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Mi sporsi da sopra il mucchio di casse, feci luce con la torcia e lui era lì. Non si era mosso. Aprì gli occhi e li richiuse.

«Di nuovo tu» disse con la sua voce gracchiante e acuta.

«Cosa ci fai lì?» sussurrai io.

Lui sospirò, come se fosse stufo marcio di tutto.

«Niente» gracchiò. «Niente, niente e niente».

Guardai un ragno che gli si stava arrampicando sulla faccia. Lo prese fra due dita e se lo infilò in bocca.

«Verranno a sgombrare» dissi. «E qui potrebbe crollare tutto».

Lui sospirò un’altra volta.

«Hai un’aspirina?»

«Un’aspirina?»

«Ah, lascia stare».

Aveva la faccia bianca come il gesso. Il completo nero gli cadeva come un sacco sulle ossa sottili.

Il cuore mi batteva come un tamburo. La polvere mi intasava le narici e la gola. Mi morsi le labbra e lo guardai.

«Non sei Ernie Myers, eh?»

«Quel vecchio cretino? Quello che sputava dappertutto e tossiva così forte che sembrava gli uscissero le budella?»

«Scusa» mormorai.

«Cosa vuoi?» chiese.

«Niente».

«Hai un’aspirina?»

«No».

«Grazie tante».

«Cosa farai?» gli domandai. «Verranno a sgombrare il garage. Crollerà. Cosa...»

«Niente. Vai via».

Cercai di sentire se da fuori venivano rumori, se mi stavano chiamando.

«Potresti venire in casa» dissi.

Lui rise, ma senza sorridere.

«Vai via» sussurrò.

Prese un moscone dal davanti della giacca e si infilò in bocca anche quello.

«Ti porto qualcosa?»

«Un’aspirina» gracchiò lui.

«Vuoi qualcosa da mangiare?»

«Ventisette e cinquantatré».

«Cosa?»

«Niente. Vai via. Vai via».

Camminai all’indietro finché non fui fuori, nella luce. Mi spazzolai via con la mano la polvere, i mosconi e le ragnatele.

Alzai gli occhi e vidi papà attraverso il vetro smerigliato della finestra del bagno. Sentii che stava cantando una canzone di Doris Day, The Black Hills of Dakota.

«Sei tu quello nuovo?» disse qualcuno.

Mi voltai. Dalla cima del muro che dava sul vicoletto era sbucata la testa di una ragazzina.

«Sei tu quello nuovo?» ripeté.

«Sì».

«Mi chiamo Mina».

La fissai.

«Be’?» fece.

«Cosa?»

Lei sembrò spazientita, scosse la testa e con una cantilena annoiata disse: «Mi chiamo Mina. E tu sei?»

«Michael».

«Bene».

Poi saltò di nuovo giù e la sentii atterrare nel vicoletto.

«Piacere di conoscerti, Michael» disse dall’altra parte del muro, poi corse via.