama interessante e ricca di colpi di scena.
Bisognerà poi avere una buona infarinatura di termini nautici, capire come si muoveva un veliero, valutarne la velocità, come farlo muovere in un arrembaggio, cosa occorreva fare durante una tempesta, ma conviene comunque spiegare al lettore cosa sta accadendo ed evitare di scadere nel tecnicismo.
Il capitano pirata si esprimerà con un linguaggio adatto, ma il lettore avrà bisogno di capire, senza trovarsi una sciorinata di termini nautici o pagine e pagine di descrizione dell’azione in corso.
Ricordatevi poi che i velieri erano fatti di legno, badate a come utilizzate lanterne e pipe, bastava poco per scatenare un incendio. Un semplice dettaglio può fare la differenza. Un esempio: attenti a quando maneggiate i cannoni, questi andavano assicurati con pesanti cime, in modo da non farli muovere. Immaginate un pezzo d’artiglieria libero di ondeggiare durante la navigazione: finirebbe con lo sfondare una delle pareti.
I covi, le isole deserte, le città dei pirati, tutte cose utili in un buon romanzo, ma anche qui, attenti a non fare confusione.
La Tortuga era l’isola dei Fratelli della Costa, in uso nel diciassettesimo secolo e soppiantata in quello successivo da Nassau, le Bahamas sono state per decenni un luogo privo di legge e istituzioni, dove facevano porto i pirati per riposarsi e godere di ogni piacere, ma solo fino al 1718, anno dell’arrivo del Governatore Rogers
. Era facile poi, per ogni capitano, avere un proprio covo o insenatura in cui rifugiarsi, le isole maggiori erano per lo più disabitate e i Caraibi offrivano una vasta scelta di isole deserte e rigogliose, che non comparivano nelle mappe.
La pirateria del diciottesimo secolo è un contesto storico ricco di spunti per una storia. Non a caso, i pirati, ancora oggi, sono figure che evocano fascino e avventura, ma per muoversi bene in questo scenario occorre conoscerlo e contestualizzarlo.
Create quindi protagonisti coerenti: se volete un capitano pirata il cui nome è sinonimo di terrore, dovete costruirgli un carattere adatto e un passato di azioni che lo hanno portato a crearsi una certa fama.
Le donne non sono bandite, era considerato di malaugurio averle a bordo, ma Anne Bonny e Mary Read ci raccontano una storia molto diversa. Parte integranti della ciurma, hanno combattuto a fianco degli uomini, quindi non fatevi scoraggiare se volete portare un’eroina a bordo, basta, come al solito, caratterizzare e creare una trama che giustifichi la presenza di una donna in un contesto di soli uomini e in un’epoca in cui le donne erano sottomesse.
Dieci consigli da seguire per scrivere un romanzo sui pirati:
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Non sono tutti jack sparrow:
se stai scrivendo un romanzo di ambientazione storica, ricordati che i pirati non erano simpatici come quelli della Walt Disney.
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Attento Al Codice:
ogni capitano creava il suo per gestire al meglio i rapporti con la ciurma, e non decideva mai tutto da solo, anzi. Crea il giusto equilibrio tra carisma, disciplina e democrazia.
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bottino o tesoro?
utilissimi per una trama d’avventura, sentiti libero di mettere al centro della storia un bottino lussuoso, ma ricordati che non era la norma.
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Contestualizza la violenza:
un pirata poteva appropriarsi della nave solo issando il jolly roger e senza sparare un colpo, contestualizza l’uso della violenza in base al personaggio che stai creando. Tra il santo e il diavolo ci sono diverse sfumature.
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a ogni pirata il suo jolly roger:
ogni capitano pirata aveva una bandiera nera personalizzata, una propria firma.
Bastava issarla e le vittime capivano immediatamente a chi si trovassero di fronte. Non dimenticare questo dettaglio.
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rum sì ubriachi no:
l’alcool, al contrario dell’acqua, poteva sopportare i lunghi viaggi in mare senza marcire, ma veniva diluito. Le ciurme ubriache, in caso di attacco, hanno fatto tutte una pessima fine, tienilo a mente!
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Ognuno ha il proprio ruolo:
il capitano non faceva tutto da solo. Era affiancato dagli ufficiali.
Quartiermastro, nostromo, ufficiali di rotta, ognuno di loro aveva un compito e lo stesso valeva per la ciurma. Pirati sì, ma con ordine.
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pirati non lord:
i tuoi personaggi dovranno avere un lessico adeguato. Parolacce e bestemmie intramezzavano ogni loro discorso, ricordatelo e crea il giusto equilibrio nei dialoghi.
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la natura può essere insidiosa:
ti muovi in un contesto caraibico. Non dimenticarti di uragani e tempeste, foreste e barriere coralline.
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Charles johnson è il tuo migliore amico:
prima di imbarcarti, leggi storia generale dei pirati di Charles Johnson,
raccolta di biografie dei principali pirati realmente esistiti, pubblicata tra il 1722 e il 1724. Un resoconto autentico che ti sarà, molto, molto utile…
Donne pirata e donne soldato. Di Michela Piazza
Articolo di Michela Piazza (storica e autrice di romanzi storici e contemporanei)
Da Shakespeare in poi molte eroine hanno indossato abiti maschili, fino a giungere alle Lady Oscar, Fantaghirò e Mulan della nostra infanzia.
L’idea di una donna in grado di spacciarsi per uomo anche in situazioni estreme come la guerra è affascinante… Ma è credibile?
In qualità di storica, questo è stato il primo interrogativo con cui mi sono confrontata quando ho deciso di scrivere la coppia di romanzi dedicati a Mary Read (“Mary Read di guerra e mare” e Mary Read Nemica del genere umano, disponibili su Amazon.)
Non volevo sorvolare sulla questione, né edulcorarla.
Mary Read è un personaggio realmente esistito e ha trascorso gran parte della sua vita facendosi passare per maschio, ha combattuto come soldato e ha trascorso molti anni a bordo di navi, prima come marinaio e poi come pirata. La sua vita è documentata da fonti e da testimonianze coeve, quindi non ci sarebbe ragione di dubitare sulla veridicità delle sue imprese… Se non che lo stesso capitano Johnson, il suo primo biografo, quando scrive di lei si sente costretto a precisare che quanto racconta “per quanto errabondo e bizzarro” è la verità.
Infatti l’idea che una femmina riesca a farsi passare per ragazzo in un ambiente così ristretto come quello della camerata di un reggimento o della tolda di una nave è difficile da digerire.
Eppure i casi documentati di donne che sono riuscite per lungo tempo a farsi passare
per maschi sono più numerosi di quanto si creda.
Ad esempio, nella stessa guerra in cui combatté Mary Read era presente sul campo anche un’altra donna, Mother Ross, arruolatasi per cercare il marito soldato. Mother Ross servì nell’esercito inglese quattro anni come fante e cinque come Dragone finché, ferita alla testa, venne scoperta. Solo allora tornò a casa, dove fu ricevuta dalla regina Anne che le diede un vitalizio per i servigi resi in qualità di soldato. In seguito, Daniel Defoe scrisse un breve libro ispirato alla sua vita.
In tempi più recenti, si conoscono almeno tre casi documentati di donne che si sono arruolate nella guerra civile americana, spinte dal desiderio di difendere la patria: Loreta Janeta Velazquez, Sarah Rosetta Wakeman e Emily Moore.
E nelle fosse comuni di diverse epoche sono stati rinvenuti scheletri in divisa, ma dotati di anche femminili.
Insomma, di certo una donna soldato non era un fatto comune… Ma neppure impossibile.
Che dire delle navi?
“Si stanno scoprendo sempre nuovi casi di giovani donne che, in abiti maschili, hanno lavorato a fianco dei marinai per mesi e talvolta per anni, spesso senza che nessuno sospettasse di nulla” afferma David Cordingly, eminente studioso della storia della Marina, nella prefazione del suo saggio “Donne corsare”.
Se Mary Read è, insieme ad Anne Bonny, la più famosa donna pirata di tutti i tempi, la più nota donna marinaio è Hannah Snell: attorno al 1740 trascorse quattro anni e mezzo nelle Indie, in servizio come marinaio e soldato presso la Marina Britannica.
Persino oggi, nell’era delle carte d’identità e di internet, una donna è riuscita a farsi passare per il fratello per ben 12 anni: nessuno dei suoi colleghi metalmeccanici si era mai reso conto di aver a che fare con una signora…
Perciò, che dire… Quando ritenete un racconto letterario poco plausibile, ricordate che la realtà spesso supera la fantasia!
Michela Piazza
Fonti citate:
Michela Piazza, “Mary Read di guerra e mare” e “Mary Read nemica del genere umano”
Daniel Defoe, “The life and adventures of Mother Ross”
David Cordingly, “Donne corsare”
Jo Stanley, “Bold in her breeches”
Linda Grant de Paw, “Seafaring Women”
Tamara J. Eastman, “The pirate trial of Anne Bonny and Mary Read”