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La scuola

«Saranno contenti i ragazzi, ora che li ho lasciati soli con Alessandro» esordisce la prof.

«Ha fatto bene a lasciarli con lui, ha visto come lo ascoltano incantati?»

«Sì, non appena lo hanno riconosciuto non hanno capito più niente… Immagino che lo stesso capiti anche a lei.»

«Di non capire più niente?»

«Ma no, ingegnere. Intendevo di essere fermato in strada.»

«Ma sì, avevo capito, anche se a riconoscermi di solito sono gli adulti, l’entusiasmo è lo stesso. Osservo Alessandro e ritrovo in lui un po’ di me. Siamo molto diversi, sì, ma anche così simili, soprattutto nel modo di relazionarci con gli altri, senza però rinunciare alla nostra riservatezza.»

«Oddio, non ci posso credere» esclama all’improvviso la prof.

«A cosa?» chiede Luciano.

«Quel cavalluccio rosso, è proprio il cavalluccio di “Bellavista”?»

«Ebbene sì, è l’originale!»

«Che emozione! Oggi è proprio una giornata piena di sorprese» esclama la prof. «Mi scusi, sono peggio dei miei studenti.»

«Scusarla per cosa. Tutti, più o meno, quando realizzano che è il cavalluccio del film, hanno la sua stessa reazione.»

«Non faccio fatica a crederle. Passi una vita a ridere guardando la scena di un film, ogni volta come se fosse la prima, e poi un giorno, quando meno te lo aspetti, ti ritrovi di fronte all’oggetto che ha dato vita alle tue risate.»

«Facciamo un patto, però.»

«Mi dica.»

«Basta con questo “Lei”… Io sono semplicemente Luciano, e tu?»

«Io sono Maria.»

«Dunque, chissà dove avrò messo la mia copia di “Bellavista”…»

«In mezzo a tutti questi libri non sarà facile trovarla.»

«In realtà lo sarebbe… Se ci fai caso, tutti i miei libri sono ordinati per titolo, anno di edizione, e per lingue tradotte. Ma proprio stamattina ho preso la copia per lavorarci con Alessandro e poi ho dimenticato di rimetterla a posto.»

«Io ho letto quasi tutti i suoi libri, pardon volevo dire i tuoi, ma il mio preferito resta sempre Storia della filosofia, e il tuo?»

«Probabilmente Il dubbio, ma, come dico spesso, a sceglierne uno mi sembrerebbe di far torto agli altri. Storia della filosofia, però, è stato di sicuro una delle mie opere in cui ho creduto di più. Pensa che dopo il successo del primo, l’editore insisteva per un “Bellavista” numero due. Io, però, risposi: “Mi dispiace, signori miei, ma preferisco dedicarmi alla filosofia”. Apriti cielo! Non ti dico cosa si scatenò.»

«Minacciarono di non pubblicare più i tuoi volumi?»

«Nossignore. Però mi convocarono in casa editrice e con le buone mi spiegarono che era un momento editoriale delicato, che molti dei loro autori più accreditati avevano subito una flessione nelle vendite, e che secondo loro non era il caso che io mettessi da parte il mio cavallo di battaglia per dedicarmi ad altro.»

«E poi come sei riuscito a convincerli?»

«Be’, ho risposto che non ero interessato a scrivere per soldi, ma per soddisfazione, e che di fare un altro “Bellavista” non avevo proprio voglia. Per fortuna avevo dalla mia parte il mio editor dell’epoca, Paolo Caruso, e così decisero di accontentarmi. Con “Bellavista” ero stato in classifica per 106 settimane, ma dissero che con Storia della filosofia avrei venduto al massimo tremila copie.»

«E invece quante ne hai vendute?»

«Circa mezzo milione con il primo dei tre volumi, con il secondo abbiamo superato il milione.»

«Quindi avevi ragione tu.»

«Sai cos’è, è che le persone con tanti interessi, come me, spesso sono guardate con sospetto. Pico della Mirandola, invece, era apprezzato proprio perché sapeva fare tantissime cose. Sia chiaro, non è che io voglia paragonarmi a lui, ma oggi sono tutti “specializzati”, e in nome di questa specializzazione chi sa fare diverse cose viene penalizzato.»

«Sì, ma senza specializzazione oggi trovare un lavoro è quasi impossibile.»

«Lo so, ma non c’è nessuno più noioso di chi ha un solo interesse. Io, per esempio, ho sempre amato Einstein perché, oltre a essere un grande scienziato, sapeva anche suonare il violino.»

«Io ci provo, sai, con i miei studenti, a stimolarli, incuriosirli, ma riuscire a ottenere la loro attenzione come ha fatto oggi Alessandro è quasi un miracolo. Sono sempre con la testa sui telefonini, così presi dalle bellezze virtuali da non riuscire a cogliere quelle reali.»

«Sai cosa c’è, Maria, è che lo studio spesso è visto come un sacrificio, quando invece è la forma più gloriosa di gioco. I ragazzi di oggi sono fortunati e non sono consapevoli di questa fortuna. Mi ricordo che alla fine della guerra io frequentavo il quinto ginnasio. Molte scuole a Napoli erano state distrutte dai bombardamenti. Di quelle rimaste in piedi, la maggior parte erano occupate dagli sfollati che non avevano più una casa. Di conseguenza noi andavamo a scuola un giorno, dico uno, alla settimana, per quattro ore di lezione. Gli altri giorni i professori ci facevano lezione per strada, passeggiando. Ricordo che l’insegnante di latino, mentre camminava citando Orazio, ogni tanto diceva: “Ringraziate Dio che a Napoli il tempo è bello, il clima è mite e si può far scuola anche così”. Questo è stato il mio ginnasio.»

«Vedo che certe cose non sono cambiate. Anche oggi ci sono alcune scuole che se ne cadono a pezzi, solo che non possiamo dare la colpa ai bombardamenti, e dobbiamo limitarci a rimanere a casa e perdere le lezioni. Certe volte mi verrebbe voglia di mollare tutto e andare a insegnare in qualche altra parte del mondo.»

«E perché mai? Hai la fortuna di insegnare nella scuola italiana, che a mio avviso è la migliore al mondo e ora ti spiego perché. Non vorrei sembrarti immodesto, ma io un po’ il mondo l’ho girato, e ti dirò di più, alla mia maniera mi sono ritrovato anche a tenere delle lezioni in alcune delle scuole o università più famose, come la Sorbona o la Columbia University di New York, ma anche in scuole svedesi o tedesche. Mi hanno invitato per parlare di Platone e della napoletanità, e in quelle occasioni ho avuto conferma di una cosa che già sapevo, e cioè che sia la scuola nordeuropea sia quella americana sono dominate dall’impostazione anglosassone basata sul pragmatismo.»

«In che senso?»

«Nel senso che quando si entra in una scuola americana o svedese si vede subito che la preoccupazione dell’insegnante è che l’allievo sappia veramente fare ciò che in quel momento si sta insegnando. Dunque, sono scuole pragmatiste che tendono a formare specialisti.»

«Capisco che non ami gli specialisti, ma non credo che sia poi così un male.»

«A tal proposito ti racconto un episodio che mi è capitato. La mattina in cui stavo per laurearmi, si presenta a casa un amico disperato e mi dice: “Lucià, ti prego, devi assolutamente venire con me. Nella mia stanza si è formata un’enorme crepa sul muro, fa che se ne car’ tutt’ cos’?”. Decisi di seguirlo per rassicurarlo. Abitava in un palazzo del Settecento, ma una volta lì, vista la lesione, non seppi far altro che consigliargli di rivolgersi a uno specialista. “Ma come?” disse lui stupito. “Oggi ti laurei in ingegneria civile e non sai indicarmi un rimedio per risolvere questo guaio?”»

«Luciano, scusa se ti interrompo, ma tu non sei un ingegnere elettronico?»

«Sì, anche, ma lo sono diventato più tardi. Comunque, da casa del mio amico andai direttamente all’università per discutere la tesi. Nonostante l’emozione di quel giorno, ero profondamente angosciato.»

«E perché mai?»

«Perché sebbene avessi letto e studiato tanti libri, prendendo anche diversi 30 agli esami, di fronte alla crepa di un muro mi ero dimostrato impotente. Appena arrivato, ne parlai al preside di facoltà, il professor Tocchetti. E sai cosa mi disse?»

«Cosa?»

«Caro De Crescenzo, quello che ti è successo è stato un bene, perché ti ha fatto capire cos’è un ingegnere. Un ingegnere è uno che non sa niente, ma che, posto di fronte a un problema, lo sa risolvere meglio di uno che non è ingegnere.»

«Sì, ma cosa c’entra tutto questo con il pragmatismo.»

«C’entra. È la forza del non sapere che ti spinge ad approfondire, studiare e ricercare. Gli americani, gli svedesi, i tedeschi, gli inglesi che ho incontrato mi hanno spaventato perché sapevano benissimo la cosa che avevano studiato, ma si perdevano su tutto il resto. Per me l’eclettismo è meglio della specializzazione. Anzi, per me la cultura è il contrario della specializzazione. Guai a vivere in un mondo dove uno è bravissimo come idraulico, ma poi non sa cosa dire al figlio che gli propone un problema di carattere emotivo. Ci vuole una preparazione panoramica, perché la vita è varia e bisogna tener conto dei diversi rami dello scibile. E questa capacità corrisponde all’umanesimo della scuola italiana, e io sono uno di quelli che deve molto al nostro modello di scuola.»

«Dunque credi che se avessi studiato in qualsiasi altro paese non saresti diventato famoso?»

«Be’, in effetti è così. Il mio eclettismo deriva dalla mia formazione scolastica. Se fossi nato in Svezia, per esempio, forse sarei diventato un informatico eccezionale, ma non avrei fatto tutto il resto. Probabilmente non avrei scritto libri e girato film, o ancora lavorato in televisione, come giornalista. Forse non avrei nemmeno scoperto di amare la fotografia. Insomma, mi ritroverei umanamente più povero.»

«Oddio» esclama a un certo punto Maria guardando dalla finestra, «la conversazione mi ha preso così tanto da dimenticare di aver lasciato i ragazzi da soli con Alessandro. Hai trovato il libro?»

«No, non ancora.»

«E non puoi prenderne un altro? Devo assolutamente tornare da loro, se la preside scopre che li ho lasciati soli…»

«Sai che faccio? Invece di cercare il libro, ora prendo queste copie di Nessuno così le regalo ai ragazzi, e poi per la storia da raccontare mi inventerò qualcosa. Cosa ne pensi?»

«Mi sembra un’ottima idea, i ragazzi saranno felicissimi.»

«Perfetto, torniamo al bar!»