Il giorno dopo tornai a scuola. Rasputin iniziò la lezione dandomi il bentornato. Disse che mi ero perso parecchio, ma che pensava che ce l’avrei fatta a recuperare. Gli dissi che avevo studiato l’evoluzione e che avevo scoperto l’esistenza dell’Archaeopteryx. Lui fu stupito.
«Secondo lei fra gli umani ci possono essere cose come l’Archaeopteryx?»
Lui mi guardò in modo strano.
«Umani che si stanno trasformando in creature capaci di volare?» continuai.
Sentii Coot ridacchiare alle mie spalle.
«Raccontagli della ragazza scimmia» disse.
«Che cosa?» disse Rasputin.
«La ragazza scimmia» disse Coot.
Sentii Leakey che gli diceva di piantarla.
«Forse c’è gente che non si è evoluta» continuò Coot. «Ragazze scimmia e ragazzi scimmia».
Lo ignorai.
«Le nostre ossa dovrebbero diventare pneumatizzate» dissi.
Rasputin venne da me e mi scompigliò i capelli.
«Sarebbero utili anche le ali» disse. «Vedo però che hai letto molto in questi giorni. Molto bene, Michael. E tu smettila di interrompere, Coot. Lo sappiamo tutti chi è la scimmia, qui».
Coot ridacchiò e fece il verso del gorilla mentre Rasputin tornava verso la cattedra. Riprese a spiegare e mi disse che ormai avevamo finito di studiare l’evoluzione e che eravamo passati a ciò che avevamo dentro: muscoli, cuore e polmoni, apparato digerente, sistema nervoso e cervello.
«Cerca di non fare altre assenze, Michael» aggiunse. «Non devi perderti altre lezioni».
«No, prof» dissi.
Lui allora srotolò un lungo manifesto col disegno di un uomo sezionato, con polmoni e cuore rosso vivo visibili nel petto, lo stomaco e l’intestino, la rete di vasi sanguigni e di nervi, muscoli rossicci e ossa bianche, cervello blu grigiastro. Ci guardava con occhi cavernosi. Qualcuno dei miei compagni rabbrividì per il disgusto.
«Voi siete così» disse Rasputin.
Coot ridacchiò.
Rasputin lo chiamò alla cattedra. Fece finta di strappargli via la pelle e di aprirgli il petto.
«Sì» disse. «Dentro siamo tutti uguali, per quanto possa sembrare orribile l’esterno. Questo è ciò che vedremmo se potessimo aprire il signor Coot». Sorrise. «Certo, ci sarebbe molto meno ordine rispetto al disegno».
Coot tornò velocemente al banco.
«Ora vorrei che vi metteste la mano sulla parte sinistra del torace, così» disse Rasputin. «Sentite il battito del cuore...»
Facemmo come diceva. Sapevo quanto sarebbe stato stupido dire a Rasputin che sentivo due battiti, quello della bambina e il mio.
«Questo è il nostro motore» disse lui. «Batte giorno e notte, quando siamo svegli e quando dormiamo. Non abbiamo bisogno di pensarci. Anzi, di solito nemmeno ci facciamo caso. Ma se si fermasse...»
Coot fece un verso come se lo stessero strozzando.
«Esatto, signor Coot». Poi Rasputin fece lo stesso verso e stramazzò sulla cattedra.
Mi guardai intorno. Metà dei miei compagni erano sdraiati sui banchi e facevano finta di essere morti.
Leakey mi stava guardando e si vedeva che voleva che tornassimo amici.
In cortile, all’ora di pranzo, giocando a calcio ce la misi tutta. Feci scivolate e colpi di testa in tuffo. Scartai, feci finte e rovesciate pazzesche. Segnai quattro gol, feci tre assist e la mia squadra vinse alla grande. Alla fine avevo un grosso squarcio nei jeans, sulla gamba. Le nocche della mano sinistra erano tutte sbucciate. Mi colava il sangue da un taglietto sopra l’occhio. Rientrando, quelli della mia squadra vennero da me e mi dissero che non avevo mai giocato così bene. Mi dissero che non dovevo più fare assenze. Avevano bisogno di me.
«Tranquilli» disse Leakey. «Stavolta non ce lo toglie più nessuno, eh, Michael?»
Nel pomeriggio avevamo la signorina Clarts. Scrissi una storia che parlava di un ragazzo che esplorava dei magazzini abbandonati giù al fiume e che trovava un barbone puzzolente che però sotto la giacca consumata aveva le ali. Gli dava da mangiare panini e cioccolato e quello riprendeva le forze. Il ragazzo aveva un’amica di nome Kara. L’uomo insegnava al ragazzo e a Kara cosa si provasse a volare e poi se ne andava, planando oltre l’acqua con le grandi ali.
Vidi che la signorina Clarts aveva le lacrime agli occhi mentre seduta vicino a me leggeva la storia.
«È bella, Michael» mi disse. «Stai davvero formando un tuo stile. Ti sei esercitato a casa?»
Feci sì con la testa.
«Bene. Hai un vero dono. Coltivalo».
Fu subito dopo che la segretaria, la signora Moore, entrò e sussurrò qualcosa alla signorina Clarts. Poi tutte e due mi guardarono. La signora Moore mi chiese di seguirla un attimo. Andando verso di lei tremavo. Mi misi la mano sul petto e sentii il cuore. La signora Moore mi accompagnò per i lunghi corridoi verso il suo ufficio. Mi disse che mio padre era al telefono e voleva parlarmi.
Alzai la cornetta mordendomi le labbra.
Lo sentii ansimare, singhiozzare.
«È la bambina?» chiesi.
«Sì. C’è qualche cosa che non va. Devo andare in ospedale a chiarire».
«Qualche cosa?»
«Diverse cose, Michael. Vogliono parlare con me e tua madre, insieme».
«E non con me?»
«Ho parlato con la madre di Mina. Puoi cenare da loro e aspettarmi lì fino a quando torno. Non ci metterò molto. Quasi non ti accorgerai che sono andato via».
«Ma la bambina guarirà?»
«Credono di sì. Sperano. Comunque sia, stanotte non succederà niente. Faranno tutto domani».
«Avrei dovuto restare a casa. Avrei dovuto pensare a lei».
«Le darò un bacio da parte tua».
«E anche a mamma».
«E anche a mamma. Sei molto coraggioso, Michael».
‘E invece no’ pensai sentendomi tremare. ‘Proprio no, cavolo’.