«Io non c’entro niente con la vostra guerra!» dico con tono acceso.
«E invece questa guerra è anche tua.»
«Andava tutto bene… e ora mi spieghi cos’è successo?»
«È successo che noi e loro siamo nemici. Devi scegliere se combattere o morire!»
«No… In pochi giorni si risolverà tutto. Arriverà qualcuno e metterà le cose a posto.»
«Ma non lo capisci?» dice sbattendo i pugni sul tavolo. «Non abbiamo alternativa: combattere o morire!» Il tintinnio di bicchieri sorprende anche lui, e lo induce a tacere. Lo guardo. I capelli brizzolati corti, la barba rada sul viso, gli occhi fieri: mio padre.
«Per favore, questo potrebbe essere uno degli ultimi pranzi insieme… non roviniamolo» interviene mia madre. È bellissima. Sorride, soddisfatta della tregua.
«Ma lo senti, tuo figlio? Vuole che rimaniamo qui senza far nulla.»
«Non possiamo nemmeno prendere fucili e cannoni e metterci a sparare all’impazzata» rispondo.
Mia madre scuote la testa, temendo una nuova ondata.
«Tu potresti… tu dovresti arruolarti,» insiste mio padre, lasciando la forchetta a riposare nel piatto, «dovresti arruolarti come fanno tutti gli altri» dice ancora.
«Non posso. Molti dei miei amici sono dei loro! Tutto questo…» esito non riuscendo a pronunciare le parole «…tutto questo non ha senso!»
«Lo so» ammette poi, scuro in volto.
Riprendiamo a mangiare. Una calma anomala domina la casa finché, nel silenzio rumoroso di coltelli e forchette, non affiorano, limpide, le loro voci.
«Noi sistemiamo questi, voi andate a cercarne altri!»
Ci alziamo di scatto dalle sedie. Mio padre grida a mia madre di scappare dalla veranda. Afferriamo ciò che è a portata di mano: un coltellaccio da cucina e un manico di scopa.
Lo schianto della porta si abbatte sul silenzio della nostra casa: le nostre vite non saranno più le stesse. Partono dei colpi di fucile, e mio padre, inerme, crolla a terra. Io mi lancio verso uno di loro, ma lui già punta la sua arma contro di me.
«Fermati!» ordina mia madre. La guardo e mi accorgo solo ora che due soldati la tengono ferma. «Almeno tu non farti ammazzare.»
Impietrito, vedo mio padre sollevarsi: è ferito, ma riesce a stare in piedi.
«Statemi a sentire,» dice il soldato con la pistola puntata verso di me, «la donna morirà. Questo è certo. Tuttavia può morire subito, oppure soffrire e poi morire. Questo dipende solo da voi.»
«Vi prego!» supplica mio padre, che, improvvisamente, mi appare di molti anni più vecchio. «Lasciatela andare, io e mio figlio verremo con voi» dice alzando le mani in segno di sottomissione. Ci arrendiamo, lasciandoci legare i polsi e le gambe. Mia madre continua a gridare finché uno dei soldati non la colpisce sul volto.
«Vi prego, lasciatela» scongiura ancora mio padre. Il calcio di un fucile cala violentemente sulla sua spalla.
Io, terrorizzato…
Il soldato si avvicina, allontana l’arma da me, con entrambe le mani afferra le spalle di mio padre, e gli dice qualcosa all’orecchio.
«No… no… fermi!» supplica lui.
«È tutta vostra! La femmina è tutta per voi!» dice agli altri.
Io, terrorizzato: non vedo più, non respiro più, non esisto più.