Robert tamburellò con le dita sul tavolo, desiderando che la riunione finisse. I membri del consiglio d'amministrazione delle ferrovie, quella mattina, erano particolarmente prolissi, anche più del solito. In quel momento, la possibilità di costruire una diramazione fino a Scarborough gli importava meno della ricerca di una scusa plausibile per scappare.
Lanciò un'occhiata impaziente all'orologio. Mancava ancora un'ora a mezzogiorno. Quale sarebbe stata la risposta di Ianthe? Non sapeva cosa aspettarsi. Non sapeva neppure che aspetto avrebbe avuto quel giorno, figurarsi cosa avrebbe detto. Ma se avesse detto di sì...
Sulle sue labbra si disegnò un mezzo sorriso. Se avesse detto di sì, lui avrebbe potuto iniziare l'indomani stesso a fare piani per allargare il cantiere navale: Harper era pronto a vendere – le sue fonti gliel'avevano confermato – e lui poteva offrirgli una somma superiore agli altri. Se avesse avuto anche una consorte rispettabile da presentargli, non avrebbe avuto più alcun motivo per dirgli di no. La vendita sarebbe andata a buon fine nel giro di qualche mese.
Ianthe, adesso, non era la stessa donna a cui aveva chiesto di sposarlo. L'immagine di lei al ballo era impressa nella sua memoria, e ogni volta che ci pensava gli scaldava il sangue, ma tutto sommato esistevano problemi ben più gravi di avere una moglie per cui si provava attrazione. Non l'avrebbe distratto dal lavoro, se ne sarebbe assicurato. E se, nel tempo, si fossero avvicinati anche dal punto di vista fisico, non sarebbe stata una catastrofe. Di sicuro, non si sarebbe innamorato di lei. In fin dei conti, l'accordo sarebbe stato vantaggioso per entrambi.
Era ancora assorto nei suoi pensieri, quando un segretario fece capolino dalla porta, rivolgendogli uno sguardo mortificato.
«Scusatemi, ma c'è una giovane che dice di conoscervi, Mr. Felstone. Mi dispiace disturbarvi, sir, ma sembra alquanto sgomenta.»
«Certamente.» Robert scostò la sedia all'istante, ignorando i borbottii infastiditi dei colleghi. «Vogliate scusarmi, signori.»
Si affrettò a uscire, e percorse il binario per andare incontro a Ianthe che lo aspettava appoggiata a un muro, con le braccia conserte, come se stesse cercando di passare inosservata. Indossava lo stesso vestito grigio sformato di quel giorno sul treno, senza scialle né cappello, come se fosse uscita di fretta. Anche i suoi capelli erano insolitamente scompigliati, e alcune ciocche lunghe e sottili le coprivano il viso, senza che lei facesse il minimo sforzo per ravviarle. A Robert bastò uno sguardo per capire che qualcosa non andava. Aveva le guance di un pallore innaturale, ma il volto sembrava agitato, gli occhi guizzavano a destra e a sinistra come se non riuscissero a fermarsi e si mordeva il labbro con tale foga che era tutto gonfio.
C'era sicuramente qualcosa che non andava.
«Ianthe?» Andò dritto al punto. «Qual è il problema?»
Quando udì la sua voce, la giovane alzò gli occhi, e il suo sguardo, da impaurito, si fece sollevato. «La vostra proposta è ancora valida?»
«Cosa?» Robert si fermò di colpo, a metà passo. «Sì, ovviamente.»
«Allora accetto.» Ianthe parlò velocemente, come se volesse comunicargli la sua decisione prima che uno dei due cambiasse idea. «Vi sposerò.»
Lui piegò la testa di lato, cercando di contenere la sorpresa per l'esito della proposta, e ancor di più per il modo in cui l'aveva saputo. Lei sembrava molto spaventata, e congiunse le mani cercando, inutilmente, di fermare il tremore. Non aveva paura di lui, vero? Non gli era mai parso che fosse intimorita, per quanto l'idea stessa del matrimonio potesse far paura. Considerata la natura casta della sua proposta, tuttavia, non si sarebbe aspettato una reazione tanto estrema. Gli occhi castani di Ianthe erano lucidi e brillavano, febbrili, allarmandolo.
«Sono onorato» si ricordò di rispondere, alla fine. «Pensavo che ci saremmo visti a casa di vostra zia.»
«Ho preso la mia decisione.» Lei alzò il mento, sulla difensiva. «Pensavo che lo voleste sapere.»
«Sì, certo. Tuttavia, posso chiedervi cosa vi ha spinto a prenderla?»
Una nuova ondata di panico turbò i suoi lineamenti, fuggevole ma inequivocabile. «Ho concluso che fosse un buon affare, in fin dei conti. È così che lo vedete anche voi, no?»
«Sì.»
«Allora siamo d'accordo.» Lei annuì con foga. «Vi aiuterò a convincere Mr. Harper a vendervi il cantiere, e a istruire il vostro pupillo. In cambio, voi mi darete un luogo sicuro in cui vivere.»
Un luogo sicuro? Robert corrugò la fronte. Cosa voleva dire? Perché non si sentiva al sicuro? Aveva una decina di domande sulla punta della lingua, ma ebbe la netta impressione che sarebbero rimaste senza risposta. Pareva che il baccano e il trambusto del binario la esasperassero ancora di più, rendendola nervosa e inquieta come una giovane puledra. Se avesse insistito per avere delle risposte, sarebbe fuggita, probabilmente.
«Mi avete reso un uomo felice, Ianthe. Viste le circostanze, credo che i miei colleghi possano cavarsela da soli per il resto della riunione. Posso accompagnarvi a casa?»
Lei ebbe un attimo di esitazione, e quando Robert le porse il braccio, indietreggiò di un passo, per poi farsi avanti lentamente e accostare la mano al suo bicipite, sfiorandolo appena. Lui le rivolse un sorriso rassicurante, portandola via dal binario affollato, verso l'uscita della stazione. La mano di Ianthe tremava ancora leggermente; dal modo in cui serrava il pugno, tuttavia, si capiva che stava cercando di controllarsi e di farsi coraggio. Forse, una volta all'aria aperta, si sarebbe rilassata. E magari gli avrebbe dato un indizio su ciò che era accaduto...
«Vi è piaciuto il ballo?» chiese, tentando di mantenete un tono leggero. Uscirono su Park Street.
«Sì.»
«E a vostra zia?»
«Sì.»
«È stato un grande successo, così dicono.»
«Bene.»
Robert serrò la mascella, esasperato. Aveva esaurito la sua scorta di chiacchiere futili. Adesso che gli aveva ufficialmente detto di sì, Ianthe non sembrava dell'umore giusto per fare conversazione. Lui sperava solo che la zia fosse a casa, quando sarebbero arrivati. Forse, lei sapeva cosa stava succedendo.
«Dove stiamo andando?» All'improvviso, Ianthe gli strattonò il braccio, costringendolo a fermarsi.
«Da vostra zia.» Robert percepì una nota di paura nella sua voce.
«Non conosco questa strada.»
«È una traversa di Burgate, sbuca vicino a casa sua. Pensavo che preferiste evitare le zone troppo affollate.»
«Perché?»
Perché? Robert la guardò, incredulo. Non era ovvio? «Possiamo percorrere un'altra via, se volete.»
«No.» Ianthe esitò, poi scrollò la testa. «Non la riconoscevo, tutto qui.»
Lui continuò a camminare, piano, mentre la curiosità lo mangiava vivo. Dal modo in cui si comportava, sembrava che avesse paura di stare da sola con lui, eppure era stata lei ad andare alla stazione, lei aveva appena acconsentito a passare il resto della vita con lui, che diamine! Non aveva alcun senso, a meno che – abbassò lo sguardo sul suo viso, in cerca di qualche indizio – a meno che non fosse qualcun altro a spaventarla... a meno che non si trattasse di qualcos'altro, qualcosa che l'aveva spaventata tanto da convincerla a sposarlo...
Si accigliò, sospettoso. Le era successo qualcosa dopo il ballo, che l'aveva fatta sentire in pericolo? Era molto nervosa. Le guance avevano ripreso colore, ma il suo disagio traspariva chiaramente, gli occhi continuavano a vagare senza sosta come se stessero cercando qualcosa.
O qualcuno.
A un tratto, lui cambiò espressione. Gli veniva in mente solo una persona capace di spaventarla. Cosa poteva avere a che fare Sir Charles con il suo comportamento strano? Non poteva averla seguita a casa dopo il ballo. Era rimasto nella sala da gioco tutta la sera... era ancora lì quando lui era uscito per accompagnare Percy alla locanda. Non aveva neppure la fama di essere mattiniero. Gli pareva altamente improbabile che Ianthe l'avesse incontrato di mattina. E allora... per quanto fosse folle e spiacevole, i suoi nervi dovevano avere a che fare con l'agitazione per il matrimonio.
Notò casualmente la bottega di un gioielliere, in una traversa sulla destra, e gli venne un'idea all'improvviso, che lo convinse a virare in quella direzione. Se il pensiero del matrimonio la turbava tanto, forse il modo per calmarla era affrontarlo a testa bassa.
«Sapete da dove proviene il nome di Pickering?» Glielo chiese come se niente fosse, e non appena svoltò sentì la donna che si irrigidiva.
«No.» Era di nuovo nel panico. «Dove stiamo andando?»
Lui indicò il gioielliere. «Vorrei comprarvi un anello di fidanzamento.»
«Un anello?» Ianthe era sconvolta. «Non ce n'è bisogno. È un accordo d'affari.»
«Fa lo stesso, vorrei comprarvelo. Per siglare il patto, se preferite.»
«Perché? Abbiamo già discusso le condizioni. Non ho intenzione di tirarmi indietro.»
«Ianthe.» Robert si fermò davanti alla vetrina, e si voltò lentamente verso di lei. «Mia madre non ha mai avuto un anello. Mi piacerebbe che mia moglie ne avesse uno.»
«Oh.» Ianthe si morse il labbro, mortificata. «È importante per voi, quindi?»
«Consideratelo un favore che mi fate. Inoltre, come vi dicevo, Pickering è il posto giusto. Secondo la leggenda, un antico re di nome Pereduro, una volta, perse un anello in questo luogo e accusò una fanciulla del posto di averlo rubato. In seguito, dei pescatori catturarono un luccio nel fiume e nel suo stomaco trovarono l'anello. Il nome della città viene da lì: pike, cioè luccio, e ring, anello. Pickering.»
«Il re mentiva quindi, quando ha accusato la ragazza?»
La giovane gli puntò gli occhi addosso, e lui sorrise. «Forse l'ha solo giudicata male.»
«E poi cos'è successo?»
«L'ha sposata.»
«Perché si sentiva in dovere di farlo?»
«Questo non lo so. Forse voleva scusarsi. Forse gli piaceva. O forse la trovava solo interessante.»
«O rispettabile?»
«Forse tutte le cose insieme.»
A un tratto, un'ombra oscurò il volto di Ianthe. «E se si fosse rivelata una persona diversa? O perlomeno diversa dal modo in cui lui l'aveva immaginata?»
Robert inarcò un sopracciglio. Eccola di nuovo, la sensazione che lei volesse metterlo in guardia... verso qualcosa che non aveva il coraggio di raccontargli.
«Forse, il re si considerava bravo a capire le persone. A ogni modo, non credo che si sarebbe mai rimangiato la parola data.»
Lei abbassò lo sguardo, e per un attimo rimase assorta nei propri pensieri, poi tornò a fissarlo attraverso le ciglia scure. «È una storia vera o l'avete inventata voi?»
«Pensate che sarei in grado di inventare un nome come Pereduro? Guardate lo stemma cittadino se non ci credete.»
Sorridendo, Robert aprì la porta del negozio, conducendola in una stanza buia, piena di teche di legno e vetro; ognuna conteneva un assortimento di anelli, spille e orecchini.
«Scegliete. Tutto quello che desiderate.»
«Tutto?» Ianthe sgranò gli occhi da cerbiatta, che sembravano illuminati dallo scintillio dei gioielli. «Non so quale sia più adatto. Non volete scegliere voi?»
«Ma sarete voi a doverlo portare.»
La ragazza corrugò le labbra, guardò la prima teca che le capitò a tiro e indicò una fede semplicissima, con una pietra rossa. «Quello.»
«Il granato?» Robert la guardò dubbioso. «È per via dei miei discorsi?»
«Cosa volete dire?»
«Deve essere l'anello più semplice del negozio.»
«Esatto. Niente di vistoso, rispettabile.»
Rispettabile. Di nuovo quella parola. Iniziava a pentirsi di averla usata.
«Ce ne sono di più grandi.»
«Non lo voglio più grande. Avete detto che potevo scegliere.»
«È vero.» Lui sospirò. «Va bene, se è quello che volete... ma, che ne dite dell'altro?» Indicò un anello in fondo alla teca, una fascia d'oro lavorato, sottile, con sei piccoli zaffiri incastonati intorno a un diamante a punta. «È rispettabile, e credo che vi starebbe bene.»
«Il fiore?» Ianthe rimase a bocca aperta.
«Posso?» Robert confabulò brevemente con il gioielliere, poi prese l'anello e glielo infilò al dito. «Guardate.»
«Mia madre ne aveva uno uguale.» Mentre rimirava le pietre, la voce di Ianthe si addolcì. «Quando Percy l'ha venduto, mi si è spezzato il cuore. Mio padre diceva sempre che era semplice e bellissimo, proprio come lei.»
«È esattamente quello che penso io.»
«Non volevo...» Le guance di Ianthe avvamparono. «Ecco... mi ricorda lei, tutto qui.»
«Allora siamo d'accordo. È stato rapido e indolore, no?»
«Sì.» Lei scrollò la testa, e un sorriso timido aleggiò sulle sue labbra. «Non voglio toglierlo.»
«Allora non fatelo.» Robert si rivolse al gioielliere. «Mandatemi il conto direttamente a Whitby.»
«Benissimo, Mr. Felstone.» L'uomo sembrava felice quanto lui. «È un modello classico. Un'eccellente scelta, se mi permettete.»
«È perfetto.» Ianthe continuava a guardare la sua mano, e il suo volto fu illuminato da un sorriso inatteso, come se il sole avesse cacciato la coltre di nuvole. «Grazie, Robert. Non indosserò mai più i guanti.»
«Allora permettetemi di portarli.»
Prese le sue cose, deciso a evitare in tutti i modi che quel sorriso svanisse, stordito da una sensazione nuova e intensa dentro al petto. Adesso, Ianthe pareva più calma, come se l'anello l'avesse calmata – un'altra donna, di nuovo, quella che aveva danzato con lui al ballo, quella che non avrebbe mai lasciato andare...
Robert tenne aperta la porta, e quando lei gli passò accanto sentì il suo odore di erba fresca. Il sorriso felice e meravigliato che aveva sul volto era stupendo, trasformava i suoi lineamenti rendendoli adorabili. Per un attimo, sentì l'impulso irrefrenabile di chinarsi e baciarla, di sentire quelle labbra carnose sulle sue. Non aveva nessuna intenzione di farlo, beninteso. Avrebbe violato i termini del loro accordo.
Inoltre, non voleva spaventarla di nuovo. La visita dal gioielliere era andata meglio del previsto, come se lei avesse solo bisogno di un briciolo di rassicurazione, ma non aveva ancora capito se c'era qualcosa che la turbava...
«Siete sicura di stare bene, Ianthe?» Mentre salivano fianco a fianco la collina su cui sorgeva la casa della zia, le lanciò una rapida occhiata.
«Sì.» La sua risposta giunse con eccessiva solerzia, e lui sospirò, poco convinto.
«In questo caso, dirò alla governante di iniziare i preparativi per il vostro arrivo. Se avete bisogno del corredo, potete segnare tutto sul mio conto.»
«No! Cioè... avete speso anche troppo denaro per la mia famiglia.» Sul suo volto comparve un'espressione colpevole. «Ho saputo cos'è successo ieri sera. Quando vi ho chiesto di aiutarmi con Percy, non immaginavo che vi sarebbe costato caro. Mi dispiace.»
«Non me l'avete chiesto. Mi sono offerto.»
«Sono in debito con voi.»
In debito? Robert serrò i denti. Era quello il motivo per cui aveva acconsentito a sposarlo, per via dei soldi che aveva perso a causa del fratello? Avrebbe dovuto aspettarselo, sebbene avesse sperato che lei lo venisse a sapere dopo avergli dato una risposta. Duecento sterline erano una somma considerevole, non abbastanza da preoccuparlo, ma sufficiente a sanare i debiti del ragazzo, o almeno così sperava. Non era stato facile perdere in modo convincente con un giocatore pessimo, ma Robert andava piuttosto orgoglioso di come se l'era cavata. Non si aspettava certo che gli si ritorcesse contro in quel modo...
«Non esiste alcun debito, Ianthe, sono felice di essere stato d'aiuto. Non voglio che mi sposiate per gratitudine.»
«Non lo sto facendo!» Sembrava che la sola idea la sconvolgesse.
«Bene. Se non altro, vostro fratello sarà più ragionevole, adesso che le sue finanze sono in condizioni migliori. Forse non è più necessario che vi sposiate.»
Ianthe alzò la testa, e lo scrutò a lungo con sguardo indagatore, poi spalancò la bocca. «Avete perso apposta?»
«Non ho detto questo.»
«Ma l'avete fatto!» Dalla voce, sembrava convinta. «E l'abito del ballo... non era di Kitty, vero?»
«Adesso lo è.»
«Ma... non capisco.» Adesso, il suo volto aveva un'espressione sbigottita. «Perché state facendo tutto questo? Perché mi state aiutando?»
Robert esitò. Era una buona domanda, e lui non era sicuro di conoscere la risposta. Perché si stava impegnando tanto per aiutarla? In un certo senso, il suo progetto di espandere il cantiere non gli sembrava più una ragione convincente, ma come poteva spiegare ciò che lui, per primo, non capiva? Sentiva uno strano desiderio di proteggerla, era l'unica cosa che sapeva, di tenerla al riparo dal fratello e da Sir Charles, di salvarla da un matrimonio che non voleva, di stringerla fra le braccia e non separarsene mai più...
Scrollò la testa. Da dove saltava fuori quell'idea?
«Ve l'ho detto ieri, Ianthe, credo che valga la pena di correre il rischio, con voi.» Lo disse prima ancora di formulare il pensiero.
«Non vi deluderò.» La sua espressione si fece strana, determinata.
«Bene. Dunque, se ve la sentite di andare avanti, farò al più presto le pubblicazioni. Fra sei mesi al massimo saremmo sposati.»
«Sei mesi?» Giunti davanti a casa della zia, lei si voltò a guardarlo. «Pensavo che voleste sposarvi il prima possibile!»
«Sì, ma a meno di fuggire in Scozia, credo che i tempi siano questi. Ianthe!» Il volto della ragazza sbiancò in modo tanto repentino che Robert temette di vederla svenire. «Era una battuta. State bene?»
«Sì.» Lei si portò una mano alla testa, coprendosi in parte il viso. «Solo che... è troppo tempo.»
«Cosa? Sei mesi?»
«Sì. Non voglio aspettare.»
Lui esitò, e abbassò lo sguardo sulla sua pancia, sospettoso. Gli veniva in mente un solo motivo per quell'eccessiva fretta, per quanto facesse fatica a crederlo. Ma perché, altrimenti? Una donna rispettabile non gli avrebbe mai chiesto una cosa del genere, perlomeno avrebbe dato una spiegazione. Una gravidanza indesiderata avrebbe giustificato il turbamento di quella mattina, soprattutto se era venuta a saperlo poco prima... Certo, non era una domanda che poteva farle. Se si sbagliava, probabilmente l'avrebbe preso a schiaffi, altro che anello...
«Sposarsi prima non sarebbe decoroso» si azzardò a osservare.
«Perché? Se il nostro è stato un corteggiamento a distanza, come fanno a sapere che è troppo presto?» Era tornata sulla difensiva. «Inoltre, mia zia non può permettersi di mantenermi così a lungo. Sapete quali sono i piani di mio fratello. Dubito che si arrenderà, a prescindere da quanto denaro vince.»
«Di certo non spingerà per farvi sposare Sir Charles, se siamo fidanzati ufficialmente!»
«Non lo so.» Un tremore le scosse il corpo, quando lui menzionò il baronetto. «Non posso fidarmi di lui, finché è sotto l'influenza di quell'uomo. Devo andarmene, Robert, per favore.»
Ianthe gli rivolse uno sguardo implorante e lui sentì la propria determinazione vacillare. Erano motivi convincenti, sebbene avesse ancora la sensazione che stesse nascondendo qualcosa. Il tono disperato della sua voce lo mise a disagio. Desiderava crederle, ma era sicuramente meglio aspettare, essere sicuri...
«Tre mesi, allora. Ho troppo lavoro al momento per anticipare ancora.»
«Non potete rimandare qualcosa?»
Lui si accigliò. «Ho tante persone alle mie dipendenze, Ianthe. Tante famiglie.»
«Oh.» Il volto della ragazza parve contrito. «Certo. Scusatemi, sono stata egoista. Tre mesi vanno benissimo.»
«Allora siamo d'accordo.» Robert tirò un sospiro di sollievo. Era magrissima, e in quell'arco di tempo, se fosse stata incinta, se ne sarebbe accorto. E se avesse scoperto di essere eccessivamente sospettoso, tanto meglio. Dopotutto, prima si sposavano, prima avrebbe acquistato il cantiere di Harper.
Ianthe annuì, e un ricciolo le ricadde sul viso, sopra gli occhi. Lui, d'impulso, allungò la mano per scostarlo e si ritrovò ad accarezzarle la guancia. Con sua grande sorpresa, lei non si allontanò. Anzi, piegò la testa di lato, socchiudendo gli occhi e premendo la guancia contro le sue dita.
«Tre mesi, dunque, Ianthe.» La sua pelle era talmente morbida che dovette sforzarsi per non prenderle il viso con entrambe le mani. «Mi considero legato a voi, ma non c'è bisogno che voi facciate lo stesso.»
Ianthe aprì gli occhi. «Vi do la mia parola. Non mi tirerò indietro.»
«Comunque, se doveste ripensarci, basterà mandarmi un biglietto a Whitby, nel mio ufficio. Non so quante volte riuscirò a tornare, ma con il vostro permesso, vorrei informare Giles del nostro fidanzamento. Se lo dice a Kitty, varrà come annunciarlo a tutta la città.»
«Non ho dubbi.» Con un sorriso complice, Ianthe si allontanò dolcemente da lui e aprì la porta. «Volete entrare? Sono sicura che la zia sarà contenta di ricevere la notizia.»
Robert esitò. Stranamente, le sue dita sentirono la mancanza della ragazza. L'idea di seguirla in casa lo tentava, e lo spaventava. Una volta dentro, la porta li avrebbe protetti dagli sguardi indiscreti dei passanti, sarebbero stati soli...
Le rivolse uno sguardo torvo, volutamente. Cosa gli prendeva? Si stava comportando come un vero corteggiatore, più che come un uomo d'affari. Si trattava di un accordo di lavoro – doveva ricordarlo – non importava se aveva voglia di stare da solo con lei.
«Devo tornare alla riunione.»
Ianthe cambiò faccia, allora lui le prese la mano e se la portò alle labbra, cercando di scusarsi per il tono brusco che aveva usato.
«Vi scriverò, Ianthe.»
«Davvero?» La sua voce era leggermente roca. «Allora lo farò anch'io.»
«Mi piacerebbe.» Lui abbassò lo sguardo sulla mano della ragazza, sapeva che avrebbe dovuto lasciarla e andarsene, invece si avvicinò. Che stava facendo? Si sentì come se vedesse la scena a distanza, come se fosse un osservatore neutrale, e intanto si avvicinava, attratto da quegli affascinanti occhi da cerbiatta, di un color caramello intenso con tocchi più scuri, marrone caffè...
Le loro labbra si toccarono, e lui fu preso da un formicolio, da un ardore improvviso, da un'ondata di calore che iniziò a scorrere nelle sue vene come argento vivo. D'istinto, la prese fra le braccia, mentre le labbra di Ianthe si incollavano alle sue, ancora più morbide e dolci di come le aveva immaginate, rispondendo al bacio con pari entusiasmo, come se anche lei provasse le stesse sensazioni.
Lui si ritrasse di colpo, colto da una vertigine, sconvolto dall'intensità del proprio desiderio.
«Oh.» Ianthe vacillò e si appoggiò a lui, portandosi una mano alla bocca con un'espressione stravolta.
«Sarà meglio che vada.» Si schiarì la voce e fece un inchino, come se volesse far passare il bacio per una mera formalità. Come se non avesse appena infranto tutte le regole del decoro. Come se non volesse farlo di nuovo...
«Allora arrivederci, Ianthe.» Non sapeva cos'altro dire.
«Sì... Arrivederci.» Lei girò sui tacchi, e richiuse in fretta la porta alle sue spalle, come se avesse paura che la seguisse.
In strada, Robert si guardò intorno per controllare che non ci fosse nessuno, poi prese a imprecare come un pazzo, sottovoce. Dunque, era fatta. Era fidanzato, fidanzato con una donna che conosceva a malapena, che sicuramente gli nascondeva qualcosa e che aveva acconsentito a sposarlo per motivi che non comprendeva.
E non aveva la più pallida idea di come certe cose lo facessero sentire.