12

«Be'...» Ianthe fece una giravolta sulla soglia. «Che ne pensate?»

«State bene.» Robert alzò a malapena gli occhi dalla scacchiera su cui stava giocando con Matthew.

«Carino.» Il pupillo sembrava ancora meno colpito.

Ianthe fece un sospiro deluso. Non era il genere di risposte in cui aveva sperato. Visto che Robert l'aveva aiutata a rifarsi il guardaroba, almeno da parte sua si sarebbe aspettata un po' più di entusiasmo. L'abito che aveva scelto per la visita a Mr. Harper era, secondo lei, bellissimo e rispettabile, di un bel blu ceruleo spento, con il collo alto chiuso dai bottoni, le maniche lunghe e la gonna di media misura, con la coda, come andava di moda in quel periodo.

«Pensavo che oggi avremmo studiato i romani.» Matthew fece il broncio.

«Lo faremo. Io e il tuo tutore dobbiamo solo andare a trovare una persona, prima.»

Sorrise, poiché la sua espressione petulante in segreto la rendeva felice. Dal giorno della gita al porto, il bambino era cambiato completamente, e voleva in continuazione che lei gli dedicasse il suo tempo e le sue attenzioni. Tutto l'opposto del suo tutore. Fra di loro, l'atmosfera era stata tesa, sin da allora.

Fino a quel momento, Robert non aveva commentato in alcun modo il suo comportamento al porto, sebbene lei l'avesse sorpreso più di una volta a guardarla con un'espressione pensosa, come se stesse cercando di capire. Persino quando erano andati dalla sarta, si era sentita a disagio, come se fosse sotto esame. Aveva fatto di tutto per evitare di trovarsi da sola con lui, per sottrarsi alle sue domande, e in ogni caso, non avrebbe potuto dargli le risposte che cercava. La sensazione vivida e improvvisa di panico che l'aveva colta quando lui le aveva proposto di rimanere al molo da sola aveva preso alla sprovvista anche lei. In quel momento, neppure la sua presenza l'aveva aiutata. L'unico desiderio di Ianthe era stato tornare a casa il prima possibile.

Una volta rientrati, aveva finto un mal di testa e si era ritirata nella sua stanza, cosciente che il suo comportamento doveva apparirgli alquanto bizzarro. Purtroppo, non poteva farci niente. Da allora, aveva fatto del suo meglio per non destare altri sospetti, ma ancora non aveva trovato il coraggio di uscire.

«Starete via tanto?»

«Un paio d'ore, forse.» Robert rispose per entrambi. «Adesso vai, la partita la finiamo dopo.»

Robert si alzò con un'aria severa e Matthew si mise a correre verso la cucina. «Non c'è bisogno che recuperiate la lezione, dopo. Potete prendervi la giornata libera ogni volta che volete.»

«Lo so, ma mi diverte lavorare con lui. Sembra che la storia gli piaccia.»

«Le storie di sangue e di battaglie, immagino.»

«S... sì. Ma credo che stia facendo dei progressi.» Ianthe si calcò il cappello in testa e sistemò con cura la veletta. «Pronti?»

Robert la guardò fissa, lei si sforzò di sorridere e gli posò una mano sul braccio, cercando di non stringere troppo quando oltrepassarono la porta e si ritrovarono in strada.

«Pensavo di andare a piedi.» Robert lo disse come se niente fosse, e questo la insospettì. «Non è lontano, e il tempo è buono.»

In risposta, lei mormorò qualcosa, non si azzardò a parlare. Percorsero una serie di strade secondarie, e lei tenne la testa alta e cercò di concentrarsi sulla bellezza dei dintorni, e non sul fatto che all'improvviso si sentiva esposta. Whitby era davvero bella, gli edifici georgiani si sposavano alla perfezione con la scogliera, come se la cittadina fosse spuntata dalla roccia stessa.

Quel posto le piaceva, ricordò a se stessa. Era la sua nuova casa. Lì, era al sicuro. E al suo fianco c'era Robert. Nessuno le avrebbe fatto male, in sua compagnia.

«Eccoci.» In una manciata di minuti, giunsero da Harper.

«Qui?» Ianthe sgranò gli occhi, rabbrividendo alla vista di almeno una ventina di gargouille che incombevano su di loro dalle torri di pietra rossa e dalle merlature di una villa gotica.

«Purtroppo, è adatta al suo proprietario.» Robert le toccò la mano per rassicurarla. «Ma non preoccupatevi. Si tratta solo di una semplice formalità. L'ultimo pezzo del rompicapo.»

«L'ultimo pezzo...» mormorò lei, assumendo un contegno da vera signora. «Va bene, sono pronta.»

«Non dovete tenere il muso.»

«Non mi ero accorta di avere il muso.» Si sentì vagamente offesa. «Sto solo cercando di assecondarvi.»

«Siate voi stessa, tutto qui.»

Se stessa? Ianthe inarcò le sopracciglia, incredula. Avevano convenuto che doveva mostrarsi saggia e rispettabile. Lui non aveva mai parlato di essere se stessa. In quel momento capì, con un senso di afflizione, che aveva davvero quell'immagine di lei...

E quell'immagine era vera! Lei trasalì, rendendosi conto di essersi allontanata miglia e miglia dalla nuova, rispettabile Ianthe. Dal giorno della loro passeggiata sul molo, in cui aveva permesso alla vecchia Ianthe di uscire allo scoperto per qualche momento, aveva trovato sempre più difficile rinchiuderla nella sua gabbia. Adesso, le sembrava che le due parti di lei fossero in guerra, e che ognuna di esse lottasse per conquistare la supremazia. Ormai, non sapeva più chi era, però sapeva chi sarebbe dovuta essere.

Raddrizzò la schiena e serrò le labbra, indossando nuovamente la sua maschera di rispettabilità. Rimpianse di non aver indossato uno dei suoi vecchi abiti grigi. Sarebbero stati utili per ricordarle come si doveva comportare la nuova Ianthe...

Venne ad aprire una cameriera, e quando varcarono la soglia, Ianthe sentì una stretta allo stomaco. L'interno della casa, cupo e tenebroso, era lo scenario ideale per le sue ansie. Eccola, la prova decisiva, l'unica ragione per cui Robert l'aveva sposata. Si sentiva male.

«Mrs. Felstone?» Una giovane, con i capelli così chiari da sembrare bianchi, spuntò quasi subito da una porta laterale, accogliendola con un sorriso. «Sono felicissima di fare la vostra conoscenza, finalmente. Sono Violet Harper.»

«Miss Harper.» Ianthe le porse la mano,e iniziò a rilassarsi un poco. La donna era insolitamente bassa, minuscola quasi, con dei bellissimi occhi azzurri che le davano l'aspetto di una trovatella. Le sembrò amichevole. «Per favore, chiamatemi Ianthe.»

«Che bel nome.» La donna parlò piano, sembrava senza fiato. «Viene da una poesia di Shelley, è così? I vostri genitori erano appassionati di poeti romantici?»

«Sì!» Mrs. Felstone la ricompensò con un sorriso. «Anche voi amate la poesia?»

«La adoro.» Violet lanciò un'occhiata furtiva alle sue spalle. «Mio padre sostiene che siano tutte sciocchezze, ma io adoro i romantici, soprattutto Byron.»

«Avete letto il Don Juan?» Ianthe si morse la lingua. Ecco, era stata la vecchia se stessa a parlare. Una signora rispettabile non avrebbe mai citato un passatempo frivolo come la poesia, e di sicuro non avrebbe nominato Byron né il Don Juan, soprattutto davanti a una signorina giovane e non sposata. Per fortuna, non le parve che Violet vi trovasse qualcosa di strano.

«Temo di no.» Violet fece un sospiro malinconico. «Mio padre controlla sempre ciò che leggo e ci sono argomenti che non approva. All'inizio, ha accettato Byron solo perché era un barone.»

«Oh.» Ianthe si sforzò di non fare smorfie. «Sapete che si diceva fosse malvagio?»

«Lo so.» Violet ridacchiò. «Mio padre si è arrabbiato quando l'ha scoperto. Eppure, vivere intensamente come ha fatto lui, vedere l'Italia e la Grecia...» Riprese a sospirare. «Come mi piacerebbe visitarle. Ma voi siete di Londra, Mr. Felstone ce l'ha detto. Mi piacerebbe andare anche lì.»

«Non ci siete mai stata?»

«Non mi sono mai mossa da qui.» Sembrava quasi che Violet se ne vergognasse. «A parte con l'immaginazione, ovviamente. Mio padre si preoccupa. Penso che dipenda dalla mia altezza, in parte.» Sorrise, scherzandoci su. «Ha paura che mi calpestino. Ma sarebbe bello vedere un po' di mondo, oltre a Whitby, per cambiare.»

«Un giorno, magari, potremmo fare una gita.»

«Davvero?» Violet congiunse le mani con un'espressione estasiata. «Oh, mi piacerebbe. Mio padre non approva le donne, in genere, ma sono sicura che gli piacerete. Sarebbe bello avere un'amica della mia età con cui parlare.»

«Farebbe piacere anche a me.» L'animo di Ianthe si risollevò. Se il padre assomigliava anche solo lontanamente alla figlia, Robert si stava preoccupando senza motivo. Violet le era parsa sin da subito uno spirito affine.

«Sono felicissima di avervi incontrato.» All'improvviso, la donna arrossì. «Dovete perdonarmi, ho parlato troppo. So che siete venuti per incontrare mio padre. Per favore, da questa parte.»

Li condusse in un salotto scuro, con le pareti coperte da pannelli di quercia e una serie di ritratti austeri alle pareti, poi indicò una grossa poltrona accanto al focolare acceso.

«Ci sono Mr. e Mrs. Felstone, papà.»

«Come state, Mr. Harper?» Ianthe fece un passo avanti, chinando il capo con modestia.

«Alla fine vi ha portata a conoscermi, eh?»

Alzando lo sguardo, Ianthe si trovò davanti un paio di occhi freddi e impassibili, che la guardavano senza il minimo calore, dal profondo della poltrona. «Sono felice di essere qui, Mr. Harper.»

«Sedetevi, allora.»

«Grazie.» Si sedette davanti a lui, appollaiandosi su una poltrona dall'aspetto non particolarmente comodo. Violet rimase in piedi accanto al padre. «La vostra dimora è molto interessante, signore.»

«Davvero?» Le sopracciglia del vecchio si sollevarono, sembrava accigliato, per quanto con tutte quelle rughe fosse difficile capirlo. I solchi erano talmente profondi che era difficile immaginarlo sorridente.

«Sì, è molto...»

«Cosa volete da me, signora?»

Ianthe sbatté le palpebre davanti a quell'interruzione. «Non voglio niente da voi, signore. Volevo soltanto conoscervi, voi e vostra figlia. Non ho contatti a Whitby, e mio marito mi ha parlato tanto di voi.»

«Del mio cantiere, volete dire.» Il vecchio sbuffò, in atteggiamento di scherno. «Siete qui per convincermi a vendere, non è vero?»

«Niente affatto. È vostro diritto prendere la decisione che preferite.»

«Sono felice di saperlo. Ho preso la mia decisione, vero, Violet?»

«Sì, padre...»

«Siete una donna giudiziosa?» Non attese che la figlia finisse la frase. «Questa si riempie la testa di letteratura e sciocchezze del genere. Spero che voi siate più saggia.»

Ianthe serrò le labbra, combattuta fra l'istinto di prendere le parti di Violet e la necessità di fare colpo su suo padre. «Tengo in grande riguardo l'educazione.»

«Anche per le donne?»

Lei esitò, e guardò Robert in cerca di conferme. Suo marito era in piedi, poco lontano, e guardava fuori dalla finestra come se quella conversazione non fosse affar suo. Come avrebbe dovuto rispondere? Poteva darle un indizio... Si aspettava che rinunciasse alle sue opinioni e mentisse?

«Credo che tutti abbiano diritto all'educazione, signore.» Cercò di assumere un tono rispettabile.

«Ah! Adesso che sembrate mia figlia. Vuole creare una scuola per i bambini che lavorano nel mio cantiere.»

«Mi sembra un'idea eccellente!»

«Non una vera e propria scuola» si affrettò a spiegare Violet. «Solo un'aula in cui possano recarsi un'ora al giorno per imparare a leggere e a scrivere.»

«Non fatevi udire da Felstone!» Harper fece una risata roca. «Se compra il cantiere, sottrarrete al dovere i suoi lavoratori!»

«Oh... mi dispiace, Mr. Felstone.» Violet si fece ancora più piccola.

«Niente affatto, Miss Harper.» Finalmente, Robert si voltò verso di loro, con un'espressione enigmatica. «Mi sembra un'idea degna di lode.»

«Degna di lode?» latrò Harper. «Quindi, non vi importerebbe perdere un terzo della forza lavoro ogni giorno?»

«Mi importerebbe sicuro, andrebbe organizzato per bene. In linea di principio non ho niente in contrario.»

«Certo, c'era da aspettarselo da voi

Ianthe si sentì punta nel vivo, e rispose senza pensare. «Credo che mio marito sia stato ammirevole, visto che è arrivato fin dove è arrivato senza un'educazione ufficiale.»

«È vero.» Harper le rivolse uno sguardo severo. «Alcune cose, tuttavia, un uomo non può impararle. La nascita e l'educazione ricevuta non si possono cambiare, Mrs. Felstone.»

«Certamente.» Ianthe ingoiò il rospo. «Credetemi, Mr. Harper, so quanta importanza mio marito dia alla buona educazione. Quando ci siamo conosciuti, me ne ha parlato a lungo.»

«Mmh.» Harper parve rabbonirsi. «E, ovviamente, il matrimonio ha il potere di cambiare un uomo. Sempre che la donna sia quella giusta. Chi erano i vostri genitori?»

«Mia madre era figlia di un gentiluomo di Pickering, e anche mio padre aveva nobili origini.» Aveva la sensazione che descriverlo come un artista non avrebbe colpito favorevolmente il vecchio. «Dipingeva, anche, un po'.»

«Davvero? Pensavo che fosse un uomo d'affari. Come vi siete conosciuti, allora?»

«Come?» Ianthe tentennò. Robert si era raccomandato di dire che il loro era stato un corteggiamento a distanza, ma non si erano addentrati nei dettagli. E adesso non sapeva come rispondere, ma qualcosa doveva pur dire!

«Tramite mio fratello» azzardò alla fine. «Ho vissuto con lui dopo la morte dei miei genitori. Lavora come contabile in una compagnia d'assicurazioni e, come ben sapete, mio marito si reca spesso a Londra per i suoi affari.»

Ecco. Si sentì soddisfatta. Era vero, in un certo senso. Si erano conosciuti tramite Percy, ma non nel modo che voleva fargli credere.

«Siete orfana, dunque?» A un tratto, il vecchio allungò la mano e prese quella della figlia, stringendola forte. «La mia Violet ha perso sua madre quando è nata. Ecco perché siamo soli. Adesso si prende cura di me.»

Ianthe fece un sorriso educato, e provò un moto di simpatia spontaneo verso l'altra donna. Chissà perché, dubitava che Violet avesse avuto scelta a riguardo.

«Molto bene, Mrs. Felstone.» Mr. Harper fece un cenno di approvazione con il capo. «Potete fermarvi per il tè. Pensaci tu, Violet.»

«So quanta importanza mio marito dia alla buona educazione?» Robert prese Ianthe per la vita, la sollevò e la fece girare in tondo, non appena furono fuori, al riparo da sguardi indiscreti. «Ce l'ho messa tutta per non scoppiare a ridere.»

«Davvero?» Ianthe sembrava sorpresa. «Non l'avrei mai detto. Pensavo che non ci ascoltaste neppure.»

«E mi biasimate?» La posò di nuovo a terra, meravigliandosi di quanto fosse leggera. «Se non mi fossi tenuto alla larga, avrei rischiato di dirgli cosa penso della sua educazione, in realtà.»

«Secondo voi sono risultata abbastanza rispettabile?»

«Molto, molto di più. Siete piena di sorprese, Mrs. Felstone.» La lasciò andare controvoglia, proprio nell'attimo in cui un uomo con un cappotto marrone stranamente familiare svoltava l'angolo della strada. «E adesso facciamo una passeggiata fino alla costa? Mi piacerebbe togliermi di dosso le ragnatele. Quella casa, tutte le volte, mi fa venire in mente un cimitero.»

«Va bene.» Ianthe lo guardò da sotto le ciglia, con i suoi occhi da cerbiatta, affascinanti e pericolosi. «Ma non lo dite a Matthew. Se scopre che siamo andati sulla spiaggia senza di lui, si infurierà.»

«Ormai vi segue ovunque come un cagnolino.»

Ianthe scoppiò a ridere, felice, e si avviarono verso il lungomare. «Vuole persino che lo porti a passeggio. Cerca sempre di convincermi a fare lezione all'aperto.»

«E avete ceduto?»

«Non ancora.»

Robert le lanciò una rapida occhiata, cercando di apparire disinteressato. Voleva verificare una teoria. «Ho sentito dire che esistono persone che hanno paura del mare.»

«Non io.» L'espressione di Ianthe si fece subito diffidente.

«Bene. Tuttavia, se ci fosse qualcosa che vi spaventa, spero che me lo direste. Forse potrei aiutarvi.»

Lei si fece pensierosa, e corrugò le labbra nel suo modo tanto caratteristico. Iniziarono a scendere la stradina tortuosa che conduceva fino alla spiaggia a ovest. «Non so se riesco a spiegarmi. Non lo capisco neanche io. A volte, semplicemente... mi prende il panico.»

«Vi succede da sempre?»

«No.» Parlò lentamente, come se stesse scegliendo le parole con cura. «Un po' di tempo fa è successa una cosa. Una cosa che mi ha turbata. Ormai è acqua passata, ma da quel giorno non sono voluta più uscire. Gli spazi aperti... mi opprimono.»

«Adesso vi sentite oppressa?»

«No.» Lei scrollò la testa. «Adesso mi sento normale.»

Robert serrò la mascella, con la testa piena di possibili spiegazioni. «Questa cosa che è successa... è successa il giorno dopo il ballo?»

Il lungo silenzio di Ianthe equivaleva a una risposta affermativa.

«Ed è stato questo a convincermi a sposarmi?»

«Sì.» Ianthe parlò con voce flebile, tremante.

«Volete raccontarmelo?»

«No.»

«Vi siete fatta male?»

«No.»

Lui esalò un sospiro di sollievo. «Me lo direte, se c'è qualcosa che posso fare al riguardo?»

«Sì, ma non accadrà.» Ianthe gli rivolse uno sguardo nervoso. «Vi dà fastidio?»

«Mi dà fastidio che sia successa una cosa di cui avete ancora paura. Ma sono felice che me ne abbiate parlato.» Raggiunsero il muro della spiaggia, e lui saltò giù, poi allungò le braccia per aiutarla. «Venite.»

«Non posso scendere.» Lei indicò il vestito nuovo. «Mi sporcherò tutta di sabbia.»

«Per oggi basta con la rispettabilità, Ianthe.»

«Basta?»

«Sì.» Robert sorrise, voleva metterla a suo agio. «Gli uomini senza educazione hanno i loro limiti.»

Con uno sguardo sagace, Ianthe posò le mani sulle sue spalle e saltò.

«Ecco.» Robert la prese per la vita, e la strinse forte fra le braccia. «Adesso è il vostro turno.»

«Di fare cosa?»

«Di farmi una domanda. Non dev'essere stato facile confidarvi, ne sono consapevole, Ianthe. Mi sembra giusto che abbiate l'opportunità di chiedere qualcosa a me.»

«No.»

«No?»

«È un pomeriggio così piacevole.» Lei si staccò, con delicatezza. «Non voglio rovinarlo.»

«Mi ritenete così volubile?» Si sentì leggermente affranto. «E se vi prometto che non lo rovinerò?»

«No.» Ianthe sollevò il mento, testarda. «Non voglio impicciarmi. Perché non mi raccontate semplicemente qualcosa che non so di voi?»

«Va bene.» Si allontanò, avvicinandosi alla riva. «Di solito, la gente mi chiede di mio padre.» Si accovacciò e raccolse un sasso, lo rigirò nella mano. «Sapete chi era?»

«Sì, me l'ha detto mia zia.»

«Ah, io l'ho sempre saputo. Anche da bambino, ero abituato alle malelingue, ma mia madre non mi ha mai parlato di lui, neppure una volta in ventun anni.»

«E voi non le avete mai chiesto niente?»

«No. Ero convinto che parlarne la turbasse. Sembrava tanto infelice, ogni volta che parlava del passato. Non volevo vederla così, per questo non le ho mai chiesto niente.» Slanciò la mano a pugno all'indietro e poi scagliò con forza il sasso verso l'acqua, seguendo i suoi rimbalzi, cinque, sei, sette. «Dopo la morte di mia madre, ho ricevuto una lettera da lui, diceva che voleva incontrarmi. Ho pensato che forse, in fondo, tenesse a me, che fosse rimasto in disparte per tutti quegli anni, in attesa, solo per rispetto verso di lei. Ho pensato che si fosse accorto di quanto valevo. Che volesse riconoscermi.»

Si chinò a prendere un altro sasso, ma cambiò idea e si sedette sulla sabbia. Perché le stava raccontando tutte quelle cose – perché rivangare le sofferenze del passato, come se servisse a qualcosa? Eppure, per quanto strano, servì. Robert non si sentì meglio, ma percepì un grande sollievo. Dopo pochi giorni in sua compagnia, le aveva già raccontato di più che a qualsiasi altra persona, come se la conoscesse da anni.

Quando Ianthe si sedette accanto a lui, si voltò di scatto, sorpreso.

«E il vostro vestito?»

«È solo un po' di sabbia.»

«I passanti si chiederanno cosa combiniamo.»

Lui fece un sorriso malizioso, ma Ianthe ignorò il suo commento. «Volete raccontarmi com'è andata con vostro padre?»

«Ero convinto che non voleste farmi domande.»

«Ho cambiato idea.»

Lui scrollò la testa, mesto. «È una storia abbastanza comune. Potete indovinare com'è finita. Voleva dei soldi.»

«Soldi?» Ianthe rimase a bocca aperta.

«Giocava d'azzardo e aveva dei debiti. Ha pensato che gli convenisse avere un uomo d'affari in famiglia. Ha pensato che avrei addirittura pagato solo per avere l'onore di chiamarlo papà.»

«E voi?»

«Gli ho chiesto di scegliere fra me e i soldi. Indovinate cosa ha fatto.»

«Oh, Robert!» Ianthe sospirò piano. «Mi dispiace tantissimo.»

«Anche a me. Un anno dopo, mi ha scritto di nuovo, saltando la farsa della riconciliazione e andando subito al sodo. Ho strappato la lettera.»

«Non posso biasimarvi.»

«Io sì. Se fosse stata una decisione riguardante gli affari, avrei potuto conviverci, ma non così. Sono stato guidato dalla rabbia. E lui è morto qualche mese dopo.»

«Continuo a non biasimarvi.» Lo disse in tono di sfida. Robert si appoggiò ai gomiti, per guardarla.

«Mi state difendendo?»

«Sì. Vi ha trattato male.»

«Avrei dovuto esserne felice, invece. Se solo fosse stato abbastanza sveglio da continuare con la farsa, avrebbe potuto avere sia me che il denaro, ma probabilmente non gli è mai passato per la testa che avessi davvero bisogno del suo affetto. Dubito che fosse capace di amare. Voleva solo un accordo d'affari.» Robert fece una smorfia, cogliendo l'ironia della situazione. «Devo aver preso da qualcuno.»

La voce di Ianthe si fece cupa. «Se davvero non foste capace d'amare, non ve ne sarebbe importato nulla di cosa provava per voi.»

«Mi state difendendo di nuovo?» Inarcò un sopracciglio sarcastico. «Forse si trattava semplicemente di orgoglio ferito.»

«Volevate bene a vostra madre, no?»

«Credo di sì.» Robert deglutì, all'improvviso sentiva un nodo alla gola. «Sicuramente non si poteva definire una donna di buon cuore. Ce l'ha messa tutta, penso, ma una parte di lei mi ha sempre detestato per averle rovinato la vita. Secondo lei, se non fosse rimasta incinta, non avrebbe mai perso il lavoro, non si sarebbe mai separata da mio padre.» Il suo volto si fece teso. «Lo amava, capite? Mio padre non valeva niente, ma lei l'ha amato fino alla fine.»

«Come fate a saperlo?»

«Me l'ha detto. Stava morendo, mi ha guardato e me l'ha detto. È stata l'unica volta in tutta la sua vita che mi ha detto di amarmi, e pensava che fossi lui.» Robert si voltò verso di lei, incapace di celare l'angoscia. «Ha sprecato la vita per un uomo che l'aveva dimenticata molto tempo prima. Ve l'ho detto, ho visto che effetto fa l'amore. L'amore è per gli artisti e per gli stupidi.»

«Forse avete ragione.»

Lui sbatté le palpebre, colpito dalla nota di amarezza nella sua voce. «Pensavo che andaste d'accordo con i vostri genitori.»

«Sì, ma erano artisti. Mi hanno cresciuto con la fede nell'amore, e nella convinzione che anche gli altri ci credano... Il mondo reale è diverso.»

Robert si accigliò. Un conto era se lui faceva il cinico... ma a sentirla parlare così gli veniva una strana voglia di contraddirla. Il tono malinconico della sua voce faceva pensare che stesse parlando per esperienza. Aveva avuto delle storie d'amore in passato? Al solo pensiero, avvertì una morsa di gelosia.

«Che succede?» Ianthe gli rivolse uno sguardo interrogativo.

«Niente.» Robert si distese sulla sabbia, in una posa rilassata, e mise un braccio sotto la testa.

«Sembra proprio che abbiamo in comune più cose di quanto credessimo.»

«Che state facendo?» Ianthe era scandalizzata.

«Mi stendo.»

«Be', non dovreste. Cosa dirà la gente se vi vede?»

«Diranno che hanno sempre saputo che non sono un gentiluomo.»

«Dico sul serio!»

«Anch'io. Sono steso sulla spiaggia in pieno giorno, accanto a mia moglie. Be'? È un comportamento deplorevole, proprio quello che si aspettano.»

«Non vi capisco.» Sembrava esasperata.

«Cosa non capite, in particolare?»

Robert alzò una mano, riparando gli occhi dal sole per osservarla. Stava scrollando la testa in segno di rimprovero, anche se la luce furba nei suoi occhi la tradiva.

«Non capisco se vi importa davvero ciò che la gente pensa di voi.»

«A volte sì. Altre, avrei voglia di gridare a tutti di farsi gli affaracci loro.»

«Allora decidetevi.» Ianthe scoppiò a ridere e si stese sulla sabbia accanto a lui, appoggiando la guancia su una mano. «Non potete essere un gentiluomo e un ribelle, quindi, quale scegliete? Cosa volete, in realtà?»

Robert reagì d'istinto, senza capire cosa stesse facendo finché non fu troppo tardi. Tuttavia, la risposta alla domanda di Ianthe era di una chiarezza talmente cristallina che non riuscì a frenarsi, e si lanciò sulle sue labbra con un ardore che lasciò entrambi esterrefatti.

Per un attimo, rimase completamente immobile, prevedendo che Ianthe lo scacciasse, ma lei non lo fece. Anzi, mormorò a bassa voce e dischiuse appena le labbra, per fargli assaporare il sapore dolce della sua bocca. Lentamente, lui le circondò la vita con un braccio e la tirò a sé; per mantenere l'equilibrio, lei gli posò una mano sul petto. Poi, tutto scomparve, Robert non vide né sentì più niente, solo la sensazione di tenerla fra le braccia e la consistenza morbida e setosa delle sue labbra.

Non avrebbe saputo dire quanto durò quel bacio, l'unica cosa che gli sembrò chiara fu che lei spezzò l'abbraccio. Si ritrasse con un sussulto e si guardò intorno, nervosa, come se volesse assicurarsi che nessuno li avesse visti.

«Robert...» bisbigliò, senza fiato, «... il nostro accordo...»

L'accordo. Quando glielo ricordò, il sangue di Robert gelò all'istante. Per un momento, preso dall'ebbrezza, se n'era dimenticato – aveva pensato che anche per lei fosse lo stesso. A quanto pareva, non era così. Dopo tutto quello che le aveva raccontato del suo passato, non era in vena di parlare del loro patto. Non sapeva spiegarsi quello che era appena successo.

«Mi piacerebbe fare una nuotata.»

«Cosa?»

«Mi avete chiesto cosa volevo. Voglio nuotare.»

«Adesso?»

Robert guardò il mare, cercando di distrarsi per non cadere nella tentazione di stringerla di nuovo fra le braccia, in barba al loro accordo. Gli sembravano vuote, senza di lei.

«Quando ero piccolo, venivo sempre a nuotare qui. Nessuno ci faceva caso. Poi sono cresciuto, sono arrivate le responsabilità, sono diventato l'egregio Mr. Felstone, e tutti hanno iniziato ad aspettarsi un certo contegno da parte mia. Ma la mia voglia di nuotare rimane.»

Ianthe si alzò a sedere, scuotendo la sabbia dal vestito. «Un giorno, mi piacerebbe imparare.»

Robert non poteva crederci. «Non sapete nuotare?»

«Non ho mai provato.»

«Non potete vivere sul mare e non saper nuotare. È pericoloso.»

«Perché?» Lei era sulla difensiva. «Non voglio mica tuffarmi.»

«Non è questo il punto. Finché non imparate, non vi porto al cantiere.»

«Ma me l'avete promesso!»

«Non pensavo di dovervi guardare a vista.»

«Allora mi pento di avervelo detto.» Ianthe mise il broncio. «Volete dirmi che tutti i vostri dipendenti sanno nuotare?»

«Me ne sincero personalmente. La sicurezza è importante.»

«Oh.» Per un attimo, lei rimase in silenzio. «E come potreste fare per insegnarmi?»

«Più avanti, sulla spiaggia, si possono affittare delle cabine.»

«È autunno!»

«È l'ottobre più caldo che io ricordi.»

«Ma non mi vedranno le persone che passeggiano sul lungomare?»

Lui scrollò le spalle. «Un cavallo traina la cabina nell'acqua, non è per niente scandaloso, ve l'assicuro. Ridicolo, ma rispettabile.»

«Va bene.» Ianthe parlò in modo cauto. «Vi permetterò di insegnarmi a nuotare, a una condizione.»

«Cioè...?»

«Dovete recitare una poesia.»

«Cosa?»

«Cercatene una che vi piace e recitatela a Matthew.»

«Non abbiamo appena convenuto che la poesia è per gli stupidi?»

«No, abbiamo convenuto che la poesia è diversa dalla vita reale. Non è colpa della poesia se le persone in carne e ossa sono deludenti.»

«E perché vorreste che impari una poesia?»

«Perché per Matthew siete un modello. Se vi vede recitarne una, forse si deciderà ad ampliare un poco le sue vedute.»

Robert inarcò un sopracciglio. «È un modo carino per dirmi che io sono di vedute ristrette?»

Lei non rispose. «Magari ci prendete gusto.»

«Quindi volete introdurre questa clausola...» Robert inspirò a fondo, pentendosi di quanto stava per dire. «Sigliamo con una stretta di mano?»

Allungò il braccio, e Ianthe si avvicinò, esitante. «Affare fatto, Mr. Felstone.»

«Affare fatto, Mrs. Felstone.» Robert le strinse la mano. «Iniziamo domani.»