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Robert Felstone era consapevole di essersi comportato male.

Era salito sul treno in preda a una rabbia feroce, che era andata solo peggiorando con il proseguire del viaggio. Non voleva origliare, si era finto addormentato per rimanere da solo con i suoi pensieri travagliati, ma la conversazione che aveva avuto luogo al suo cospetto dapprima l'aveva infastidito, poi l'aveva fatto infuriare. Dopo che Louisa aveva rifiutato la sua proposta di matrimonio, quella mattina, in ogni parola aveva visto un nuovo insulto.

Aveva fatto del suo meglio per ignorarla, ma l'antipatia che quella donna invisibile aveva espresso nei confronti del pretendente aveva toccato un nervo scoperto. Anche Louisa aveva parlato di lui in quel modo alle sue spalle? In segreto, le sue visite l'avevano ripugnata, nonostante avesse sbattuto le ciglia con tanta convinzione?

Il ricordo del loro colloquio gli faceva ribollire il sangue. Se non fosse stato per la civetteria della donna, non avrebbe mai preso in considerazione l'idea di farsi avanti; eppure lei aveva avuto la faccia tosta di insinuare – anzi, no, di dire apertamente – che non era alla sua altezza. Robert era convinto che il successo negli affari gli avesse fatto guadagnare un posto in società, un briciolo di rispettabilità, perlomeno, ma, evidentemente, non era così. Era poco raccomandabile, oggi come ieri. Ed era l'unico stupido a non essersene accorto.

Una volta tornato sul treno, un po' per ciò che aveva udito, un po' per il cocente rifiuto, la sua ira era cresciuta, e aveva interpretato le parole della ragazza dal suo punto di vista di uomo ferito. Aveva preso le parti del pretendente vessato e alla fine aveva sfogato la sua rabbia sulla malcapitata. Era stato offensivo, inadeguato e maleducato in modo imperdonabile, come se i commenti di Louisa a proposito del suo passato l'avessero davvero spogliato della patina di rispettabilità che tanto duramente si era guadagnato.

Solo quando aveva appreso l'identità del misterioso corteggiatore, finalmente era tornato in sé, e se prima era stato arrabbiato, all'istante si era trovato d'accordo con la ragazza. Il nome di Lester aveva cambiato tutto, ma ormai il danno era stato fatto. Si era comportato proprio nel modo in cui aveva sempre giurato di non fare, e aveva giudicato una donna senza conoscerne la storia, come se avesse il diritto di ergersi a giudice.

E poi le aveva chiesto di sposarlo. Che diavolo stava combinando?

Si appoggiò allo schienale, accavallando le gambe con disinvoltura e osservando l'alternarsi delle emozioni sul volto della sua compagna di viaggio. A giudicare dal misto di sbigottimento e indignazione, un passante avrebbe potuto ragionevolmente concludere che, invece di una proposta di matrimonio, gliene avesse fatta una indecente. In un certo senso, rifletté, l'aveva fatto. Non avevano fatto in tempo a presentarsi che le aveva suggerito di passare a una relazione ben più intima. Non c'era da meravigliarsi se appariva tanto allibita. Non sapeva neppure il nome della ragazza.

«Appena in tempo.» Il fratello salì di corsa sulla carrozza, nello stesso momento in cui si udì il fischio del capostazione. «Caspita, sorellina, hai caldo? Sei rossa come una barbabietola.»

«Io...» Lei sembrò vagamente sorpresa di vederlo. «Un pochino, niente di che.»

Si portò entrambe le mani alle guance, sbirciando guardinga fra le dita, come se temesse di essere incastrata in uno scompartimento insieme a un pazzo. A Robert venne voglia di ridere. Visto come si era comportato, era una conclusione ragionevole. Lui stesso iniziava a mettere in dubbio la sua salute mentale. Aveva trascorso ventisei anni senza pensare volutamente al matrimonio, e adesso si ritrovava a fare due proposte in un giorno.

Era fuori di senno?

Si accigliò, riflettendo seriamente sulla questione. Louisa l'aveva ferito così tanto nell'orgoglio da fargli sentire il bisogno di proporsi alla prima donna che aveva incontrato, letteralmente? Oppure era talmente poco abituato a ricevere un no come risposta che aveva deciso di insistere fino a ottenere il risultato desiderato? Era un comportamento avventato e impulsivo che si sarebbe aspettato da se stesso qualche anno prima, quando non era ancora il saggio e rispettato uomo d'affari che era oggi. Dopo tutto il tempo e i pensieri che aveva sprecato per decidere se chiedere a Louisa di sposarlo, era davvero pronto a saltare all'estremo opposto e sposare una completa estranea.

E se avesse detto sì?

Il fratello si buttò sul sedile di fronte e Robert gli rivolse un cenno di saluto cordiale, rimpiangendo di non potergli sferrare un pugno sulla mascella. Adesso che la situazione della ragazza gli appariva più chiara, provava ancora più rabbia per il giovane. Se davvero era amico di Lester, non poteva non sapere che razza di uomo fosse, soprattutto quando c'erano di mezzo le donne. Quale fratello avrebbe incoraggiato la sorella a sposare un tale depravato?

L'idea di offrirle un'alternativa gli era venuta all'improvviso, più o meno quando la ragazza gli aveva chiesto cosa pensasse sinceramente di Charles Lester. Si era trattato di un impulso, di un desiderio di riparare al suo comportamento oltraggioso, misto alla volontà di lasciarsi Louisa alle spalle e sistemarsi una volta per tutte. Dopotutto, era solito fidarsi del suo istinto. Il suo fiuto per gli affari non l'aveva mai tradito, e il matrimonio, in fondo, non faceva parte degli affari? Quando un accordo non funzionava, lui passava al successivo.

Non si era mai aspettato di sposarsi per amore. Crescere con la madre gli aveva fatto conoscere la follia di quel sentimento. Aveva fatto del suo meglio per interpretare il malato d'amore con Louisa, sebbene, a dire la verità, avesse trovato la recita noiosa, come il resto del corteggiamento. Forse quello era stato il suo errore, aveva provato a parlare una lingua che non capiva. Affari, questa la comprendeva. Affari, con quelli sì che era bravo. In quel settore, nessuno avrebbe potuto accusarlo di non essere all'altezza.

Dunque, perché non togliere le emozioni dall'equazione e trattare il matrimonio come un contratto d'affari? Non aveva il tempo, né l'attitudine giusta per un altro corteggiamento, e quella donna sembrava decisamente riluttante all'idea di sposare Sir Charles. Era la proposta perfetta, un accordo da cui entrambi avrebbero tratto profitto. Lui era sulla piazza, e lei altrettanto. Aveva pensato di sposare una donna dell'alta società. Dato che Louisa aveva chiaramente affermato che nessuna nobildonna l'avrebbe sposato, proporsi a quella sconosciuta gli era sembrata la cosa più ovvia da fare.

In un certo senso, per quanto fosse folle, ancora gli sembrava così.

Anche se in effetti era la fanciulla disperata più bizzarra che avesse mai visto. A occhi chiusi, aveva dato per scontato che il fratello, nell'insultarla, avesse esagerato apposta per ferirla, ma la prima impressione, quando l'aveva vista, aveva confermato le sue parole. Era difficile immaginare cosa vedesse Sir Charles in lei. I suoi abiti erano talmente antiquati che sembravano usciti da un'altra epoca, ed erano interamente grigi, una sfumatura scialba e uniforme che non giovava di certo al suo colorito smunto. Il colletto era altissimo, con il pericolo che la soffocasse, mentre il resto della veste era del tutto privo di forma, e le ricadeva come un sacco intorno alla vita, senza definirla minimamente. Se si sommavano al cappello dall'aria vetusta legato sotto il mento, ai guanti di lana, allo scialle che assomigliava di più a un canovaccio da cucina, si aveva l'impressione che volesse apparire austera e sciatta.

Per quanto fosse poco galante, non era esattamente il genere di sposa che si era figurato quando era uscito di casa quella mattina. Louisa, con i boccoli biondi e gli occhi indaco, era la creatura più bella su cui avesse mai posato lo sguardo. Questa ragazza, al contrario, dava l'aria di non essersi mai guardata allo specchio. L'una accanto all'altra, avrebbero ricordato una vecchia cornacchia e uno splendido cigno.

Dopo il rifiuto di Louisa, tuttavia, era proprio il contrasto ad attirarlo. Inoltre, sul suo volto non c'era traccia di malvagità, neppure un accenno della sgarbatezza o della petulanza di Louisa. Era un viso piacevole, sebbene leggermente troppo magro, una caratteristica accentuata dall'acconciatura severa, con i capelli tirati tutti all'indietro, tanto che diventava difficile distinguerne il colore, una sfumatura indefinita fra il biondo e il castano. Ma la pelle era chiara, le labbra piene e larghe, e si scorgevano addirittura delle leggere rughe rivolte all'insù agli angoli degli occhi, come se fosse abituata a ridere, per quanto sembrasse difficile da credere. Nel complesso, sarebbe potuta essere carina, se non avesse giurato fermamente di apparire tutto il contrario.

«Mancano solo venti minuti a Pickering.» Il fratello era beatamente inconsapevole della tensione che percorreva lo scompartimento. «Così dice il facchino.»

«Un po' di più.» Robert intervenne con disinvoltura, contento di avere un'opportunità per dimostrare la propria rispettabilità, se non la propria salute mentale. «Perdonate l'intrusione, ma la nuova deviazione per Whitby è aperta da poco. È un percorso un po' più lungo e sta causando alcuni ritardi lungo la linea di diramazione, ma i facchini tendono a dimenticarlo.»

«Con la linea nuova si impiega più tempo che con la vecchia?» Il giovane parlò in tono sarcastico. «Non mi sembra un grande progresso.»

Robert si concesse un sorrisetto cinico. Come l'aveva chiamato la sorella? Pomposo. L'aggettivo gli calzava a pennello.

«È molto più sicura del vecchio tratto di funicolare di Beckhole. La collina è ripida e negli anni si sono verificati diversi incidenti gravi. La nuova linea è più sicura.»

«Ah... be', se la mettete così.» Il giovane annuì, con aria saggia. «Avete a che fare con le ferrovie, signore?»

«Faccio parte del consiglio direttivo.» Robert sorrise, soddisfatto di vedere la testa della donna girarsi leggermente dalla sua parte, come se stesse riconsiderando la propria opinione.

«Davvero? Allora sono felice di incontrarvi. Mi chiamo Percy Holt.»

«Robert Felstone, piacere di conoscervi.»

«Felstone? Ci siamo incontrati in precedenza, signore? Il vostro nome mi suona familiare, eppure non riesco a collocarlo.»

«Non credo. A meno che... per caso viaggiate spesso in questa zona?»

«No, non vengo da molto tempo, anche se da bambini ci recavamo qui ogni estate. Nostra madre era di Pickering. Alloggeremo lì, da nostra zia.» Il giovane indicò la ragazza, quasi se ne fosse dimenticato. «Lei è mia sorella, Miss Ianthe Holt.»

«Piacere, Miss Holt.»

Le tese la mano, chiedendosi se l'avrebbe accettata. Non poteva rifiutarsi di salutarlo senza essere costretta a spiegare al fratello quanto era appena successo e, a giudicare da ciò che aveva visto della loro relazione, non credeva che ne avesse intenzione. Inoltre, per qualche strana ragione, capì che aveva voglia di toccarla, di scoprire se era davvero così distaccata come dava a vedere. Era talmente rigida che lui provò una voglia improvvisa di scompigliarla.

«Mr. Felstone.» Allungò la mano, indirizzandola senza convinzione verso di lui, poi la ritrasse velocemente.

Robert fu preso da un'irresistibile voglia di ridere. Dalle donne, era abituato a ricevere gratitudine in cambio delle sue attenzioni. Persino Louisa, per quanto priva di qualsiasi sincerità, ne era parsa lusingata. Al contrario, sembrava che quella ragazza volesse buttarlo giù dal treno in corsa. Era ancora arrabbiata per i suoi commenti, oppure dubitava dell'onestà della sua proposta? E, in quest'ultimo caso... come poteva convincerla?

«Ianthe. È un nome insolito.»

Sfoggiò il suo sorriso più affascinante. Quando era un giovane squattrinato, aveva presto scoperto gli effetti disarmanti che il suo fascino aveva sulle donne. Da quando aveva accumulato una fortuna, sembrava che si fossero moltiplicati, tuttavia aveva il sospetto che quella donna gli avrebbe dato del filo da torcere.

«È tratto da una poesia.» La sua espressione rimase immutata.

«Ah. Temo che la mia educazione presenti delle lacune. Non ho mai studiato la poesia.»

«Mi meraviglia.» Ianthe non si preoccupò di nascondere il sarcasmo. «Insegna agli uomini la raffinatezza, credo. O, perlomeno, come rivolgersi a una signora.»

«Ianthe!» Percy era sbigottito. «Perdonate mia sorella, Mr. Felstone. Siamo partiti da Londra. Deve essere stanca.»

«Al contrario» riprese lei, lanciando un'occhiata tagliente al fratello, «mi sento piuttosto riposata. Non c'è bisogno che tu parli al posto mio.»

Robert trattenne un sorriso. Sì, pareva proprio che la formale e pudica Miss Holt – era contento di conoscere finalmente il suo nome – non sarebbe stata una preda tanto facile. In un certo senso, la rendeva ancora più attraente. Il treno aveva già iniziato a rallentare per entrare nella stazione di Pickering. Se voleva convincerla, non aveva molto tempo.

«Ah! Aspettate un minuto!» A un tratto, il fratello sollevò il giornale, indicando il titolo. «Felstone di Whitby si aggiudica un nuovo contratto navale. Lo sapevo che avevo già sentito il vostro nome da qualche parte! Siete imparentato con la famiglia di costruttori navali, sir?»

«Io sono quella famiglia, temo. Tutto ciò che ne rimane, perlomeno.»

«Quindi state andando a Whitby?»

«Sì, ma prima mi fermerò qualche giorno a Pickering. Si terranno un gala pubblico e un ballo privato per festeggiare l'apertura ufficiale della nuova linea ferroviaria, domani. Sarei lieto di aggiungere i vostri nomi alla lista degli invitati, se lo desiderate.»

«Non ho con me un vestito da ballo, signore.» Miss Holt non pareva per niente colpita.

«Be', a me piacerebbe.» Il fratello la fulminò con lo sguardo. «Temo che in questo periodo mia sorella preferisca i libri ai balli. Come minimo preferirà visitare il castello.»

«Davvero?» Un'immagine di Sir Charles balenò davanti agli occhi di Robert. «Vi piacciono le cose vecchie, allora?»

Gli occhi da cerbiatto puntarono dritti su di lui. «Mi piace la storia, Mr. Felstone. E non mi piace essere presa in giro.»

«Sono serio, ve lo giuro, Miss Holt. Mi riesce difficile essere altrimenti.»

Lei emise un suono pieno di sdegno. «Mi riesce difficile crederlo, davanti a un uomo che cambia atteggiamento con tanta repentinità. Poco fa, per esempio, ho avuto l'impressione che foste arrabbiato, e adesso siamo amici per la pelle.»

«Se volete, potete chiedere a chiunque, in città.»

«Sopravvalutate il mio interesse, signore.»

«Ianthe!» Il fratello rimase a bocca aperta. «Che ti prende?»

«Che prende a me?» Si voltò di scatto verso di lui, e due aloni vermigli apparvero sulle sue guance. «Sei tu quello che non riesce a tenere niente per sé! È tutta colpa tua

«Colpa mia? Mi scuso, Mr. Felstone, non so di cosa stia parlando, ma sono certo che non voglia offenderla.»

«Ne sono sicuro.» Robert liquidò le scuse con un cenno della mano. In quel momento, con un ultimo sbuffo di vapore, il treno si arrestò cigolando.

«E io invece sono sicura del contrario!»

Balzò in piedi, afferrò la borsa di stoffa dalla rastrelliera e se la strinse al petto come se fosse uno scudo. «Buona giornata, Mr. Felstone. Dubito che le nostre strade si incroceranno di nuovo. Il nostro soggiorno sarà di breve durata e saremo molto occupati

«Ah.» Robert chinò la testa, aveva capito. Non avrebbe potuto essere più chiara. «In questo caso, vi auguro ogni bene. Qualsiasi decisione prendiate.»

Lei non rispose, spalancò la porta dello scompartimento e uscì di gran carriera, furiosa.

«Ehm...» Il fratello le andò dietro, scendendo dal treno, e all'ultimo momento si voltò con un'espressione di scuse sul volto. «Mi dispiace. Donne, sapete. Se dicevate sul serio, per il ballo, vi sarei grato.»

Robert annuì, assorto, con un sorriso appena accennato sulle labbra, mentre guardava l'abito grigio che scompariva nella folla. Il buonsenso gli diceva che il suo rifiuto avrebbe dovuto farlo sentire sollevato. Non sapeva quasi niente di lei, e il fratello non aveva forse alluso a qualche vicenda sconveniente? Eppure, era difficile immaginare comportamenti fuori dal comune, niente di scandaloso, di certo. In lei c'era qualcosa, qualcosa che catturava la sua attenzione. Non sapeva bene di cosa si trattasse – non ne aveva la minima idea – ma bastava a renderlo restio ad arrendersi tanto facilmente. Era... Si sforzò di trovare la parola giusta... Interessante.

Prese il cappello e la valigia, poi discese dalla carrozza. Il binario era affollato, carico di passeggeri e bagagli. Le pareti e le travi di metallo del soffitto erano decorate con striscioni che reclamizzavano il gala. Si fece strada deciso nella folla, salutando con un cenno diversi conoscenti, senza fermarsi a scambiare due chiacchiere, la mente occupata dall'immagine della donna vestita di grigio.

«Felstone, eccovi, finalmente!» Un uomo allegro, con una folta chioma bionda e arruffata, gli si avvicinò non appena varcò la soglia dell'ufficio della stazione. «Venite a leggere questo discorso, volete?»

Con un sorriso, Robert mise giù la valigia, poi si appoggiò a una scrivania e passò velocemente in rassegna un mucchietto di fogli. «È buono, Giles. Ricordatevi solo di aggiungere un ringraziamento per la pazienza.»

«Troppo lungo, eh?»

«Di un paio di pagine, ma sono sicuro che farete uno splendido lavoro.»

L'uomo si schiarì la gola rumorosamente. «Vorrei avere la vostra sicurezza. Non potreste farlo voi? Siete molto più bravo di me a parlare in pubblico.»

«Siete voi l'ingegnere.»

«Esatto. Preferirei lavorare sulla linea piuttosto che parlarne. Perché devono festeggiare con striscioni e bandierine ogni cosa che facciamo?»

«Per non parlare del ballo.»

Giles grugnì. «Non me lo rammentate. È tutta la settimana che Kitty ne parla senza sosta. E, a proposito, a colazione mi ha detto una cosa molto interessante su di voi.»

«Davvero?» Robert non alzò lo sguardo dai fogli.

«A quanto pare, eravate sul punto di sposarvi con Louisa Allendon.»

«Fidatevi, Giles, se lo fossi, sareste il primo a saperlo.»

«Non è vero, dunque? Peccato. Kitty era eccitatissima. Pensava che avremmo potuto fare qualche cena insieme.»

«Allora mi dispiace deluderla, per quanto, come spesso capita, si sia imbattuta in una mezza verità. La signora ha semplicemente deciso di rifiutare, tutto qui.»

«Vi ha respinto?» Le sopracciglia di Giles schizzarono verso l'attaccatura dei capelli. «Ma sono mesi che fa la civetta con voi!»

«Anch'io ho avuto quell'impressione, ma, a quanto pare, non sono abbastanza rispettabile. Per niente rispettabile, anzi. Certi episodi del mio passato – la mia discendenza – le sono risultati particolarmente sgraditi.»

«Ridicolo!» Giles si era offeso per lui. «Come se fosse colpa vostra!»

Robert sorrise e posò una mano sulla spalla dell'amico. «Sono stato sciocco a pensare che la gente avesse dimenticato. A quanto pare, il denaro e il successo ti permettono di entrare nell'alta società, non di essere accettato.»

«Quella donna è una stupida!»

«In ogni caso, sono certo che nel giro di qualche giorno Kitty vi racconterà tutto, forse più di quanto io stesso sappia. Nel frattempo, abbiamo un gala e un ballo da affrontare.»

Andò alla finestra, mettendo da parte definitivamente il discorso e scrutando la strada in cerca di un vestito grigio. Da che parte si era diretta Miss Holt quando si era allontanata come una furia? Suo fratello aveva nominato una zia...

«È Charles Lester quello?» Aguzzò subito la vista.

«Mmh?» Giles comparve al suo fianco. «Oh, sì, è arrivato ieri in città. Ieri sera ho giocato a carte con lui, alla Locanda del cigno. Sembrava molto compiaciuto, nonostante stesse perdendo.»

«Per cosa?»

«Non l'ha detto. Probabilmente però ha a che vedere con una donna.» Giles si voltò di scatto a guardarlo. «Sentite, non vi angustiate.»

«Che?»

«Vi siete arrabbiato. Non vi angustiate troppo per Louisa, volevo dire questo.»

«Ah. No, non stavo pensando a lei.»

Si allontanò alla finestra, voltando le spalle con decisione a Charles Lester. Il baronetto rappresentava il peggio della sua classe sociale. Arrogante, sfacciato, per non parlare del fatto che fosse un noto libertino. La sua fama era quasi leggendaria, quasi al livello di quella del padre, che amava scegliere le proprie conquiste fra le donne prive di un protettore o fra le più povere, che ripagava con qualche banconota. Miss Holt, orfana e sul lastrico, sembrava avere tutti i requisiti, per quanto il fratello avesse detto chiaramente che il baronetto voleva sposarla. Certo, non corrispondeva esattamente al suo tipo. O al tipo di chiunque altro, se era per quello.

Eppure, il pensiero della morigerata Miss Holt tra le grinfie di Sir Charles lo fece infuriare, inspiegabilmente. Dopo l'atteggiamento riprovevole che lui aveva avuto quella mattina, aveva sviluppato uno strano istinto di protezione nei confronti della ragazza, come se fosse responsabile per la sua sorte. Ovvio, se lei non glielo permetteva, non avrebbe potuto aiutarla. Le aveva chiesto di sposarlo, per Dio! Cosa poteva fare, per ricevere il suo perdono, più di quello...

«Siete proprio sicuro di stare bene?» Giles lo scrutò attentamente. «Sembrate turbato. Tutto a posto al cantiere navale, spero.»

«Sì, non hanno bisogno della mia presenza in questi giorni.» Sulle sue labbra comparve un sorrisetto ironico. «È solo che sto lavorando a una nuova proposta.»

«Avete bisogno d'aiuto?»

«No, anche se Kitty potrebbe darmi una mano.»

«Qualsiasi cosa. Lo sapete che ha una mezza cotta per voi.»

«Solo mezza?»

«Molto divertente. Non è giusto che alcuni uomini abbiano sia la bellezza che il denaro.»

«Non abbastanza per Louisa Allendon, a quanto pare.»

«L'ho sempre considerata volubile. Cosa avete visto in lei? Al di là delle sue attrattive più evidenti, non penso che sareste andati d'accordo.»

Robert aggrottò le sopracciglia, sorpreso dall'acume dell'amico. Se ci pensava adesso, faticava a ricordare perché le avesse fatto la proposta. Aveva semplicemente avuto l'impressione che fosse giunto il momento di sposarsi, e Louisa era bella, affascinante e affermata, per non parlare delle sue conoscenze.

«Mi sembrava un buon partito. Viene da una famiglia importante e suo padre era un amico intimo del mio, lo sapete...»

La sua voce andò sfumando, man mano che si accorgeva di ciò che stava dicendo. Era quello il vero motivo per cui le aveva chiesto la mano, per dimostrare qualcosa al suo defunto padre? Sciocco. Era troppo tardi, ormai in ritardo di cinque anni. Era un'idea totalmente ridicola. E anche ingiusta nei confronti di Louisa. Se non fosse stato per il modo in cui l'aveva respinto, forse avrebbe dovuto chiederle scusa.

Come aveva potuto essere così cieco?

«Ah.» Giles parlò in tono comprensivo. «Be', non avrebbe potuto prendere decisione migliore, secondo me.»

«Siete un amico fidato.» Robert scacciò il ricordo del padre, seppellendolo insieme a ogni pensiero su Louisa. Riguardo a quanto aveva detto, a quanto tutta la buona società apparentemente vociferava alle sue spalle, non l'avrebbe accettato con la stessa leggerezza. Non l'avrebbe accettato per niente.

«Sapete che il vecchio Harper pensa di vendere?»

«Eh?» Giles fu preso alla sprovvista dal repentino cambio di argomento. «Intendete il cantiere navale?»

«Così ho sentito dire.»

«Be', io no. Ero convinto che il vecchio sarebbe andato avanti per sempre. Ma sapete com'è fatto. Non troverà mai un compratore che gli va a genio. Nessuno si dimostrerà all'altezza.»

«Soprattutto io.»

«È un conservatore. Di sicuro non venderà a uno scapolo, purtroppo. I valori della famiglia e manfrine simili.»

«Ho pensato lo stesso.»

Robert si grattò il mento, assorto. Possedeva il cantiere più grande di Whitby. Se avesse comprato anche quello di Harper, sarebbe diventato il più esteso della costa orientale, del paese intero, forse. Era fattibile, e c'era un modo per dimostrare quanto valesse senza l'aiuto della buona società. Un sorriso si allargò sul suo volto. Se Louisa e il bel mondo non lo consideravano abbastanza stimabile da accettarlo, un giorno sarebbero stati costretti a rispettarlo – avrebbe mostrato loro dove poteva arrivare un figlio illegittimo venuto dal nulla, anche senza il loro aiuto. Sarebbe diventato un modello di serietà, più potente e influente di suo padre.

E avrebbe iniziato sposando la donna più saggia e rispettabile che potesse trovare, una donna che Harper non avrebbe potuto non approvare.

Miss Holt. Non avrebbe mai trovato una fanciulla così poco incline allo scandalo. Era proprio il genere di moglie di cui aveva bisogno, un'aiutante, non un soprammobile, che si sarebbe inserita nella sua vita frenetica senza dare fastidio, senza creare scompiglio né distrazioni, lasciandolo libero di occuparsi degli affari. Non era civettuola né isterica o permalosa, non era scoppiata in lacrime né aveva cercato di ingraziarselo quando l'aveva accusata di essere un'opportunista. Al contrario, gli aveva tenuto testa, aveva delle opinioni e non aveva paura di esprimerle. Sì, più ci pensava e più la pudica e tagliente Miss Holt gli sembrava la persona di cui aveva bisogno, una sposa ben più adatta di quanto lo fosse mai stata Louisa.

Però gli aveva detto di no. Era difficile immaginare una proposta fallita più miseramente. Non poteva certo biasimarla. Una donna ragionevole non avrebbe mai accettato un'offerta da parte di un estraneo che l'aveva trattata a pesci in faccia.

Allo stesso tempo, la disperazione poteva giocare a suo favore. Quanto era grande il timore della donna di sposare Lester? Aveva un giorno intero per scoprirlo. Aveva tempo a sufficienza per convincerla a ripensarci.

E sapeva benissimo da dove iniziare.

«Ci vediamo stasera.» Dette una pacca sulla spalla di Giles, avviandosi alla porta. «Kitty è a casa?»

«Credo di sì. Che ne dite del discorso, allora?»

«Ne parliamo a cena. Prima, devo fare una cosa importante.»

Giles sembrò sorpreso. «Con mia moglie?»

«Mi serve un'informazione.» Robert si voltò e fece un ghigno. «Poi devo portarla a fare compere.»