«Ha deciso di andare via. È un peccato: quella ragazza era brava con i clienti… Capisco che questo è un piccolo bar… Aprono un nuovo locale nella Capitale, il Purgeraj mi pare si chiami… lavorerà lì… è una in gamba, saprà cavarsela» dice il barista dietro il bancone ancora intatto del Diksi.
«Non è possibile» replico amareggiato.
«Di questi tempi per la gente come lei è meglio andare a Ovest» dice. E guardando Drazen negli occhi, continua: «E tu… tu dovresti seguire il suo esempio! Nelle prossime settimane, credimi, molte cose cambieranno, qui!».
«Andiamo» dice Drazen prendendomi per il braccio.
«Non ha un numero di telefono… un indirizzo?» chiedo, per niente intenzionato a muovermi.
«Guarda,» risponde il barista lavando un bicchiere da birra, «quello che posso dirti è che il Purgeraj è facile da trovare. È proprio sulla piazza Kaptol. Aprirà fra qualche settimana.» Gli si illumina lo sguardo e aggiunge: «Aspetta un attimo qui». Scompare dietro il bancone, dirigendosi nella seconda stanza del Diksi, quella decorata in stile inglese.
«Drazen, io devo trovarla.»
Lui sorride e mi conforta: «L’hai sentito? Il locale è proprio sulla piazza Kaptol… È facile! Andiamo a prenderla noi!».
Sentiamo dei rumori provenire dall’altra stanza. Dopo alcuni secondi, vediamo il barista riconquistare la sua posizione dietro il bancone. Si gira verso di noi, esultando: «Ecco!» e mi passa il volantino della serata inaugurativa del Purgeraj.
Siamo già fuori, nell’aria dell’estate. Le strade della Città sono affollate di turisti che si dividono tra le viuzze del centro, i mercatini e i café all’aperto. Stranieri di terre dell’Est contribuiscono al piacevole brusio delle genti, ma nella confusione qualcuno litiga. Sentiamo un vecchio gridare: «Ma cosa dici? Non sai che hanno ucciso dieci poliziotti? E chissà quanti sono i feriti!».
Drazen e io accorriamo preoccupati. Tra le risposte urlate al muso del vecchio e le teste agitate scorgiamo, per la prima volta, i manifesti apposti sui muri: annunciano la loro indipendenza, annunciano la nostra guerra.
«Che vuol dire?» chiedo ingenuamente.
«Vuol dire che da oggi io e te non siamo più uguali… che tu e Darka non siete più uguali… da oggi noi siamo nemici!» risponde seccato.
Sono frastornato e cento parole formano un ingorgo sulle labbra.
«È colpa tua!» accusa Drazen.
Arretro, spaventato da quella brusca reazione.
«È colpa tua, avresti dovuto dirle qualcosa molto prima!»
«Drazen, io…»
«Non avrei dovuto aspettarti… avrei dovuto fare qualcosa.»
«Drazen, non so cosa dire… non capisco cosa stia succedendo…»
«Succede… che quel domani non arriverà mai.»