Quella mattina, subito dopo colazione, passò la signora Dando. Era in bici e stava andando verso la scuola. Riferì che i miei compagni erano impazienti di rivedermi.
«Dicono che sei il migliore della scuola nei contrasti».
Papà le fece vedere tutto il lavoro che avevamo fatto in casa. Le mostrammo la giungla. Lei disse che tutto sarebbe stato splendente e nuovo per quando la bambina fosse tornata. Si tolse la sacca dalla schiena e tirò fuori un orsetto nero di peluche tutto morbido. Lo diede a papà, per la bambina.
«Per te invece c’è questo» rise. «Scusa!»
Era una cartellina di compiti da parte di Rasputin e dell’Orango: fogli con spazi da riempire e quesiti a cui rispondere. C’era un biglietto della signorina Clarts: ‘Non ti do compiti veri, ma scrivi un racconto. E guarisci presto!’ C’erano anche diversi fogli con problemi di matematica e un romanzo intitolato Julius e il deserto, con un bollino rosso sul retro.
Guardandola allontanarsi sulla bici, papà rise.
«Mai un attimo di respiro, eh?» disse. «Ci penso io a pitturare e al resto. Tu fai i compiti».
Presi una biro e andai con i compiti fino al giardino di Mina. Era seduta con sua madre sulla coperta, sotto l’albero. La madre leggeva e lei scribacchiava veloce su un blocchetto nero. Quando mi vide, mi sorrise e mi fece segno di scavalcare il muretto.
Mina diede un’occhiata ai miei fogli.
Si pensa che l’uomo sia d_______ dalle scimmie.
È la teoria dell’E_______.
Tale teoria fu elaborata da Charles D________.
Erano pieni di frasi simili a queste. Mina si mise a leggerle ad alta voce. Quando arrivava agli spazi diceva: «Puntini, puntini, puntini» con voce cantilenante.
Dopo le prime tre si fermò e mi guardò.
«Ma sono queste le cose che fate tutto il giorno? Sul serio?»
«Mina!» disse la madre.
Lei ridacchiò e sfogliò il romanzo. Parlava di un ragazzino che raccontava storie magiche che poi si rivelavano vere.
«Sì, sembra bello» disse. «Ma perché c’è questo bollino rosso?»
«Perché è per lettori esperti» risposi. «Dipende dall’età ».
«E se c’è qualcun altro che vuole leggerlo?»
«Mina!» ripeté la madre.
«E allora William Blake per che età è? ‘Tigre! Tigre! Che splendi, che bruci, nelle foreste della notte’. È per i lettori esperti o scarsi? Quanti anni bisogna avere per leggerlo? »
La guardai. Non sapevo cosa dire. Avrei voluto scavalcare di nuovo il muretto e tornarmene a casa.
«E se fosse per i lettori scarsi, quelli esperti non si degnerebbero di leggerlo perché per loro sarebbe troppo stupido?» continuò.
«Mina...!» Sua madre mi sorrise con gentilezza. «Non badarci. A volte fa un po’ la maestrina».
«Ma sentila...» disse lei.
Tornò a scribacchiare sul suo blocchetto nero, poi alzò lo sguardo e mi disse: «Dai, su. Fai i compiti, da bravo alunno».
Sua madre mi sorrise di nuovo.
«Io torno dentro. Se ricomincia a darti contro dille pure di chiudere il becco, okay?»
«Okay» dissi.
Quando se ne andò, restammo zitti per un’eternità.
Feci finta di leggere Julius e il deserto, ma era come se le parole fossero morte e senza significato.
«Cosa stai scrivendo?» chiesi alla fine.
«Il mio diario. Parlo di me, di te e di Skellig».
Non alzò lo sguardo.
«E se lo legge qualcuno?»
«Perché dovrebbero? Lo sanno che è mio e che è privato ».
Ricominciò a scribacchiare.
Pensai ai nostri diari a scuola. Li scrivevamo una volta alla settimana. Ogni tanto la signorina Clarts controllava che fossero in ordine e che ortografia e punteggiatura fossero giuste. Anche per il diario ci dava i voti, come per la frequenza, la puntualità, la condotta e tutto il resto che facevamo. Non dissi niente di questo a Mina e continuai a fare finta di leggere il romanzo. Mi vennero le lacrime agli occhi. Le lacrime mi fecero pensare alla bambina e quello a sua volta mi fece venire ancora più voglia di piangere.
«Scusa» disse Mina. «Davvero. Una delle cose che detestiamo delle scuole è il sarcasmo usato a vanvera. E poi mi metto a fare la sarcastica io stessa».
Mi strinse la mano.
«Sono esaltata. Io, te e Skellig. Dobbiamo andare da lui. Ci starà aspettando. Che cosa gli portiamo?»