Ricette scoperte grazie a zia Pauline e lady Godiva

Quando, nel 1916, Gertrude Stein cominciò a guidare zia Pauline per conto dell’American Fund for French Wounded, si rivelò un’autista responsabile, se non proprio esperta. Sapeva far di tutto, tranne marcia indietro. Disse che si sarebbe comportata come l’esercito francese, non si sarebbe mai messa nella situazione di dover fare una cosa del genere. Far consegne negli ospedali di Parigi e dei sobborghi non presentava difficoltà, perché il traffico civile era praticamente inesistente. Un giorno ci fu chiesto di portare dei pacchi in un ospedale militare a Montereau, dove ci saremmo poi fermate per colazione. L’incombenza ci prese parecchio tempo, e quando arrivammo nel cortile della locanda che ci era stata consigliata lo trovammo pieno di automezzi militari. Quando Gertrude Stein propose di lasciare zia Pauline, così era stato battezzato (con vino bianco, non champagne) il nostro furgone, all’ingresso del cortile, io protestai. Avrebbe sbarrato l’uscita. Ma non possiamo lasciarlo in strada, disse lei. Sarebbe veramente tentare la fortuna. La grande sala da pranzo era piena di ufficiali. La colazione fu molto buona, considerato il fatto che si era in tempo di guerra. Stavamo aspettando il caffè quando un ufficiale venne al nostro tavolo e, con un saluto militare, disse, È vostro il furgone con la Croce Rossa all’entrata del cortile? Oh sì, rispondemmo noi all’unisono, orgogliose. Purtroppo blocca l’uscita, disse lui, e i nostri automezzi non riescono a passare. Temo di essere costretto a chiedervi di fare marcia indietro. Oh no, esclamò Gertrude Stein, questo non posso proprio farlo. Come se le avesse chiesto di commettere un peccato mortale. Forse, continuò lui, se veniste con me potrei aiutarvi. E così fu. Ma nemmeno quell’episodio riuscì a convincere Gertrude Stein a imparare a fare marcia indietro.

Se zia Pauline ci aveva portato a Montereau durante la sua prima avventura, dopo fece anche di meglio. Il comitato dell’American Fund ci aveva chiesto di aprire un deposito per la distribuzione a vari dipartimenti con sede centrale a Perpignan. Zia Pauline, Modello T, che Dio la benedica, non andava a più di cinquanta all’ora, e così arrivavamo sempre alle locande, agli alberghi e ai ristoranti in ritardo per i pasti. Ma a Saulieu ci servirono per colazione panade veloutée, crocchette di prosciutto e pêches flambées. Tutto cotto molto bene, con attenzione e delicatezza. Mi feci dare la ricetta delle

PESCHE ALLA FIAMMA

È preferibile usare pesche fresche, però vanno bene anche quelle in scatola. Prendetene 6, fresche, e immergetele per qualche minuto in acqua bollente, poi sbucciatele. Cuocetele in 1 tazza e mezzo d’acqua a fuoco lento per 3 o 4 minuti. Mettetele in uno scaldavivande, aggiungete un quarto di tazza di zucchero e tre quarti di tazza di brandy di pesche. Portate in tavola e accendete il fuoco sotto lo scaldavivande. Quando lo sciroppo starà per bollire, dategli fuoco e versatelo sulle pesche. Servite le pesche alla fiamma. È un dolce semplice, saporito e di grande effetto.

Entrando in sala da pranzo, avevo notato un uomo il cui aspetto mi aveva preoccupato, aveva tutta l’aria di un tedesco. Di tanto in tanto succedeva che qualche ufficiale tedesco prigioniero scappasse. Quando il maître d’hôtel venne a ricevere i nostri complimenti per l’ottima cucina, gli chiesi chi fosse quell’uomo e lui disse che si trattava del proprietario dell’albergo, appena tornato dalla Germania dov’era stato trattenuto come prigioniero civile. Per molti anni era stato lo chef del Kaiser, il che spiegava non soltanto l’ottima qualità della sua cucina ma anche gli abiti che mi avevano tratta in inganno.

Zia Pauline impiegò parecchi giorni a portarci a Lione, dove avremmo fatto colazione al famoso ristorante della Mère Fillioux. Lione era un centro gastronomico famoso per certi piatti, e il menu della Mère Fillioux era tipico della città. A Lione e nei dintorni, negli alberghi e nei ristoranti, c’è l’abitudine di presentare menu completi chiamati le diner fin e le dejeuner fin, la cena e la colazione di prima scelta. Gustammo la colazione di prima scelta, composta da lavarets au beurre, cuori di carciofo con fegato grasso tartufato, cappone al vapore con quenelles e tarte Louise. I mercati e i negozi di Lione offrono un’eccellente scelta di cibi. Il pesce servito a colazione viene pescato la mattina stessa, frutta e verdura sono appena colte, cosa importantissima per la preparazione dei piatti. La Mère Fillioux era una donna piccola e robusta in grembiulone bianco inamidato, con in mano un coltello corto e stretto ma dall’aspetto temibile, che girava tra i tavoli a trinciare il pollo. Un compito che era suo piacere e privilegio, e che non delegava mai a nessuno. Era bravissima. Infilava una forchetta nel volatile al punto giusto con un colpo secco. Né lei né il piatto si spostavano di un millimetro, e via cosce, ali, petti, in meno di un minuto, poi se ne andava. A guerra finita, trinciò per otto di noi un grosso pollo con la stessa tecnica e lo stesso minimo sforzo. Quando la bestia arrivò in tavola, lei si avvicinò e passò una mano a circa tre centimetri sopra i piatti per vedere se erano alla temperatura giusta. Poco dopo tornò da noi, e con il suo coltellino trinciò il volatile più grosso e bianco che avessi mai visto. C’era sempre un pollo intero dedicato a ogni tavolo, anche se occupato da una sola persona. Non badare a piccole economie dava al ristorante un certo tono. Indubbiamente gli avanzi dei polli servivano come ripieno per le quenelles, preparate fresche ogni mattina.

POLLO AL VAPORE MÈRE FILLIOUX

Bisogna usare un pollo della miglior qualità, come si usa il miglior acciaio per fabbricare utensili, una scelta molto intelligente. Infilare con un coltello affilato fette sottilissime di tartufo tra la pelle e la carne, e riempire la cavità del pollo di tartufi, prima di legarlo. Cuocere il pollo al vapore sopra un miscuglio di metà vino bianco e metà brodo di pollo, con sale, pepe e il succo di un limone. Il limone dà un buon profumo alla carne, ma soprattutto la mantiene bianca.

Il pollo di Mère Fillioux era gigantesco, ma così giovane che ci era voluta meno di un’ora per cuocerlo. Me lo disse lei stessa, quando venne al nostro tavolo per tagliarlo. Lo guardò con occhio critico, poi con espressione orgogliosa. Era una vera artista.

Alla fine zia Pauline ci portò a Perpignan, dove ci mettemmo al lavoro. Nel tranquillo albergo che avevamo scelto c’era una sala dei banchetti, chiusa durante la guerra. Mi misi d’accordo con il proprietario per usarla come deposito nel quale immagazzinare i materiali già arrivati alla stazione e da dove organizzarne la distribuzione. Avremmo sistemato un divisorio in un angolo in modo da ottenere un ufficio per ricevere i medici e le infermiere che sarebbero venuti da noi con l’elenco delle cose di cui avevano bisogno. L’albergo era delizioso. Vigevano le restrizioni del tempo di guerra, e bisognava adattarsi ad alcune privazioni, ma ciascun ospite era vezzeggiato da uno o più membri della famiglia, composta da quattro persone. La cucina era eccellente, meridionale, non provenzale ma catalana. Il Rossiglione faceva parte della nazione francese da poco più di 150 anni. Una delle specialità del posto era un dolce che ci veniva servito di frequente e che si chiamava

MILLASON

Versare lentamente 2 tazze di latte bollente su 1 tazza e mezzo di farina gialla e 1 tazza di zucchero. Mescolare attentamente in modo da prevenire la formazione di grumi. Il composto dovrà risultare molto uniforme. Far bollire mescolando continuamente per circa 20 minuti, fino a che si otterrà una buona consistenza. Versare in una terrina, aggiungere 2 uova sbattute, 4 cucchiai di burro fuso e 1 cucchiaio di acqua di fiori d’arancio. Versare su un grosso piatto imburrato e quando il composto si sarà raffreddato a sufficienza farne dei tortini e friggerli in padella con olio finché saranno dorati su entrambi i lati. Cospargere di zucchero in polvere e servire caldi.

I millason di Perpignan erano piuttosto grossi. Più piccoli, sarebbero stati più gradevoli alla vista. Mi sorprese vedere che assomigliavano al nostro pane di granturco fritto, originario del sud degli Stati Uniti.

A Perpignan abbondavano certe aragostine tenere e a buon mercato. Venivano cucinate in una salsa ricca e densa, e un giorno il giovanissimo cameriere dell’albergo, in attesa della chiamata alle armi da un momento all’altro, nell’ansia di servirci bene e in fretta versò la salsa proprio sulla mia nuova divisa della quale ero terribilmente orgogliosa.

ARAGOSTE DI PERPIGNAN

Cuocere 4 piccole aragoste di non più di mezzo kg ciascuna in acqua bollente, salata, per 18 o 20 minuti. Intanto, sciogliere in una casseruola 4 cucchiai di burro e cuocervi 1 grossa carota tagliata a fettine sottili, 2 cipolle di media grandezza, una con infilato un chiodo di garofano, e il bianco di 1 porro. Quando saranno ricoperti di burro, cospargerli con un cucchiaio di farina, mescolare bene. Aggiungere a poco a poco 1 tazza di vino bianco secco caldo e 1 tazza di bouillon caldo, 1 grosso mazzetto di prezzemolo, basilico e finocchio, sale, pepe, un pizzico di caienna, un pizzico di zafferano, 4 spicchi di aglio pestato e 4 cucchiai di passata di pomodoro. Coprire e cuocere a fuoco lento per 1 ora. Tagliare le aragoste longitudinalmente, togliere la polpa, e disporre gli otto pezzi in una teglia calda, togliere la polpa dalle chele e sistemarla negli spazi tra i pezzi di aragosta, nella teglia. Se si preferisce, togliere il prezzemolo, il basilico e il finocchio dalla salsa. Versare la salsa sulla carne delle aragoste nella teglia. Servire ben caldo.

C’erano state difficoltà nell’ottenere la benzina con i coupons dell’esercito. Il maggiore incaricato della distribuzione ci era stato di grande aiuto. A Gertrude Stein non piaceva andare per uffici... li considerava posti tremendi, sia quelli civili che quelli militari. Io l’avevo sostituita, mi ero presentata con i suoi documenti ufficiali e avevo lasciato che il maggiore mi chiamasse Miss Stein. Non avrebbe fatto nessuna differenza, per lui. Eravamo semplicemente due americane che lavoravano per i feriti francesi. Nel periodo di tempo necessario a sistemare tutte le difficoltà diventammo amici. In occasione dell’ultima visita disse: Miss Stein, io e mia moglie saremmo felici di avervi entrambe a cena, una sera. Era arrivato il momento di rivelargli la mia vera identità. Lui si ritrasse nella poltrona e con una violenza che mi spaventò, disse: Madame, c’è qualcosa di poco chiaro in questa faccenda. Le mie spiegazioni non lo rassicurarono del tutto, ma certamente non avrebbe avuto più nulla da obiettare dopo aver conosciuto Gertrude Stein, che mi aspettava di sotto con zia Pauline. Lo pregai di scendere con me per conoscerla. Acconsentì. L’aria allegra e innocente di Gertrude Stein lo rassicurò, ripetè l’invito che venne accettato. Fu una serata deliziosa. Madame de B. stava insegnando a un cuoco del posto a cucinare come secondo lei si doveva.

Durante la guerra, in Francia non è permesso cacciare altro animale se non il cinghiale, che invade i campi e apporta gravi danni alle coltivazioni. Per impedire che questo succeda, si concede ai proprietari terrieri di andare a caccia nei loro fondi. Un contadino aveva preso un cinghiale e aveva portato la sella in dono a Madame de B. E così gustammo

SELLA DI CINGHIALE GIOVANE ARROSTO

Anche il cinghiale giovane viene messo a marinare. Una carota e 1 cipolla tagliate a fettine, 2 scalogni tagliati a metà, sale, pepe, un grosso rametto di rosmarino e vino rosso secco, di buona qualità, quanto basta a coprire la sella, sono i soli ingredienti necessari per una marinata leggera. Sarà sufficiente lasciarvi la carne per quattro ore, girandola due volte. Un’ora prima di mettere in forno, togliere la sella dalla marinata e asciugarla per bene. Passare la marinata al setaccio in una casseruola, togliere le verdure ma lasciare il rosmarino. Arrostire per 18 minuti ogni 500 gr circa di carne nel forno, a 230 gradi per i primi 20 minuti, poi a 180: utilizzando una pirofila che si possa anche portare in tavola si guadagna tempo. Mettere nella pirofila un pezzo di burro che, sciogliendosi, ne copra interamente il fondo. Quando il burro comincerà a friggere, metterci la sella e cospargerla di altri 3 cucchiai di burro fuso. Dopo 20 minuti strofinare sulla carne il rametto di rosmarino. Se nella pirofila non ci sono burro fuso e sugo a sufficienza, aggiungere 4 o 5 cucchiai di marinata calda. Bagnare di sugo ogni 12 minuti, aggiungendo marinata quanto basta. Mentre l’arrosto è nel forno, sbucciare, far bollire e pulire castagne a sufficienza da guarnire l’arrosto con una doppia ghirlanda. Sgrassare il sugo e cuocervi le castagne per 15 minuti. Poi servire accompagnato da:

SALSA PER SELVAGGINA

Far sciogliere 1 cucchiaio e mezzo di burro in una casseruola e friggerlo finché diventerà color oro scuro, aggiungere 1 cucchiaio di farina, mescolare finché diventerà color marrone chiaro. Aggiungere lentamente, a fuoco lento, 1 tazza di marinata calda, il succo di 1 limone, 1 cucchiaio di scorza di limone grattuggiata, 1 cucchiaio di scorza d’arancia grattugiata, un buon pizzico di caienna, tre quarti di tazza di gelatina di ribes.

In una delle stradine secondarie di Perpignan, buie e strette, c’era un piccolo ristorante, molto buono, la cui fama aveva raggiunto anche Parigi. Dopo un’eccellente colazione, decidemmo di chiedere a Madame de B. e al maggiore di cenare con noi in quel locale. Ci consultammo con lo chef e decidemmo per questo menu:

Passato di pollo à la Reine Margot

Anatroccoli con asparagi in salsa vergine

Coupe Dino

Lo chef, generosamente, mi diede la ricetta della salsa vergine che accompagnava gli asparagi verdi cotti al vapore.

SALSA VERGINE

Per 1 persona, mettere 5 cucchiai di burro in una terrina calda, aggiungere un quarto di cucchiaio di sale, battere con una frustra fino a quando il burro farà la schiuma, mettere la terrina sopra acqua molto calda ma non bollente per un istante. Il burro non deve sciogliersi. Aggiungere goccia a goccia, senza mai smettere di sbattere, 1 cucchiaino di succo di limone e 1 cucchiaino di acqua tiepida. Quando gli ingredienti si saranno ben amalgamati, aggiungere 1 cucchiaio di panna montata e servire immediatamente. È una salsa deliziosa col pesce freddo. Davvero speciale.

Avevamo visitato tutti gli ospedali della regione e preparato un rapporto sulle loro future necessità. Dopo l’ultima distribuzione, chiudemmo il deposito di Perpignan e tornammo a Parigi, pronte a svolgere altri compiti. A quel punto, era il 1917, gli Stati Uniti avevano interrotto i rapporti diplomatici con la Germania e avevano dichiarato guerra. Finalmente non eravamo più neutrali. Sulla strada per Nevers, mentre Gertrude Stein cambiava le candele (quando mai non le si cambiava, in quei giorni), ci dissero che un distaccamento di marines era atteso per il pomeriggio. Zia Pauline venne lanciata alla massima velocità, per arrivare in tempo ad accoglierli. La vista dei nostri soldati ci rallegrò moltissimo; non ce li aspettavamo così giovani, forti, allegri, in confronto ai militari francesi, stanchi, esausti. Alcuni ufficiali ci chiesero di incontrare i soldati quella sera stessa per raccontare loro della Francia. Ci rivolsero decine di domande, ma soprattutto li interessava sapere a quanti chilometri dal fronte si trovavano e perché gli automezzi francesi facevano tanto rumore. Le nostre risposte li delusero un po’, ma la serata fu molto bella, eccitante. Era il loro primo contatto con la Francia e il nostro primo contatto con l’esercito americano.

Giunte a Parigi, lo AFFW ci propose di aprire un deposito a Nîmes, dove avrebbero inviato ad attenderci parecchi carichi di materiale. A casa, non trovammo una situazione molto incoraggiante. Durante la nostra assenza, la fedele e competente Jeanne si era sposata. Una bravissima cuoca, che lavorava a ore, acconsentì a cucinare per noi nei pochi giorni che avremmo passato a Parigi. Carne, burro, uova, gas ed elettricità erano severamente razionati. Una piccola riserva di carbone e candele assortite ci procurò un po’ di luce e calore. Ernestine riusciva a fare miracoli con le nostre poche provviste, il che ci permise di invitare a colazione alcuni esponenti del Field Service e infermiere volontarie in licenza a Parigi. Per l’occasione Ernestine preparò

KNEPPES

Togliere la pelle e i nervi a 500 gr circa di fegato di vitello, tritarlo finemente, farne un impasto con 3 scalogni pestati e 1 spicchio d’aglio previamente cotti nel burro, sale, pepe, 3 cucchiai di farina, un pizzico di macis. Aggiungere, uno alla volta, 2 tuorli d’uova. Quando il composto sarà ben amalgamato, incorporare delicatamente le chiare di 2 uova montate ma non asciutte. Lasciar cadere l’impasto a cucchiaiate in acqua salata bollente e far bollire per mezz’ora. Saliranno alla superficie. Scolarli. Mettere in un piatto di portata e versarci sopra mezza tazza di burro fuso dorato e 2 cucchiai di pane grattugiato.

Ernestine disse di aver imparato questo piatto da un cuoco belga, ma noi sospettammo che l’uomo avesse origini alsaziane. Ernestine ci cucinò anche le

ANIMELLE ALLA NAPOLETANA

Immergere due animelle in acqua fredda per un’ora. Sciacquare e bollire per 10 minuti in acqua salata. Sciacquare, spellare, tagliare a fette e farle dorare leggermente in una casseruola con 4 cucchiai di burro. Aggiungere una tazza di sherry, 1 tazza di bouillon, 1 cucchiaio di passata di pomodoro, sale, pepe, mezza tazza di prosciutto a cubetti. Coprire e cucinare a fuoco lento per 20 minuti. Preparare 4 fette sottili di mortadella tritate fini, 1 cipolla grande tritata, rosolare insieme in 2 cucchiai di burro in una pentola di ferro, aggiungere 200 gr. di riso ben lavato, girare con un cucchiaio di legno finché il riso ha assorbito tutto il burro. Aggiungere 1 tazza di bouillon bollente. Continuare a mescolare finché il bouillon è del tutto assorbito, poi aggiungere 100 gr di funghi tritati fini e 1 cucchiaio di passata di pomodoro, aggiungere una tazza di bouillon bollente, sale, pepe, un pizzico di zafferano. Continuare a mescolare aggiungendo lentamente ancora 2 tazze di bouillon bollente. Quando il riso ha assorbito tutto il bouillon, dovrebbe essere cotto a sufficienza. Aggiungere mezza tazza di parmigiano grattugiato e servire con le animelle.

Il miglior albergo di Nîmes era conciato male. Il proprietario era stato ucciso in guerra, lo chef era stato chiamato alle armi, il cibo era molto mediocre e monotono. Zia Pauline era stata requisita dall’esercito e adibita al servizio feriti. Gertrude Stein aiutava a evacuare i feriti che arrivavano a Nîmes sui treni della Croce Rossa. Il materiale della nostra unità era servito a mettere in piedi e a rifornire una piccola sala operatoria per il pronto soccorso. Le monache della Croce Rossa, nella miglior tradizione francese, servivano ai feriti grosse tazze di

CIOCCOLATA CALDA

100 gr di cioccolata sciolta per 1 litro di latte caldo. Portare a bollore e cuocere lentamente per mezz’ora. Poi sbattere per 5 minuti.

Le suore ne preparavano in quantità in giganti paioli di rame, ed erano costrette a usare una frusta enorme, pesante. Facevamo a turno.

Monsieur le Préfet e sua moglie Madame la Préfète – li avevamo conosciuti e trovati molto simpatici – ci mandarono a dire che era in arrivo un reggimento di soldati americani e che avrebbero gradito averci con loro ad accoglierli alla stazione. Nîmes fremeva per l’eccitazione e diede loro il miglior benvenuto possibile... ghirlande verdi, bandiere dappertutto. Il giorno del Ringraziamento cadeva dieci giorni dopo l’arrivo delle truppe. Perfino le famiglie più modeste invitarono a colazione o a cena i nostri soldati per festeggiare la ricorrenza. Quella sera cenammo con una gran tavolata di soldati dell’accampamento. La direttrice dell’albergo, una bionda grande e grossa, formosa, sedeva a tavola con un gruppo di ufficiali americani. La loro allegria era forse un po’ eccessiva.

Una sera a cena (l’inevitabile merlano con la coda in bocca era sempre il piatto forte) passò davanti al nostro tavolo un uomo dall’aspetto inequivocabilmente tedesco. Questo è veramente troppo, dissi a Gertrude Stein. Come osa un prigioniero in fuga mostrarsi così sfacciatamente in pubblico. Non è affar tuo, lascia che se ne occupino le autorità, rispose lei. Dopo cena, la sempre allegra direttrice mi disse, C’è un signore che chiede di parlare con lei. Glielo mando. Era il tedesco. In perfetto inglese ci chiese di poter parlare a tu per tu con noi un momento, e indicò alcune sedie. Gertrude Stein, sempre allegra, gentile e curiosa, si sedette, ma io no. Vorrei da voi qualche informazione, disse, ma prima permettete che mi presenti. Mi chiamo Samuel Barlow e abbiamo parecchi amici in comune, ma sono qui in qualità di funzionario del servizio segreto, in incognito, naturalmente, per scoprire che cosa sta succedendo tra quella allegra bionda laggiù e gli ufficiali americani. Il Préfet ci ha segnalato il caso. Dice che ha motivo di credere che la donna sia tedesca. Be’, dissi io, sollevata, meno male che non lo è lei, l’avevo scambiata per un prigioniero in fuga. Gli unici abiti civili che possiedo, disse, sono quelli del periodo che ho passato in Germania, prigioniero. Questo pose fine alla mia preoccupazione per i prigionieri tedeschi scappati.

A Natale, la moglie inglese di uno dei più importanti cittadini di Nîmes organizzò, con l’aiuto degli altri inglesi e delle governanti residenti a Nîmes, una cena con ballo per gli ufficiali convalescenti e i militari inglesi di stanza ad Arles. Dopo cena danzammo a turno con gli uomini. Era la serata più allegra che fossimo riusciti a organizzare, ma l’esercito britannico non era in gran forma. Qualche giorno dopo ricevetti la visita della più carina delle giovani governanti inglesi. Mi confidò che dopo la festa c’era stato uno spiacevole incidente. Proprio mentre stava per spegnere la luce in camera sua, aveva sentito battere un colpo alla porta comunicante con la stanza vicina e una voce aveva chiesto, Senta, Miss L., posso venire ad accenderle il fuoco? No, grazie, non ne ho bisogno, aveva risposto lei. Naturalmente non mi è stato possibile riconoscere la voce, disse alla fine, e così non saprò mai di chi si trattava.

Improvvisamente, un giorno, venne dichiarato l’Armistizio e arrivò un telegramma del Comité: Se sapete parlare tedesco, chiudete immediatamente il deposito e venite ad aiutarci con i civili alsaziani. Ci eravamo perse lo spontaneo scoppio di gioia a Parigi il giorno dell’Armistizio, ma adesso saremmo andate nell’Alsazia liberata. Di prima mattina, il cielo ancora pieno di stelle, partimmo a bordo di zia Pauline, con l’intenzione di percorrere i seicento e più chilometri che ci separavano da Parigi prima di notte. Gertrude Stein mangiò la sua parte di pane, burro e pollo arrosto al volante. Parigi era ancora in festa, e le strade cominciavano a riempirsi di soldati francesi diretti verso la Germania occupata, oltre che di parecchi militari e ufficiali alleati.

Ci procurammo un vocabolario tedesco-francese, giubbotti da aviatore foderati di pelliccia, e guanti, pesanti ma caldi, e ci rimettemmo in strada. L’esercito francese si muoveva nella stessa direzione in cui ci stava portando zia Pauline. Vicino a Tulle i muli che trainavano la cucina del reggimento si agitarono, si spostarono verso sinistra e urtarono la povera zia Pauline: un parafango ammaccato, la cassetta degli attrezzi rovesciata e il suo contenuto sparpagliato sulla strada e dentro il fosso. Naturalmente non riuscimmo a recuperare nulla. Quando ripartimmo Gertrude Stein si rese conto che, con il volante così malconcio, guidare sulla strada ghiacciata diventava non solo difficile ma addirittura pericoloso. Arrivammo a Nancy esauste, troppo tardi per la cena, ma molto gentilmente Dorothy Wilde ci procurò due uova d’anatra sode, un cibo del tutto nuovo per noi ma molto soddisfacente. Il giorno dopo, mentre zia Pauline veniva riparata al garage del Comité, potemmo finalmente gustare un pasto senza restrizioni. Come prima portata ci venne servita la

QUICHE DE NANCY

La sera prima preparare la pasta con 1 tazza e 2 cucchiai di farina, 5 cucchiai di burro, un pizzico di sale, 4 cucchiai di acqua. Lavorare il burro e la farina con molta delicatezza, fino a ottenere briciole piccole come chicchi di riso. Impastare su un’asse leggermente infarinata fino a formare una palla, coprire di carta oleata e lasciar riposare per almeno 12 ore. Poi stendere la pasta e sistemarla in una teglia profonda del diametro di circa 30 cm. Mettere sulla pasta mezza tazza di prosciutto tagliato a cubetti. Togliere la pelle a un pezzo di maiale magro salato, tagliarne a cubetti circa 150 gr e metterlo nella teglia dopo averlo cotto in acqua bollente per 10 minuti, scolato e asciugato. Sbattere 3 uova, pepe e sale, con mezza tazza di panna. Versare sul prosciutto e sulla carne di maiale nella teglia. Cospargere con 12 pezzettini di burro. Cuocere nel forno a 230 gradi per 15 minuti, ridurre la temperatura a 150 e cuocere per altri 20 minuti. Togliere dal forno ma lasciare nella teglia per altri 10 minuti.

Dopodiché zia Pauline ci portò, attraverso la terra di nessuno, fino a Strasburgo, dove ancora imperversavano i festeggiamenti per la liberazione. Quella notte c’era una fiaccolata di militari e civili, con le ragazze nei loro bei costumi (l’acconciatura di nastri neri che indossavano dal 1870 era diventata di tutti i colori dell’arcobaleno) e le bande militari. Sembrava un sogno. Eravamo entrate nella terra dell’abbondanza.

La mattina dopo il direttore dell’organizzazione per gli aiuti alla popolazione civile ci mandò a Mulhouse, il centro della zona devastata. Il materiale era già arrivato e ci mettemmo subito al lavoro. Passammo parecchi giorni ad aprire le casse, e a incontrare sindaci, preti cattolici e protestanti provenienti dai villaggi distrutti verso i quali i profughi stavano tornando a piedi, in camion e con qualunque altro mezzo di fortuna. Era tutto molto triste. La loro decisione e il loro coraggio, comunque, ci rincuorarono. Ci preparammo all’inverno che avremmo trascorso distribuendo materiale nei vari villaggi. A Mulhouse trovammo una buona sistemazione, prima nel grande albergo, poi, quando questo fu requisito per gli ufficiali, in un’autentica locanda alsaziana. C’era cibo in abbondanza, caffè vero, grossi prosciutti, latte fresco. C’era sempre gente in coda a guardare e a comprare. Le pâtisseries erano piene di specialità alsaziane e delle classiche torte francesi. I soldati francesi ne mangiavano quantità illimitate e ne mandavano perfino agli amici e ai familiari rimasti in Francia. Nella nostra locanda preparavano una stupenda

MINESTRA DI SCALOGNI E FORMAGGIO

Dorare nel burro su entrambi i lati 1 fetta di pane per persona. Metterle in una zuppiera, cospargerle con 1 cucchiaio di formaggio grattugiato e tenere in caldo. Cuocere a fuoco lento 4 scalogni affettati in 1 cucchiaio di burro, aggiungere 1 cucchiaino di farina. Mescolare con un cucchiaio di legno, aggiungere 1 tazza e mezza di bouillon bollente, coprire e cuocere a fuoco bassissimo, aggiungendo sale e pepe, per mezz’ora. Passare al setaccio, aggiungere 2 cucchiai di panna. Versare sul pane e formaggio nella zuppiera e servire ben caldo.

Gli ingredienti erano di qualità eccellente, ma non c’era una gran varietà di verdure. Erano tutte della famiglia dei cavoli, sauerkraut, verze, cavolini di Bruxelles e cavolfiori. E poi le patate, naturalmente, e la salsa di mele, che veniva considerata una verdura.

A Cernay trovammo un aiutante per la distribuzione del materiale nell’esile abbé Hick, che era tornato dopo l’Armistizio solo per trovare la sua chiesa ridotta a un cumulo di macerie e la canonica, con l’eccezione di una sola stanza, in rovina. Comunque, quando tornammo a distribuire materiale nel suo circondario, ci invitò a colazione da lui. Ci venne incontro sulla porta della sua stanza e disse, Benvenute, accomodatevi in salotto, vi scalderete un po’. Scusate un attimo, vado in camera da letto a lavarmi le mani. E si diresse all’altra estremità della stanza, oltre la tavola imbandita. Poi tornò e disse, Adesso passiamo in sala da pranzo a far colazione. Tutto questo senza la minima traccia d’ilarità. Un profugo aveva preparato la colazione, semplice ma succulenta. La madre dell’abbé aveva mandato del buon vino bianco da Riquewehr, dove viveva.

La domenica facevamo spesso colazione con gli ospitali abitanti di Mulhouse, che, poco alla volta, stavano tornando alla vita e alle abitudini d’anteguerra. Tutto alla francese, con grande lusso ed eleganza. In realtà avevano mantenuto le tradizioni di prima del 1870, rifiutando ogni cosa tedesca. Era il ricordo del modo di vivere dei nostri amici francesi di San Francisco ridiventato realtà.

Da Monsieur B. gustammo, con mia grande gioia, una

TARTE CHAMBORD

Sbattere fino a ottenere un composto denso e schiumoso, con un frullino, 8 uova e 1 cucchiaio di zucchero, poi aggiungere, mescolando lentamente e con molta delicatezza, 3 cucchiai di farina passata tre volte al setaccio. Aggiungere 1 tazza e 1 cucchiaio di burro fuso non salato. Cuocere in una tortiera alta e spolverata di farina nel forno portato a 180 gradi per 30 minuti. Togliere dal forno, lasciar riposare per 10 minuti, togliere dalla tortiera, mettere sulla griglia. Quando la torta si sarà raffreddata, tagliarla orizzontalmente quattro volte, formando cinque strati.

CREMA PER LA TORTA

Mescolare con un cucchiaio di legno in una casseruola smaltata 10 tuorli d’uov0 e aggiungere molto lentamente 1 tazza e mezza di zucchero a velo. Continuare a mescolare fino a quando si sarà ottenuto un composto denso color giallo pallido. Cuocere a fuoco lentissimo, aggiungendo 4 cucchiai di burro, per 2 minuti, e quando il burro sarà sciolto togliere dal fuoco, continuando a mescolare. Lasciar raffreddare, poi aggiungere goccia a goccia 3 cucchiai di acqua fredda. Rimettere sul fuoco, mescolando fino a ottenere un composto omogeneo. Togliere dal fuoco, e quando la crema sarà fredda aggiungere goccia a goccia un quarto di tazza di kirsch o curaçao. Spalmare sui vari strati della torta e rimetterli l’uno sopra l’altro. Coprire di crema lo strato superiore e i lati e mettere in frigorifero.

GLASSA DI CAFFÈ

Mettere tre quarti di tazza di caffè nero molto forte in una casseruola smaltata. Aggiungere zucchero a velo quanto basta a preparare una crema molto densa. Cuocere a fuoco lento. Versare sulla torta e coprire lo strato superiore e i lati con una spatola. Cospargere generosamente di pistacchi tritati.

Lavorammo sodo tutto quel freddo inverno per portare avanti la distribuzione all’aperto. Poi un giorno notammo gli alberi da frutta in fiore e le cicogne. A questo punto, l’aiuto per i profughi era organizzato dal governo. Chiudemmo il deposito, salutammo gli ufficiali e le persone che avevamo conosciuto e partimmo per Metz per andare a vedere i campi di battaglia del 1870 e il Verdun. Era ancora un caos. Cercammo di localizzare i punti in cui la difesa del poilus aveva fatto la storia. Era pomeriggio inoltrato quando Gertrude Stein infine chiese: Dove avevi detto che andavamo a mangiare? Adesso ho fame. Salimmo su zia Pauline e lentamente, attraverso i campi, ci dirigemmo verso qualcosa che era stata una strada. Ci imbattemmo in un automezzo militare pieno di ufficiali. Dissero che se li avessimo seguiti potevamo trovare un posto dove mangiare qualcosa – in effetti, ci stavano andando anche loro. Si fermarono davanti a una capanna di lamiera ondulata e l’uomo che presumibilmente abitava lì ci fece una omelette con patate fritte e una tazza di vero caffè, così raro in quei giorni che subito mi resi conto che gli ufficiali dovevano aver portato le loro provviste e le stavano condividendo con noi. E poi mi sono ricordata dei due scatole di dolcetti che la mamma dell’abbé ci aveva fatto recapitare il giorno prima. Così le tirammo fuori dalla zia. Aveva cucinato lei stessa le specialità alsaziane ed erano deliziose. Ne prendemmo qualcuna di ciascun tipo e offrimmo il resto agli ufficiali di cui eravamo state ospiti inconsapevoli. Ecco le ricette:

SCHANKELS O SCHENKELS

Sciogliere mezza tazza di burro, aggiungere lentamente mezza tazza di zucchero, aggiungere lentamente 4 uova, una per volta. Aggiungere circa 5 tazze di farina, a seconda della grandezza delle uova, con un cucchiaino di lievito in polvere e una tazza di mandorle pelate e tritate molto fini. La pasta dev’essere abbastanza ferma da mantenere la consistenza quando lavorata tra le mani per formare salsicciotti grandi come dita. Friggere in abbondante lardo senza sovrapporli. Girare una volta per far dorare su entrambi i lati. Toglierli dal grasso e disporli su una carta assorbente. Cospargere ancora caldi con abbondante zucchero a velo. Sono un ottimo accompagnamento a un bicchiere di vino bianco o a una tazza di caffè. Si mantengono bene in una scatola ben chiusa.

LAEKERLIS

Gli alsaziani sostengono che i Laekerlis sono di loro creazione, ma gli svizzeri rispondono che loro ne hanno di due diversi tipi, uno di Berna e l’altro di Basilea. Questa è la ricetta di Madame Hicks di Riquewehr. Scaldare 900 gr di miele e schiumare, aggiungere 3 tazze e 3 cucchiai di zucchero, 1 cucchiaino di cannella, mezzo cucchiaino di chiodi di garofano, un quarto di cucchiaino di cardamomo in polvere, mezzo cucchiaino di pimento, 1 cucchiaino di macis, un quarto di cucchiaino di anice in polvere, 1 tazza di buccia di arancia tritata fine, un quarto di tazza di buccia di limone tritata fine, mezza tazza di cedro tritato fine e 2 tazze di mandorle tritate fini. Mescolare molto bene e poco alla volta aggiungere 7 tazze di farina passata al setaccio. Stendere su un’asse infarinata fino a uno spessore di 1 cm. Tagliare in rettangoli, disporre su un foglio di carta da forno leggermente imburrato. Se non avete un numero sufficiente di fogli di carta da forno, stendete l’impasto e lasciatelo sull’asse infarinata. Lasciar riposare per 24 ore a temperatura ambiente e poi mettere in forno a 180 gradi. Quando prendono colore, toglierli dalla carta da forno e disporli su una gratella. Ancora caldi, spennellarli con un caramello fatto con 2 tazze di zucchero sciolto in 3 cucchiai d’acqua sul fuoco molto basso. Se si cristallizza durante la cottura, aggiungere un po’ di acqua calda. Sono a lunga conservazione, come dicono i francesi.

Il giorno successivo avevamo in programma una colazione con i nostri amici di Nîmes, Madame T. e il Préfet, ora insediati alla Préfecture di Chalons-sur-Marne. Trascorremmo la notte all’Hôtel Mère Dieu – un sacrilegio in inglese. Chalons-sur-Marne è vicino a Reims e la cantina della Préfecture è rifornita dal governo dei migliori vini della regione. La colazione ci venne servita con cerimonia ed eleganza degna del menu, della cucina e dei vini. Del menu mi ricordo soltanto la

SELLA D’AGNELLO MAINTENON

Mettere una sella d’agnello con sale, pepe e 3 cucchiai di burro in un forno olandese chiuso e poi nel forno tradizionale a 180 gradi. Girare ogni 10 minuti. Contate 10 minuti di cottura per ogni mezzo chilo di carne. A tre quarti di cottura, togliere dal forno, mettere la carne sul tagliere e con un coltello molto affilato tagliare fette molto sottili su entrambi i lati della sella. Fate attenzione a non perdere neanche una goccia del sugo. Dopo aver fatto appassire 1 cipolla tritata nel burro, mettetela in tre quarti di tazza di una béchamel molto densa, con mezza tazza di funghi tritati cotti per 5 minuti nel burro. Mescolare bene tutti gli ingredienti, spalmateli su ogni fetta di agnello, accostate le fette in modo da ricomporre la sella. Coprite la sella con 3 cipolle tritate, burro fuso, pane grattugiato, ancora burro fuso. Sgrassare il sugo rimasto nel forno olandese, versarlo in una pirofila di terracotta precedentemente riscaldata, disponete la sella nel sugo e mettete la pirofila nel forno caldo per dorare la carne.

Servire con cuori di carciofi e piccole patate lesse.

Mentre uscivamo dalla Préfecture, Gertrude Stein mi confidò che mi avrebbe mostrato un carro armato che il Préfet le aveva detto era ancora in un campo lungo la strada per Reims. Non sarebbe stato troppo fuori strada per noi, e valeva certamente la pena vederlo. La zia girava per i campi così bene. Mentre procedevamo sulla statale, la zia e la sua autista erano felici di zigzagare e fare tortuose deviazioni. Il vino di pranzo era certamente da incolpare per la loro mancanza di responsabilità. Ciò nonostante individuarono il campo. Vedemmo il carro armato poi riprendemmo la strada per Hillcrest, dove avremmo trascorso la notte da Mildred Aldrich. Era da lì che aveva visto la prima battaglia della Marna e la ritirata tedesca. Nel suo giardino quella sera scrissi l’ultimo rapporto al Comité.

La mattina dopo tornammo a Parigi, più bella, vitale e inestinguibile che mai. Incominciammo a girare come delle matte, a far visita agli amici e agli amici degli amici. Erano momenti di gioia, alquanto febbrili ma piacevoli e divertenti. Zia Pauline ci portò a pranzi e cene. Casa nostra era piena di gente che andava e veniva. Ci riferivamo a noi stesse come all’autista e alla cuoca. Non avevamo domestici. Avevamo prelevato dai conti in banca grosse somme di denaro per andare incontro ai bisogni dei soldati e delle loro famiglie, e ora il giorno della resa dei conti era arrivato. Vivevamo come zingare, andavamo ovunque abbigliate con capi di fortuna, con una pot-au-feu per i molti amici che avremmo visto. Parigi era piena di alleati, di eserciti, membri della Commissione per la Pace e chiunque potessere ottenere un passaporto. Pranzavamo e cenavamo con molti di loro, alle loro mense, quartier generali, case e ristoranti. Una sera zia Pauline ci portò al Bois de Boulogne per cenare con gli amici nel giardino di uno dei suoi ristoranti. Mentre la cena veniva servita, il maître d’hôtel mi chiese per cortesia di seguirlo, qualcuno desiderava parlarmi. Era un poliziotto, per annunciarmi che i furgoni non erano ammessi nel Bois. Erano stati tollerati durante la guerra, ma adesso si era firmato un Armistizio. E dunque Madame provvedesse a che il suo furgone non comparisse lì mai più. Quando tornai al tavolo stavano servendo un piatto eccellente.

HARICOT
(già, il nome del diciassettesimo secolo)

Prendere una coda di bue, tagliarla a tocchi, metterli in una pentola con del midollo, sale, 1 chiodo di garofano, un rametto di salvia, una foglia di alloro e un poco d’acqua. Quando la carne è a metà cottura aggungere 450 gr di rape a fette, 450 gr di castagne pelate e 10 fette di salsiccia molto speziata. Cuocere finché la carne è tenera e il succo ridotto. Aggiungere 8 fette di pane tostato bagnate con 3 cucchiai di aceto. A qualcuno piace aggiungere delle prugne o uvette. Quella che abbiamo mangiato noi aveva le uvette, precedentemente ammorbidite nell’acqua calda. Sono una piacevole aggiunta e tagliano l’acido dell’aceto.

Nella primavera del 1919 andammo in Normandia a far visita ad alcuni amici. A bordo di zia Pauline, trasportammo un vitello alla fiera locale, e anche il primo raccolto di patate al mercato. Così, al ritorno, fummo costrette a una completa pulizia della macchina. Sulla strada per Parigi ci fermammo a Duclair. L’albergo sulla Senna era famoso per l’eccellente cucina. Fu lì che gustammo la

SOLE DE LA MAISON

Mettere i filetti di sogliola nel latte con sale e pepe. Coprire e cuocere lentamente per circa 15 minuti, a seconda delle dimensioni dei filetti. Scolare. Mettere i filetti su un piatto di portata riscaldato in precedenza e tenere in caldo. Scottare appena 4 ostriche e 4 grossi gamberi per ogni filetto di sogliola. Sistemarli alternatamente sui filetti. Coprire di salsa alla panna, preparata con panna intera e insaporita con 2 cucchiai del miglior sherry secco.

A Duclair qualunque piatto veniva cucinato nella panna: il pollo, i cavoli, tutte le verdure, in realtà, e la maggior parte delle carni. Ci restammo parecchi giorni prima che questa cucina ci venisse a noia. Nella vicina Rouen la panna venne sostituita dal burro. Era un burro di ottima qualità, tanto che ci sembrò consigliabile provvedere affinchè ci venisse spedito regolarmente ogni settimana a Parigi. In una delle migliori latterie ci scoraggiarono. Impossibile contare sulla puntualità dei pacchi recapitati per posta. E così comperai 6 kg di burro da portare a Parigi per noi e i nostri amici. Con mia grande gioia e sorpresa, il burro veniva venduto in confezioni da 500 gr dentro terrine porose della stessa forma di quelle gallo romane che avevamo visto tante volte nei musei. Ne ho conservate due fino allo scorso anno, poi le ho regalate a un’amica che non voleva credere non si trattasse degli originali e non stessi rinunciando per farle piacere a oggetti molto preziosi. Quando tornammo a Parigi i nostri amici ci convinsero che era arrivato il momento di trasformare zia Pauline in un veicolo più adatto all’uso cittadino. Lo stato del motore non giusticava l’acquisto di una nuova carrozzeria. Decidemmo di abbassare la capote troppo alta, e il risultato fu così soddisfacente che la facemmo ridipingere tutta ma, non essendoci date la pena di scegliere un colore, ci venne riconsegnata dipinta di un nero funereo. Il colore e la nuova forma suggerivano inevitabilmente l’idea di un carro funebre... per un enterrement de troisième classe. Avrebbe continuato a essere risible fino alla fine.

A poco a poco ci rendemmo conto che la povera zia Pauline si stava indebolendo. Non era più consigliabile chiederle di spingersi troppo lontano. Andammo a trovare Mildred Aldrich; in estate si faceva colazione in giardino, e d’inverno, in quella deliziosa casetta, Amélie, la sua devota amica, preparava la miglior crème renversée che avremmo mai gustato.

CRÈME RENVERSÉE

Mettere 4 zollette di zucchero in uno stampo di metallo a fuoco molto basso. Quando si saranno sciolte, aggiungere 1 cucchiaino e mezzo di acqua fredda. Inclinare lo stampo in tutte le direzioni in modo che il caramello copra completamente il fondo. Scaldare 2 tazze di latte evaporato con mezza tazza di zucchero. Lasciar freddare. Sbattere 4 uova fino a farne un composto omogeneo e aggiungere 2 cucchiaini di acqua di fiori d’arancio. Passare al setaccio e aggiungere alla crema fredda. Versare nello stampo, e immergerlo a metà in una pentola di acqua fredda. Mettere nel forno a 180 gradi circa per 40 minuti. L’acqua non deve bollire. Quando un coltello immerso nella crema uscirà asciutto, sfornare e togliere lo stampo dall’acqua. Non tentare di rovesciare la crema su un piatto fino a quando sarà ben fredda. È molto buona servita con crema di cioccolata.

Mi sorprese scoprire che Amélie usava il latte in scatola in un paese di eccellente latte fresco. Mi spiegò che era il latte che gli amici di Madame le avevano spedito in gran quantità dopo la guerra. Mi assicurò comunque che il latte fresco non lo sostituiva degnamente. È stata l’unica volta in tutta la mia esperienza in cui una donna francese mi ha consigliato di sostituire i prodotti freschi francesi con prodotti americani in scatola.

Zia Pauline tenne duro per un altro anno, poi un giorno, mentre passavamo davanti all’entrata del Palais du Luxembourg, si fermò all’improvviso. Nulla poterono gli sforzi di Gertrude Stein, non volle più saperne di muoversi. Presto ci si radunò attorno una folla divertita, tra loro una mezza dozzina di poliziotti tutt’altro che divertiti. Uno ci chiese se non sapevamo che ostruire l’entrata di un edificio pubblico costituiva un’infrazione alla legge, tanto più se l’edificio in questione era il Senato, dove si aspettava da un momento all’altro l’arrivo del Primo Ministro. In effetti i militari della scorta erano già lì, in motocicletta, e dietro di loro, una grande automobile, ferma. Saltammo giù dalla povera zia Pauline, la polizia la tolse di mezzo e la macchina entrò nel Palais du Luxembourg: dal finestrino si sporse la bella testa di Monsieur Poincaré, curioso di vedere il perché di tutto quel trambusto. Abbandonammo vigliaccamente la povera zia Pauline e tornammo a casa a piedi. Gertrude Stein telefonò all’officina perché andassero subito a prenderla per ripararla. Il giorno dopo ci richiamarono per dire che non c’era più niente da fare per zia Pauline. Per nulla scoraggiata, Gertrude Stein si recò all’officina in compagnia del nostro buon amico Georges Maratier. Voleva il suo aiuto e i suoi consigli su come procedere. A quel punto, lui disse, la cosa migliore da fare era portare zia Pauline nel garage della casa di campagna dei suoi genitori, dove c’era spazio a sufficienza. Zia Pauline sarebbe rimasta lì a riposo dopo gli onorati anni di servizio in guerra. L’odissea di zia Pauline fu l’argomento delle nostre conversazioni per tutto l’inverno successivo. È ancora in quel garage, ma non ho mai avuto il coraggio di andarla a vedere.

Era impensabile restare senza macchina, dovevamo averne una a costo di qualunque sacrificio. Le Ford erano ancora scarse in Francia, ma Gertrude Stein riuscì a strappare la promessa che le avrebbero consegnato una due posti decappottabile in due settimane. Mentre la stavamo portando nel nuovo box che eravamo riuscite ad assicurarci nelle vicinanze, feci notare che era completamente nuda. Non aveva nulla sul cruscotto, né orologio, né portacenere, né accendino. Godiva, fu la risposta di Gertrude Stein. La nuova macchina venne battezzata senza la presenza di un ministro del culto e senza nemmeno un bicchiere di vino. Dopo un po’, con la pioggia di regali che ricevette, venne meno la ragione del suo nome, ma Godiva rimase tale.

Adesso potevamo di nuovo darci alle gite fuori porta. Sulla strada di Chartres ci imbattemmo in un eccellente, piccolo ristorante che disgraziatamente sparì durante l’occupazione nella Seconda guerra mondiale. Fu lì che gustammo il

POLLO SAUTÉ À LA FORESTIÈRE

Mettere il pollo con tre cucchiai di burro in un forno olandese a fuoco medio, girandolo in continuazione. Quando sarà dorato su tutti i lati, ridurre la fiamma e coprire. Dopo un quarto d’ora aggiungere 250 gr circa di funghi precedentemente cotti in acqua tiepida, puliti e sciacquati, 250 gr circa di grasso di maiale cotto in precedenza per 5 minuti in acqua bollente e ben scolato, sale, pepe. Coprire e lasciar cuocere a fuoco lento per tre quarti d’ora, a seconda delle dimensioni del pollo. Togliere dal fuoco, mettere il pollo su un piatto di portata caldo, togliere i funghi dalla salsa con una schiumarola e disporli intorno al pollo. Sgrassare il sugo e rimettere sul fuoco, aggiungere 1 tazza di buon vino bianco secco e mezza tazza di brodo. Far bollire coperto per 5 minuti. Passare al setaccio e versare sul pollo. Un contorno di patatine novelle è quasi obbligatorio per questo piatto.

Godiva ci portò a Orléans dove, sulle sponde della Loira, gustammo un freschissimo

SALMONE CON SALSA HOLLANDAISE AU BEURRE NOISETTE

Salmone freddo, decorato con pomodori, uova sode (tuorli e albumi pestati separatamente in un mortaio) e cetrioli a fette sottili.

SALSA HOLLANDAISE

La salsa hollandaise è di facile e veloce preparazione se si segue alla lettera questa ricetta infallibile. Mettere 4 tuorli d’uovo e un po’ di pepe e sale in una piccola casseruola a fuoco più lento possibile. Mescolare continuamente con un cucchiaio di legno, aggiungendo goccia a goccia 250 gr circa di burro rosolato. Mettere tre quarti di tazza di nocciole sgusciate nel forno. Quando saranno calde, toglierle dal forno e strofinarle con un panno fino a quando la buccia si staccherà completamente. Pestarle in un mortaio fino a ridurle in polvere, aggiungendo ogni tanto qualche goccia d’acqua per impedire che trasudino olio. Passare a un setaccio di crine. Mettere di nuovo nel mortaio e aggiungere 1 tazza di acqua. Mescolare con un pestello o un cucchiaio di legno. Quando il composto sarà perfettamente omogeneo, cominciare ad aggiungerlo, in piccolissime quantità, ai tuorli d’uovo nella casseruola, senza mai smettere di mescolare. Se il contenuto della casseruola diventa troppo caldo, togliere momentaneamente dal fuoco e aggiungere una piccola quantità di burro per raffreddare il miscuglio prima di rimetterlo sulla fiamma. Quando tutto il burro si sarà incorporato, togliere dal fuoco e mescolare lentamente alla salsa 1 cucchiaio di aceto. Servire in una salsiera.

È una salsa eccezionale. E non ci vuole molto a farla, una volta preparate le nocciole. Non pensate di poter sostituire le nocciole con mandorle, perché sono proprio queste a conferire alla salsa il suo aroma elusivo, diverso.

Anche se Godiva era quella che un amico chiamava ironicamente un’auto da gentiluomini, ci portò nei boschi e nei campi proprio come zia Pauline prima di lei. Raccogliemmo i primi fiori selvatichi, le violette a Versailles, i narcisi a Fontainebleau, i giacinti nella foresta di Saint-Germain. Per queste escursioni amavo preparare due diversi tipi di pranzo al sacco:

PICNIC NUMERO UNO

Far sobbollire un pollo in vino bianco con sale e paprika. Dieci minuti prima che il pollo sia completamente cotto aggiungere mezza tazza di funghi tritati fini. A cottura ultimata togliere e asciugare il pollo. Scolare i funghi. Il sugo può essere conservato in frigorifero ed essere usato come estratto per il brodo. Mettere i funghi in una scodella, aggiungere un’uguale quantità di burro e lavorare in una pasta. È molto buona spalmata sul pane così com’è, oppure mescolarla bene ai tuorli di 3 uova sode e riempirne i bianchi tagliati a metà.

Per dolce farcite dei bignè con fragole zuccherate e pestate.

PICNIC NUMERO DUE

Una tazza di roast beef al sangue tritato finemente, 1 cucchiaino di prezzemolo tritato,1 cucchiaino di scalogno pestato, sale, pepe, 1 cucchiaino di passata di pomodoro, 1 cucchiaino di panna acida, un pizzico di senape. Mescolare bene. Tostare appena su un lato solo 8 fette di pane. Imburrare generosamente i lati non tostati. Spalmare sul lato imburrato di 4 fette di pane il miscuglio di carne. Coprire, il lato imburrato sulla carne, con le restanti 4 fette di pane.

Per accompagnare questi sandwich, preparare foglie di lattuga su cui sistemare animelle bollite e tagliate a cubetti, 1 tazza e mezza per 4 grandi foglie di lattuga. Sulle animelle sistemare 4 tartufi tritati e cotti nello sherry. Arrotolare le foglie di lattuga intorno alle animelle e ai tartufi, tagliare con le forbici e legare con uno spago bianco da cucina in tre punti.

Per dolce, pelare delle mele, estrarre il torsolo, tagliarle a metà. Preparare un caramello con tre quarti di tazza di zucchero e un quarto di acqua portati a bollore per dieci minuti circa. Ricoprire completamente le mele di caramello. Quando asciutte, avvolgerle in quadrati di pasta sfoglia, inumidendo gli angoli per farli aderire. Friggere in tanto grasso finché saranno dorate su tutti i lati. Toglierle dal grasso di frittura e sistemarle su carta assorbente. Mentre ancora calde, spolverare generosamente con zucchero a velo passato al setaccio. Eccellenti calde o fredde.

Godiva ci aveva portato senza problemi in parecchi luoghi nei dintorni di Parigi. Era arrivato il momento di concederle un più vasto campo d’azione. All’inizio della primavera ci avrebbe condotto sulla Costa Azzura. Eravamo state invitate da un amico a Vence. Avevamo intenzione di girovagare lungo la valle del Rodano e vedere dove ci avrebbe portato Godiva. Saremmo partite la mattina presto e avremmo passato la notte a Saulieu, dov’eravamo già state con zia Pauline tanti anni prima. Al nostro arrivo, parcheggiammo Godiva nella piazza a circa trenta metri dall’albergo per andare a visitare la chiesa. Al ritorno Godiva si rifiutò caparbiamente di partire. Che fare? Arrivò un garzone in livrea rossa e ci chiese se avessimo bisogno di aiuto. Forse se avesse dato una spinta (cosa che fece immediatamente) la macchina sarebbe ripartita. Partì. Ma prima di rendercene conto, ci trovammo nel cortile di quello che in seguito scoprimmo essere il concorrente dell’albergo nel quale intendevamo fermarci. Era la prima volta che Godiva dava segno di possedere quell’istinto verso il posto giusto che le avremmo riconosciuto in seguito. Bisogna riconoscere che mai più avrebbe brillato di tanto splendore.

Il Côte d’Or a quei tempi aveva nel proprietario e chef un personaggio addirittura leggendario. Innanzitutto assomigliava a un ritratto di Clouet, un pezzo da museo. Aveva grande esperienza e una profonda conoscenza della storia della cucina francese dai tempi di Clouet ai nostri giorni. Imparai moltissime cose da lui. Quella sera a cena ci rendemmo conto di avere a che fare con uno dei grandi chef francesi. Ogni piatto era semplice e perfetto. Paragonando la preparazione di un piatto alla realizzazione di un dipinto, mi è sempre sembrato che né il cuoco né il pittore possano mai nascondere i loro punti deboli, non importa quanto impegno ci mettano. Qualunque tentativo di minimizzare i difetti dà loro ancora maggiore evidenza. Ma nei piatti dello chef dell’Hôtel de la Côte d’Or non c’erano difetti né punti deboli.

A cena ci servirono

PROSCIUTTO DI MORVAN CON SALSA ALLA PANNA

Tagliare quattro grosse fette di prosciutto, eliminare la cotenna ma non il grasso, e sistemarle in una casseruola. Soffriggerle appena nel burro con 1 cipolla, 1 carota, 1 porro e le foglie di 6 rafani. Aggiungere mezza tazza di Madera o di buon sherry secco e 1 tazza e mezzo di bouillon, sale, pepe e 1 scalogno pestato. Coprire e cuocere a fuoco lento per 2 ore. Far attenzione che non bruci: se la casseruola sarà ermeticamente chiusa non succederà, altrimenti potrà essere necessario aggiungere altro vino e bouillon nelle stesse proporzioni. Trascorse le 2 ore, togliere dal fuoco. Passare il sugo al setaccio, togliere le verdure, mettere da parte il prosciutto. Sgrassare il sugo e cuocerne tre quarti di tazza a fuoco medio senza coperchio. Ridurre a mezza tazza e rimettere il prosciutto nella casseruola. Passarlo bene nel sugo, girare le fette. Aggiungere il resto del sugo passato al setaccio e 1 tazza di panna intera. Portare a ebollizione e lasciar cuocere per 2 minuti, inclinando la casseruola in tutte le direzioni.

Saulieu è nel Morvan, una vecchia regione francese parte della Borgogna, ed è sempre stata famosa per il suo prosciutto, non troppo diverso da quello di York.

Ci fermammo il giorno successivo per pranzo e di nuovo scegliemmo un piatto semplice...

BISTECCA DI VITELLO TRE MINUTI

Chiedete al macellaio di tagliare fette molto sottili di un filetto di vitello, togliere la pelle e il grasso. È bene considerare 2 fette per persona, 8 fette per quattro persone. Rosolare su entrambi i lati in un quarto di tazza di burro in un forno olandese a fuoco alto, salare e pepare. Quando sono ben rosolate, coprire e mettere nel forno preriscaldato a 250 gradi per 5 minuti. Aggiungere una tazza di vino bianco caldo. Prendere la carne dal forno e disporla su un piatto di portata preriscaldato. Sgrassare il sugo, metterlo sul fuoco alto e mescolare bene. Abbassare la fiamma, aggiungere 6 cucchiai di burro a piccoli pezzi, muovendo la pentola in tutte le direzioni. Aggiungere una spruzzata di succo di limone e versare sulla carne. Cospargere sulla carne e sulla salsa 4 cucchiai di prezzemolo tritato. È un piatto delizioso se non ci si attarda nella preparazione.

A Mâcon, quella sera, gustammo per cena:

PASSATO DI CARCIOFI

Lavare bene 6 grossi carciofi, tagliarli verticalmente a metà e togliere la parte spinosa con un coltello ben affilato. Mettere 3 cucchiai di burro in una casseruola. Quando si sarà sciolto, aggiungere i carciofi. Girarli con un cucchiaio di legno fino a quando saranno ben coperti di burro. Aggiungere 3 tazze di acqua calda e 3 tazze di brodo di pollo caldo. Coprire e far bollire per un’ora. Poi aggiungere 2 tazze di patate tagliate a grosse fette. Far cuocere per un’altra mezz’ora. Togliere dal fuoco e con un cucchiaio d’argento grattar via dalle foglie dei carciofi tutta la polpa commestibile. Passarla, insieme ai cuori e alle patate, in uno schiacciapatate e poi in un setaccio sottile. Colare il sugo rimasto nella pentola e aggiungerlo ai carciofi e alle patate. Lavare la pentola e sistemarci le verdure passate e il sugo. Riscaldare a fuoco medio. Se il composto risulterà troppo denso aggiungere dell’altro brodo di pollo. Aggiungere sale e pepe. Prima di servire, ridurre la fiamma e aggiungere 1 tazza di burro a piccoli pezzi. Inclinare la casseruola in tutte le direzioni e servire in una zuppiera riscaldata in precedenza in cui si saranno messi dei crostini molto piccoli e non imburrati. Questa minestra vale lo sforzo e il tempo necessario a prepararla.

A Mâcon sentimmo parlare di un piccolissimo ma eccellente ristorante che si trovava a Grignan, un villaggio di seicento abitanti nella Drome, la regione francese famosa per la sua buona cucina e il paesaggio romantico. Mandammo un telegramma ad alcuni amici, invitandoli a raggiungerci per colazione a Grignan. Il nome aveva un suono familiare... non era forse lo stesso dell’adorata figlia di Madame de Sevigné? Consultando la guida scoprii che lo Château de Grignan era ancora intatto, che lo si poteva visitare e che Madame de Sevigné era sepolta nella chiesa del villaggio. Dopo colazione saremmo andate in pellegrinaggio sul posto. Giunte al villaggio, nel vedere quant’era piccolo il ristorante, ci chiedemmo se saremmo riusciti a entrarci in quattro. Madame Loubet, la proprietaria e cuoca, era una donna di dimensioni modeste. Come molte cuoche di prima categoria aveva gli occhi stanchi e un debole sorriso. Ci sembrò di buon augurio. Disse che per colazione ci sarebbero stati omelette ai tartufi, fricandeau di vitello con tartufi, punte di asparagi e formaggio locale. Il piccolo ristorante era del xvii secolo, i tavoli nudi e le sedie dello stesso periodo. Dicemmo che erano shakespeariani. E i nostri amici, arrivando, fecero la stessa osservazione. Eravamo affascinati dal décor. La colazione sarebbe stata all’altezza.

PUNTE DI ASPARAGI ALLA MADAME LOUBET

I primi giorni di primavera sono il periodo dei piccoli asparagi verdi, molto simili a quelli selvatici. Lavarli velocemente, senza immergerli nell’acqua, togliere la parte bianca del gambo. Legarli a mazzetti e metterli in acqua bollente salata. Farli cuocere per 8 minuti, non oltre: gran parte della loro bontà dipende dalla freschezza. Mettere 4 cucchiai di burro in una casseruola (per 500 gr circa di asparagi) e scioglierlo a fuoco lento. Quando il burro sarà sciolto, aggiungere le punte di asparagi ancora legate a mazzetti e 4 cucchiai di panna intera. Non mescolare ma inclinare delicatamente la casseruola in tutte le direzioni fino a quando gli asparagi saranno ricoperti di burro e panna. Poi togliere dal fuoco. Disporre gli asparagi su un piatto rotondo riscaldato in precedenza, con le punte verso l’orlo del piatto. Tagliare i legacci con forbici da cucina, facendo molta attenzione. Al centro sistemare mezza tazza di panna intera montata a cui si sarà mescolato mezzo cucchiaino di sale. Servire prima che la panna abbia tempo di sciogliersi. Una vera festa gastronomica. È un piatto bellissimo da vedere.

La cucina di Madame Loubet era particolare e molto delicata, e tornammo spesso a gustarla. Non avremmo trovato niente di simile in tutto il viaggio. Quella sera a Marsiglia ci bastò un piatto di minestra.

Dopo una lunga corsa lungo la costa del Mediterraneo, arrivammo a Vence, dove trovammo un numeroso gruppo di persone riunite per la cena. Il nostro amico era un gourmet, il suo cuoco belga aveva una cucina ben organizzata e produceva menu variati e succulenti.

Nell’orto c’erano già le patatine novelle, i fagiolini verdi, i primi carciofi, l’insalata, e prima di ripartire riuscimmo a gustare anche gli asparagi. Il giardiniere, molto gentile, mi permetteva di raccogliere ogni mattina con le mie mani le verdure per la giornata. Ci vuole molto tempo per raccogliere tenerissimi fagiolini verdi sufficienti per otto o dieci persone. Tra l’orto e le rose, le mie mattine erano piacevolmente occupate. Piaceri, questi, per me insostituibili.

Da Vence andavamo spesso a Nizza per una colazione a base di pesce in un piccolo ristorante sul mare, per nulla pretenzioso. Ci prepararono un piatto del posto:

PESCE PERSICO ALLA GRIGLIA CON FINOCCHIO

Lavare e asciugare bene un pesce persico di circa 1 kg e mezzo. Strofinare la parte interna con sale e pepe. Spennellarlo con burro fuso, spennellare di burro anche la griglia. Mettere il pesce sulla griglia e cuocere per 25 minuti girandolo due volte, spennellando ogni volta di burro. Lavare e asciugare con cura del finocchio selvatico. Quando il pesce sarà cotto, disporlo su un vassoio di metallo precedentemente riscaldato che sopporti la fiamma (niente piatti di peltro, quindi). Versare mezza tazza di burro fuso sul pesce e coprirlo interamente di finocchio. Portare in tavola, dar fuoco al finocchio. Servire alla fiamma. È un piatto delizioso, eccitante, uno dei rari piatti provenzali nella cui preparazione non sia previsto l’uso di aglio.

Durante il viaggio di ritorno a Parigi ci accorgemmo che a Godiva era venuta a mancare l’ispirazione. Eravamo obbligate a prendere noi l’iniziativa. Avevamo fretta, così non perdemmo tempo a far deviazioni in cerca di posti nuovi. Ci accontentammo di qualche tentativo mal riuscito. Un viaggio deprimente. Arrivate a Parigi, Godiva tornò a essere quella di prima. Ci portò a Les Andelys, dove facemmo colazione all’aperto in un bistro (caffè-ristorante dove si servono cibi grossolani e raramente buoni) a base di pesce pescato nella Senna proprio sotto la terrazza sulla quale mangiavamo. Al pesce fecero seguito una tenerissima Chateaubriand e un soufflé di patate. Ripartimmo con Godiva, ma presto ci accorgemmo di aver svoltato nel posto sbagliato. Era colpa di Godiva o di Gertrude Stein? La discussione che seguì non approdò a nulla. Eravamo sulla strada per Nogent-le-Rotrou. Decidemmo di vedere cosa ci avremmo trovato. Trovammo un paesaggio incantevole, villaggi coi tetti di paglia, campi macchiati dei primi papaveri e fiordalisi e cespugli di biancospino in fiore. Nogent-le-Rotrou era una cittadina vecchia, pulita e simpatica. L’albergo era arredato con pallidi mobili della Restaurazione, statuette e fiori di cera sotto campane di vetro in tutte le stanze. Il cibo era semplice ma la cucina sapiente. Ci fermammo per parecchi giorni. La cuoca era una donna, taciturna ma esperta. Mi insegnò a preparare le

RILLETTES

Tritare col tritacarne 1 kg circa di petto di maiale. Far sciogliere in una pentola di ferro 500 gr circa di strutto. Quando sarà dorato, aggiungere il maiale tritato, 1 cucchiaio di sale, 1 cucchiaino di pepe, 1 cucchiaino di condimento per pollo. Cuocere a fuoco molto lento per 4 ore, mescolando per impedire che bruci. Dopo 4 ore togliere dal fuoco. Quando si sarà raffreddato, distribuire in coppette in parti uguali. Coprire con un po’ di carta. Le rillettes si conservano per parecchi mesi al fresco. Sono molto buone servite con l’insalata, oppure come hors-d’œuvre o ripieno per panini.

Durante l’inverno due nostre amiche, Janet Scudder, la scultrice, e Camille Sigard, dell’Opera Metropolitana dei bei tempi, ebbero l’idea di comprarsi una Ford due posti come la nostra, per andare tutte insieme a sud durante l’estate. Janet stava cercando una casa, la casa dei suoi sogni. Era una compagna di viaggio ideale, dotata di un sesto senso per scoprire buoni cibi e vini di prima qualità. Quando arrivò l’estate, partimmo in una giornata di sole per fermarci a colazione in un ristorante che Janet conosceva. Fu un’ottima colazione, ma la vista dalla terrazza su cui venne servita era troppo bella e ci impedì di concentrarci sul cibo ben preparato. Una volta andammo a trovare degli amici che vivevano in campagna e avevano due figli. A tavola i ragazzi chiacchieravano in continuazione, ma con tanta discrezione da non interferire mai con la nostra conversazione. Un giorno, seduta vicino a uno di loro, silenzioso, gli chiesi come mai non stesse parlando con il fratello. Mi spiegò che non parlava mai quando c’erano i carciofi alla sauce mousseline.

Janet, durante le ricerche per la casa, scopriva spesso nuovi bistro, dove servivano cibo tutt’altro che grossolano. Cominciammo a far battute su chi avesse più sesto senso per i buoni ristoranti, se Janet o Godiva. Percorremmo strade sterrate fino ad Avignone. Forse contribuimmo anche noi alla scoperta, ma fu Godiva a condurci ad Aramon, un villaggio dominato da un castello fortificato, dove a colazione ci servirono un piatto regionale, non molto raffinato ma gustosissimo:

GALLINA À LA PROVENÇALE

Prendete una gallina non troppo vecchia e tagliatela a pezzi, 500 gr circa di petto o spalla di agnello, 3 pomodori, 3 cuori di carciofo, 3 piccole zucche, 3 peperoni dolci, 1 tazza di ceci ammollati nell’acqua, 3 rape, 3 cipolle di media grandezza con infilati altrettanti chiodi di garofano, 1 cucchiaino di pepe rosso spagnolo, un quarto di cucchiaino di cumino in polvere, sale e un pizzico di caienna. Mettere in una pentola, coprire d’acqua e cuocere a fuoco medio, coperto. Quando l’acqua comincerà a bollire, abbassare la fiamma e lasciar cuocere a fuoco lento per 2 ore. Servire in un piatto fondo con il pollo e l’agnello al centro e le verdure intorno. Versarci sopra tutto il sugo che il piatto potrà contenere e mettere il resto in una salsiera. Non è solo un piatto succulento e nutriente: con formaggio e caffè, costituisce un pasto completo.

Le nostre amiche non avevano ancora trovato la loro casa ed erano pronte a partire per la Costa Azzura. Si aspettavano che le seguissimo, ma né io né Gertrude Stein amavamo molto la costa mediterranea. La parte di Francia che ci aveva assolutamente sedotto con la sua bellezza era quella che si stendeva tra Avignone e Aix-en-Provence, Orange e il mare. Saint-Rémy era il posto ideale da usare come base. Janet ci chiese se ci avessimo mai mangiato. Fummo costrette a rispondere di no. Ce ne saremmo accorte. Non avevamo scelto questa città per le sue potenzialità gastronomiche, comunque. Saint-Rémy e la campagna dei dintorni erano così belle, così particolari, che ci avrebbero ampiamente ricompensato delle deficienze culinarie e alberghiere del posto. Le stanze fredde e sommariamente ammobiliate che ci vennero assegnate davano su un delizioso giardino. La colazione fu mediocre. Janet osservò in tono sinistro che ci saremmo pentite della nostra decisione. Nel pomeriggio le nostre amiche partirono per Aix-en-Provence e noi ci apprestammo a sistemarci per un lungo soggiorno. Eravamo nel posto in cui volevamo stare.

Il mistral soffiava di continuo e il cibo era cattivo, ma noi eravamo affascinate dal paesaggio che scoprivamo durante le passeggiate a piedi o in macchina. Cominciammo a guardarci intorno in cerca di un ristorante passabile o di un bistro, ma presto ci convincemmo dell’impossibiltà di trovare posti di buona tradizione culinaria nella regione. Non ci scoraggiammo, era semplicemente un fatto. Marsiglia era molto vicina, e avremmo potuto sempre farci una capatina, come diversivo, per far compere e goderci una buona colazione.

Non avevamo più ricevuto notizie delle nostre amiche, se non un messaggio telefonico nel quale ci chiedevano come andavano le cose a Saint-Rémy. Poi arrivò un telegramma di Janet: ci invitava a raggiungerle immediatamente per vedere la casa che aveva trovato e che si accingeva ad acquistare. Partimmo la mattina dopo. La casa, piccola e normalissima, sorgeva in una valletta, su un vasto tratto di terreno non coltivato e privo di alberi. Non aveva una bella vista. Ci sembrò troppo diversa da quelle che di solito piacevano alla nostra amica, tentammo di dissuaderla dal comprarla, ma per lei era diventata una specie di idea fissa. Fummo costrette a far colazione con loro e ad ascoltare l’incessante chiacchiericcio di Janet sulla nuova casa.

In quei giorni, andavamo spesso a Marsiglia e, in due dei migliori ristoranti della città, gustammo la specialità locale, la bouillabaisse. Il pesce dev’essere più che fresco, pescato e cucinato in giornata. È questo a conferire al piatto il suo sapore tutto particolare. Per la vera bouillabaisse bisogna usare almeno cinque qualità diverse di pesce. Il sapore predominante dev’essere quello del pesce, non degli ingredienti della salsa, che poi non è una salsa ma un brodo. A Marsiglia, patria della bouillabaisse, la si prepara con non meno di sette qualità di pesce, senza contare i molluschi. Non bisogna stancarsi di ripetere che devono essere tutti freschissimi. In Francia esistono tre diversi tipi di bouillabaisse: quella autentica, di Marsiglia, con pesce del Mediterraneo; quella di Parigi, con pesce dell’Atlantico; e quella del tutto finta con pesce d’acqua dolce.

BOUILLABAISSE

Nettare, lavare, tagliare le pinne e la testa di 2 kg e mezzo circa di pesci capone, scorfani, muggini, triglie, rombi e pesci sampietro. Tagliare i pesci grossi a fette spesse circa 3 cm, lasciare interi quelli piccoli. Prendere due teste extra di qualunque tipo di pesce grosso. Lavarle molto bene e metterle insieme a quelle dei pesci piccoli con 1 carota, 1 cipolla, 1 foglia di alloro, un rametto di timo. Coprire con 7 tazze di acqua fredda salata e portare a bollore a pentola scoperta. Schiumare e coprire la pentola, far bollire fino a quando il sugo sarà ridotto a metà. Poi passare allo schiacciapatate e a un setaccio finissimo. Far bollire 1 grossa aragosta e 1 granchio. Quando saranno cotti, toglierli dall’acqua e scolare. Tagliare la polpa dell’aragosta in quattro pezzi. Mettere insieme la polpa del granchio e di tutte le chele. Versare in una grossa casseruola un quarto di tazza di olio d’oliva. Quando sarà caldo, aggiungere tre quarti di tazza di cipolle tagliate a fettine sottili, 3 scalogni pestati, tre spicchi d’aglio pestato, mezzo peperone dolce (senza semi), 1 grosso pomodoro pelato tagliato a fette, 4 gambi di sedano, 1 fetta di finocchio spessa circa 6 cm. Mescolare con un cucchiaio di legno fino a quando sarà tutto ben coperto di olio, poi aggiungere un quarto di tazza di olio di oliva, 3 ramoscelli di timo, 1 foglia di alloro, 2 chiodi di garofano interi, 1 pezzo di scorza d’arancia, sale e pepe. A fuoco molto alto, aggiungere il bouillon delle teste di pesce. Bollire coperto per 5 minuti. Mettere i pesci più duri a cuocere nella casseruola. Far bollire furiosamente senza coperchio per 5 minuti. Aggiungere gli altri pesci e la polpa dell’aragosta. Far bollire furiosamente senza coperchio per 5 minuti. Togliere dal fuoco. Togliere i pesci e l’aragosta dal brodo con una schiumarola, staccare qualunque cosa gli si sia attaccata. Metterli in un grosso piatto fondo e tenere in caldo. Passare al setaccio il sugo della casseruola, rimetterlo sul fuoco, aggiungere la polpa del granchio e delle chele. Mettere in una ciotola 1 quarto di cucchiaino di zafferano in polvere, mescolare con 5 cucchiai del sugo messo a bollire nella casseruola. Mescolare bene e aggiungere al sugo della casseruola. Disporre intorno ai pesci alcune fette di pane francese spesse 1 cm e mezzo circa. Versare il brodo sul pesce. Servire ben caldo.

Restammo a Saint-Rémy; l’estate era finita, e in autunno il posto era ancora più bello. Quando soffiava il mistral, non solo il cielo diventava più azzurro, ma il paesaggio sembrava rivivere. Un giorno andammo a piedi fino a una cappella gotica. In un campo brullo c’era un solo albero di cachi, molto grosso, privo di foglie e simmetrico, carico di frutti d’oro, stagliato contro il cielo azzurrissimo. Rimane uno dei miei ricordi più belli.

Di giorno e di notte sentivamo i campanelli delle pecore dirette alle colline per il pascolo invernale. Eravamo costrette a prendere sempre le strade più piccole, sulle principali le greggi creavano di continuo barriere insuperabili. Janet, comodamente installata nella sua nuova casa, non riusciva a capire come mai non trovassimo Saint-Rémy assolutamente insopportabile. Alla locanda servivano cibo immangiabile perfino a Natale e a Capodanno. L’unica cosa di prima qualità che la cittadina produceva era la frutta glacé, ma non si poteva certo vivere di quella. La frutta glacé francese è molto diversa dalla nostra, cristallizzata. In Francia lo sciroppo nel quale si fa cuocere la frutta non bolle abbastanza a lungo da cristallizzarsi. A Saint-Rémy c’era una fabbrica (ammesso si possa così definire quel posto piccolissimo e pochissimo pretenzioso) di frutta glacé la cui specialità era il melone pieno di frutta più piccola, ciliegie, albicocche, prugne e pere, delizioso e bellissimo a vedersi. Ce ne mandarono a Parigi fino allo scoppio della Seconda guerra mondiale. Come tante altre cose buone, questa frutta sparì con la catastrofe.

Man mano che l’inverno avanzava, diventavamo irrequiete. Forse era colpa del mistral che soffiava in continuazione. Era stupido partire prima della primavera. Ma un giorno di marzo, mentre attraversavamo un campo arato, fummo costrette ad ammettere che il clima non era più sopportabile e che sarebbe stato meglio partire subito. Restammo ancora qualche giorno per dare un’ultima lunga occhiata a quei posti che ci dispiaceva tanto lasciare, poi, con Godiva, tornammo a Parigi.