Il giardino era un altro posto che sarebbe diventato magnifico. Ci sarebbero state panche, un tavolo e un’altalena. Ci sarebbe stata una porta da calcio dipinta su uno dei muri vicino alla casa. Ci sarebbe stato uno stagno con dentro pesci e rane. Ma per il momento non c’era niente di tutto questo. C’erano solo ortiche, cardi, erbacce, mattoni mezzi rotti e mucchi di sassi. Iniziai a calciare via le teste di migliaia di soffioni.
Dopo un po’ mamma mi gridò se andavo a cena e risposi di no, che stavo in giardino. Mi portò un panino e una lattina di Coca.
«Scusa se è tutto messo male. E se siamo messi male anche come umore» disse.
Mi mise una mano sul braccio.
«Però lo capisci, eh, Michael? Eh?»
Alzai le spalle. «Sì» dissi.
Lei mi toccò di nuovo e fece un sospiro. «Andrà di nuovo bene, quando tutto sarà a posto».
Mi sedetti su una pila di mattoni contro il muro della casa a mangiare il panino e bere la Coca. Pensai a Random Road, la via da dove venivamo, a tutti i miei vecchi amici, come Leakey e Coot. A quell’ora di sicuro erano al campo grande a giocare una partita che sarebbe durata tutto il giorno.
Poi sentii il campanello suonare e il Dottor Morte che entrava. Lo chiamavo Dottor Morte perché aveva la faccia grigia e macchie nere sulle mani, e non sapeva sorridere. Un giorno l’avevo visto che si accendeva una sigaretta in macchina, mentre se ne andava da casa nostra. Mi avevano detto di chiamarlo Dottor Dan e lo chiamavo così quando gli dovevo parlare; ma per me, dentro, restava il Dottor Morte e il nome era molto più adatto.
Finii la Coca, aspettai un minuto e poi tornai giù al garage. Non avevo tempo per stare lì a cercare il coraggio di entrare o per ascoltare i rumori. Accesi la torcia, feci un bel respiro ed entrai in punta di piedi.
Qualcosa di piccolo e nero strisciò veloce per terra. La porta cedette scricchiolando per un attimo, prima di fermarsi. Nel raggio della torcia pioveva polvere. In un angolo, qualcosa raschiava e raschiava. Andai avanti, sempre in punta di piedi. Sentivo delle ragnatele che mi si spezzavano contro la faccia. Vecchi mobili, pezzi di cucine componibili, moquette arrotolata, tubi, cassette e assi, tutto era accatastato alla rinfusa. Dovevo abbassarmi di continuo sotto i tubi di gomma, le corde e le sacche militari che pendevano dal tetto. Altre ragnatele mi si spezzarono contro i vestiti e la pelle. Il pavimento era rotto e si sbriciolava. Aprii di un paio di centimetri un armadietto, puntai la torcia e vidi un milione di insettini scappare via. Sbirciai in una brocca di pietra e ci vidi le ossa di un qualche animaletto che ci era morto dentro. Dappertutto c’erano mosconi blu stecchiti e giornali e riviste che sembravano vecchissimi. Ne illuminai uno con la torcia e vidi che era di quasi cinquant’anni fa. Camminavo con molta cautela. Avevo paura che da un momento all’altro crollasse tutto. La polvere mi intasava la gola e il naso. Sapevo che presto i miei avrebbero cominciato a protestare e che era meglio uscire. Mi sporsi da sopra un mucchio di casse e feci luce nello spazio dietro. Fu allora che lo vidi.
Pensai che fosse morto. Stava seduto con le gambe allungate e la testa appoggiata all’indietro, contro il muro. Era pieno di polvere e ragnatele come tutto il resto e aveva la faccia magra e pallida. I capelli e le spalle erano coperti di mosconi morti. Con la torcia illuminai la faccia bianca e il completo nero.
«Cosa vuoi?» disse.
Poi aprì gli occhi e mi guardò.
La voce gracchiava, come se non la usasse da anni.
«Cosa vuoi?»
Il cuore mi batteva forte.
«Cosa vuoi, ho detto?»
Poi sentii che da casa gridavano.
«Michael! Michael! Michael!»
Scivolai di nuovo verso l’esterno e uscii camminando all’indietro.
Era papà. Mi veniva incontro lungo il sentiero.
«Non ti avevamo detto...» cominciò.
«Sì» risposi io. «Sì, sì».
Feci per togliermi la polvere di dosso. Un ragno mi scese dal mento, attaccato a un lungo filo.
Papà mi mise un braccio sulle spalle.
«È per il tuo bene» disse.
Mi tolse un moscone morto dai capelli, poi diede una manata su un lato del garage, che tremò tutto.
«Vedi?» disse. «Pensa a cosa potrebbe succedere».
Gli presi il braccio per non fargli dare un’altra manata.
«Basta» gli dissi. «Va bene. Ho capito».
Lui mi strinse la spalla e mi promise che presto tutto si sarebbe messo a posto.
Rise.
«Togliti ’sta polvere di dosso prima che tua madre la veda, eh?»