Mercoledì pomeriggio ero pronta per il mio primo lavoro come membro del Club delle baby sitter. Non vedevo l’ora d’incontrare Pinky e Buffy. Non mi ero mai occupata di due gemelli.
Mi domandavo come sarebbe andata, se mi avrebbero fatto disperare e se quei due nomi fossero diminutivi o soprannomi. L’avrei scoperto presto.
Tornata a casa da scuola, uscii un po’ in anticipo, nel caso avessi avuto qualche problema a trovare il 52 di Quentin Court.
Ma trovai la casa con facilità e, prima di entrare, mi fermai per un momento a osservarla. Era una casetta bassa, dipinta di bianco e con le imposte nere. C’era però qualcosa che non mi convinceva. Ma cosa? Dopo un istante, me ne resi conto.
Non c’era segno di bambini.
Nel giardinetto nessun giocattolo o triciclo, nel vialetto nessuna scarpa da tennis abbandonata, nessuna traccia neppure sui davanzali delle finestre. Sperai che Pinky e Buffy non fossero di quei bambini noiosi abituati a passare il pomeriggio studiando farfalle o cose del genere. Il mio entusiasmo cominciava a svanire, comunque inspirai profondamente e marciai dritta verso la porta principale.
DIN DON!
Silenzio. Nessun rumore di passi, né grida come quelle che sentivo quando suonavo il campanello dei Newton.
Dopo pochi istanti la porta si aprì.
Una giovane donna grassoccia e di aspetto gradevole stava sulla soglia e sorrideva.
“Bene” pensai, “almeno la mamma di Pinky e Buffy sembra simpatica.”
«Ciao!» disse.
«Buongiorno, sono Kristy Thomas. Sono venuta per Pinky e Buffy, i gemellini.»
Vi fu un momento di silenzio, dopodiché la donna disse: «Ah, sì! Accomodati».
Entrai in una stanza molto carina, eppure anche lì c’era qualcosa di sospetto. Mi ci volle qualche minuto per capire cosa fosse. Pinky e Buffy non solo dovevano essere due marmocchi noiosissimi, ma anche incomprensibilmente attenti a ogni loro movimento. Questo perché, disseminati un po’ dappertutto nella stanza, c’erano oggetti di vetro e di porcellana: grossi vasi orientali, statuine di vetro, piatti su delicati supporti. Era tutto fragilissimo, al contrario di com’era a casa nostra, dove con David Michael, il football, il baseball e gli amici che andavano e venivano a tutte le ore, gli oggetti fragili erano praticamente banditi.
Poi mi accorsi che la zona in cui mi trovavo, l’ingresso e il soggiorno, era chiusa e delimitata da cancelletti simili a box per bambini: il che spiegava la presenza degli oggetti fragili, ma non mi sembrava affatto carino nei confronti di Pinky e Buffy.
Mi resi nuovamente conto di non sentire né voci né risolini e improvvisamente cominciai ad avere paura. In che losca faccenda mi ero cacciata? I McKeever erano degli sconosciuti per me: e se mi avessero teso una trappola?… No, no, che idea: a colazione, quella mattina, quando avevo detto alla mamma dove sarei andata dopo la scuola, lei si era limitata a sollevare un sopracciglio. Non aveva detto: “Kristy, tesoro, non andare, non ci rivedremo mai più!”.
Feci un gran sorriso alla donna.
«Bene…» dissi «dove sono Pinky e Buffy?»
«Ah, in lavanderia» rispose.
In lavanderia?! Erano in punizione?
Qualche volta mi ero arrabbiata ferocemente con David Michael, ma non l’avevo mai chiuso in lavanderia.
«Lascia che mi presenti» proseguì la donna. «Sono la signorina Hargreaves, la nipote della signora McKeever, che in questi giorni è via. Per questo ci serve aiuto per Pinky e Buffy, soprattutto oggi, dato che starò fuori tutto il pomeriggio per un appuntamento importante. Ci siamo rese conto che non possiamo lasciarli da soli.»
“Be’…” pensai “è naturale che non possono stare da soli se lei deve uscire!”
«Sono un po’ discoli» aggiunse la signorina Hargreaves.
«Ah-ah!» feci con il tono di un’esperta mentre mi chiedevo dove fossero in quella casa i segni di due discoli. «Non si preoccupi, so benissimo come si fa con i tipi così: ho tre fratelli.»
«Sei sicura?»
Assentii con convinzione. «Li faccia uscire dalla lavanderia. Penso che avranno voglia di giocare… e potremmo fare una passeggiatina fino al ruscello.»
«È una bella idea» rispose la signorina Hargreaves, «ma temo sia difficile che tu ce la faccia a gestirli.»
«Ah, l’esperienza non mi manca!»
«Benissimo, allora.»
«E Pinky e Buffy sono maschi o femmine?» domandai.
«Be’, non che abbia grande importanza, naturalmente…»
Non aveva importanza?!
«Comunque, Buffy è un maschio e Pinky una femmina.»
«Oh, è facilissimo da ricordare» esclamai.
Cercavo di mantenere un tono di voce tranquillo e allegro, ma cominciavo ad avere la pelle d’oca.
«Eccoci!» annunciò la signorina Hargreaves. Ci trovavamo vicino a una porta di fianco a quella della cucina. «Ora preparati» aggiunse con un tono affettuoso, «i due mostri della zietta, se potessero, abbatterebbero la porta.»
«Davvero?» chiesi strabuzzando gli occhi.
«Fatti indietro.»
Ubbidii: avrei voluto farmi così indietro da tornare sulla porta di casa mia.
E… quando la signorina Hargreaves aprì la porta, due giganteschi, pelosi, latranti San Bernardo si scaraventarono nell’ingresso, quasi travolgendosi a vicenda, e la donna insieme a loro.
Lanciai un urlo. «Devo occuparmi anche di loro?»
«Anche?» ripeté la signorina Hargreaves. «E di chi altri?»
«No, voglio dire, devo badare anche a loro oltre che a Pinky e Buffy?»
La signorina Hargreaves sospirò: «Oh, santo cielo! Sono loro Pinky e Buffy».
«Ma, ma…» balbettai. «Io sono una baby sitter. Non una dog-sitter!»
La signorina Hargreaves sembrava perplessa.
«Io non so che tipo di accordi abbia preso mia zia» disse alla fine, «ma qui ci sono i cani e qui ci sei tu, e io devo andarmene.»
«Ma… ma…»
«Oh, non è poi così difficile» proseguì. «Quello che vogliono è stare fuori il più possibile, però il nostro giardinetto non è recintato, perciò li devi tenere al guinzaglio, oppure stare con loro nel cortiletto posteriore. Se ci giochi insieme, non scapperanno. Troverai le palle nel ripostiglio accanto alla porta di servizio e subito sopra, appesi, i guinzagli; alle quattro e mezzo devono mangiare una scatola di cibo per cani ciascuno e un biscottino a testa per dolce. Per ogni emergenza, troverai accanto al telefono in cucina i numeri necessari. Qualche domanda?»
Scossi la testa… ero senza parole.
Buffy e Pinky balzavano, anzi galoppavano intorno alle gambe della signorina Hargreaves, mentre questa s’infilava il cappotto e usciva avviandosi verso la macchina che era venuta a prenderla.
Tremavo, ma mi feci coraggio e sospinsi i cani nel cortiletto posteriore, ricordandomi di prendere le palle.
Ne afferrai una rossa e provai a lanciarla mentre loro mi oltrepassavano correndo. Non ero sicura di quello che avrebbero fatto: di solito Louie prima corre come un pazzo dietro una palla, ma poi sembra dimenticarsene del tutto.
Questi due invece no!
I bestioni si avventarono sulla palla urtandosi violentemente a vicenda e uno di loro riuscì ad allontanare l’altro, ma non saprei dire quale dei due: sembravano identici.
M’inginocchiai e battei le mani.
«Okay, portamela qui» urlai, senza preoccuparmi se stessi parlando a Pinky o Buffy.
Chiunque fosse, si fiondò dritto verso di me. Conoscevo bene quel gioco, perché anche a Louie piaceva molto. Credo che a tutti i cani piaccia molto: corrono come pazzi verso di voi e all’ultimo momento virano, girandovi intorno… insomma vi prendono in giro.
Ma questo cane non era come tutti gli altri: mi travolse sul serio in un vortice di pelo, zampe e latrati giocosi. Non puoi dire di avere vissuto se prima un cane non ti è passato con le zampe sulla faccia.
Quando quel turbine finì, mi sedetti tastandomi gli occhi e le guance: non c’era traccia di sangue, così mi alzai tremando e mi guardai attorno. Oh, no! I cani non c’erano più! Mi ricordai che la signorina Hargreaves mi aveva detto che avrebbero giocato volentieri con me nel cortiletto: ma forse non mi consideravano più una compagna di giochi, visto che mi avevano praticamente spiaccicato per terra!
«Pinky!» gridai. «Buffy!»
Silenzio.
«Pinkyyy! Buffyyy!»
Corsi alla porta d’ingresso: nessun cane. Guardai in tutte le direzioni per la strada: niente. Tornai di corsa nel cortile sul retro… e li vidi! Erano nel giardino della casa accanto. Stavano ritornando verso di me… ma puntando verso una fila di panni stesi.
«No! Pinky, Buffy, noooo!»
Troppo tardi. Strapparono tutto e si fermarono con una frenata stridente a pochi centimetri dalle mie gambe. Uno aveva una copertina attorcigliata nella coda, l’altro un paio di mutande in bocca.
«Cagnacci!» strillai inviperita. «Filate a cuccia!… A cuccia!»
Recuperai la biancheria lanciando occhiate nervose in direzione della casa accanto: sembrava tutto tranquillo, come se non ci fosse nessuno, e per fortuna il bucato non aveva subito danni. A eccezione della copertina e delle mutandine che mancavano.
Volevo rimetterle al loro posto, ma… e se i cani mi avessero seguito? O, peggio, se fossero scappati?
Non sapevo proprio cosa fare, e mentre me ne stavo lì indecisa, sentii il rumore di una macchina. Per fortuna il vialetto d’accesso era sull’altro lato della casa rispetto a dove stavo io, ma dovevo sbrigarmi perché qualcuno poteva arrivare da un momento all’altro a ritirare il bucato.
«Va bene» dissi rivolgendomi ai cani, «guardate le vostre palle… le volete? Venite… belli» e cominciai a camminare lentamente all’indietro, in direzione dei panni stesi.
I cani mi seguivano puntando le palle.
Raggiunsi la biancheria stesa mentre loro continuavano a venirmi dietro.
«Qui…» sussurrai con una vocina dolce e simpatica.
Tenendo le palle sotto un braccio, con la mano libera riappesi al filo la copertina e le mutandine, quindi mi riprecipitai nel cortile dei McKeever. I cani mi corsero dietro… avevano apprezzato il gioco!
Buon per loro: continuarono a seguirmi fin dentro casa, proprio dove volevo io. Rimanemmo al chiuso per il resto del pomeriggio visto che non mi fidavo più a portarli fuori, neppure con i guinzagli. Guardai la TV, mentre Pinky e Buffy masticavano le loro palle e, ogni volta che cercavano di attaccare briga, li minacciavo andando ad aprire la porta della lavanderia: allora si calmavano.
Prima che la signorina Hargreaves tornasse, avevo preso una decisione importante: i membri del Club delle baby sitter dovevano tenere un diario nel quale descrivere i loro lavori.
In questo modo, ognuna avrebbe conosciuto l’esperienza delle altre e, con un po’ di fortuna, avremmo potuto evitare altri errori, come quello di fare la balia ai cani.
Corsi a casa, ansiosa di scrivere quello che mi era successo nel diario.