13

«Tu sei infelice» disse Mina.

Io la guardai dal basso.

«La bambina è di nuovo all’ospedale» dissi.

Lei sospirò. Guardò un uccello che stava volteggiando in cielo, molto in alto.

«Forse morirà» dissi.

Lei sospirò di nuovo.

«Ti va se ti porto in un posto?» mi disse.

«Quale posto?»

«Un posto segreto. Un posto che non conosce nessuno ».

Mi voltai a guardare la casa e vidi papà attraverso la finestra del soggiorno. Guardai Mina e i suoi occhi mi passarono da parte a parte.

«Cinque minuti» disse. «Non si accorgerà neanche che non ci sei».

Incrociai le dita.

«Vieni» sussurrò.

Aprii il cancello e scivolai nel vicoletto.

«Svelto» disse. Piegò il busto in avanti per non farsi vedere e cominciò a correre.

In fondo alla via girò in un altro vicoletto. Le case oltre quei muri erano più grandi, più alte e più vecchie. I giardini sul retro erano più lunghi e avevano alberi imponenti. Era Crow Road.

Si fermò fuori da un cancello verde scuro. Prese una chiave da qualche parte, aprì e si infilò dentro. Io la seguii. Qualcosa mi si strofinò contro una gamba. Guardai in basso e vidi che un gatto era entrato nel cancello con noi.

«Bisbiglio!» disse Mina con un sorrisone.

«Cosa?»

«Il gatto si chiama Bisbiglio. È sempre dappertutto».

La casa era di pietra annerita. Le finestre erano inchiodate con le assi. Mina corse alla porta e la aprì. Sopra la porta c’era una scritta con la vernice rossa che diceva ‘PERICOLO’.

«Non farci caso» disse. «È solo per tenere lontani i vandali».

Entrò. «Vieni» sussurrò. «Svelto!»

Entrai anch’io, con Bisbiglio che mi camminava al fianco.

Dentro era buio pesto. Non vedevo niente. Mina mi prese per mano.

«Non fermarti» disse e mi guidò avanti.

Mi condusse su per una scala larga. Mentre gli occhi mi si abituavano gradualmente al buio iniziai a intuire la forma delle finestre inchiodate, degli usci scuri e dei larghi pianerottoli. Salimmo tre rampe e tre pianerottoli. Poi le scale si restrinsero e ci trovammo di fronte a un ultimo uscio stretto.

«La soffitta» sussurrò. «Quando siamo dentro, stai fermissimo. Può darsi che non ti vogliano. Potrebbero attaccarti! »

«Attaccarmi? E chi?»

«Quanto sei coraggioso? Loro conoscono me e Bisbiglio, ma non te. Quanto sei coraggioso? Quanto me?»

La fissai. Come facevo a saperlo?

«Lo sei» disse. «Devi esserlo». Girò la maniglia. Trattenne il respiro. Mi prese di nuovo la mano, mi guidò dentro e chiuse la porta alle spalle. Si accucciò per terra. Tirò giù anche me. Il gatto si distese piano vicino a noi.

«Stai fermissimo e zittissimo. Guarda soltanto».

Eravamo proprio sotto il tetto, in una stanza grande col soffitto che scendeva ripido. Le assi del pavimento erano spaccate e tutte incurvate. L’intonaco si era staccato dalle pareti. Da una finestra ad arco che si sporgeva oltre il tetto entrava luce. Sotto la finestra erano sparsi dei vetri rotti. Si vedevano i tetti e i campanili della città e le nuvole che stavano diventando rosse al tramonto.

Trattenni il respiro.

La soffitta si scurì e poi diventò rossa.

«Cosa deve succedere?» chiesi.

«Sssh. Stai a vedere. Aspetta e stai a vedere». Poi tremò. «Guarda! Guarda!»

Un uccello dal colore pallido si alzò da un angolo e volò silenzioso verso la finestra. Rimase lì, a guardare fuori. Poi ne arrivò un altro che fece un giro intorno alla soffitta, le ali che sbattevano a pochi centimetri dalle nostre facce, prima di posarsi anche lui sul davanzale.

Non respiravo. Mina mi strinse la mano. Osservai gli uccelli, il modo in cui i musi tondi e larghi si voltavano l’uno verso l’altro, il modo in cui gli artigli si aggrappavano al legno della finestra. Poi partirono, volando via in silenzio verso il tramonto rosso.

«Sono allocchi!» disse Mina. «Una specie di gufi».

Poi mi osservò di nuovo con intensità e rise.

«A volte attaccano gli intrusi, ma hanno visto che sei con me. Hanno capito che sei a posto».

Indicò il muro in fondo, un grosso buco da cui erano caduti l’intonaco e dei mattoni.

«Quello è il nido» disse. «Ci sono dei piccoli. Non avvicinarti. Li difenderebbero fino alla morte».

Rise al mio silenzio stupito.

«Vieni, svelto!»

Uscimmo dalla soffitta e corremmo giù per le larghe scale e fuori dalla casa e nel giardino. Chiuse a chiave la porta e il cancello e poi corremmo lungo i vicoletti fino alla nostra giungla.

«Non dirlo a nessuno» sussurrò.

«No» dissi.

«Giuralo sulla tua testa».

«Cosa?»

«Giuralo sulla tua testa, che potessi morire».

«Lo giuro sulla mia testa, che potessi morire».

«Bene» disse, poi corse via seguita da Bisbiglio.

Rientrai dal cancelletto e oltre la finestra del soggiorno vidi papà, tutto preso a dipingere le pareti.