10

Robert era in piedi accanto al camino del salotto con un bicchiere di whisky in mano e aspettava che Ianthe scendesse per la cena.

Dopotutto, era soddisfatto di come era andata la giornata. Dopo un inizio turbolento, tutto si era svolto come da programmi. Aveva portato a casa la novella sposa, poi era andato al cantiere e aveva annunciato la notizia ai suoi dipendenti sbigottiti, prima di lasciare loro il resto della giornata libera. Si era occupato di alcune scartoffie, aveva fatto il giro delle officine, aveva ispezionato la carena della sua ultima nave e, alla fine, era tornato a casa a cambiarsi. Niente male come giornata di lavoro. E allora perché era così agitato all'idea di rivederla?

Slanciò la testa all'indietro, scolando il contenuto del bicchiere in una sorsata.

L'amore non c'entra niente!

Strano quanto quella frase l'avesse infastidito. Non era la prima volta che le sentiva pronunciare frasi fuori luogo su un treno, ma quel giorno se lo sarebbe risparmiato volentieri. Si sarebbe dovuto complimentare con lei, avrebbe dovuto essere contento del suo approccio da donna d'affari, invece quella frase l'aveva ferito. Non si aspettava che l'amasse. Non lo voleva, né ne aveva bisogno. Non era abituato alle emozioni, né alle frasi dolci, neppure da parte di sua madre, eppure, sentire la verità espressa in modo tanto brusco e inaspettato, quando lui era stato impaziente – impaziente! – di rivederla, gli aveva provocato una fitta al petto.

Aveva reagito con severità, per un attimo aveva creduto che Ianthe volesse annullare il matrimonio, per quanto sembrasse piuttosto preoccupata del contrario, cioè che lui avesse cambiato idea. Sicuramente, lei aveva interpretato la mancanza di attenzioni da parte sua, nei mesi precedenti, come una mancanza di interesse, quando in realtà era tutto l'opposto. Detestava ammetterlo, ma Robert non aveva quasi fatto altro che pensare a lei.

Le circostanze in cui aveva accettato la sua proposta gli avevano dato da pensare, sin da quando si erano salutati davanti casa della zia. Ci aveva pensato tanto – durante le riunioni, i viaggi, nel cuore della notte – ma ancora non era riuscito a comprendere cosa l'avesse spinta. Più ci ragionava, tuttavia, più si convinceva del fatto che non si trattasse soltanto di una comprensibile agitazione per il matrimonio, che fosse successo qualcosa che l'aveva costretta a dire di sì.

Ancora una volta, i suoi sospetti erano caduti su Sir Charles, sebbene con qualche discreta domanda avesse appreso che non si era più visto a Pickering dalla sera del ballo, essendo partito per Londra poco dopo. Per il resto, tutti i suoi tentativi avevano fatto un buco nell'acqua. Pareva che il suo comportamento bizzarro non avesse spiegazione, e lui si era tenuto volutamente alla larga per evitare di assillarla di domande. Se l'avesse vista, sarebbe stato tentato di impicciarsi, e aveva avuto l'impressione che forzarla fosse la cosa peggiore, in questo caso.

Quindi, l'aveva ignorata apposta, per darle tempo di riprendersi da ciò che l'aveva spaventata, di calmarsi e di ripensarci, se necessario. Se avesse cambiato idea, sarebbe bastato scrivergli, così le aveva detto. Non gli importava niente dei progetti per il cantiere, voleva che lo sposasse perché lo voleva, non perché aveva paura.

Era buffo, ma la voglia di vederla era rimasta. Di baciarla, anche, per quanto la sua mente si rifiutasse di pensare alle possibili conseguenze. Più di una volta, era stato sul punto di prendere un treno per Pickering, ma aveva prevalso il buonsenso. Per quanto sembrasse crudele, rimanendo alla larga, non aveva voluto prenderla in giro. Il loro bacio era stato il frutto di un'effimera attrazione fisica, niente di più e niente di meno. Più la lasciava sola, prima se lo sarebbero messo in testa, entrambi.

Eppure, quella mattina, vedendola, era rimasto sconvolto. Il volto pallido e gli occhi cerchiati di rosso le davano un'aria da malata, non sembrava certo una donna felice di andare a sposarsi. Sicuramente non era incinta. Aveva la vita più sottile che lui avesse mai visto. Con il senno di poi, concluse che abbandonarla per tre mesi, forse, non era stata una buona idea. Cosa diavolo era successo?

Quel pomeriggio, tuttavia, gli era sembrata felicissima di vedere la sua nuova camera da letto. Perlomeno, ne aveva azzeccata una...

Lui alzò lo sguardo. Dei passi svelti nell'atrio gli fornirono una gradita distrazione.

«Matthew?»

«Sì, signore?» Un volto piccolo e birichino fece capolino dalla porta.

«Dov'eri stamani?» Fece cenno al ragazzino di entrare. «Dovevi essere qui quando è arrivata Mrs. Felstone.»

«Ero nelle stalle con Joe. Mrs. Lughton ha detto che andava bene.»

«Non ti ha detto di tornare entro mezzogiorno?»

«Sì, signore.» Il bambino strascicò i piedi, colpevole. «L'ha fatto.»

«Quindi?»

«Me ne sono dimenticato, signore.»

«Ti sei dimenticato che mi sposavo?»

Il bambino serrò i piccoli pugni. «Joe dice che le donne sono la causa di tutti i mali!»

«Davvero?» Robert resistette alla tentazione di ridere. Una frase che il burbero stalliere avrebbe potuto benissimo dire. «Spero che la descrizione non valga per mia moglie.»

«Dice che siete finito subito nelle sue grinfie.»

«Davvero?» Il volto di Robert si indurì. «L'ha detto a te

«No, a Nate, quando ha riportato la carrozza. Nate ha detto che sembra simpatica, però.»

«Lo è.» Robert rilassò le mascelle. Avrebbe dovuto dirne quattro a Joe, prima o poi. Perlomeno, che tenesse per sé le sue opinioni quando il ragazzino era nei paraggi. «È la tua nuova istitutrice.»

«Non voglio un'istitutrice.» Matthew si scaldò subito. «Perché non posso venire con voi al cantiere?»

«Perché c'è altro da imparare, oltre a costruire le navi.»

«No, se diventerò come voi. Voi non siete neppure andato a scuola. Me l'ha detto Joe.»

Robert alzò gli occhi al cielo, e decise di affrontare lo stalliere l'indomani mattina. «Un giorno ne sarai felice. Puoi stare con me il pomeriggio, se prima fai la lezione con lei. Capito?»

«Sì, signore.» Matthew incrociò le braccia, imbronciato. «Stasera devo cenare in sala da pranzo?»

Robert ci penso su per un attimo. Voleva presentare Ianthe a Matthew il prima possibile, anche solo per togliersi il pensiero, tuttavia, dopo l'atmosfera tesa di quella giornata, non ne aveva più molta voglia. Forse, l'incontro poteva aspettare fino all'indomani mattina, e quella sera il bambino poteva mangiare in cucina...

Aveva appena aperto la bocca per rispondere, quando udì uno scalpiccio di piedi sulle scale. Accidenti. Ormai era troppo tardi per mandarlo via. Dovevano fare per forza quella scenetta – e di sicuro sarebbe stata una bella scenetta.

Robert fece un passo verso la porta, e per poco Ianthe, che entrò quasi di corsa, non lo travolse.

«Oh!» Si fermò di colpo quando lo vide. «Ho perso la cognizione del tempo.»

«L'avevo capito.» A giudicare dal vestito da sposa sgualcito, per non parlare dei segni del cuscino sulla guancia, si era appena svegliata. Lui guardò l'orologio. Aveva dormito tutto quel tempo per davvero? Erano passate quattro ore da quando era uscito.

«Non c'è alcun bisogno di correre. Posso aspettarvi se volete cambiarvi.»

«No.» Lei scrollò la testa, affannata, e con una mano scostò i capelli dal viso. «A meno che non lo vogliate.»

«Affatto. Ci siamo solo noi due, in fin dei conti. E Matthew.» Si fece da parte e il bambino, nascosto dietro le sue gambe, uscì allo scoperto.

«Oh!» Il sorriso entusiasta di Ianthe si spense all'istante. «B... buonasera, Matthew.»

«Come state?» Il bambino parlò in tono scontroso.

«Molto bene, grazie. Sono felice di conoscerti. Il tuo... tutore mi ha parlato... mi ha parlato bene di te.»

Robert fece una smorfia. Era esattamente ciò che aveva temuto. Da quella piccola esitazione, capì subito cosa stesse pensando Ianthe. Era ciò che pensavano tutti quando vedevano lui e Matthew insieme. Con il passare del tempo, aveva sperato che la somiglianza si attenuasse, invece era diventata ancora più pronunciata.

Se non altro, di questo doveva dargliene atto, sua moglie stava cercando di mascherare il suo sbigottimento davanti al bambino. Tante persone non erano così attente. Ecco perché non aveva portato Matthew al matrimonio. Per quello, e per evitare Kitty. Era riuscito a tenerglielo nascosto per cinque anni, ossia da quando l'aveva portato a casa con sé. Allora, non voleva che la gente traesse le sue conclusioni, ed era ancora della stessa idea. Anche se le conclusioni erano quelle di sua moglie.

«Posso mangiare di sotto, allora?»

«Se vuoi.» Le cattive maniere del bambino lo fecero arrabbiare. «Ma fai come ti dicono.»

«Lo farò!» Il bimbo sgattaiolò via, ricordandosi soltanto all'ultimo momento di voltarsi e di fare un piccolo inchino. «Buonasera, Mrs. Felstone.»

«Buonasera, Matthew.» Ianthe fece un sorriso sincero. «Sono impaziente di iniziare con le nostre lezioni, domani.»

«Domani?» Il ragazzino guardò Robert con occhi supplichevoli.

«Domani.» Robert piegò la testa, nascondendo la sua stessa sorpresa. Avrebbe pensato che Ianthe volesse sistemarsi prima di iniziare a fare da insegnante al bambino, invece sembrava che il ruolo dell'istitutrice la attirasse, più di quello della moglie.

«Potrebbe darvi parecchio da fare.» Robert si schiarì la voce, quando la porta si richiuse alle spalle di Matthew. «Temo di avergli lasciato troppa libertà. Ha bisogno di disciplina, ma non è abituato a stare in classe.»

«I bambini hanno bisogno anche di libertà.» Era ancora rivolta verso la porta, come se non volesse guardarlo. «Farò del mio meglio, comunque.»

«Ne sono certo.» Robert congiunse le mani dietro la schiena, in attesa che gli facesse una scenata, ma lei non fiatò nemmeno. In un certo senso, quella reazione era ancora più snervante. Se doveva lanciargli delle accuse, era meglio che lo facesse subito. Come poteva smentirla, se lei non diceva niente?

«C'è qualche problema?» A un certo punto, il silenzio si fece insopportabile per lui.

«Niente affatto.» Finalmente, Ianthe si voltò, il suo volto era il ritratto dell'innocenza. «Sembra un bravo bambino.»

«Lo è.» Robert si accigliò, non sapeva come comportarsi. «Andiamo a cena, allora?»

Lei annuì, e lui le fece strada. Tornarono nell'atrio ed entrarono nella sala da pranzo. Era una delle sue stanze preferite, con le pareti di un tenue color verde acqua e le cornici bianche, oltre a una rosa di stucco candido sul soffitto alto, travi a vista e un grande bovindo che affacciava sul mare.

«Spero che siate affamata.» La fece sistemare su una sedia a capotavola, e lui andò a sedersi all'altra estremità del lungo tavolo. «Credo che Mrs. Lughton voglia fare colpo su di voi.»

«Mi mangerei un bue intero.»

«Bene. Non avete mangiato molto all'hotel, ho notato.»

Il sorriso di Ianthe vacillò. «È stata una giornata importante. Non potete rimproverarmi un po' di nervosismo.»

«E vostra zia non vi ha fatto mangiare?»

Lei abbassò lo sguardo sulla tovaglia. «È stata molto gentile, ma... ultimamente non ho avuto molto appetito.»

«E non avete neppure dormito, temo.»

«N... no. Non ho dormito molto bene. Fino a oggi, cioè.»

Il cipiglio di Robert si distese leggermente. Un dato incoraggiante, perlomeno. Senza dubbio, la stava facendo troppo lunga, era solo preoccupata all'idea di compiere il grande passo. Adesso che il matrimonio era cosa fatta, forse si sarebbe rilassata. Forse si sarebbero rilassati entrambi.

L'arrivo di una cameriera che portava una zuppiera colma di minestra gli impedì di fare ulteriori domande. Rimase a guardare, meravigliato, Ianthe che si avventava con entusiasmo sul piatto, come se non mangiasse da giorni. Il contrasto con il pranzo non avrebbe potuto essere più netto. Adesso non sembrava per niente ansiosa. Stava già mettendo in bocca l'ultima cucchiaiata, e si leccava le labbra soddisfatta.

Lui staccò subito gli occhi dalla sua bocca.

«Era deliziosa.» Ianthe si tamponò le labbra con il tovagliolo. «La vostra Mrs. Lughton è un'ottima cuoca.»

«Non mancherò di dirle che vi è piaciuta.»

«Mi è parsa molto gentile. E anche tutti gli altri. La casa è stupenda, per quello che ho visto, almeno. Anche se credo che questa sia la terza stanza in cui entro.»

«Dopo cena vi faccio fare il giro del palazzo. Non vorrei che vi perdeste per andare a letto.»

«Mi piacerebbe. Comunque, non mi sembra uno scambio equo.»

«Cioè?»

«Tutto questo in cambio di me.»

«Forse vi sottovalutate.»

Un'ombra le oscurò il viso. «Non credo.»

Ianthe abbassò di nuovo lo sguardo sulla tavola, fissando la tovaglia in silenzio, finché la cameriera non tornò con un vassoio, e dopo aver ritirato i piatti sporchi li sostituì con una generosa porzione di roast beef, con contorno di patate e carote, il tutto annaffiato con un sughetto caldo e piccante.

«A proposito del vostro pupillo...» Quando la cameriera se ne andò, Ianthe alzò lo sguardo.

«Cosa c'è?» Robert si fece subito teso.

«Volevo dirvi che le mie allieve erano entrambe femmine.»

«Quindi?» Non capiva dove volesse arrivare.

«Non sono abituata a insegnare ai maschi.»

«Non ce n'erano, nella famiglia in cui lavoravate?»

Ianthe sobbalzò, come se le avesse appena fatto una domanda sconvolgente, con la forchetta sospesa a mezz'aria.

«Ianthe?»

«Ce n'era uno.» Parlò con voce tremante. «Ma era più grande. Sapete, di solito i maschi vengono mandati in collegio.»

«L'ho sentito, ma preferisco che Matthew resti con me.»

«Forse, riceverebbe un'educazione migliore.»

Robert aggrottò la fronte, sospettoso. «Volete che lo mandi via?»

«No! Certo che no.»

«Bene. Ha avuto una vita anche troppo scombussolata.»

«Allora farò del mio meglio. Ho solo pensato che fosse giusto avvertirvi che la mia esperienza è... limitata.»

Lui si rilassò leggermente. «Sono sicuro che farete un ottimo lavoro, Ianthe. Meglio di quanto possa fare io, di sicuro. Ho trasformato una delle camere al primo piano in un'aula. Si affaccia a est, verso il mare. Dovrebbe essere molto piacevole, specie di mattina» aggiunse.

«È stato proprio un bel pensiero. C'è qualche argomento in particolare che vi preme che impari?»

Robert scrollò le spalle. «Non ci ho pensato molto. Al cantiere gli ho insegnato a far di conto e a leggere, ma mi piacerebbe che colmaste le sue lacune.»

«Le lingue?»

«Ne conoscete qualcuna?»

«Tedesco e italiano, e so leggere il latino. Un po' di greco, anche.»

«Solo un po'?» Robert inarcò le sopracciglia, colpito.

«Mi piacciono le parole, in qualsiasi lingua.» Ianthe fece un sorriso timido. «Anche al di fuori delle poesie.»

«Non avevo idea che foste così talentuosa. Forse dovremmo dimenticarci di Matthew e dovreste venire a lavorare con me al cantiere.»

«Che intendete?»

«Faccio affari con mercanti provenienti da tutta Europa. Un traduttore mi farebbe comodo.»

Il volto di Ianthe si illuminò. «Vi aiuterei molto volentieri. In ogni caso, mi piacerebbe visitare il cantiere.»

«Davvero?»

«Certamente. È per questo che ci siamo sposati, no? Mi piacerebbe vedere l'impero che sto contribuendo a costruire.»

«Allora organizzerò una visita.»

«Grazie.»

Robert le sorrise, con rinnovata stima. Le prospettive erano più che rosee. A quanto pareva, sua moglie riservava delle sorprese. Poteva dimostrarsi un utile braccio destro, in molti sensi. La zuppa, evidentemente, non aveva saziato il suo appetito. Stava gustando il secondo con piacere ancora maggiore.

«Siete andato a scuola?» Ianthe fece una breve pausa fra una forchettata e l'altra.

«Io?» Per poco, la forchetta non gli cadde di mano, tanta fu la sorpresa. «No. Non avevamo i soldi per mangiare, figuratevi per andare a scuola.»

«Oh, mi dispiace. Non pensavo...»

«Non mi avete offeso, Ianthe, pensavo che conosceste la mia storia. Ero certo che Kitty ve l'avesse raccontata.»

«Ero distratta dai preparativi per il bambino, credo. Zia Sophoria mi ha detto che siete stato cresciuto da vostra madre. Tuttavia, se avete insegnato a Matthew a leggere e scrivere, l'avrete imparato da qualche parte, no?»

«Con i numeri sono sempre stato bravo.» Infilzò una patata, in preda a un lieve sgomento. Non era abituato a parlare di sé, né del suo passato, ma Ianthe era sempre sua moglie. Se si trattava di farle un breve riassunto...

«Quando ci siamo trasferiti a Whitby non sapevo leggere né scrivere, ma avevo un grande intuito e imparavo velocemente. A dodici anni, ho iniziato a lavorare al cantiere di Masham, come apprendista. Mr. Masham ha visto qualcosa in me e mi ha preso sotto la sua ala.»

«Quindi è stato lui a farvi studiare?»

«Sì, quando staccavo dal lavoro. Poi, quando sono diventato bravo, sono stato promosso a impiegato, nel suo ufficio. Si è scoperto che avevo fiuto per gli affari. Anche il vecchio Masham si era fatto da solo, ed eravamo una bella squadra. Mi ha lasciato tutto il cantiere quando se n'è andato.»

«Non aveva parenti?»

«No, amava il suo lavoro, praticamente viveva nel cantiere. Non voleva nessuna distrazione...» Robert trasalì, non aveva avuto alcun tatto. «Non che il matrimonio debba esserlo per forza.»

Ianthe gli indirizzò un sorriso conciliante. «Non dovete giustificarvi. Il nostro matrimonio è un accordo d'affari, dopotutto. Mr. Masham avrebbe approvato.»

«Probabilmente sì. Anche se a lui della rispettabilità non importava un fico secco.»

«Forse aveva ragione.» Ianthe si fece pensierosa. «Perché la rispettabilità è così importante, in fin dei conti?»

«Solo una persona che non si è mai preoccupata di perderla può fare una domanda del genere.» La sua voce si fece dura e minacciosa.

«Avete appena detto che a Mr. Masham non importava.»

«Sua madre non l'avevano mai chiamata sgualdrina per strada.»

Robert serrò i denti, pentendosi delle sue parole non appena le pronunciò. Dannazione, ecco perché non gli piacevano le domande. Il suo passato era uno dei pochi argomenti che gli facevano perdere la pazienza.

«La chiamavano così?» Ianthe lo fissava con un'espressione sbigottita.

«Tra le altre cose.»

«A causa di vostro padre?»

«In parte.» Posò la forchetta, all'improvviso gli era passato l'appetito. «Giravano anche altre voci, ovviamente era tutto falso. Alcune persone preferiscono vedere solo il peggio. Pensano che una donna, se ha fatto un errore, sicuramente ne commetterà altri.»

«Ma non è giusto!»

Robert fece una risata amara. «No, ma è così che funziona.»

«Quindi è per questo che vi preoccupate tanto di apparire rispettabile? Non è solo per convincere Mr. Harper a vendere...»

Lui fece un sospiro. «Per me è importante perché mi hanno insultato anche troppo, nella mia vita, Ianthe. Ho fatto il pieno di pettegolezzi. Non permetterò più a nessuno di parlare di me. Ecco perché mi importa della rispettabilità.»

«Ma...» La voce di Ianthe si affievolì, come se fosse sul punto di scoppiare a piangere.

«A che pensate?» Robert si fece sospettoso. Perché era così sconvolta? Sapeva che era un figlio illegittimo. E, sicuramente, poteva indovinare il trattamento che la gente aveva riservato a sua madre – le offese che le aveva rivolto. Oppure l'aveva capito solo in quel momento?

«Pensavo che voleste una moglie rispettabile per fare colpo su Mr. Harper.»

Parlò a voce talmente bassa che Robert dovette sforzarsi per sentirla.

«È così.»

«Una donna che educasse il vostro pupillo e andasse a fare visita ai vostri conoscenti – è così che avete detto.»

«Sì, è così.»

«Non mi avevate parlato dei pettegolezzi.»

Lui si fece ancora più serio. «Fanno parte del passato, Ianthe.»

A un tratto, lei scostò bruscamente la sedia. «Credo di aver mangiato abbastanza. Era tutto delizioso, però sono stanca. Mi piacerebbe andare a letto.»

«Di nuovo?» Robert la guardò, scettico, ma lei si era già avviata alla porta.

«Mi dispiace.» Sulla soglia, si voltò leggermente indietro, evitando di guardarlo negli occhi. «Vi vedrò domattina?»

«No.» Robert si allungò e prese la caraffa di cristallo al centro del tavolo, per versarsi un grosso bicchiere di vino. Aveva desiderato fare colazione con lei, ma in quel momento gli sembrava preferibile andare un'ora prima al cantiere. «Mentre sono via, fate riferimento a Mrs. Baxter per qualsiasi cosa.»

«Allora fate buon viaggio.» Era quasi nell'atrio. «Buonanotte.»

Robert non si prese il disturbo di rispondere, attese che la porta si richiudesse e scolò tutto il vino, scaraventando con violenza il bicchiere nel camino.

Dove aveva sbagliato? L'attimo prima stavano parlando del cantiere, e quello dopo era scappata! A causa di sua madre? Al pensiero, serrò i pugni. L'aveva avvertita, non aveva nessuna intenzione di parlare del suo passato, non era un'abitudine sana, e aveva dato per scontato che avrebbe scoperto da sola i dettagli della storia. Aveva avuto tre mesi per fare domande! Tutto il periodo del fidanzamento! Perché Kitty non gliene aveva parlato? Che strano, possibile che fosse stata l'unica volta in cui Kitty era stata discreta in vita sua?

Guardò in cagnesco la porta, come se Ianthe fosse ancora lì. Alla faccia della rispettabilità. La moglie sembrava mortificata al solo pensiero di averlo sposato. Proprio come aveva detto Louisa. Nessuna donna rispettabile avrebbe voluto essere associata al suo passato. In un certo senso, Ianthe gli era sembrata più umana, invece era uguale a tutti gli altri, e aveva pensato male sin da subito, prima di Matthew e poi di sua madre!

Be', se la situazione non le piaceva, la colpa non era certo sua. Le aveva detto di informarsi. Peggio per lei, se non aveva ascoltato il suo consiglio.

Da quel momento in poi, il loro matrimonio sarebbe stato quello che doveva essere sin dall'inizio. Un accordo d'affari.