7

Ianthe guardò con impazienza il portone della casa della zia, camminando avanti e indietro, in attesa di notizie. All'inizio, aveva fatto lo stesso nel salottino, ma dopo aver sbattuto nei mobili una decina di volte si era arresa ed era andata nell'atrio. Aveva bisogno di muoversi, doveva fare qualcosa perché era preoccupata per Percy. Si era comportato male, ma lei voleva sapere se stava bene. Non aveva quasi chiuso occhio, e si era pentita di essere tornata a casa la sera prima. E se Mr. Felstone – Robert, si corresse – non fosse riuscito a trascinarlo via dal tavolo da gioco? Se si fosse rovinato? Se fossero rimasti senza un soldo?

Cos'era accaduto?

Il portone si aprì, e Ianthe fece un giro su se stessa, saltando praticamente addosso alla zia appena arrivata.

«L'avete visto? Avete visto Percy?»

«Per l'amor del cielo, no.» Zia Sophoria sciolse il fiocco del gigantesco cappello di percalle, con una risata. «Dorme ancora, dice il locandiere. A quanto pare è rientrato in condizioni pessime, ma non c'è da preoccuparsi. Ieri sera è stato il vincitore.»

«Percy ha vinto?» Ianthe guardò la zia, attonita. Fra tutti i possibili epiloghi che aveva immaginato, quello non c'era.

«Una piccola fortuna, per di più, stando a quello che si dice.»

«Ma lui non vince mai! Ero così preoccupata!»

«Perché?» Zia Sophoria si rassettò i boccoli come se niente fosse. «L'avete lasciato con Mr. Felstone, no?»

«Sì, ma...»

«E non credo che si sia divertito. Ha perso.»

«Cosa?» La sensazione di sollievo svanì all'istante. «Volete dire che Percy ha vinto il denaro di Robert

«Robert, eh?» Zia Sophoria le fece una strizzatina d'occhio complice. «Sì, temo di sì. La cosa strana è che lui non gioca mai d'azzardo, e adesso sappiamo il perché, credo. Ma non si può essere bravi in tutto. Preparo un tè?»

«No.» Ianthe si aggrappò alla ringhiera, ancora stordita. «Grazie, zia, ma credo che farò una passeggiata.»

«Buona idea.» La signora entrò nel salottino. «Credo che schiaccerò un pisolino. Ci vediamo a pranzo, cara.»

Ianthe prese il cappello e lo scialle, oppressa dal senso di colpa. Era stata lei a mandare Robert nella sala da gioco. Se avesse saputo della sua inesperienza, non l'avrebbe mai fatto. Perché lui si era offerto volontario, allora? Perché aveva voluto rischiare? E a quanto corrispondeva una piccola fortuna?

Rimase ferma sul marciapiede per qualche istante, non sapeva da che parte andare. Non voleva recarsi in città, non voleva vedere né parlare con nessuno prima di essersi schiarita le idee. Aveva bisogno di tempo e di tranquillità per pensare. Con tutte le preoccupazioni che Percy le aveva dato, non aveva avuto un attimo di calma per considerare la proposta di Robert, figurarsi prendere una decisione.

Quanto mancava all'appuntamento? L'orologio nel corridoio della zia aveva indicato che mancava poco alle dieci. Le rimanevano ancora due ore per pensare.

Si rivolse nella direzione opposta, sulla strada che risaliva la collina e si avviò verso il castello per una serie di strade secondarie, incantata, come sempre, dalla vista delle tre enormi torri di pietra che incombevano come sentinelle mute sulla città. La fortezza originale era antica, risaliva quasi al periodo della conquista normanna, sebbene l'edificio di pietra fosse stato aggiunto in seguito, da Enrico III. Seicento anni dopo, le torri e il muro esterno erano ancora intatti, per lo più – erano le stesse pietre su cui si era arrampicata da bambina, sebbene avessero un'aria più trascurata che in passato e il cancello fosse sbarrato con delle tavole di legno, ricoperto di erbacce.

Ianthe l'aveva sempre considerato un luogo speciale, il posto in cui i suoi genitori si erano conosciuti, dove suo padre, un artista, aveva scorto la mamma seduta ai piedi del parapetto con un libro di poesie in mano. Una visione, che aspettava solo di essere dipinta, o almeno così aveva sempre detto lui. Incantato, le aveva chiesto il permesso di farle un ritratto, e così era iniziata la loro storia. Si erano innamorati quel pomeriggio stesso, in una sola seduta.

Ianthe sospirò. In quel luogo familiare iniziava a rilassarsi, ricordando lo sguardo adorante della madre e il modo in cui il volto del padre si addolciva ogni volta che rammentavano il loro primo incontro – una storia che amavano raccontare, e lei amava ascoltare, una storia che le aveva sempre dato speranza nella possibilità di trovare l'amore, un giorno. Troppa sensibilità, aveva detto la zia, e forse aveva ragione. L'idillio, per i suoi genitori, si era trasformato in amore vero, ma non tutti erano così fortunati...

Si arrampicò su un mucchio di pietre e si sedette sulla sponda dell'antico fossato, ormai pieno di ortiche e di erba alta. Si tolse il cappello e lo posò accanto a sé, pensando alla sua rovinosa storia d'amore. Per lei non c'era stato nessun lieto fine. Albert l'aveva corteggiata durante le vacanze estive, rientrato dall'università, l'aveva seguita ovunque con la scusa di trascorrere un po' di tempo con le sue sorelle minori, citando Byron, Marvell e Shelley, i suoi poeti preferiti, e ribadendo ogni giorno la sua totale devozione.

Lei era ancora in lutto per i propri genitori, e le sue attenzioni l'avevano lusingata, era stata contenta di incontrare uno spirito affine nella sua esistenza solitaria, e aveva chiuso un occhio davanti agli aspetti più egoistici ed egocentrici del suo carattere. Adesso, sapeva di essersi ingannata sin dall'inizio – una consapevolezza dolorosa. Era stata stupida e ingenua, per colpa di quello smodato bisogno di sentire qualcosa – qualsiasi cosa – che non fosse dolore, per questo si era messa in testa di innamorarsi di lui, come se ricreare la storia d'amore dei suoi genitori potesse in qualche modo riportarli indietro. Aveva acconsentito a fuggire con lui, per quanto il suo buonsenso glielo sconsigliasse, pur sapendo che la famiglia di Albert non avrebbe approvato, convinta che l'amore avrebbe trionfato su tutto.

Non era stato così.

La loro relazione era iniziata con la poesia ed era finita a suon di dolorose e amare recriminazioni. Quando la sua famiglia li aveva sorpresi sulla strada che portava in Scozia, aveva impiegato meno di dieci minuti a metterle il figlio contro di lei. Lui aveva dato ascolto ai genitori, che l'avevano accusata di essere un'intrigante e una seduttrice, l'avevano offesa così a lungo e rumorosamente che lei stessa aveva iniziato a credere alle loro parole. Ianthe aveva rischiato il cuore, la reputazione e il futuro per un uomo, convinta che la amasse, ma il suo affetto si era rivelato non solo incostante. Si era rivelato del tutto falso.

Era tornata a Londra, da Percy, avvolta in una nuvola grigia, con il cuore infranto e umiliato, e aveva giurato che non avrebbe mai più fatto avvicinare un uomo, aveva indossato il vestito grigio per gridare al mondo intero che quella parte della sua vita era finita. Robert si era sbagliato quando l'aveva accusata di aspettare l'amore. La Ianthe di un tempo aveva rischiato tutto, per amore, e aveva perso. Per quanto fosse tentata, la nuova Ianthe non sarebbe mai stata tanto stolta – non avrebbe mai più messo il suo cuore e la sua felicità sul tavolo da gioco.

In questo caso, perché non accettare la proposta di Robert? Era ragionevole, perfettamente in linea con il buonsenso della nuova Ianthe, anche se era tutta una messinscena. I loro cuori non erano in pericolo. Lui era stato brutalmente sincero, le aveva detto che non era capace di amare – il solo pensiero lo faceva ridere – e aveva detto chiaramente di non aver alcun desiderio sentimentale nei suoi confronti, e men che mai fisico. Non c'era bisogno che gli desse dei bambini, non doveva fare niente, a parte mantenere la façade di rispettabilità.

E, aspetto ancora più importante, era stato lui a dire che il passato non aveva importanza. E se davvero era così, se Robert davvero guardava al futuro, forse non c'era bisogno che Ianthe gli raccontasse di sé. Le uniche persone che sapevano della sua fuga erano Percy e i familiari di Albert, e nessuno ne avrebbe parlato. Se adesso avesse potuto vivere al di sopra di ogni sospetto, sarebbe stato perfetto. Il passato sarebbe rimasto al suo posto e lei avrebbe potuto accettare la proposta con la coscienza sgombra... giusto?

Portò le ginocchia al petto e vi posò il mento, sapeva già la risposta. In realtà, la sua fuga non era stata molto scandalosa. Aveva condiviso con Albert una carrozza e qualche bacio casto, niente di più. Robert, tuttavia, aveva chiesto la sua mano perché era convinto che fosse una persona diversa, una persona senza passato, che mai era stata coinvolta in uno scandalo, e sicuramente priva delle strane voglie che risvegliava in lei, voglie che con tutta probabilità l'avrebbero fatto inorridire, se ne fosse stato al corrente.

Al ballo non le era sembrato così disgustato dalla sua presenza. Durante il valzer – in quei fuggevoli attimi di debolezza in cui aveva liberato la vecchia Ianthe dalla prigione in cui l'aveva rinchiusa – la sua espressione aveva preso i contorni del desiderio. L'aveva accusata di essere una donna diversa, ma anche lui le era parso un altro. Il corpo alto e possente aveva danzato a ritmo di musica in perfetta sintonia con il suo, e la durezza d'acciaio del suo sguardo si era fatta fumosa, come se il metallo si fosse fuso e fosse penetrato nei suoi occhi con un'intensità insostenibile...

Ianthe udì uno scricchiolio alle sue spalle, e quando si voltò, aspettandosi di vedere uno scoiattolo o un uccello, vide invece Sir Charles. Per qualche secondo il suo cuore si fermò, poi riprese a battere, più forte e più veloce di prima, come se volesse recuperare il tempo perso. Era in piedi a qualche iarda da lei e la fissava con un'espressione vorace che le raggelò il sangue.

Ianthe si alzò subito in piedi, nella sua testa era scattato un allarme. L'espressione di Sir Charles le diceva che qualcosa fra di loro era cambiato. Nei suoi modi, adesso, non rimaneva niente di elegante, di civile, di lontanamente adatto a un gentiluomo. Abbandonati gli orpelli della mondanità, il suo volto pareva più smunto e più affilato, rapace. I suoi occhi la inchiodavano.

Ianthe inspirò, cercando di non farsi prendere dal panico mentre si guardava intorno in cerca di una via di fuga. Era impossibile che l'avesse trovata per caso. Si trovava in un punto appartato del castello e non aveva detto a nessuno dove stesse andando. Doveva averla seguita. Perché? Cosa voleva da lei? A giudicare dalla sua espressione, non voleva scoprirlo. L'unica cosa che sapeva era che doveva allontanarsi da lui il prima possibile.

Per farlo, però, doveva passargli accanto.

«Buongiorno, Sir Charles.» Cercò di mostrarsi disinvolta, di parlare in tono tranquillo. «Bella mattina per una passeggiata, vero?»

«Ianthe.» Parlò senza variazioni di tono, con durezza. «Non mi piace essere preso in giro.»

«Che cosa intendete?» Ianthe sentì un nodo alla gola, era a disagio.

«Ve ne siete andata presto dal ballo, ieri sera.»

«Ero stanca.»

«Mi avete messo in imbarazzo.»

Mosse un passo avanti, e lei affondò i tacchi nell'erba, resistendo all'istinto di indietreggiare. Se avesse mostrato il minimo segno di debolezza, aveva la sensazione che le sarebbe saltato addosso. L'unica scelta possibile era affrontarlo, discutere e sperare di trovare una via di fuga.

«Non era mia intenzione, e ho tutto il diritto di andarmene quando voglio.»

«E che mi dite del fatto che avete passato metà della serata in compagnia di Robert Felstone?»

«Sono affari miei.» Alzò in mento, in atteggiamento di sfida. «È un conoscente. Non capisco cosa abbia a che fare con voi il fatto che ci abbia parlato.»

«Vi ho presentato a molte persone.»

«Non ve l'ho chiesto io.»

Ianthe lanciò un'occhiata alle spalle dell'uomo in cerca di un appiglio, ma non ne trovò. Non c'era nessuno da quelle parti, non si vedeva anima viva, solo muri di pietra cadenti e fogliame. Come le era venuto in mente di andare lì da sola, dando per scontato che l'amore dei suoi l'avrebbe protetta? Come aveva fatto a essere così ingenua? Di nuovo! Avrebbe potuto mandare un invito a Sir Charles, direttamente. L'istinto le diceva che doveva fuggire il prima possibile. Se fosse riuscita a tornare sulla strada, lui non si sarebbe di sicuro azzardato ad abbordarla in pubblico.

«E adesso, se volete scusarmi...» Fece un passo di lato, per girargli intorno. «... sono in ritardo, devo pranzare con la zia.»

Lui allungò la mano di scatto, afferrandola per il braccio. «Sapete che sono interessato a voi da sempre, Ianthe.»

Lei rimase di sasso, le si gelò il sangue quando il baronetto la toccò. «Non c'è bisogno che facciate così.»

«E invece io credo di sì.» La tirò a sé, all'improvviso, stringendola forte, tanto che lei sentì il suo alito caldo sulla guancia. «E non andrete da nessuna parte finché non ci saremo chiariti.»

«No!» Ianthe strattonò il braccio, ma lui reagì serrando la presa.

«Anche vostra madre era testarda.» La sua voce si indurì, la guardava con occhi impassibili. «Cocciuta, impulsiva, stupida.»

«Come osate!» Ianthe smise di divincolarsi e con la mano libera gli rifilò uno schiaffo in faccia, che lui sembrò notare a malapena.

«La amavo lo stesso. L'ho sempre amata, ma ero troppo giovane quando ci siamo conosciuti. I miei genitori si sono rifiutati di appoggiare la nostra unione, per questo me la sono lasciata scappare. È stato l'errore più grande della mia vita. E non ho intenzione di commettere lo stesso sbaglio con voi.»

«Cosa?» Lei rimase a bocca aperta, troppo sconvolta per ribellarsi.

«Ci amavamo.»

«Bugiardo! Lei amava mio padre!»

«L'artista?» Il tono di Sir Charles era carico di disgusto. «Sì, all'inizio ne era convinta. E quando è tornata in sé era troppo tardi, ormai. Voleva me. E io volevo lei. Per tutti questi anni, ci siamo desiderati.»

«No!» Ianthe era inorridita, si rifiutava di crederci. Non poteva essere vero. Se lo fosse stato, allora tutta la sua vita si era fondata su una menzogna. Non era vero! Non gli avrebbe mai creduto! «Eravate amico di mio padre!»

«Come di vostro fratello, volete dire?»

«Ma...» Ianthe scrollò la testa, spiazzata dalla sua doppiezza. «Non capisco. Perché avete finto di essere loro amico?»

«Per vederla.» Lo sguardo di Charles si addolcì per un momento, come se si stesse guardando dentro, prima di tornare a concentrarsi su di lei. «E per vedere voi.»

«Me?»

«Se non fosse stato per voi, l'ultimo anno mi avrebbe distrutto. Quando l'ho persa, mi è sembrato di perdere una parte di me stesso. Ecco perché sono andato all'estero, alla ricerca di un po' di pace, ma non ci sono riuscito.»

Nonostante le circostanze, Ianthe provò un briciolo di compassione. «Capisco. Anch'io sono stata malissimo, ma dobbiamo accettare che se n'è andata.»

«Non del tutto.» Le cinse la vita con un braccio, e la strinse così forte da mozzarle il fiato. «Una parte di lei è rimasta in vita.»

«No!» Quando Ianthe capì cosa intendesse, sgranò gli occhi, inorridita. «Non sono lei! Non posso prendere il suo posto!»

«Siete molto simile. E adesso che lei non c'è più, mi siete rimasta solo voi.»

Con un sorriso perverso, Sir Charles si avventò sulle sue labbra con ferocia, facendola gridare di dolore.

«Lasciatemi andare!» Distolse il volto disgustata e sputò per terra.

«Voi potete rimediare, Ianthe.» Lui la prese per il collo, e la costrinse a guardarlo in faccia, respirando affannato nel suo orecchio. «Potete rimediare al suo errore.»

«Mai!»

In preda alla rabbia, Ianthe alzò il ginocchio e lo colpì forte nelle parti basse, liberandosi dalla sua presa mentre Sir Charles crollava sull'erba con un grugnito.

Lei approfittò del vantaggio guadagnato, e si arrampicò in modo scomposto su una catasta di massi, poi si mise a correre sull'erba scivolosa, tornando verso il sentiero. Il suo scialle si impigliò in un sasso, ma lei lo lasciò andare, sfrecciando a perdifiato verso la zona abitata.

Era pazzo!

Quando arrivò sulla strada, non si fermò, continuò a correre, passando davanti alle case, incurante del suo aspetto, cercando di liberarsi dell'orrore appena vissuto. La verità era più spaventosa di quanto avesse immaginato. Ecco perché Sir Charles non notava mai i cambiamenti – perché non era lei che vedeva! Aveva semplicemente trasferito su di lei l'ossessione che aveva avuto nei confronti di sua madre! Era quello l'unico motivo per cui la voleva – il motivo per cui la guardava, per cui non era disposto ad accettare un no come risposta. Quanto ai sentimenti della mamma nei suoi confronti... al momento non riusciva a pensarci. Al momento le sembrava che tutto il suo mondo fosse impazzito. Doveva tornare a casa della zia, al sicuro, e nascondersi.

Per quanto tempo?

Quando arrivò nella piazza del mercato si arrestò. Per quanto tempo poteva nascondersi lì? Non poteva aspettarsi che zia Sophoria la tenesse con sé per sempre. Viveva di una piccola rendita che non sarebbe mai bastata per due persone. Che cos'altro poteva fare? Dove poteva andare? Aveva il sospetto che Sir Charles l'avrebbe seguita in capo al mondo. Dopo trent'anni di struggimento per sua madre, era improbabile che si arrendesse adesso. Non poteva neppure fare affidamento su Percy, gli avrebbe detto subito dove si trovava. Se voleva scappare davvero, avrebbe dovuto rompere anche con lui, e questo non poteva farlo. Sebbene l'avesse minacciata di disconoscerla, era pur sempre suo fratello.

No, capì, se non poteva ribellarsi né fuggire, le rimaneva solo una possibilità. Poteva trovare un rifugio senza nascondersi, Sir Charles l'avrebbe vista, ma non avrebbe osato toccarla. Non aveva più scelta – doveva aggrapparsi all'unica ancora di salvezza che le rimaneva.

Giusto o sbagliato, doveva trovare Robert e accettare la sua proposta.