Diciannove

Vedo vestiti, valigie e mobili ornare alla rinfusa le stanze della casa. A pochi metri dall’ingresso, lo specchio è in frantumi, i divani tagliuzzati mostrano le loro interiora, la televisione a pezzi non trasmetterà mai più nessun segnale.

Percorro pochi metri verso il corridoio. La prima stanza sulla destra è vuota e ancora vestiti disseminati sul letto, quadri accasciati sul pavimento, finestre irreparabilmente aperte sull’orizzonte.

Due passi indietro ed esploro il resto della casa. Per terra ritrovo una vecchia fotografia ancora intatta: la madre, il padre e lui. E una convinzione desolante mi conquista: Drazen e la sua famiglia sono stati già portati via.

Sento l’angoscia avvicinarsi alle spalle come un leone inferocito. Annientato, fuggo da quella visione irreale per portarmi alla luce del giorno. A metà strada inciampo e crollo al tappeto tra i resti di quella casa distrutta.

Tra i cocci, un libro aperto con dentro un foglio stropicciato: è il mio ritratto, è il messaggio di Drazen per me. Inciampo ancora, cado. Mi rialzo e continuo a scappare da quell’incubo, come se la realtà potesse essere meno dolorosa.

Cerco riparo nella brezza settembrina, ma incontro solo un vecchio che mi dice: «Noi e voi siamo nemici, ora. Scappa via da qui! Gli altri non ti risparmieranno!».

Il sangue continua a sgorgare, e io a correre.

L’aria mi ferisce il viso e, sollevato, mi lascio andare al suolo: lo sguardo sul Fiume Blu come fuoco nell’acqua. Finalmente capisco: quel domani non arriverà mai.

Questa è la mia nuova terra, e corro, corro verso casa.

Questa è la mia nuova gente, e corro, corro verso casa.

Questa è la mia nuova vita, e corro, corro verso casa.

Mio padre alla porta mi accoglie con aria accigliata: «Dove sei stato?».

«Hanno portato via Drazen!»

«Rassegnati: Drazen è uno di loro