La coperta e i libri erano ancora sul prato, ma lei no. Guardai in cima all’albero, ma non era neanche lì. Scavalcai il muretto, andai alla porta sul davanti e suonai il campanello. Venne ad aprire sua madre.
«C’è Mina?» chiesi.
Aveva gli stessi capelli della figlia, neri come il carbone. Portava un grembiule coperto di macchie di vernice e di creta.
«Sì. Tu devi essere Michael. Io sono la signora McKee» disse, tendendo la mano.
Gliela strinsi.
«Mina!» gridò. Poi mi chiese: «Come sta la bambina?»
«Molto bene. Be’, almeno lo speriamo».
«I bambini piccoli sono testardi. Lottano, combattono. Di’ ai tuoi che li penso tanto».
«Certo. Grazie».
Mina venne alla porta. Anche lei aveva un grembiule macchiato di vernice.
«Stiamo modellando» disse. «Vieni a vedere».
Ci fece strada fino alla cucina. Sul tavolo c’erano grosse palle di creta in buste di plastica. Il tavolo era coperto da un foglio di nylon. C’erano coltelli e utensili di legno. Il blocchetto per disegni di Mina era aperto alla pagina del merlo. Mi mostrò la creta che stava usando. Era ancora un pezzo qualsiasi, ma già riuscivo a vedere la forma di un uccello: un corpo largo, un becco appuntito, una coda piatta. Ne aggiunse altra, pizzicò il corpo e cominciò a far uscire le ali.
«Adesso Mina si è fissata sugli uccelli» disse la signora McKee. «Certe volte si fissa sulle cose che nuotano, altre su quelle che scorrazzano di notte, altre ancora su quelle che strisciano, ma in questo momento le interessano quelle che volano».
Mi guardai intorno. C’era uno scaffale pieno di statuine di creta: volpi, pesci, lucertole, ricci, topolini. Poi un gufo, con la grande testa tonda, il becco appuntito, gli artigli feroci.
«Li hai fatti tu?» chiesi.
Mina rise.
«Sono fantastici» dissi.
Mi fece vedere come avrebbe modellato la creta se l’uccello fosse stato in volo e come riusciva a modellare le piume con un coltello appuntito.
«Una volta cotto e verniciato lo appenderò al soffitto».
Presi un pezzo di creta. La strofinai fra le dita e la arrotolai fra i palmi. Era dura e granulosa. Mina si leccò un dito, strofinò la creta e mi mostrò come si faceva a farla diventare lucida e liscia. La guardai e copiai i suoi movimenti. Lavorai di nuovo la creta, la modellai nella forma di un serpente, poi la schiacciai ancora e feci la forma di una testa umana.
Pensai alla bambina. Cominciai a modellare la sua forma delicata, le braccia e le gambe, la testa.
«Come magia, eh?» disse Mina.
«Come magia, sì».
«A volte sogno di farli così reali che scappano o mi volano via dalle mani. Voi a scuola usate la creta?»
«A volte. Solo in una materia».
«Michael ogni tanto potrebbe venire a lavorare con noi» disse Mina.
La signora McKee mi guardò. Gli occhi erano penetranti come quelli di Mina, ma più dolci.
«Certo» disse.
«Gli ho detto che cosa pensiamo delle scuole».
La signora McKee rise.
«E gli ho parlato di William Blake».
Continuai a modellare la bambina. Cercai di formare i tratti del suo viso. Col calore delle dita, la creta cominciò a seccarsi e a sbriciolarsi. Incrociai lo sguardo di Mina e con gli occhi cercai di dirle che dovevamo andare.
«Posso uscire a fare una passeggiata con Michael?» disse subito lei.
«Sì. Metti la creta nella plastica, così quando rientri puoi continuare».