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Il gelato

«Allora, ragazzi» chiede Alessandro, «a che gusto volete il gelato?»

«Io lo voglio accioccolatta e panna.»

«Pistacchio e amarena.»

«Panna e fragola.»

«Ma qui lo tengono gusto puffo?» chiedo io.

«Gusto puffo?» ribatte Siani.

«Sì, il gelato lo voglio azzurro, proprio come il Napoli! Senti, Alessà.»

«Dimmi, Alfonsì.»

«Ma ora che non c’è la prof, ce lo fai un altro pezzo?»

«Un altro pezzo? Ma sei sicuro?»

«Sì, Alessà, prima che torna la prof, altrimenti dice che sono scostumato perché ti ho chiesto un altro pezzo.»

«Ma non preferite mangiare il gelato?»

«E vabbè, ma noi il gelato lo mangiamo con la bocca, mica con le orecchie…»

«E pure tieni ragione» risponde sorridendo Alessandro. «E quale pezzo vuoi sentire?»

«Ma non lo so, fanne uno a piacere tuo.»

«Mmm… Se la metti così… Secondo me il futuro è dei bambini. I bambini sono la risultante degli insegnamenti dei genitori. Quindi se il futuro non sarà all’altezza delle nostre aspettative il problema non sarà dei bambini del domani, ma dei genitori di oggi.

«“’A colpa è d’ ’e genitori!” si sente sempre dire quando un bambino si comporta male, e forse la frase non è così sbagliata.»

«Pure mia madre, quando vede Tonino, il figlio della signora Liliana, la nostra dirimpettaia, lo dice sempre: “Chill’ ’stu pover’ ’uaglion’ ’a arruvinat’ ’a mammà”» intervengo io.

«Vedi» riprende la parola Alessandro, «educare bene un bambino significa assicurargli una vita da brava persona e non sempre questo riesce ai genitori per un milione di ragioni.

«Ovviamente, qui in Italia è, come al solito, tutto un po’ più difficile. Ho letto uno studio che dimostra come il paese più felice al mondo, la Danimarca, abbia messo a punto un vero metodo per educare i bambini. Ma non educarli al buon senso civico, al rispetto delle regole, alla scuola… educarli alla felicità! Il tutto parte anche dai semplici giochi che si fanno da bambini. I bambini in Danimarca di pomeriggio non stanno chiusi in casa a fare i compiti, ma giocano all’aria aperta, per strada… quasi come se fosse una metafora di vita: va’ e trova la tua strada!»

«Mia madre non vuole che io giochi in strada» esclama a quel punto Pierfederico. «Dice che è pericoloso, che una macchina mi può investire, e poi c’è un sacco di smog.»

«Mio cugino, per esempio, abita accanto a una galleria che è sempre trafficata. L’altro giorno ha provato a portare il figlio a giocare fuori… Dopo due ore tra inquinamento, smog e polveri sottili, il bambino starnutiva catrame! Che pure il bambino ha detto: “Papà, va bene che devo trovare la mia strada, ma se addirittura me la devo asfaltare da solo, mi sembra un poco esagerato!”.

«Questo in Danimarca non si verifica perché lì è pieno di verde, le macchine elettriche sono all’ordine del giorno e non c’è smog, perché in molti vanno in bici. Lì esistono piste ciclabili lunghe chilometri! Da noi la pista ciclabile è lunga sette, otto metri… E in questi pochi metri ci sono due fossi, un marciapiede e una deviazione! Immagina un ragazzo che sta sulla bici, trova una deviazione e finisce a casa di una signora. Esce da lì ed eccolo in un museo. Dal museo passa dentro a una palestra. Che pure l’istruttore lo guarda stranito e lui può solo giustificarsi dicendo: “No, è che… visto che tutte le cyclette erano impegnate… me la sono portata da casa!”.

«Ovviamente, in Danimarca, per attuare questa educazione alla felicità sono andati a riformare l’organo che più si interessa di educazione primaria dopo i genitori: la scuola. Lì gli insegnanti non si preoccupano dei risultati dei ragazzi ma si impegnano a premiare sempre il loro sforzo, senza rimproverarli troppo quando sbagliano e senza lodarli troppo in caso di successo. Come sempre la virtù sta nel mezzo. E così anche le mamme si limitano nei rimproveri.

«Le mamme, qui, invece vivono di rimproveri. Il più classico, quello che la mamma ti dice quando la porti all’esasperazione è:

«“Mo’ che arriva tuo padre, senti!”

«“Ma perché, si è messo a fare il cantante?!”

«La verità è che solo da piccolissimi i nostri genitori riescono a mostrare tutto il loro affetto e il loro amore verso i figli. E attenzione, non sempre è un bene. Io, per esempio, quando ero piccolino dovevo sorbirmi dei giochetti veramente stupidi. Quando dovevo mangiare, dovevo aspettare che passasse il trenino, la nave, l’aeroplanino, il pulmino… io la sera facevo la preghierina: “Madonnina mia, fa’ che domani non ci sia lo sciopero dei mezzi, sennò resto digiuno!”.

«E dopo averti fatto smaltire tutto il traffico aereo, navale e ferroviario, la mamma iniziava a metterti fretta:

«“Mangia! Sennò viene zio Alfredo e si mangia tutto! Mangia! Sennò viene zio Pasquale e si mangia tutto! Mangia! Sennò viene il lupo e si mangia tutto!”

«“Mamma, ma non potevi fare un po’ di pasta in più!”

«Un’altra cosa spettacolare che hanno fatto in Danimarca è vietare ogni tipo di punizione fisica contro i bambini! Niente schiaffi, niente di niente. Informandomi meglio, ho visto che anche altri paesi, tipo la Francia, hanno seguito quest’esempio perché si sono resi conto che uno schiaffo non educa ma allontana il bambino e crea in lui un senso di ribellione e di nervosismo che un buon dialogo non provoca.

«In Italia le mamme, invece, non fanno esattamente così, ma anzi trovi sempre quella che ti colpisce con qualche arnese da cucina. Che poi anche questo è diventato un problema: prima c’era la famigerata cucchiarella, il forchettone, roba che comunque non ti causava ferite permanenti! Oggi gli attrezzi da cucina sono il bimby, il frullatore, il microonde… lo vuoi uccidere questo bambino?

«Tutto questo metodo danese porta a un solo grande insegnamento: l’empatia. In Danimarca non solo ti insegnano a essere felice, ma anche a saper condividere quella felicità con gli altri, a vivere felice nella società e con gli altri, e a rispettare la felicità altrui che tu non hai ancora raggiunto. Una specie di “isola che non c’è”, di “universo parallelo” che invece è la pura realtà alla quale dobbiamo ispirarci e che dobbiamo cercare di raggiungere.

«Ora la conclusione di tutto questo non è che dobbiamo copiare la Danimarca, però se i nostri genitori facessero un corso accelerato non sarebbe una cattiva idea. Anche perché non è che noi siamo indietro solo alla Danimarca, noi stiamo regredendo anche rispetto al nostro passato.

«Prima la mamma ti insegnava come vivere, come comportarti, a essere previdente, a non accettare caramelle e passaggi dagli estranei. Cercava di educarti con le parole e il primo telefonino te lo comprava quando andavi alle scuole superiori e doveva servirti solo per avvisare quando arrivavi e quando uscivi da scuola.

«Oggi, invece, è la prima a essere schiava di smartphone e social network. Commenta su Facebook le notizie di gossip, chiede il sale alla vicina su Whatsapp e pubblica le foto del ragù della domenica su Instagram. Che poi, molto spesso, per ricordarsi di postare tutto sui social ci mette una vita a preparare la cena e ottiene anche scarsi risultati. Allora io ho immaginato che si potrebbe creare una specie di tripadvisor casalingo.

«Funzionerebbe tipo così:

«Recensione per… “’A Cucina ’e Mammà!”

«1° commento:

«Papà: La prossima volta ordino una pizza! Ma quando è pronto ’sto pollo?

«2° commento:

«Il figlio: Ma ’sta puzza di bruciato che cos’è?!

«3° commento:

«Il pollo: Sono io! Toglietemi dal forno!

«A parte tutto ciò, vorrei comunque spezzare una lancia in favore dei genitori e delle mamme di tutta Italia. Essere una mamma è un lavoro a tempo pieno ed è forse uno dei più complicati del mondo perché noi figli, datori di lavoro, siamo infinitamente esigenti e molto spesso pretendiamo senza offrire nulla in cambio, vogliamo essere perdonati e non sappiamo perdonare. Essere mamma è un lavoro, e per farlo bene, in Italia, come si dice a Napoli… ce vo’ pacienza!»

«Alessà» interviene a quel punto Alfonsino, «pure questo lo dice sempre mia madre. Ma non è che vi conoscete?»