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Se Teseo avesse avuto Facebook

«Signor De Crescenzo, signor De Crescenzo.»

«Dimmi Alfonsino, ti sento, non c’è bisogno di urlare.»

«Ah, io pensavo che eravate come mio nonno.»

«Perché, com’è tuo nonno?»

«Sordo.»

«ALFONSINO!» mi riprende subito la prof.

«E che ho detto?» le chiedo io.

«Come cosa hai detto. Ti sembra educato dare del sordo all’ingegner De Crescenzo?»

«No, ma io mica ho detto che lui è sordo, lo è mio nonno.»

«Appunto, gli hai detto che è come tuo nonno.»

«Eh, ma io a mio nonno voglio bene, pure se è sordo.»

«Ancora? Lo scusi» prosegue la prof rivolta a De Crescenzo. «Io ci provo in tutti i modi con questo ragazzo, ma niente, ho perso le speranze.»

De Crescenzo sorride e a quel punto intervengo io: «Sì, comm’ no… Comunque, la foto che abbiamo fatto con Alessandro l’ho già condivisa».

«Cosa hai fatto?»

«L’ho condivisa.»

«Ma con chi se sei qui con noi?»

«Sul mio profilo.»

«Ma quale profilo? Il destro o il sinistro?»

«Uggesù… Prof, lo vedete? Poi dite che sono io… Su Instagram, ho il profilo su Instagram!»

«Ah, si chiama profilo? Alessandro, tu lo sapevi?»

«Lucià, che fai, sfotti?»

«E come si crea un profilo?» mi domanda Luciano sorridendo.

«Uh, è facilissimo!» rispondo io. «Basta scegliere un nickname e una password.»

«E lo stesso vale anche per Facebook?»

«No, su Facebook devi mettere il tuo nome vero.»

«E tu il profilo su Facebook ce l’hai?»

«Eccerto!» rispondo io.

«E per cosa lo usi?»

«Boh, per parlare con gli amici, giocare online. Ah, qualche volta, quando mi finiscono i giga sul telefono, per avvisare mamma che sto per uscire, o cose così.»

«Pensa te!» mi risponde Luciano. «Se Teseo avesse avuto Facebook, chissà, probabilmente a quest’ora non esisterebbe il mar Egeo.»

«E chi è questo Teseo, un amico tuo?»

«Più o meno. Teseo» racconta Luciano «era un personaggio mitologico, un ragazzo, poco più grande di te. Ora devi sapere che per una serie di eventi che non sto qui a raccontare, fu mandato a Creta per sconfiggere un mostro che era per metà uomo e per metà toro: il Minotauro.»

«Uh mamma, e com’era brutto ’sto mostro» dico io. «E Teseo era forte? E poi è riuscito a sconfiggere questo Minitoro?»

«Minotauro» mi corregge lui e continua. «A essere forte, Teseo era forte, ed era pure riuscito a sconfiggere il mostro. Non aveva fatto tutto da solo, però. Una certa Arianna, figlia del re di Creta, si era innamorata di lui e gli aveva consegnato, per aiutarlo, un gomitolo di lana.»

«E che aveva fatto con il gomitolo, glielo aveva arravogliat’ ’ngann’

«Alfonsino, ma come parli» interviene disperata la prof.

«Lo aveva usato per soffocarlo?» mi correggo io.

«No, no» mi risponde Luciano. «Il Minotauro abitava in un labirinto dal quale era impossibile uscire; entrando e srotolando il gomitolo di lana lungo il percorso, Teseo era riuscito a ritrovare la strada del ritorno.»

«Sì, però c’è una cosa che non ho capito.»

«E cosa?»

«Ma cosa c’entra questo Teseo con il mar Egeo?»

«Egeo era il padre di Teseo.»

«Ma quando mai!» esplodo io. «E mica il mare tiene i figli!»

«Aspetta Alfonsino, devi riflettere prima di parlare.»

«Hai ragione, Alessà» dico io. «Il marmocchio è il figlio del mare, quindi Teseo era il figlio piccolo di Egeo.»

«Ma no, Alfonsì» mi interrompe Alessandro ridendo, «allora se si chiamava marmitta era figlio di una macchina, o se si chiamava Marzullo era figlio di un giornalista?»

«E perché no!» dico io.

«Ma no, che confusione» interviene a quel punto Luciano. «Ascolta tutta la storia e capirai… Egeo era il re di Atene, e alla partenza di Teseo per Creta gli aveva detto: “Bell’ ’a papà, mi raccomando, se riesci a sconfiggere il Minotauro, al tuo ritorno, in prossimità di casa, issa le vele bianche, così io da lontano le vedo, mi tranquillizzo e so che è tutto a posto”.»

«E Teseo cosa fece?»

«Dimenticò di issare le vele bianche e lasciò quelle nere.»

«Nooo, mia madre m’avess’ accis’ ’e mazzate

«Per giorni Egeo si recò sul punto più alto della costa in attesa del rientro delle navi. Quando giunsero e vide le vele nere, pensò che il figlio fosse morto, e per il dolore si suicidò gettandosi in quel mare che prese poi il suo nome.»

«… che tragedia! E tutto per colpa del Minitoro.»

«Minotauro, ignorante!» si intromette Pier.

Lo guardo con la faccia più cattiva che ho: «Vedi che ti faccio fare la fine di Egeo».

«Alfonsino!» mi riprende la prof.

«Alfonsino» dice Alessandro, «senti a me.»

«Sì, Alessà, dimmi tutto.»

«Cosa ci insegna questa storia?»

«Che quando i genitori ci chiedono qualcosa dobbiamo farla?»

«Anche» mi risponde Alessandro. «E perché, secondo te, se Teseo avesse avuto Facebook sarebbe stato tutto diverso?»

«Perché con Arianna avrebbe potuto parlare in chat?»

«No» mi risponde Alessandro ridendo. «Se Teseo avesse avuto Facebook, avrebbe potuto scattare una foto abbracciato alla bella Arianna, magari stringendo tra le mani la testa del Minotauro, e accompagnare lo scatto con una frase del tipo “Tutto ok! Pure ’sto mostro l’amm’ sfunnat’! Uno a zero per noi”. Egeo avrebbe visto la foto e non avrebbe pensato al peggio.»

«Esattamente» interviene a quel punto De Crescenzo.

«Vabbè» dico io. «Ci avete convinto. Signor Luciano, possiamo fare una foto pure con lei?»

«Sarebbe un onore.»

«Posso farle un’altra domanda?»

«Alfonsino non essere invadente» mi riprende subito la prof.

«Non fa niente» le risponde De Crescenzo e aggiunge: «Sai, io avevo uno zio che si chiamava Alfonso, proprio come te».

«, mi dispiace.»

«E perché ti dispiace?»

«Eh, perché si chiamava come me.»

«Ma è così un bel nome!»

«Seee, chiedilo a uno che si chiama Kevin se è un bel nome.»

«Vabbè. Mio zio Alfonso era laureato in presepi.»

«In presepi?»

«Ebbene sì» risponde De Crescenzo.

«Non è possibile, non esiste una laurea in presepi» interviene a quel punto Pier.

«Ma statt’ ’nu poc’ zitt’» dico io. «Se lo dice lui, esiste.»

«E dove viene rilasciata?» incalza il mio compagno di classe.

«In realtà Pierfederico non ha tutti i torti, perché non è una laurea come le altre. Non basta sostenere qualche esame per conseguirla, ma è necessario un lungo tirocinio e tanta esperienza, così tanta che spesso si tramanda di padre in figlio. A Napoli la consegnano a San Gregorio Armeno» risponde Luciano. «Una cosa è certa, però. Tra tutte le persone che ho conosciuto nella mia vita, nessuno è mai riuscito a eguagliare la bravura di mio zio Alfonso.»

«Sì, ma ancora non ho fatto la mia domanda» provo a controbattere io.

«Sì, ma niente» mi riprende la prof, «ora è il momento di andare via, su, salutiamo i signori e ringraziamoli per essere stati così gentili con noi.»

«Grazie Alessà, si’ tropp’ forte!» gli dico abbracciandolo. «E pure tu, signor De Crescenzo!»

«Su, andiamo» incalza la prof. «Ci aspetta il Mosè di Michelangelo.»

«Ma come, già ve ne andate? Nemmeno il gelato avete mangiato!»

«Alessandro, certo che tu ci sai fare proprio con i ragazzini. Quando parlavi ti guardavano incantati.»

«Sai, Luciano, un giorno mi si è avvicinato un signore e mi ha detto: “Mamma Alessà, mio figlio è un tuo fan sfegatato! Si muove come te, ripete le battute uguale a te, ricorda tutto a memoria”. A quel punto gli ho chiesto quanti anni avesse e lui mi ha risposto “Nove”, e io a mia volta ho risposto a lui “Bene, allora si può ancora salvare!”. Battute a parte, non si è mai consapevoli fino in fondo di ciò che rappresentiamo per gli altri. Ma anche per te è stato così all’inizio?»

«All’inizio di cosa?»

«All’inizio della tua carriera di scrittore, dopo il successo di Così parlò Bellavista, essere riconosciuto in strada.»

«Sì, e a voler essere sincero, non me lo sarei mai aspettato. A volerla dire tutta, però, è stato anche grazie alla televisione che sono diventato così popolare.»

«Anche per me è stato così. Certo, prima non c’era una varietà di programmi come quella degli ultimi anni. Sono talmente tanti che spesso si perde anche l’originalità. Per esempio, accendi la TV e vedi “Un medico in famiglia”, “Medicina 33”, “I Medici” e via dicendo. Lucià, finirà che l’anno prossimo, invece di pagare il canone, pagheremo il ticket.»

«Alessandro, se è per questo, dovrebbero mettere un ticket anche per la privacy. È vero che non esco più come una volta, ma fino a qualche anno fa non facevi in tempo a scendere dall’auto che ti trovavi un microfono piazzato a due centimetri dalla bocca, e un faro sparato in faccia che non ti faceva vedere assolutamente nulla. Ora non c’è nemmeno più bisogno della telecamera, basta avere un telefonino e ciò che stai facendo viene immediatamente ripreso o fotografato e messo in rete senza che te ne accorga.»

«Sai, Luciano, è evidente che oggi come allora la televisione è parte integrante della nostra vita, condiziona i nostri acquisti con le sue offerte, scandisce i tempi della nostra giornata a seconda dell’orario di inizio e fine di un programma, modifica i nostri ideali e i nostri hobby.»

«Infatti, da sempre sono convinto che la televisione è la più grande arma mai scoperta nella storia dell’umanità, molto più potente della bomba atomica, perché può modificare il modo di pensare delle persone. Spesso assistiamo a programmi con protagonisti che inseguono falsi ideali. Nessuno che si interroghi mai sull’essere, sulla qualità della vita, o che si metta a confronto con traguardi più ampi, o viva il beneficio del dubbio. Ciascuno di noi, sia pure passivamente, vede almeno due ore al giorno di televisione, i bambini abbandonati a se stessi anche di più. Il giorno che qualcuno volesse piegare un popolo non dovrebbe ricorrere alle armi, basterebbe occupare gli studi televisivi.»

«Hai ragione. Mia zia, per esempio, guarda “X Factor” e appena finisce la puntata si mette a cantare. Guarda “Ballando con le stelle” e subito dopo le viene voglia di ballare. Una sera stava guardando la puntata di “Chi l’ha visto?”. Niente di meno, sono due settimane che la zia nun se trov’ cchiù

«Alessà, certo che tu tien’ sempre ’a capa a pazzià, hai le battute in serie?»

«Ecco Lucià, a proposito di serie… Ho un amico che ha preso la fissazione per una serie TV, e al pari di tanti appassionati come lui ha un solo grande incubo: lo spoiler. Una volta eravamo a una cena e un’amica in comune esordì dicendo: “Ma lo sapete chi è morto?”. E lui, quasi fuori di sé, non riuscì a trattenersi e urlò: “Zitta, ancora devo vedere l’ultima puntata!”. Sai qual è il problema vero di tutta questa fissazione? È che alcune serie TV fanno paura e purtroppo c’è il rischio dell’emulazione.»

«Diversi anni fa, quando il Napoli giocava solo la domenica e non riuscivo ad andare allo stadio, anziché ascoltare la partita alla radio preferivo aspettare la messa in onda in differita la sera. In quelle occasioni l’unico modo per evitare lo spoiler del risultato era chiudermi in casa e non rispondere neanche al citofono. Detto questo, mio caro Alessandro, il problema principale che abbiamo oggi in Italia è la criminalità, che è aumentata perché è aumentata la soglia dei bisogni primari. Ecco perché dove non c’è cultura è facile assoldare manovalanza criminale.»

«E secondo te non c’è rimedio?»

«Certo che c’è, dobbiamo aspirare alla felicità.»

«In che senso?»

«Vedi, l’unico modo per essere felici è conoscere la vita, ma la vita si può capire solo attraverso la cultura. Insomma, è l’unica alternativa che ci rimane. Più si è colti, meno si è disposti a diventare criminali. Certo la cultura non elimina le tentazioni, ma le riduce molto. Ora ti chiedo: per diffondere la cultura, come si fa?»

«Lucià, e come si fa?»

«Possiamo ricorrere alla televisione, magari con programmi che stimolino la nostra curiosità, perché per me cultura è avere molti interessi, documentarsi su tutto ciò che non si conosce e, quando si può, condividere queste conoscenze con gli altri. Non cultura, invece, è fare ogni giorno la stessa vita senza guardarsi intorno.»

«In effetti, Luciano, resta ancora forte la capacità della televisione di creare aggregazione, a qualsiasi età. I bambini si riuniscono per guardare i cartoni animati, i ragazzi per guardare le partite di calcio, le mamme per guardare i programmi di cucina, le famiglie intere per guardare i reality, i documentari o le fiction. Spesso si litiga per cosa si deve vedere in TV. Ricordo che una volta mio nipote voleva vedere “MasterChef” e mia mamma voleva vedere la messa del papa.»

«Alessà, dove vuoi arrivare?»

«Iniziarono a litigare e a cambiare canale di continuo. Mio nipote metteva “MasterChef” e mia mamma il papa… A un certo punto cambiarono canale così velocemente che il papa si trovò nella cucina di “MasterChef”!»

«Certo, come no, e magari al posto della papalina indossava un cappello da cuoco!»

«No, ma fece uno spaghetto da Dio. Le televisioni stanno diventando così intelligenti che si vocifera che presto sarà possibile cambiare canale con il pensiero, mentre per ora il massimo che possiamo fare è il pensiero di cambiare canale!»

«In effetti, si nasce con l’idea di poter cambiare il mondo e si finisce con il cambiare i canali, mio caro Alessandro. Questo è il nostro destino: a una certa età si tende a rallentare, per cui ti ritiri a casa e ti metti davanti al televisore. Per superare quella fastidiosa malattia che è la vecchiaia, bisogna invece conservare uno spirito disponibile al cambiamento. Non è facile, ma bisogna farlo.»

«Di sicuro le smart TV non ci aiutano in questo.»

«Alessandro, ma di preciso, cosa si può fare con una smart TV

«Le smart TV sono apparecchi in continuo aggiornamento, che si collegano al tuo smartphone, al tuo PC, al tuo tablet, ai social network, e che riproducono una varietà infinita di contenuti multimediali. Tu stai lì imbambolato a guardare immagini così nitide che però non ti lasciano nessun segno dentro. Le guardi, ma non le vedi. Più le TV diventano intelligenti, più noi… addiventamme scieme

«Su questo sono d’accordo con te. Non molto tempo fa sono stato a un matrimonio. C’erano due telecamere, quella della famiglia della sposa e quella della famiglia dello sposo. Entrambe riprendevano la cerimonia all’interno della chiesa. Dietro al prete officiante un aiuto cameraman illuminava la scena con il faretto. La firma dei testimoni è stata ripetuta due volte perché, mi ha detto il fratello della sposa, la “prima” non era buona.»

«Non mi parlare di matrimoni! Credo sia una delle occasioni in cui si sprecano più foto. Si inizia dalla foto con i genitori davanti alla torta, poi i parenti dello sposo, poi della sposa, poi gli amici della vacanza, gli amici di Milano, i cugini dalla Sardegna. Ricordo che una volta mio nonno disse: “Scusate, ma questa è l’ennesima foto che mi faccio e adesso toccava ai parenti della sposa, io sono un parente dello sposo!”. A quel punto intervenne un signore che non avevo mai visto fino a quel momento: “Lo dite a me?! Io sono il pasticciere, dovevo solo posare la torta, mi sono fatto tutte le foto con gli sposi!”.»

«Alessandro, ora non divagare. Anzi, dimmi una cosa: chi ci salverà?»

«Secondo me una mamma.»

«E perché?»

«Perché in qualsiasi parte del mondo, chiunque, quando sta male o si trova ad affrontare una difficoltà, la prima persona a cui pensa è la mamma.»

«E chi come me, purtroppo, non ha la mamma?»

«Se la mamma in questione è napoletana, tien’ sempre ’a speranza che te ven’ ’nsuonn’ e ti dà due numeri. Ma dimmi, secondo te invece, chi ci salverà?»

«Io non so quando finirà il mondo, o se davvero arriveranno i Cavalieri dell’Apocalisse suonando le trombe del Giudizio. Immagino che non ci limiteremo a vedere la fine in diretta televisiva, ma probabilmente la riprenderemo in tempo reale con i nostri cellulari. Saremo però così rapiti dalla smania di condividere tutto prima degli altri, che probabilmente non ci accorgeremo di essere lì, sul punto di morire. E ti dirò di più, invece di abbracciare per l’ultima volta una persona che amiamo, perderemo i nostri ultimi istanti per scattare una foto e condividerla, nel timore di essere preceduti da qualcuno che ha più campo di noi.»

«Lucià, secondo me, se i Cavalieri dell’Apocalisse non arrivano è perché hanno trovato traffico.»