All’ora di pranzo andai nel giardino di Mina. Era seduta nel prato, su una coperta stesa sotto un albero. Aveva libri, blocchetti, matite e tempere sparsi tutto intorno. Non ero andato di nuovo a scuola. Avevo passato tutta la mattina a ripulire la giungla. Papà aveva lavorato in salotto scrostando e dipingendo le pareti per prepararle per la tappezzeria.
«Ecco l’uomo misterioso» disse. «Ciao di nuovo».
Aveva un libro aperto sull’immagine dello scheletro di un uccello. Lo stava copiando sul blocchetto.
«Stai studiando scienze?» chiesi.
Lei rise.
«Vedi come la scuola ti chiude? Io qui disegno, dipingo, leggo, osservo. Sento il sole e l’aria sulla pelle. Ascolto il canto del merlo. Apro la mente. Aah! Scuola!»
Prese un libro di poesie dalla coperta.
«Ascolta» disse.
Si tirò su a sedere, tossì per schiarirsi la voce e aprì il libro.
«Ma in un mattino estivo andare a scuola, questo tutti i piaceri porta via; sotto un occhio crudele, che li logora, i piccoli trascorrono il giorno a sospirare di sconforto e noia».
Chiuse il libro.
«È sempre William Blake. Hai mai sentito parlare di William Blake?»
«No».
«Dipingeva quadri e scriveva poesie. La maggior parte del tempo se ne stava senza vestiti. Vedeva gli angeli in giardino».
Mi fece segno di avvicinarmi. Scavalcai il muretto e mi sedetti accanto a lei sulla coperta.
«Fai piano» sussurrò. «Fai molto, molto piano. Ascolta ».
«Ascolta cosa?»
«Ascolta e basta».
Ascoltai. Sentivo il traffico su Crow Road e sulle strade più in là. Sentivo gli uccellini cantare. Sentivo la brezza negli alberi. Sentivo il mio stesso respiro.
«Cosa senti?»
Glielo dissi.
«Ascolta meglio. Ascolta con più attenzione. Cerca di sentire un rumorino, piccolissimo e dolcissimo».
Chiusi gli occhi e ascoltai di nuovo.
«Cosa devo ascoltare?»
«Viene da sopra di te, da dentro l’albero».
«Da dentro l’albero?»
«Ascolta e basta, Michael».
Cercai di concentrarmi sull’albero, sui rami e le foglie, sui piccoli germogli che sbucavano dai rami. Sentii germogli e foglie muoversi nella brezza.
«Viene dal nido» disse. «Ascolta».
Ascoltai e finalmente lo sentii: uno squittio minuscolo, lontano, come se venisse da un altro mondo.
Trattenni il respiro.
«Sì!» sussurrai.
«I piccoli» disse lei.
Una volta individuato il suono, una volta saputo che cos’era e dov’era, riuscii a sentirlo anche insieme a tutti gli altri rumori più forti. Potevo anche aprire gli occhi. Potevo anche guardare Mina. Poi li richiudevo e riuscivo a sentire i piccoli di merlo che cinguettavano nel nido. Riuscivo a immaginarmeli, stretti stretti fra loro.
«Hanno ossa più delicate delle nostre» disse Mina.
Aprii gli occhi. Stava di nuovo copiando lo scheletro.
«Sono quasi vuote. Lo sapevi?»
«Sì, forse».
Prese un osso che stava vicino a uno dei suoi libri.
«Crediamo che questo fosse di un piccione». Spezzò l’osso, che fece delle schegge. Mi fece vedere che dentro non era pieno, ma aveva una specie di rete di gallerie sottili come aghi. «La presenza di cavità di aria all’interno dell’osso è nota come pneumatizzazione. Prova a toccare».
Mi appoggiai l’osso sul palmo. Guardai gli spazi che aveva dentro, sentii le schegge.
«Anche questo è un risultato dell’evoluzione» disse. «L’osso è leggero, ma forte. Si è adattato in modo che l’uccello potesse volare. In milioni di anni, l’uccello ha sviluppato un’anatomia che glielo permette, mentre noi no, come sai dai disegni dello scheletro che hai fatto l’altro giorno».
Mi guardò.
«Lo capisci? L’avete fatto questo, a scuola?»
«Penso di sì».
Mi osservò bene.
«Un giorno ti racconterò di un essere chiamato Archaeopteryx » disse. «Come sta la bambina?»
«Vedremo questo pomeriggio. Ma penso che non ci siano problemi».
«Bene».
Unì le mani, soffiò tra i pollici e fece il verso del gufo.
«Fantastico!» disse. «Fantastico!»
«Ho fatto questo verso la notte scorsa» dissi. «Appena dopo l’alba, quasi di mattina».
«Davvero?»
«Stavi guardando dalla finestra? L’hai fatto anche tu, il verso?»
«Non ne sono sicura».
«Eh?»
«Io sogno. Sono sonnambula. A volte faccio cose per davvero e credo di averle sognate. Altre volte le sogno e penso che siano successe veramente».
Mi fissò.
«La notte scorsa ti ho sognato» disse.
«Sul serio?»
«Sì, ma non è importante. L’altra volta mi hai detto che avevi qualcosa di misterioso da farmi vedere».
«Infatti».
«Allora fammelo vedere».
«Non adesso. Questo pomeriggio, magari».
Mi osservò come se mi guardasse dentro.
«Eri in giardino» disse. «C’era una luce quasi soprannaturale. Eri molto pallido. Avevi ragnatele e mosche dappertutto. Facevi ‘huu’, proprio come un gufo».
Ci fissammo.
Papà mi chiamò.
«Michael! Michael!»
«Ci vediamo dopo, nel pomeriggio» le sussurrai.