PRIMO TEMPO

SCENA I

I prati e le siepi intorno alla cava. Sul fondo le ultime case. Il tramonto, immenso, cupo e violento, va spegnendosi nel cielo. Rumori di macchine. Qualche voce, qualche richiamo. Entrano l’Angelo e l’Adele.

L’ADELE Angelo?

L’ANGELO Eh?

L’ADELE Va’ che bello!

L’ANGELO Bello, cosa?

L’ADELE Lì, sulla cava. Non vedi che colori?

L’ANGELO E cosa vuoi che m’importino i colori?

I due s’abbracciano.

L’ANGELO Aspetta, Adele. Aspetta che metto giù la bici.

L’ADELE No. È meglio andar avanti.

L’ANGELO Ma un bacio, almeno uno...

I due tornano ad abbracciarsi.

L’ADELE Angelo, la bici...

Una pausa.

L’ANGELO Adele?

L’ADELE Cosa?

L’ANGELO Non so...

L’ADELE Cos’è che non sai?

L’ANGELO Stasera, a furia di baci, ti mangerei.

L’ADELE E tu fallo.

L’ANGELO Sì, e poi, quando t’ho mangiata?

Una pausa.

L’ADELE Angelo?

L’ANGELO Eh?

L’ADELE Adesso mi sembra proprio come nel “Grand Hôtel”. Ci vuol talmente poco a essere felici!

L’ANGELO Basta avere una stella come te da stringere, baciare, abbracciare e mangiare.

L’ADELE Angelo?

L’ANGELO Cosa c’è, Adele?

L’ADELE Volevo dirti una cosa.

L’ANGELO Dilla.

L’ADELE E come faccio? Non posso neanche respirare.

L’ANGELO Dilla così.

L’ADELE Ti amo.

L’ANGELO Come?

L’ADELE Ti amo.

L’ANGELO Dilla forte.

L’ADELE E come, se non tiri via la bocca?

L’ANGELO Dilla lo stesso.

L’ADELE Ti amo.

L’ANGELO Più forte.

L’ADELE Ti amo!

L’ANGELO Come nel “Grand Hôtel”?

L’ADELE Di più.

L’ANGELO E allora, come?

L’ADELE Come una schiava.

L’ANGELO E schiava di chi?

L’ADELE Del mio re.

L’ANGELO Hai detto schiava?

L’ADELE Schiava.

L’ANGELO E allora su, alza il collo, schiava.

L’ADELE Angelo?

Una pausa. I due restano a lungo abbracciati.

L’ADELE No! No che così mi rompi il corpetto!

L’ANGELO E a te, t’importa più il corpetto o il tuo re?

L’ADELE Il mio re.

L’ANGELO E allora lasciagli fare quel che vuole.

Un’altra pausa. Dal sentiero vengono alcuni rumori.

L’ADELE Angelo? C’è qualcuno.

L’ANGELO E dove?

L’ADELE Non so, m’è sembrato di sentir dei rumori.

L’ANGELO I soliti! Come se ci fosse solo qui, da venire!

L’Angelo torna ad abbracciare l’Adele.

L’ADELE No, Angelo. È meglio andar avanti.

L’Angelo raccoglie la bici.

L’ADELE Angelo? Vedere, Angelo?

L’ANGELO E cos’è che vuoi vedere?

L’ADELE Che occhi stravolti!

L’ANGELO Sei tu.

L’ADELE Io?

L’ANGELO Tu. È tutta la voglia che ho di baciarti, starti insieme, abbracciarti. Non sento neanche più la stanchezza, adesso.

L’ADELE Oh, se è per quello, non la sento più neanch’io.

I due s’abbracciano ancora, poi escono.
Entrano l’Eros e il Lino. Appena è sul ciglio della siepe l’Eros si ferma.

IL LINO Perché mi guardava in quel modo? Adesso può dirmelo. Sa, sul momento ho avuto paura.

L’EROS Allora cerca di tenerla.

IL LINO Cosa?

L’EROS La paura.

IL LINO Vuole che andiamo avanti?

L’EROS No.

IL LINO Ma allora, perché m’ha fatto venir qui?

L’EROS Va’ a casa.

IL LINO Come, a casa?

L’EROS T’ho detto d’andar a casa. Cosa aspetti, che ti cacci via?

IL LINO Ma perché parla così? Perché non mi guarda più come prima? Ha paura lei, adesso?

L’EROS Non farmi domande. Va’ a casa.

IL LINO Me ne ha fatte tante lei, prima, quand’eravamo al bar...

L’EROS Se ho sbagliato io, non è detto che devi sbagliare anche tu.

IL LINO Ma perché fa così? Non s’arrabbi. Io son contento d’essere qui. Cosa crede?

L’EROS Va’ a casa. Fammi questo favore, Lino. Fammelo, prima che sia tardi. Va’ a casa! Va’ dove vuoi! Ma va’ via, via da qui, via da me.

IL LINO

Prendendo l’Eros per il braccio.
Ma, lei...

L’EROS Scrollandosi di dosso la mano del Lino .
Io, niente. Va’! Va’! E non farti più vedere. Anche se dovessi fermarti, anche se dovessi guardarti, anche se dovessi mandarti a chiamare.

IL LINO Eros?

L’Eros fissa per un momento il Lino, poi esce.

IL LINO Eros? Si fermi, Eros...

Esce anche il Lino.

IL LINO Da fuori.
Eros?

Un lungo silenzio. Si sente ovattato dalla lontananza il rumore di qualche macchina. Poi qualche voce e qualche fruscio. Entrano il Gino e la Rosangelacominci a chiamarmi .

LA ROSANGELA Be’, terrona, proprio terrona, no, perché mio papà...

IL GINO Suo papà?

LA ROSANGELA Era di qui.

IL GINO E di qui, dove?

LA ROSANGELA Di Brusuglio.

IL GINO Ah, di Brusuglio! Glien’ho fatti quattro, di goal, un mese fa, alla squadra del suo paese.

LA ROSANGELA Perché, lei gioca?

IL GINO Come no! Tocchi, tocchi qui che muscoli! E adesso tocchi un po’ più su.

Il Gino fa per abbracciare la ragazza.

LA ROSANGELA No, no...

IL GINO Perché, cosa si deve fare per abbracciarla? Domanda scritta?

Una pausa.

IL GINO Be’? Allora? S’è offesa? Non parla più? Ma cos’ho fatto? Ho approfittato del calcio per tirarla un po’ più vicino. Cosa mi tocca sentire, prima? Tutto il romanzo? E allora sentiamo, su, sentiamo. Era arrivata a Brusuglio.

LA ROSANGELA Ah, be’, se le pesa tanto, possiamo tornar indietro. Tanto, è tre giorni che ci conosciamo? E in altri tre ci dimenticheremo.

IL GINO Più terrona di così!

LA ROSANGELA Cos’ha detto?

IL GINO Ho detto, più terrona di così. Vi saltan subito i nervi, a voi.

LA ROSANGELA Come, i nervi?

IL GINO Sì, insomma...

LA ROSANGELA E poi cos’è questa storia della terrona? Lo dice per mia mamma?

IL GINO No, non lo dico per nessuno.

Una pausa.

IL GINO E adesso vuol andar avanti? Ma un po’ in fretta, se no torno a casa che non ho combinato niente anche stasera.

LA ROSANGELA Ma lei fa così con tutte?

IL GINO Con quelle che mi piacciono.

LA ROSANGELA E ce ne sono tante?

IL GINO Dipende. Anche lì, si va a gradi. Allora, dopo che suo papà è morto...

LA ROSANGELA Be’, quello può dirlo senza ridere.

IL GINO E chi ride? M’è poi morta anche a me la mia mamma, che son sì e no sei mesi.

LA ROSANGELA Ah, ecco.

IL GINO Allora, dopo quello?

LA ROSANGELA Abbiamo dovuto sistemar ospedale, medici e medicine.

IL GINO E dal Pero, com’è che siete venuti via?

La Rosangela non risponde.

IL GINO V’han mandato fuori?

LA ROSANGELA Avevamo degli arretrati.

IL GINO E poi?

LA ROSANGELA Il poi, lo sa anche lei. La sorella di mio papà ci ha detto che qui c’era un locale.

IL GINO Un locale?

LA ROSANGELA Un locale, sì, un locale dove dobbiamo far tutto: mangiare, dormire e lavare.

IL GINO Finito?

La ragazza abbassa la testa come per acconsentire.

IL GINO E allora, su. Tocchi, tocchi qui i muscoli della mezzala.

LA ROSANGELA Ma, Gino.

IL GINO Su, faccia la brava.

LA ROSANGELA Ma perché mi abbraccia subito?

IL GINO E lei, perché mi chiama subito Gino? Tocchi, tocchi qui. Non vuole? E allora tocco io lei. Oh, Rosangela! Terrona mia!

LA ROSANGELA Ma perché dice sempre terrona?

IL GINO Perché? Può darsi che il fatto d’esser terrona mi faccia piacere. Apra la bocca, su. Cosa crede? Non voglio mica ammazzarla. Su, apra. Apra e sentirà che bello!

LA ROSANGELA Se è per quello, si tolga l’illusione: ho già provato e ho già sentito.

IL GINO E allora perché tutti ’sti versi?

LA ROSANGELA Perché voglio esser sicura.

IL GINO E sicura di cosa?

LA ROSANGELA Che non lo fa per scherzo.

IL GINO Ma le pare che il Candidezza sia uno che queste cose le fa per scherzo? Non faccio il meccanico come quello che aveva insieme l’altra sera, io! Vendo frutta e verdura, e la vendo in proprio. Venga, venga a trovarmi in negozio. “Signora di qui, signora di là...”

LA ROSANGELA Ma, Gino...

IL GINO E lei? Cosa vuole lei? Insalata? E allora eccola qui la mia insalata fresca.

LA ROSANGELA Gino!

IL GINO Eccola qui, tirata su, adesso adesso, dall’ortaglia.

A poco a poco la Rosangela si lascia prendere nell’abbraccio del Gino.

IL GINO E adesso, pensa ancora che sia uno scherzo? Su, risponda. Lo pensa ancora?

La Rosangela sorride, poi i due s’introducono nel folto della siepe. Ancora qualche richiamo e qualche voce. Quindi, dalla parte opposta entrano, in punta di piedi, il Quattretti e il Tino.

IL QUATTRETTI Ecco, devon essere qui.

IL TINO Ma sei sicuro che non sia l’Enrica?

IL QUATTRETTI Che Enrica! L’Enrica la conosco bene: è grande e grossa come un baule. Questa qui, invece, è tutta per il lungo. Lo vedi, se avevo ragione? È venuto qui per far un’altra volta le corna a quella povera oca. E allora, se vuole che stia buono, sganci anche ’sta volta.

Una pausa.

IL QUATTRETTI Senti? Sono loro.

IL TINO E come fai a esser sicuro?

IL QUATTRETTI T’ho detto che li ho visti venir qui.

IL TINO Ma qui è pieno...

IL QUATTRETTI Sta’ in silenzio, va’, sta’ in silenzio, che più che cretinate non riesci a dire! Del resto la tua parte lo sai qual è: provare che li hai visti. Al resto, lascia; ci penso io.

Il Quattretti fa qualche passo, si alza, poi subito si riabbassa.

IL QUATTRETTI Cucù.

Silenzio.

IL QUATTRETTI Cucù?

Silenzio.

IL QUATTRETTI Signor Candidezza?

Da dietro la siepe spunta la sagoma del Gino. Una pausa.

IL QUATTRETTI Signor Candidezza. Mi sente?

IL GINO Dalla siepe .
Ancora tu? Corri a casa, scemo! Corri se non vuoi che venga lì a ammazzarti di botte!

IL QUATTRETTI Certo che corro, tanto ormai ho già visto.

IL GINO No. Tu non hai visto niente.

IL QUATTRETTI Invece ho visto e stasera l’Enrica saprà tutto.

IL GINO Cos’hai detto?

IL QUATTRETTI Ho detto che stasera l’Enrica saprà tutto! A meno che non sganci.

IL GINO Sberle, ecco quel che sgancio! Sberle e calci!

IL QUATTRETTI E allora su, fuori! Non puoi proprio lasciarla neanche un momento la tua dama? O sei lì coi calzoni slacciati!

IL GINO I calzoni ce li ho come devono essere e la mia dama non la lascio certo per far piacere a te! Ci vedremo a casa e allora arrangeremo i conti.

IL QUATTRETTI Come vuoi, tanto non t’ho visto solo io. C’è anche il Tino, qui.

Al Tino.
Diglielo, Tino, su, diglielo che l’hai visto anche tu. Ecco. È proprio lei: la terroncella che è arrivata l’altro giorno.

IL GINO Ritira quel che hai detto, merdone! Ritiralo o salto fuori così come sono e ti strozzo!

IL QUATTRETTI No! Non ritiro niente!

IL GINO E allora, ecco!

IL QUATTRETTI Ecco, un corno!

Con un salto, il Gino balza dalla siepe. Uno da una parte e uno dall’altra, il Quattretti e il Tino scappan via.

IL GINO Un corno? Un corno, a me? Un corno nel culo, ti metto! E fin in fondo!

Il Gino insegue il fratello. Si sentono i loro passi mentre si rincorrono. Dalla siepe vien avanti la Rosangela.

IL QUATTRETTI Da fuori.
Lasciami andare! Ho detto di lasciarmi andare!

IL GINO Da fuori.
No! Tu vieni là, domandi perdono alla signorina e giuri di non dir niente!

IL QUATTRETTI Da fuori.
Invece dirò tutto quel che mi piace.

IL GINO Da fuori.
Sì? E allora giù sberle! Giù sberle ancora. Va bene così?

LA ROSANGELA Gino? Cosa fa, adesso, Gino?

IL GINO Da fuori.
Non abbia paura, signorina. Sto facendogli vedere che con me si deve rigar diritto.

Il Gino entra trascinandosi il fratello.

IL GINO Ti bastano?

IL QUATTRETTI Vigliacco! Porco! Giusto perché sei più grande!

IL GINO Certo! E proprio perché son più grande, voglio che tu mi stia sotto così, come un cane!

LA ROSANGELA Gino! Adesso basta, lo lasci.

IL GINO No. Prima deve domandar perdono e giurare che non dirà niente.

IL QUATTRETTI E invece dirò tutto.

IL GINO Cosa?

IL QUATTRETTI Tutto!

IL GINO E allora prendi anche questa, faccia di troia!

LA ROSANGELA Gino!

IL GINO E poi questa! Sei a posto, adesso, o vuoi che ti faccia saltar il cervello?

IL QUATTRETTI Son a posto una merda! Tanto, o sganci, o la bocca, a me, non la chiude nessuno!

IL GINO Nessuno? E allora te la chiudo io!

LA ROSANGELA Gino! Basta, Gino! Non vede? Gli ha già fatto male...

IL GINO Cosa vuole che sia? Un po’ di sangue fa bene a questi ricattatori qui! Gli cambia le idee.

Lasciando per un attimo il fratello.
Calmato, adesso? Deciso?

IL QUATTRETTI E deciso a cosa?

IL GINO A chieder scusa qui, alla signorina.

IL QUATTRETTI E perché?

IL GINO Perché le hai dato della terrona.

IL QUATTRETTI Ma io...

IL GINO Tu, cosa?

Levando dalla tasca un fazzoletto e gettandolo ai piedi del fratello.
To’. E pulisciti che, così, fai schifo.

Mentre il Quattretti cerca di tamponar la ferita.
Allora, glielo vuoi chiedere scusa, sì o no?

LA ROSANGELA Lo lasci stare, Gino. Tanto, non ha fatto apposta.

IL GINO In ginocchio!

Il Quattretti esita.

IL GINO Ho detto in ginocchio!

Il Quattretti s’inginocchia.

IL GINO E adesso giura. Giura che di quel che hai visto non dirai niente, né all’Enrica, né a nessuno. Giura.

Una pausa.

IL GINO Giura, stronzo di uno stronzo!

IL QUATTRETTI Giuro.

Una pausa.

IL GINO Visto, come si fa? Adesso alzati e fila a casa. E silenzio anche col vecchio. Capito?

Il Quattretti si alza, si guarda attorno, poi prende il sentiero e comincia a uscire.

IL GINO Al Quattretti che si allontana .
Ah, e dillo anche al tuo bel socio là, che un’altra volta si guardi bene dal darti una mano, perché se no saran sberle e calci anche per lui.

Alla Rosangela.
Mi scusi, sa, signorina. Ma con dei tipi come mio fratello, se non si fa così, da un momento all’altro ci si trova a esser sotto. E adesso cambiamo posto che sarà meglio per tutti...

Il Gino e la Rosangela attraversano la siepe, poi scompaiono sul fondo. Ormai l’ombra ha invaso ogni cosa. Restano, nel cielo, lunghi lembi di nuvole sanguinanti, mentre sul fondo si accendono le luci delle case e delle strade. Tenendosi stretti e camminando piano piano, rientrano l’Angelo e l’Adele.

L’ADELE Bisognerà poi pensare anche alla casa...

L’ANGELO Oh, per quello c’è tempo!

L’ADELE Be’, mica tanto, Angelo. Cosa vuoi, l’ottobre è subito qui.

I due guardano un momento tutt’attorno, poi sempre tenendosi stretti e di tanto in tanto abbracciandosi, escono. Ancora qualche fischio, l’eco di qualche radio e, sulla camionale, il passar di macchine e autocarri. Entrano l’Amilcare e l’Arialda.

L’ARIALDA Si figuri, Amilcare! Con tutti gli anni che abbiamo sulle spalle, è proprio il caso di metterci qui a far i romantici! A me, poi, e la sua Vittoria lo sapeva, son sempre piaciute le cose che van giù diritte. Ci si deve, per questa o per quella ragione, metter insieme? Si studia tutto, carattere compreso, e poi, se sembra il caso, insieme ci si mette. E a me pare che noi, ormai, abbiamo studiato e ristudiato anche troppo.

L’AMILCARE Ha ragione, Arialda. La mia povera Vittoria lo diceva sempre: chi sposa la Repossi, sposa un tesoro.

L’ARIALDA Un tesoro un po’ stagionato e duretto.

L’AMILCARE Ecco. È quel che volevo dire anch’io.

L’ARIALDA Che son stagionata?

L’AMILCARE No, no, l’altro. Perché non si tratta di far i romantici, Arialda. Cerchi di capire. Il fatto è che un minimo d’affetto, un minimo di maniere... Lei invece, tutte le volte che le dico, andiamo; ecco, arriva fin qui e qui resta.

L’ARIALDA Resto? Resto, perché se comincio...

L’AMILCARE E allora una volta tanto cominci.

L’ARIALDA E se le dicessi che qui, alla cava, più o meno, è dove va sempre il suo Gino?

L’AMILCARE Taccia, Arialda. Taccia che stasera, tra una cosa e l’altra, li avrei ammazzati tutt’e due. Non una parola han detto, intanto che mangiavano. Solo versi e occhiate, come se volessero piantarsi delle coltellate. È anche per quello...

L’ARIALDA Anche per quello, cosa?

L’AMILCARE Dico, un cuore l’avrà anche lei...

L’ARIALDA Un cuore? Be’, pare di sì.

L’AMILCARE Ecco, io, con la Vittoria, ero abituato che, la sera, quando, chiusa la bottega, tornavo a casa...

L’ARIALDA Intanto la sua Vittoria era la sua Vittoria. Poi, né lei, né io, adesso, abbiamo più gli anni d’allora.

L’AMILCARE Ma star insieme è star insieme.

L’ARIALDA Per quello, caro il mio Amilcare, credo di saperlo.

L’AMILCARE E anche se i capelli son diventati meno e quei pochi han cambiato colore...

L’ARIALDA Lo dice, perché si vede che son tinti?

L’AMILCARE Ma, Arialda...

L’ARIALDA No perché, sa, se è per quello, guardi, può star sicuro: è l’unica, ma proprio l’unica civetteria che m’è restata. Dato che di buttarmi alla rovina con le mie mani, proprio non mi sentivo.

L’AMILCARE E perché parla di rovina?

L’ARIALDA Be’, non son abituata a farmi illusioni.

L’AMILCARE E pensare invece che, in certi momenti, quando guarda e gira via gli occhi... Non so... Vuole che le dica quel che penso?

L’ARIALDA Dica, dica. Tanto una volta o l’altra, ’ste confidenze dovremo pur cominciare a farcele.

L’AMILCARE Ecco, sotto sotto si vede che lei...

L’ARIALDA Che io?

L’AMILCARE Andiamo un po’ più avanti.

L’ARIALDA Amilcare?

L’AMILCARE Dica.

L’ARIALDA Mi promette che non ride?

L’AMILCARE E perché dovrei ridere?

L’ARIALDA Forse sto per dirne una grossa.

L’AMILCARE Dica, dica quel che deve dirmi.

L’ARIALDA Forse stasera mi decido.

L’AMILCARE A fare?

L’ARIALDA A venire un po’ più avanti.

L’AMILCARE Arialda?

L’ARIALDA La prenda così, come l’ultima stupidata della mia vita.

L’AMILCARE L’ultima?

L’ARIALDA Cosa vuole? Ho tante di quelle rogne e di quel magone da mandar giù!

L’AMILCARE Ecco. È proprio questo quel che aspettavo di sentire.

L’ARIALDA Magari le sembrerò un po’ impacciata...

L’AMILCARE Non si preoccupi, tanto lei lo sa che son tagliato giù con l’accetta.

L’ARIALDA Amilcare?

L’Arialda guarda l’Amilcare senza dir niente.

L’ARIALDA Voglio che sia ben sicuro d’una cosa, e cioè che è la prima, ma proprio la prima volta. Anche col coso là, col Luigi... Oh madonna, perché l’ho nominato? Adesso, sta’ a vedere che ricomincia!

L’AMILCARE E chi ricomincia?

L’ARIALDA No, no, niente. Son delle cose che ogni tanto mi girano così per la testa. Perché sa, lei ha poi sempre a che fare con una zitella. Su questo non s’illuda!

L’Amilcare s’avvicina all’Arialda e le appoggia il braccio attorno alla vita.

L’AMILCARE E invece! Non gliel’ho detto anche prima che sotto sotto lei dev’essere...

L’ARIALDA Devo essere?

L’AMILCARE Mah!

L’ARIALDA Senta, Amilcare. Come mano lei l’ha pesante, non si può proprio dir di no. Ma sotto sotto, se vuole, sa esser anche tenero...

Tenendosi timidamente vicini, l’Arialda e l’Amilcare riprendono a camminare, poi escono. Entrano l’Eros e la Mina.

LA MINA T’ho detto di dirmi chi è!

L’EROS Un cretinetti. Un cretinetti qualunque che non riesco a levarmi di dosso.

LA MINA Non è vero. Un cretinetti non si guarda come lo guardavi tu.

L’EROS Be’, adesso cosa devo fare? Comandar anche agli occhi?

LA MINA Eros!

L’EROS Allora?

LA MINA Dimmi cos’è successo.

L’EROS Non è successo niente. Del resto cosa doveva succedere?

LA MINA Non è vero, Eros! Guarda che faccia hai! Guarda! Sembri uno che ha finito adesso di piangere.

L’EROS Mina!

LA MINA Eros...

L’EROS Basta chiamarmi così! Va’ fuori dai piedi! Va’! Che a me, più che fastidio non sei capace di dare. Hai capito cos’ho detto?

LA MINA Prendendo l’Eros per le braccia.
Eros? Guardami un momento, Eros! Ho detto di guardarmi! Possibile che per te io ci sia solo perché ti servo? Possibile?

L’EROS E chi te l’ha comandato d’innamorarti d’un tipo come me?

LA MINA Non mi son innamorata io sola, Eros. Quand’eravamo bambini...

L’EROS Sì, quand’eravamo bambini! Quand’eravamo bambini, a me dicevano che bisognava ringraziar il Padreterno d’essere nati in miseria...

LA MINA Giusto perché non riesco a tirarti fuori dalla testa, giusto per quello, se no...

L’EROS Se no, cosa?

LA MINA Lo griderei a tutti! Ti svergognerei! Ti farei andare in galera!

L’EROS La vuoi piantare, scema! E tira giù le mani, che a me le vostre mani dan solo fastidio!

LA MINA Eros? Ma lo sai cosa dici, Eros?

L’EROS Lo so. Lo so benissimo. Hanno approfittato tutti, di me, quand’ero ragazzo. E anche dopo. Siccome ero bello. Cosa credi che piacessi solo a te? Quando passavo per la piazza, sotto i portici e per le strade, mi venivan dietro tutti come se fossi fatto di brillanti! I signori, i ricchi, quei maiali che m’han ridotto a creder solo ai loro soldi, dopo avermi fatto diventare quel che son diventato! E adesso, a approfittare degli altri, tocca a me. Mi pagano perché faccia quel che vogliono e li fa godere? E io pago voi per far quel che voglio e mi serve.

LA MINA Anche l’Iris?

L’EROS Anche lei. Tu, qui. E lei là, alle feste.

LA MINA E quello di stasera?

L’EROS Piantala, Mina!

LA MINA Ma perché, perché devo voler bene a uno come te? Perché? Cosa devo fare per levarti dalla testa? Cosa devo fare per cominciar a odiarti?

L’EROS Niente. Cerca di divertirti e far soldi. Cerca di farne più che puoi. Ormai è l’unica cosa che ti resta.

LA MINA E se invece non fosse così? Se invece parlassi?

L’EROS Tu? Ma tu davanti a me sei destinata a star in silenzio in eterno. Ti si spacca il cuore? Cucilo. Cosa credi che stia succedendo al mio?

LA MINA Sei un porco, un maiale...

Una pausa.

L’EROS Finito?

La Mina non risponde.

L’EROS T’ho domandato se hai finito. Allora vuol dire di sì. Arrivederci. E impara. Cosa, non lo so. Ma impara.

L’Eros esce. Appena s’accorge d’esser sola, la Mina scoppia in un singhiozzo disperato. Sul fondo appaiono l’Amilcare e l’Arialda; come sentono il pianto della ragazza si fermano un momento, poi cambiano direzione ed escono.

SCENA II

In casa del Candidezza; l’anticamera. Un’ora e mezza dopo.

IL GINO Dando colpi su colpi a una porta.
Vieni fuori!

Altri colpi.

IL GINO Apri, su. Apri ’sto cesso!

IL QUATTRETTI Dall’interno del gabinetto .
Quando avrò finito!

IL GINO Finito di far cosa? Ho detto d’aprire! Tanto prima o poi dovremo pur incontrarci. Non sarai così vigliacco d’aspettare che venga a casa il capo, perché se è così, ti sbagli. Stasera è in giro anche lui con la sua bella. E allora, apri!

Altri colpi, altre spallate alla porta.

IL GINO Apri, se no spacco tutto! Apri!

IL QUATTRETTI Ho detto che aprirò quando avrò finito.

IL GINO Apri ’sta porta, stronzo, se no ti faccio finir io!

Entrano l’Amilcare e l’Arialda.

L’AMILCARE Ma cosa c’è? Cosa c’è, ancora?

IL GINO È quel maiale lì!

L’AMILCARE Gino! Almeno quando ci son degli estranei, cerca di moderarti!

IL GINO Ma cosa vuoi che sia un’estranea, se prima o poi prenderà il posto della morta!

L’AMILCARE Gino! E poi, se anche fosse, ti dispiace?

IL GINO E perché mi dovrebbe dispiacere! Tanto quella vera non me la porta indietro più nessuno e, falsa per falsa, o lei o un’altra... Quando va bene a te...

L’AMILCARE Se la bocca devi aprirla solo per offendere, tienila chiusa come fai sempre!

IL GINO Va bene. Tanto con quel porco, i conti, appena fuori, li arrangerò io.

L’AMILCARE Perché? Cosa t’ha fatto, ancora?

IL GINO M’ha portato via il portafogli.

L’AMILCARE All’Arialda .
Ecco, vede, vede se non è necessaria una donna qui?

Al Gino.
Ma da chi l’avete presa voi tutta ’sta cattiveria? Da chi?

IL GINO Cosa vuoi che ne sappia io! A me interessa il portafogli.

L’AMILCARE L’avrai. Basta che tu, quando vien fuori, non cominci a pestarlo.

IL GINO Non comincio? Ma io, ’sta volta, l’ammazzo! Così impara. L’ammazzo!

L’ARIALDA Battendo la porta .
Su, Stefano, fa’ il bravo. Vieni fuori. Siam qui noi. Il Gino non potrà farti niente.

IL QUATTRETTI Lei, tanto per cominciare, torni a casa sua.

L’AMILCARE Stefano!

IL GINO Lo vedi adesso chi è, il mascalzone?

L’AMILCARE Sta’ in silenzio, Gino!

Andando alla porta del gabinetto.
E tu vieni fuori. Ho detto di venir fuori! E domanda scusa qui, all’Arialda...

IL QUATTRETTI Quando avrete mandato via il Gino verrò fuori. Prima, no.

L’AMILCARE Apri! T’ho detto d’aprire! È tuo padre che te lo comanda! Apri.

L’ARIALDA Apri, Stefano. Apri. Ascolta tuo papà. Apri.

IL QUATTRETTI Lei a chiamarlo papà aspetti quando sarà sua moglie!

L’AMILCARE Piantala d’insultare, Stefano, perché se no ti mando subito in riformatorio. Apri, ho detto!

IL GINO Ma cosa vuoi che apra! Quello lì è un disgraziato che ci farà andar sulla bocca di tutti. Ogni giorno ne inventa una.

L’AMILCARE Apri!

IL QUATTRETTI Se giuri di tener fermo il Gino...

L’AMILCARE Il Gino l’ho già qui.

Afferrando per un braccio il figlio maggiore.
Ecco. E tu adesso non muoverti. Capito? Se no vi mando fuori di casa tutt’e due insieme.

All’Arialda.
Arialda, mi faccia un piacere; stia vicino a quel povero disperato là.

Al Quattretti.
Ecco. E adesso apri. Qui è tutto a posto.

Una pausa.

L’AMILCARE Apri!

Piano piano la porta del gabinetto si apre.

IL QUATTRETTI Apparendo .
E adesso?

IL GINO Adesso, qui il portafogli!

L’AMILCARE Al Gino che cerca di liberarsi .
Tu non ti muovi! Va bene? Ho detto che non ti muovi!

IL GINO E allora che mi dia subito il portafogli!

L’AMILCARE Dagli il portafogli, su.

Con una certa esitazione, il Quattretti leva di tasca il portafogli e lo getta ai piedi del Gino.

IL QUATTRETTI To’, prendi e leccatele, le foto della tua Enrica, che tanto poi col resto son solo corna quelle che riesci a farle!

Il Gino s’abbassa di colpo, raccoglie il portafogli e comincia a frugarvi dentro, mentre l’Arialda e l’Amilcare si guardano.

IL GINO Mancano i soldi! Qui le duemila lire, ladro. Qui!

IL QUATTRETTI Quelle sono per il silenzio!

IL GINO Che silenzio?

IL QUATTRETTI Il silenzio sulla tua terrona.

IL GINO Ma io il silenzio non lo pago a nessuno, e men che meno a te! Dammi quel che manca! Su!

L’AMILCARE È vero che glieli hai presi? Parla, Stefano. È vero? Ho detto di dirmi se è vero!

IL GINO Altro che vero! Sono le mance della settimana.

IL QUATTRETTI Può darsi. Ma bisognerebbe che le mance cominciaste a darle anche a me. Perché con queste ingiustizie, è ora di finirla!

L’ARIALDA Stefano!

IL QUATTRETTI Stefano cosa? E poi cominci a chiamarmi Quattretti anche lei, perché qui mi chiaman tutti così! E se è vero che è destinata a prendere il posto della morta...

IL GINO Fuori le duemila lire!

L’AMILCARE Al Gino .

Be’, guarda. Le duemila lire, per intanto, a te, le do io.

IL GINO No! Le voglio da lui, perché chi deve darmele è lui!

L’AMILCARE Ma con lui, i conti, a farli, tocca a me.

Leva dal portafogli duemila lire e le dà al Gino.

IL GINO Al fratello prendendo i soldi .
Non illuderti che tutto finisca qui! Stasera, quando saremo a letto...

L’AMILCARE Stasera, niente! Se no domani vi sistemo io tutt’e due e vi sistemo per sempre! Capito?

Al Gino.
E adesso va’, va’ fuori un momento.

Il Gino getta un’occhiata sul Quattretti, quindi dà la buona sera all’Arialda ed esce.

L’AMILCARE Ma lo vede, Arialda, lo vede se è più una famiglia, la mia? Cosa gli lascio mancare? Tutto, hanno. Tutto! E allora?

Un attimo di silenzio. Poi l’Arialda si gira di scatto verso il Quattretti.

L’ARIALDA Tuo papà ha ragione. È una vergogna! Sei il minore? Sì? E allora, non si dice tanto, ma un po’ di rispetto. Bisogna proprio che venga qua io, per mettervi un po’ in riga, voialtri! Ma non pensate mai alla vostra povera mamma? Cosa credete, che non possa vedervi anche da giù, sotto terra com’è?

IL QUATTRETTI Senta, Arialda, invece di pensar tanto a casa nostra, pensi un po’ a casa sua, soprattutto al suo bel fratello!

L’AMILCARE Stefano!

IL QUATTRETTI Cosa c’è, adesso? Vuoi forse difenderlo?

L’AMILCARE Va’, va’ fuori anche tu! Andate fuori tutt’e due! Se no finisce che v’ammazzo! Mascalzoni, farabutti che non siete altro! Mi fate morire, voi! Morire...

Il Quattretti esce.

L’ARIALDA L’Eros! Sempre l’Eros! Me lo trovo tra i piedi dappertutto! Pur di farmi dispiacere me lo metterebbero anche nella minestra! Come se a far quel che fa, fossi io!

L’AMILCARE Non si preoccupi, Arialda. Il mio Stefano è un disgraziato. Non si preoccupi.

L’ARIALDA Non preoccuparsi, sì! Una parola! Ma domani, quando sarò qui? Ecco, lo vede, lo vede che vita mi tocca fare? Tutto per quello là! E per quell’altro, quell’altro che invece di nascere coi polmoni giusti è nato coi polmoni pieni d’acqua e di marcio! E adesso voglio vedere se ha il coraggio di venirmi addosso anche stavolta: perché allora...

L’AMILCARE Ma, Arialda...

L’ARIALDA Niente, Amilcare, niente. È un momento. Poi passa.

Una pausa.

L’ARIALDA Cos’eravamo dietro a dire, quando siam entrati?

L’AMILCARE La stanza...

L’ARIALDA Ah, ecco! Perché per me, la Vittoria, non era un’amica, era una sorella; ma se è per dormirci noi, allora, mi sembra meglio, ma proprio meglio cambiarla...

SCENA III

In casa dei Repossi: il locale dove si mangia e dove dorme l’Eros. La madre, seduta in un angolo, sta finendo di confezionare alcune camicie. L’Arialda invece sta levando alle federe e ai lenzuoli della dote le cifre vecchie per sostituirle con quelle nuove.

L’ALFONSINA Quando qui c’erano le oche...

L’ARIALDA Quando qui c’erano le oche, cosa?

L’ALFONSINA Sarà stato tutto più difficile, non ci saran stati né radio, né telefoni, né frigo, né niente, ma la vita faceva un po’ meno schifo d’adesso.

L’ARIALDA È il mondo che cambia, cara la mia mamma! E peggio per chi, come te e come me, resta indietro.

L’ALFONSINA Indietro?

L’ARIALDA Indietro, indietro!

L’ALFONSINA Forse io, ma tu! Perché, come fai a dire indietro, se quel che succede non ti sembra mai abbastanza? Sparano? È giusto. Ammazzano? È più giusto ancora. Van sulla luna? Han tutte le ragioni. Anche con l’Eros, non l’avessi sempre protetto...

L’ARIALDA Non l’avessi sempre protetto?

L’ALFONSINA Sì e no, sarebbe al punto in cui è.

L’ARIALDA Senti: per quel che riguarda l’Eros, te l’ho già detto e ridetto chissà le volte. Vorrei che non fosse neanche mai nato! Ma, dato che, oggi come oggi, le cose van così...

L’ALFONSINA Allora vuol dire che, a non capir più niente, sarò io.

L’ARIALDA Be’, sai, una volta che s’è decisi d’averli, i figli, bisogna saperli poi prendere come vengono! Son giusti? Bene! Son sbagliati? Bene lo stesso.

L’ALFONSINA Cosa devo dire, adesso, che mi fa piacere che lui sia com’è e che faccia quel che fa?

L’ARIALDA Piacere sì o piacere no, l’ha fatto e lo farà lo stesso. Del resto, il marito a te e il padre a lui, non l’han mica ammazzato le mosche! Son stati quei maiali là, con la scusa del negus e della faccetta nera.

L’ALFONSINA E allora?

L’ARIALDA Allora va’ a prendertela con loro. Perché, quando si comincia a mandar all’aria la famiglia, hanno un bel dire, gli asili, le scuole, i pulpiti e il resto! Va all’aria tutto! E se in una casa non c’è il capo, o se c’è, l’ammazzano, è come se non ci fosse niente. Perché poi la capa deve starsene tutto il giorno, come stavi tu, alla Carlo Erba, e ringraziar Dio che ci sia quello, e la sottocapa, uscita dalla fabbrica, deve correre, come dovevo correr io, al Sanatorio a trovare quel marcione là!

L’ALFONSINA Arialda!

L’ARIALDA Marcione! Sissignori! Marcione! Che se, nella vita, si potesse tornar indietro, e sapessi di doverlo incontrare un’altra volta, vien da destra lui, bene, e a sinistra io vado!

Una pausa.

L’ARIALDA Perché gli anni, quelli belli, per quel che mi riguarda, se li è portati nella cassa tutti lui assieme al fidanzamento che non finiva mai, e amen!

Una pausa.

L’ARIALDA Amen, se una si rassegna a dirlo. Perché se non si rassegna, allora son bestemmie!

L’ALFONSINA Arialda!

L’ARIALDA Bestemmie! E che se deve venirmi giù un accidente, venga! Sarà sempre tardi!

Una pausa.

L’ARIALDA E anche questa è fatta.

Un’altra pausa.

L’ARIALDA Del resto, vuoi un’altra prova di come va il mondo? Dai Candidezza, ecco, là, cosa credi che succeda da quando quella povera anima è morta? Si odiano come bestie. Tutto il giorno lì, con le unghie fuori. Porcate! Tradimenti! E quando non son porcate e tradimenti son ricatti e peggio. Io non so, non so proprio come potrà fare a tenerli a freno, quei due anticristi...

L’ALFONSINA Non glielo dico sempre, all’Amilcare, quando lo vedo? “Avessi le possibilità che ha lei, uno dei due, almeno uno, lo farei studiare.”

L’ARIALDA Sì! Col bell’esempio che san dare quelli che studiano! Li vedo io, tutti ’sti damerini che vengon qui a ordinar camicie. Più son di famiglia, più han fatto tecniche e latinorum e più son marci! Del resto, tanto per non tirarlo a mano ancora, l’Eros, chi credi che l’abbia rovinato se non loro?

L’ALFONSINA Meno male che adesso sei d’accordo anche tu.

L’ARIALDA Rovinato, sì, rovinato! Rovinato rispetto a quel che delle bacucche come te e come me credono che sia il giusto e lo sbagliato. Ma rispetto a come sta andando il mondo, guarda, potrebbe andar in giro a testa alta, ma alta come una torre!

L’ALFONSINA Se è per quello, mi pare che lo faccia già e che lo faccia abbastanza.

L’ARIALDA Allora, evviva, cara la mia vecchia, e evviva con tutte le ragioni del mondo! Perché è ora di finirla di credere che alla povera gente si possa aprir davanti le finestre, far vedere come si fa a vivere e a star bene, e poi chiuderle, e tenerla nella miseria e nella fame! Certe cose, o non si cominciano e allora va bene, ma se si cominciano, si deve arrivar fino in fondo.

L’ALFONSINA Anche nei vizi?

L’ARIALDA Sissignori, anche nei vizi! È venuto su nella miseria, lui? Sì? E se a un certo punto, coi fumetti o con chissà che altri intrachen, ha avuto la fortuna di capire che i soldi, in questa vita, valgon più di tutte le coscienze e le idee messe insieme, bene, avanti, e avanti fin che dalla sua parte ha quel che gli occorre per farli, ’sti soldi!

Una pausa.

L’ARIALDA E poi, forse che quel che guadagna lo butta via? Allunga il conto in banca, ecco cosa fa, e si fabbrica la poltrona per il domani!

L’ALFONSINA Io non so se comprar oro, anelli, polsini e braccialetti sia buttar via, ma a me pare che esageri. Ne ha più che se fosse una donna!

L’ARIALDA Tanto per cominciare, anelli, polsini, braccialetti e oro son cose che restano e il valore non c’è niente e nessuno che glielo può levare. Poi, tanto per andar avanti, chi ha permesso a te di lasciar la Carlo Erba e a me di mettermi a far camicie qui, in proprio, invece che là, sotto gli altri? I fumetti? Gli intrachen? E allora che fumetti e intrachen sian benedetti!

L’ALFONSINA Intanto io devo sentirmi dire quel che m’han detto anche l’altra sera...

L’ARIALDA Le solite invidiose! Sapessero tutti i soldi che, coi suoi sistemi, è riuscito a mettersi via perderebbero la bava! E poi non l’hai lì bell’e pronta la risposta che chiude la bocca a tutti e a tutto: “Fumetti, care mie, fumetti e fotografie...”?

L’ALFONSINA Già, perché le volte che l’ho detto, so poi io cosa m’han risposto!

L’ARIALDA Cosa?

L’ALFONSINA Fumetti e fotografie, certo. Ma fumetti e fotografie che, una volta o l’altra, lo faran andare in galera.

L’ARIALDA E allora che il fegato gli si spacchi, a quelle porche, e che vadano in marcio anche loro come in marcio è andato lui!

L’ALFONSINA Ma te, non c’è proprio niente che riesca a calmarti? Neanche il fatto che, finalmente, ti levi ’sto peso d’esser qui, sfruttata da noi, e cominci a sfruttar tu gli altri?

L’ARIALDA E chi ha parlato di voi? Quante volte bisogna dirle, a te, le cose? Parlo di quel marcione là, che non ha smesso di sfruttarmi neanche da sotto terra. Prima i debiti. Poi quella rimbambita d’una sua madre da far chiudere alla Baggina, e prima e poi ’sta panzana qui della fedeltà che m’ha messo in testa! “Il torto più grande che puoi farmi è di sposarti...”

L’ALFONSINA Ma la scema sei stata tu a crederci, e a crederci per tutti questi anni; e a rifiutar così delle sistemazioni un po’ meno scomode di questa.

L’ARIALDA Eh, ma adesso, se dio vuole, è finita. E che si volti pure nella cassa! E che si voltino pure anche i vermi e i lumacotti in cui è andato a finire! Non un momento di pace, mi lascia! Non gli basta di venirmi addosso quando sono con l’Amilcare; no, anche in letto! Stanotte, non m’ha lasciato chiudere un occhio che è un occhio! Marcione d’un marcione! Sembra che tutti i baci e gli stringimenti che da vivo non s’è mai sognato di fare, li abbia riservati per tormentarmi adesso che sto per uscirgli di patronato. Non ce n’è abbastanza del caldo! Non ce n’è abbastanza delle zanzare e di tutto l’odore che gettano intorno le fabbriche di quei ladroni, i loro gas e i loro metani! No! Deve mettersi anche lui, con tutti ’sti versi, ’sto girare e rigirare degli occhi, ’ste quattro ossa che ha sotto e ’sta pelle più striminzita della pelle d’un cappone!

L’ALFONSINA Arialda!

L’ARIALDA Presente!

L’ALFONSINA Certi sogni puoi tenerli benissimo per te...

Una pausa.

L’ARIALDA Gli dà fastidio che rompo i patti? Gli secca che cambio le cifre alla dote e che al posto dell’A-Elle, metto ’sta doppia A qui? Si tenga seccature e fastidi!

Di colpo, guardando la fotografia del Luigi che è sulla credenza.

L’ARIALDA Sto parlando di te, marcione! Hai capito? Ci vuol altro che star lì con quell’aria da vittima, e al momento buono cacciarti nel letto e ballarmi a destra e a sinistra come una trottola!

L’ALFONSINA La vuoi finire di parlar così?

L’ARIALDA La finirò quando sarà il caso.

L’ALFONSINA Ah, perché se il tuo Candidezza non si decide a metter nero su bianco e ti vengon i nervi...

L’ARIALDA I nervi, se mi vengono, li spartiamo. Va bene? Se no chiuditi in stanza e non metter fuori né naso né niente.

Una pausa.

L’ARIALDA Ma cosa m’è venuto in mente di farle così grandi, ’ste cifre? Guarda qui: metà federa mi tocca portar via per cambiarle...

L’ALFONSINA E non puoi disfarle, senza portar via niente?

L’ARIALDA Sì, così sembrerà che ci han dormito sopra i gatti!

L’ALFONSINA Ma, perché? Se tieni la A... Tanto Arialda eri e Arialda resti.

L’ARIALDA Bisognerebbe che l’Elle, la traversa, l’avesse un po’ più sopra. Allora potrei far venir giù da qui un’altra gambetta. Ma, così...

Una pausa.

L’ARIALDA Una volta una scusa, un’altra un’altra! Perché han su un paio di calzoni si credono in diritto di comandar il mondo! Poveri scemi!

L’ALFONSINA Ma, di preciso, cos’è che t’ha detto?

L’ARIALDA Che prima di venir qui, a parlar con voi e a decidere mese, giorno e ora, vuol metter a posto tutto, diritti, proprietà e soldi, coi parenti della Vittoria. Questione di giorni, dice! E intanto io, qui a sistemare in fretta e furia la dote, perché fin a un po’ di tempo fa, di sposarsi, pareva che gli scappasse. Se andiamo avanti così, sai come andrà a finire? Che marito e moglie, se saremo, lo saremo solo per farci portar a Musocco! Ma se crede che anche la volta che viene butto via un pomeriggio per preparargli il lesso come glielo preparava la sua Vittoria, sta fresco! Che se lo mangi a casa, coi suoi due anticristi, lingua, pancetta e testina insieme! Vedrà com’è buono!

Una pausa.

L’ALFONSINA Senti, già che abbiamo tirato fuori l’argomento, sull’Eros non è che sia finita lì. Oggi, ne ho sentita un’altra...

L’ARIALDA Cos’è ? La storia del Lino?

L’ALFONSINA Ecco.

L’ARIALDA Figurarsi, son andati a lamentarsi fin dall’Amilcare! Ma non per ottenere chissà cosa, no, no. Per rovinare me! Comunque, stasera, quando torna i conti li farà anche su ’sto punto. Perché non vorrei che per le sue stramberie finissi con l’andarci di mezzo io...

Entra l’Eros.

L’ARIALDA Ecco. È arrivato l’Apollo.

L’EROS Difatti.

Una pausa.

L’EROS Nessuna telefonata?

L’ARIALDA Quelli della Roken film . Si dice così?

L’EROS Così.

L’ARIALDA Meno male che qualcosa ho imparato anch’io.

L’EROS E poi?

Nessuna risposta.

L’EROS Ho detto: e poi?

Nessuna risposta.

L’EROS Cosa c’è? Il morto in casa?

L’ARIALDA Quello, caro mio, è tanto di quel tempo che c’è! A ogni modo, il Lino...

L’EROS Il Lino, cosa?

L’ARIALDA Il Linetto, il figlio della Rosa...

L’EROS Allora?

La madre si alza ed esce.

L’ARIALDA Be’, dico, tra te e il tuo Oreste... Insomma è proprio indispensabile per i vostri fumetti?

L’EROS Come, indispensabile?

L’ARIALDA Non potete trovarne un altro? Magari uno di quelli già avviati? C’è proprio bisogno d’andarli a sperlar fuori dalle ultime leve?

L’EROS Arialda, sul Linetto la bocca tienila chiusa, e non parlarne più né per sette né per diciassette.

L’ARIALDA È che parlano gli altri.

L’EROS Nessuno gli ha mai chiesto di far fumetti, al Lino.

L’ARIALDA Allora vuol dire che gli han chiesto di peggio.

L’EROS Son cose che riguardano me. Me e nessun altro e nessun’altra. Capito?

L’ARIALDA Capito! Capito! Non è una novità che la mia parte in questa casa è quella di capir tutto e far poi finta di non aver capito niente. Ma, se dio vuole, fra un po’ cambio aria, gente, muri, stanza, cognome e poi anche letto!

L’EROS E sarà una soddisfazione per tutti.

L’ARIALDA Comunque, a parte la porcata in sé e per sé...

L’EROS Porcata, come?

L’ARIALDA Affari tuoi e della tua coscienza, se ce n’hai ancora. Dico, a parte quello, siccome la sua bella zia è andata a lamentarsi dall’Amilcare...

L’EROS A lamentarsi, sì! Sarà andata a farsi dar un colpo!

L’ARIALDA Eros!

L’EROS Be’, cosa credi, che il Candidezza aspetti il giorno delle seconde nozze per scaldar il letto? Ormai quell’altra è morta da tanto di quel tempo che gli sarà diventato freddo e strafreddo.

L’ARIALDA Eros!

L’EROS E allora sentiamo, sentiamo. La zia del Lino è andata a lamentarsi. E allora?

L’ARIALDA Sì, dico, non vorrei che per colpa tua... Perché io come io...

L’EROS Tu come tu?

L’ARIALDA Il Candidezza ha due figli.

L’EROS Chiamali figli!

L’ARIALDA Be’, saran quel che saranno, ma figli son poi sempre. E con su i calzoni. Capito?

L’EROS Capito.

L’ARIALDA Perché tra lui e i suoi due terremoti, me l’han già rinfacciato quattro o cinque volte d’esser tua sorella.

L’EROS Cos’è? Stai cercando una scusa per il fatto che tira aria di fallimento?

L’ARIALDA Che fallimento?

L’EROS Ah non so, vedo che anche stasera l’ortolano diserta.

L’ARIALDA Ha da far i conti coi parenti della morta.

L’EROS Speriamo!

L’ARIALDA Se speri tu, figurati io! Comunque siamo d’accordo, eh? Fai quel che vuoi, vai con chi ti pare e piace, innamorati anche dei gatti, ma cerca di far tutto come hai fatto fin adesso.

L’EROS E difatti!

L’ARIALDA Allora, caro il mio fratello, vuol dire che anche tu hai in giro qualcuno che ti vuol bene e cerca di facilitarti la vita! Sarà uno sul piano di terra invece che sul piano di sotto come il mio, ma per averlo, ce l’hai di certo.

Una pausa.

L’EROS E adesso, una parola. Ma che, su questa storia, sia l’ultima. Cosa t’han detto?

L’ARIALDA Han detto che per andar in giro vestito come va vestito, per aver il braccialetto, l’anello...

L’EROS Quello e basta?

L’ARIALDA Han detto che, per i tuoi piani, ti servi dell’Oreste.

L’EROS Cosa?

L’ARIALDA Dell’Oreste, dell’Oreste! Se è vero, come dicono, che gli gira sempre intorno.

L’EROS E poi? Nient’altro?

L’ARIALDA Perché? Ti pare che non basti?

Una pausa. L’Arialda raccoglie in fretta e furia federe e lenzuola e le getta nella cesta, mentre l’Eros resta immobile e sbarra gli occhi davanti a sé.

L’ARIALDA E adesso, se hai voglia, preparati a riempir il ventre, perché stasera, qui, di lesso, ce n’è per un reggimento!

SCENA IV

I prati e le siepi intorno alla cava. È notte. Entrano l’Angelo e l’Adele.

L’ANGELO Sì. Ci son stato.

L’ADELE Allora?

L’ANGELO Potrebbe anche andare.

L’ADELE Ma d’affitto, cosa domandano?

L’ANGELO Un bacio e te lo dico.

L’ADELE Ecco.

L’ANGELO Un altro e ti dico anche com’è fatto.

I due s’abbracciano.

L’ANGELO Dunque. Tu apri la porta, entri e appena entri trovi l’anticamera. Anticamera! Anticamera, per modo di dire! Un buco. Ma l’attaccapanni e il portombrelli ci stanno. Poi, a destra, c’è una porta che va in cucina. A sinistra, un’altra che va in sala. Dalla sala una che va in stanza, e dalla stanza una che va nel bagno.

L’ADELE E è tutto nuovo?

L’ANGELO Talmente nuovo che, sui vetri, ci son ancora le esse!

L’ADELE Ma la sala, com’è?

L’ANGELO Una piazza d’armi!

L’ADELE Hai sempre voglia di scherzare, tu! Ma il divano e le poltrone, almeno quelli, ci stanno?

L’ANGELO Se avessimo i soldi per prenderli...

L’ADELE Col tempo, Angelo. Non è detto che si debba prender tutto adesso. E a che piano resta?

L’ANGELO All’ultimo.

L’ADELE Meglio. Così non ci butteranno giù né polvere, né sporcizia, né niente.

L’ANGELO Tranne che bisogna decider subito.

L’ADELE Sabato. Sabato pomeriggio, andiamo a vederlo insieme. Poi se ci piace... Del resto, per fermarlo, basta una caparra.

L’ANGELO Oh, per quello, sì!

Piano piano i due si perdono nei prati. Entrano la Rosangela e il Gino.

LA ROSANGELA Sì, sì, ridi, tu! Ridi! Ma a me, par di vederla saltar su da tutte le parti. Ti odia! Non vuol nemmeno sentirti nominare! Dice che non sei fatto per me e che in ogni caso una bambina come sono io, gli uomini non dovrebbe neanche saper che esistono.

IL GINO Magari per lasciarli tutti a lei.

LA ROSANGELA Cos’hai detto?

IL GINO Senti, la tua mamma farebbe bene a non esagerare, perché se fa tanto d’andar avanti, allora sono io che mi decido a parlare.

LA ROSANGELA Mi piacerebbe proprio vederti parlar con lei!

IL GINO Non c’è bisogno di parlar con lei. Basterebbe parlar con te.

LA ROSANGELA Be’, se è per quello, noi due abbiamo fatto molto più che parlare, Gino.

IL GINO Sì, ma io dico di lei.

LA ROSANGELA Di lei, chi?

IL GINO Di tua mamma. E di lui insieme.

LA ROSANGELA Di lui? Ma mio papà è morto.

IL GINO Il tuo. Ma il mio è vivo. E fa il vedovo allegro.

LA ROSANGELA Gino? Ma cosa dici?

IL GINO Niente, Rosangela. Niente. Cerchiamo d’andar avanti. E se non mi tormenti più con le fisime della paura e del sangue che t’ha fatto venir giù dal naso, tutto andrà a posto.

LA ROSANGELA Ma lo sai, cosa può succedere se viene a sapere che son qui, ancora con te?

IL GINO Se lo viene a sapere puoi rispondere che, coi Candidezza, gli stessi diritti che ha lei, li hai tu.

LA ROSANGELA Ma di che diritti parli, Gino?

IL GINO Vuoi proprio che te lo dica?

LA ROSANGELA Ma dirmi cosa? Io non capisco niente.

IL GINO Be’, allora, senti. Per cosa pensi che tua mamma non vuole che noi ci vediamo? Per cosa pensi che mi odii tanto? Per te e per me? Per la tua virtù, com’è andata a gridare quattro o cinque volte in bottega?

LA ROSANGELA E se no, per cosa?

IL GINO Per mio papà. Ecco perché.

LA ROSANGELA Per tuo papà?

IL GINO Ma non hai ancora capito che se l’intendono?

LA ROSANGELA Gino? Ma lo sai quel che dici?

IL GINO Lo so. Lo so. E per giunta li ho anche visti.

LA ROSANGELA Ma non m’avevi detto che tuo papà parlava con una di qui?

IL GINO Sì, ma quella è una luna che cala! Adesso sta venendo su quella di tua madre. Non che abbia cambiato in peggio... Anzi!

LA ROSANGELA Ma, Gino...

IL GINO A parte che è terrona... Be’, almeno di lei potrò dirlo senza offender nessuno! Ecco, a parte quello, basta guardar te per capire come deve essere chi t’ha fatta.

LA ROSANGELA Ma se l’intendono come?

IL GINO Be’, saper il come è un po’ troppo! Può darsi che si siano infollarmati così, roba d’un momento. Ma può anche darsi che, vedovi come sono tutt’e due... Ecco, può anche darsi che decidano.

LA ROSANGELA E decidano, cosa?

IL GINO L’altra, quella che sta calando, mio papà la voleva sposare.

LA ROSANGELA Ma, allora? Gino? Allora, se è così... Gino?

IL GINO Be’, adesso cosa fai?

LA ROSANGELA Gino...

IL GINO Rosangela?

LA ROSANGELA Io...

IL GINO Tu?

LA ROSANGELA Io ti voglio bene, Gino.

IL GINO Non piangere, Rosangela. Su, su, non piangere che il bene alla nostra età va e viene. E il bello è proprio lì. Sapessi quante volte ho creduto d’esser innamorato per sempre! Eppure, dopo un po’, mi capitava di vederne un’altra e tutto cambiava.

LA ROSANGELA Ma, io... Gino? Io... Tu... Io... Ecco tu... Gino? Tu sei il primo a cui voglio bene.

IL GINO Ma dopo il primo, vien il secondo. Rosangela?

LA ROSANGELA Gino...

IL GINO Guarda, secondo me, il meglio che adesso possiamo fare è di cominciare a non perder tempo. Se poi tua mamma continua e tu, di me, non puoi proprio far a meno... Su, non piangere. Non piangere, che io ho solo voglia di farti ridere. Ecco; qui? Va bene, qui? Ridi, su, Rosangela. Ridi. Rosangela?

LA ROSANGELA Ma allora mia mamma è più bestia di me. Allora tutto quel che mi grida, i pugni che mi dà, i capelli che mi strappa, lo fa solo per gelosia...

IL GINO Un po’ per gelosia, un po’ per interesse. Se deve trafficar tutto il giorno come m’hai detto che traffica... Le capita un’occasione così... Cosa vuoi, mio papà...

LA ROSANGELA Tuo papà?

IL GINO Andiamo avanti, Rosa. Non so proprio perché non t’han chiamata così: Rosa, Rosa e basta. Avanti si sta più tranquilli. E non solo per piangere e parlare.

Il Gino si stringe addosso alla Rosangela e la morde sul collo.

LA ROSANGELA No, Gino! No, che così mi fai male.

IL GINO E perché no, se è l’unico male che fa bene?

LA ROSANGELA No, no, che mi resta il morello!

IL GINO Non aver paura. Con un po’ di massaggi va via.

I due escono. Entra l’Oreste. Passeggia qua e là come se aspettasse qualcuno. Un ragazzo sui vent’anni attraversa il sentiero fischiettando. Si sente il latrato d’un cane. Entra l’Eros.

L’EROS Aspetti la Mina?

L’ORESTE Sì.

L’EROS Bene. Puoi farne a meno. Al suo posto son venuto io e io parlo.

L’ORESTE Tu? Ma io, per te, non mi sarei mai scomodato a venir qui.

L’EROS Questo lo sapevo talmente bene che t’ho fatto chiamar da lei. A ogni modo, prima di cominciare il discorso...

L’ORESTE Che discorso?

L’EROS Il nostro. Ecco. Prima di quello, sia chiaro che la Mina in tutta questa faccenda non c’entra e che se vuoi far qualcosa...

L’ORESTE Non è certo a uno come te che andrò a dire quel che voglio o non voglio fare.

L’EROS Senti, Oreste, le parole convien tenerle per dopo.

L’ORESTE Allora, parla. Perché la notte è fatta per dormire.

L’EROS Per gli altri, non per te e per me.

L’ORESTE Be’! Cosa vuoi fare? Confessarmi? Ah, perché il tono che t’è venuto è quello! Magari dopo esser stato a una delle tue feste...

L’EROS Esatto. Ma in tempo per esser qui all’ora stabilita e lucido quanto basta per dirti che le mani, su quel che è degli altri, non le metti né tu né nessuno della tua banda.

L’ORESTE Le mani? E le mani, su chi?

L’EROS Sul Lino.

L’Oreste scoppia a ridere.

L’EROS Non ridere, perché adesso per ridere è troppo presto.

L’ORESTE E come faccio a non ridere? Parli del Lino come se fosse roba tua!

L’EROS Oreste! Che sia o non sia roba mia, riguarda me.

L’ORESTE Be’, ma cos’è successo? L’hai adottato?

L’Eros non risponde.

L’ORESTE O l’hai acquistato in esclusiva?

L’EROS Piantala, Oreste!

L’ORESTE Io? Tu, devi piantarla, non io!

L’EROS Comunque, intorno al Lino, non si gira né per una ragione, né per l’altra.

L’ORESTE E allora digli che quando qualcuno gli gira intorno, invece di starsene lì imbambolato a guardare, si ricordi di te e scappi per primo.

L’EROS Ho detto che a non mettersi tra i piedi, tocca a te e ai tuoi soci.

L’ORESTE Allora fagli una cinta attorno.

L’EROS Oreste!

L’ORESTE E se, per caso, avessi poi deciso di continuare?

L’EROS Parlerò.

L’ORESTE E di cosa?

L’EROS Di tutto.

L’ORESTE Perché invece sul tuo conto da dire non si trova niente...

L’EROS Si può trovare tutto quel che si vuole. Ma per una cosa così, son disposto ad arrischiare tutto, anche la galera.

L’ORESTE Ma, allora...

L’EROS Allora, cosa?

L’ORESTE Sì, dico, proprio come una...

L’EROS Oreste!

L’ORESTE Stavo per dire una figlia, non una donna! Una figlia o un figlio a cui, magari, invece d’insegnare...

L’EROS Cerca di non esagerare, Oreste!

L’ORESTE Ma cosa credi? Che abbia paura d’una mezza-donna come te?

L’EROS Le tue battute non mi toccano neanche. Mi fan solo pietà. Allora hai capito quel che voglio?

L’ORESTE Be’, ma se te lo lascio stare, tu cosa mi dai?

L’EROS Niente.

L’ORESTE Ah! Il signorino vuole l’esclusiva, senza pagar pedaggio! Ma non ti sembra d’esagerare? Del resto, senti, se non sarò io o uno dei miei soci a tirarlo nella banda, sarà un altro. Al tuo Lino piacciono troppo questi... Capito? E oltre a questi, piace troppo aver la faccia stampata sui giornali. Chissà, forse sogna, come sognavi tu, di diventare una celebrità!

L’EROS Quello che sogna non ti riguarda. Allora, siamo d’accordo?

L’ORESTE Se paghi.

L’EROS Non ho mai pagato niente a nessuno.

L’ORESTE Be’, ma con me la tua bellezza non conta. Fossi una donna... E poi credi forse di guadagnarteli così, i diritti?

L’EROS Così.

L’ORESTE Divertente!

L’EROS Tanto divertente che le bustine...

L’ORESTE Che bustine?

L’EROS Le bustine. Ecco, loro. Da là a qua, viaggiano nelle mani del porco che tu sei. Ti basta, o vuoi che vada avanti?

L’ORESTE Va’ avanti. E di’ pure che, nel naso, le tira poi su la gente delle tue belle feste!

L’EROS Mie, né più né meno di come son tue! In ogni caso la strada che va da là a qua...

L’ORESTE Taci!

L’EROS Dipende da te.

Una pausa.

L’ORESTE Allora, visto che ci tieni tanto, visto che per te è proprio questione di vita o di morte... Metti il cuore in pace. Da stasera, il tuo Lino sarà come se non esistesse. Ma anche le bustine. D’accordo? Silenzio per silenzio. E adesso vuoi un consiglio? Fammi pedinare. Non si sa mai. Potrebbe darsi che un giorno, chissà, i numeri girino anche a me.

L’EROS Oreste!

L’ORESTE E sii più generoso. Lo sai cos’è che sogna adesso il tuo protetto, oltre ai fumetti e ai giornali? La moto, sogna.

L’EROS L’avrà.

L’ORESTE E da chi?

L’EROS Da me.

L’ORESTE Avaro come sei?

L’EROS Avaro come sono.

L’ORESTE Finito?

L’EROS Finito.

L’ORESTE Allora, andiamo.

L’EROS Va’ tu.

L’ORESTE Perché, aspetti qui il tuo fiore?

L’EROS No. Perché mi fai schifo.

SCENA V

La stanza dove vivono le Carimati. Pomeriggio tardo.

LA GAETANA Guardami in faccia. Dico in faccia. Non abbassar gli occhi. L’hai visto un’altra volta? T’ho domandato se l’hai visto un’altra volta. Rispondi. O vuoi che ti porti fuori e ti svergogni davanti a tutti?

LA ROSANGELA Sì, l’ho visto. E allora?

LA GAETANA Come, allora? Allora a me? Allora a tua madre?

Schiaffeggiando la figlia.
Prendi, zingara! To’, prendi! E adesso sei disposta a parlar con tua madre con il rispetto che si merita? Rispondi. T’ho detto di rispondere. Non parli ancora? E allora giù la sottana, giù, che vediamo cos’hai combinato anche stasera! Giù!

La Gaetana prende la Rosangela e cerca di strapparle di dosso l’abito.

LA ROSANGELA Mamma! Stai ferma, mamma!

LA GAETANA E perché ferma?

LA ROSANGELA Basta, mamma!

LA GAETANA Basta lo dirai quando sembrerà il caso a me!

LA ROSANGELA Basta! Basta, se no parlo!

LA GAETANA E allora parla. Su, parla! Cosa devi dirmi? Che sei innamorata? Che gli vuoi bene?

LA ROSANGELA Mamma!

LA GAETANA Giocarti l’onore e la reputazione così, come se fossero un bene che una volta perso si può aver di ritorno! Una svergognata, ecco cosa sei! Una svergognata!

LA ROSANGELA E il Candidezza, allora?

LA GAETANA Il Candidezza è un maiale. E se non vuol finir dentro, dovrà star attento anche lui!

LA ROSANGELA Ho detto l’altro.

LA GAETANA L’altro, chi?

LA ROSANGELA Suo padre!

LA GAETANA Rosangela!

LA ROSANGELA Suo padre! Sì, suo padre! E adesso guardami tu. Ho detto di guardarmi.

LA GAETANA Be’, perché? Cosa credi d’aver detto dicendo suo padre?

LA ROSANGELA Non obbligarmi a parlare, mamma. Tu lo sai, e lo sai anche troppo bene. Non vedi? Sei diventata bianca...

LA GAETANA Ma cos’è che devo sapere? In nome di dio, parla! Cos’è?

LA ROSANGELA Niente. Ma se non vuoi farmi schifo, non parlar più.

LA GAETANA Schifo, io? Schifo, tua madre?

LA ROSANGELA Tu, sì! Perché il Candidezza...

LA GAETANA Chiudi la bocca, Rosangela! Chiudila! Perché, da quando sei col Gino, è diventata peggio d’una fogna!

LA ROSANGELA E invece, no. A questo punto la tengo aperta e vado avanti, anche se dovessi buttar fuori solo sporcizia! Perché tu, il Gino...

LA GAETANA Il Gino?

LA ROSANGELA Sì, non è vero che non vuoi che lo veda per il mio onore.

LA GAETANA E per cosa, allora?

LA ROSANGELA Per gelosia!

LA GAETANA Rosangela!

LA ROSANGELA Per gelosia! Te lo grido fin che vuoi e davanti a tutti! Pestami, adesso! Vienimi addosso, su! Prendimi pei capelli! Strappali! Fammi venir giù il sangue, come l’altra volta! Avanti! Non ti muovi più? Dov’è andato tutto il tuo coraggio? E gli uomini, devo esser ancora io e io sola a non saper che esistono?

Un lungo silenzio.

LA GAETANA È stato il Gino a dirtelo?

LA ROSANGELA Lui.

LA GAETANA Delinquente!

LA ROSANGELA E perché delinquente, se vi ha visti insieme e se suo padre gli ha già detto...

LA GAETANA Cosa gli ha detto?

LA ROSANGELA Che vuol sposarti.

Una pausa.

LA GAETANA E allora? Ammesso che fosse vero, cosa vorresti dedurne?

LA ROSANGELA Non voglio dedurre niente. Voglio solo che mi lasci in pace.

LA GAETANA Ma io, se lo facessi, ricordati bene, non lo farei per me. Lo farei anche e soprattutto per te.

LA ROSANGELA Per me? E per me, come?

LA GAETANA Bisognerebbe sapere tutto quel che abbiamo alle spalle. Da me, io, non l’avrei mai detto. Ma siccome, adesso, ragazza non sei più, posso dirti tutto. Anzi, devo. E allora lo sai cos’abbiamo da saldare ancora all’ospedale? Centodiecimila lire. E tra negozi, affitto, cimitero e funerali, lo sai cosa ci resta? Centotrenta. Come non bastasse, al fratello di tuo padre siam debitori di trentottomila per esser entrate qui... È la miseria che ci viene addosso. La miseria che ci smangia e ci riduce alla fame. Ma perché tu sappia tutto, non è nemmeno per quello che la prima volta ho parlato col padre del Gino. È stato per il tuo onore. Quell’onore che mi hai gettato in faccia, come se per una madre fosse una colpa far in modo che sua figlia non diventi una cagna. Solo la seconda volta, quando son tornata perché t’avevo trovato in tasca un altro biglietto di quel farabutto, un altro, più lurido del primo...

LA ROSANGELA A parlar così, dovresti andar adagio, perché da un momento all’altro, il Gino potrebbe diventar tuo figlio.

LA GAETANA Rosangela!

LA ROSANGELA Be’, se non figlio, figliastro!

Una pausa.

LA GAETANA Cosa credi? Che, se mi decidessi a accettare, mi deciderei per amore? Ma io, ricordatelo, nella vita, l’amore, l’ho provato una volta sola ed è stato per tuo padre. E come non c’è stato niente prima, così non ci sarà niente dopo.

LA ROSANGELA Sì? E se per caso mio padre tornasse indietro? Se ti vedesse far quel che fai?

LA GAETANA Se tornasse indietro? Se mi vedesse?

LA ROSANGELA Credi che sarebbe contento? Credi che ti direbbe: “Su, Gaetana, su, fai bene, avanti, non perder tempo”? Ti sputerebbe addosso. Ecco quel che farebbe!

LA GAETANA Rosangela!

LA ROSANGELA Addosso! Come vien voglia di far a me!

LA GAETANA E allora, fallo! Se ti sembra che sia giusto e che lo meriti, fallo! Ma non sarò certo io, dopo, ad aver la coscienza piena di serpenti e di vipere! Tu, l’avrai! Tu! Perché non hai voluto capire che se tua madre si decide a quest’umiliazione, è anche e soprattutto per te...

LA ROSANGELA E per te, invece?

LA GAETANA Anche per me, non lo nego. Ma non per le ragioni che credi. Perché ero stanca, ecco perché. Stanca di portar avanti una vita così. Stanca d’esser inseguita dai debiti, dalla miseria e dalla fame. Stanca di soffrire e esser senza più nessuno che difenda me, mia figlia e la mia casa. Quanto al resto, gli uomini...

LA ROSANGELA Gli uomini...

LA GAETANA Niente, Rosangela. Non parliamone più. Adesso tu sai tutto. Tocca a te decidere quel che è bene che tu faccia.

LA ROSANGELA Ho già deciso: io, il Gino, non lo lascio! Quanto a te, se proprio vuoi sposarti con suo padre, fallo.

LA GAETANA Rosangela!

LA ROSANGELA Fallo, sì. Ma il Gino resta insieme a me.

LA GAETANA Sì? E allora sorveglialo, il tuo Gino, perché di amiche non ha te soltanto. Una per strada, ne ha!

LA ROSANGELA Questa è una fandonia che inventi per difender i tuoi interessi!

LA GAETANA I miei interessi sono anche i tuoi!

LA ROSANGELA Non è vero!

LA GAETANA Rosangela! Chiudi la bocca, se non vuoi che ti strozzi!

Si sente picchiare e si sente gridare: “Basta, terrone della malora! Tacete! Basta!”.

LA GAETANA Ecco. Li senti? Sono loro... I bei vicini che siam venuti a prenderci in quest’inferno. Neanche il diritto di parlare, c’è restato! Neanche quello! Adesso avran sentito e ci faran andare sulla bocca di tutti, come assassini.

LA ROSANGELA Se c’è una cosa che non m’importa, è proprio quella.

LA GAETANA Rosangela!

LA ROSANGELA Ho detto che non m’importa!

SCENA VI

In casa Repossi: il locale dove si mangia e dove dorme l’Eros. L’Alfonsina e l’Arialda stanno lavorando. Sono le sette. Da fuori viene con insistenza il rumore d’una moto che gira attorno allo stabile.

L’ALFONSINA Ma quand’è che la finiranno di rovinarci i nervi con tutti ’sti motori?

L’ARIALDA Questo dev’essere il Lino. Da quando ha la moto, tutte le sere, a quest’ora, è lì che aspetta il padre putativo per fargli festa.

L’ALFONSINA Poi, per forza, dicono intorno che gliel’ha regalata lui...

L’ARIALDA Voce di popolo, voce di Dio, cara la mia mamma! Perché di questi tempi, le relazioni più son sbagliate e meglio vanno! Potessero combinarsi coi cavalli e coi cani, andrebbero più d’accordo ancora!

Una pausa.

L’ARIALDA Del resto, piuttosto che ridursi qui come mi sto riducendo io, meglio lui che le sue cose le sa amministrare. Anche se son cose da inferno di qua e poi anche di là.

L’ALFONSINA Aspetta, Arialda, aspetta, prima di metterti in testa che sia successo chissà cosa!

L’ARIALDA E non son qui a aspettare? Perché, a mandar l’Eros là, dall’ortolano, non è mica stata la bisnonna! E allora? Non che speri niente. Figurarsi! Ma almeno saper le cose come stanno e non farsi far sceme più del necessario, almeno quello! Ha cambiato idea? Ne ha trovata un’altra? Va bene. Basta saperlo, poi si decide il da fare.

Una pausa. Da fuori continua a venire il rumore della moto.

L’ARIALDA E continua! Fosse per me andrei là a gridargli di scentrarsi, lui e la moto, contro il primo muro che trova.

Entra l’Eros.

L’ARIALDA Allora?

L’EROS Metti il cuore in pace.

L’ARIALDA In pace, come?

L’EROS Non c’è più niente ma proprio niente da fare.

L’ARIALDA Alla madre.
Visto tu che dicevi tanto? Il cuore in pace! In pace, sì, in pace, se una ha voglia di metterlo! Ma siccome la voglia è un’altra... Capito, tu?

L’EROS Be’, ma guarda che il Candidezza non sono io...

L’ARIALDA E chi parla con te?

L’EROS Ah, non so, m’era sembrato.

L’ARIALDA E cos’è? Per te? Per il tuo tipo di gusti e di lavoro? Ha paura che gli porti via i figli?

L’EROS No, per una donna.

L’ARIALDA E chi è? La terrona?

L’EROS Lei.

L’ARIALDA Ecco. Non gli basta a quelle negre là di venir su a portarci via case, posti, uffici e appartamenti, no, anche gli uomini adesso! Anche quelli! E tu ridi! Su, ridi! Ma allora ridi più forte! Avanti! Fatti sentir da tutti, piattola d’una piattola! Che tanto il pneuma non te lo fa più nessuno lo stesso!

L’EROS Ma chi ride, Arialda?

L’ARIALDA Niente. Lo so io, e se lo so io, basta. Ah, la terrona! La vedova che, dal Pero, han mandato via a furia di debiti e di calci! Una vedova che avrà passato più uomini d’una caserma! E quando gliel’hai detto, che faccia ha fatto?

L’EROS Ma cosa t’importa, Arialda, saperlo?

L’ARIALDA Ho detto di dirmi che faccia ha fatto.

L’EROS Nessuna faccia. Ha allargato le braccia come per dirmi che lui di colpa non ne ha. Poi ha detto: destino.

L’ARIALDA Destino? Ma se destino è, si tratta del destino porco che m’è venuto addosso da quando quella lì ha avuto la bell’idea di mettermi al mondo!

L’ALFONSINA Arialda!

L’ARIALDA Arialda, cosa? Perché, a me, che regali m’ha mai fatto la vita da quando ho aperto gli occhi? Avanti!

Una pausa.
Destino, sì! Ma chiamatelo calore, che è meglio! Almeno si sa prima di cominciare, dove si deve sbattere!

L’ALFONSINA Arialda! Adesso, basta!

L’ARIALDA Calore, cara la mia mamma! Calore! Mica a tutte capita d’aver come spasimante una pasta molle com’è capitato a me! Uno che ha cominciato a muoversi solo dopo che gli han dato i santissimi! Ci son anche quelli che bollono!

L’ALFONSINA Ma, senti, Eros, te l’ha proprio detto chiaro?

L’EROS Chiaro? Chiarissimo.

L’ARIALDA E cosa t’aspettavi, le mezze misure da quel maiale là, che quel che ha, e per cui gli giran intorno anche le vedove dell’Africa, se l’è fatto succhiando il sangue della povera gente come noi? La terrona! Sì, perché io avrò paura d’una povera scema come quella vedova là!

L’ALFONSINA E che tipo è, poi?

L’ARIALDA Sarà calda anche lei! Perché, qui, ormai, si va avanti a furia di gradi!

Avvicinandosi alla credenza e fissando la fotografia del Luigi.
Ma se credi d’aver vinto la partita e d’essermi tornato addosso un’altra volta... Senti, parlo con te! Ah, ecco! Se credi così, ti sbagli! Prima d’impalmare quella là, i conti, il Candidezza, dovrà farli con me! Capito? E va’ pur avanti a ridere, che tanto ’sta faccia qui ce l’avevi anche quando i becchini t’han saldato il coperchio! Ah, ecco! Perché almeno quello lo saprò! “Pare che ride...”; siccome, conciato com’eri, non potevano dire che parevi un angelo. Ma io, prima di tornar sotto la tua grinfia, quella porca là gliela strappo di mano con la mia. Capito? E non mi fermerò davanti a niente! E più tu andrai avanti a smangiarmi la coscienza e la carne, e più andrò avanti io!

L’ALFONSINA Arialda...

L’ARIALDA Be’? Cosa c’è da guardarmi con quella faccia lì? Cosa vi siete messi in testa, che son diventata matta? Volete vedere che valore do più, io, a un povero scemo come questo?

Getta a terra la fotografia.
Zero! Zero assoluto!

L’ALFONSINA Arialda...

L’ARIALDA E adesso qui la scopa, qui la scopa che lo mandiamo fuori del tutto!

SCENA VII

In casa dei Candidezza: il locale dove si mangia. Sono quasi le otto.

IL QUATTRETTI L’ho vista sì, non no! L’ho vista e l’ho anche sentita!

IL GINO E quando?

IL QUATTRETTI Quando sei venuto fuori a prender la sarvietta. Era là sul letto. Non aveva su più niente e continuava a chiamarti come se stesse tirando gli ultimi.

IL GINO Ma cosa vuoi sapere tu di quando una ha su tutto e di quando non ha su niente!

IL QUATTRETTI Ah sì? E allora, guarda!

Leva dalla tasca un fazzoletto e lo mette davanti agli occhi del fratello.
Lo riconosci?

IL GINO Be’, cos’è? Un fazzoletto come gli altri.

IL QUATTRETTI Non far finta, non far finta che c’è su anche la cifra! C. R.: Carimati Rosangela! E siccome tu, prima di cominciare, le hai detto di levarsi il rossetto, se no sporcavate la coperta, è anche tutto impiastrato. Sentilo, sentilo se vuoi godere un’altra volta!

IL GINO Allora se è così, dammelo. Dammelo che glielo riporto.

IL QUATTRETTI Lo vuoi? Sgancia.

IL GINO Non sgancio niente. Piuttosto tientelo.

IL QUATTRETTI È quel che cerco. Così, stasera, il vecchio saprà come mantieni le promesse. Ti ricordi cosa t’ha detto l’altra sera? “Adesso basta, Gino. Vai con chi vuoi. Cambiane una tutti i giorni. Ma la Rosangela, lasciala stare.”

IL GINO E per darmelo, cosa pretendi?

IL QUATTRETTI Tremila.

IL GINO Tremila? E dove vado a prenderli?

IL QUATTRETTI Affari tuoi. Ma per uno come te, che sta tutto il giorno in bottega...

IL GINO Allora, va bene. Dammelo. Domani ti porterò la moneta.

IL QUATTRETTI E allora aspetta quando mi farai veder la moneta.

IL GINO Sei proprio nato con l’anima del ricattatore, tu! Ma cosa ne fai, dei soldi? Si può sapere? Cosa ne fai, che non ti si vede spender mai una lira?

IL QUATTRETTI Li tengo.

Suona il campanello d’ingresso.

IL GINO Va’, va’ a aprire, che sarà lui.

Il Quattretti esce e rientra subito dopo con l’Arialda.

IL QUATTRETTI Non è lui. È la luna.

IL GINO Che luna?

Voltandosi.
Ah, lei...

L’ARIALDA Luna? E luna, perché?

IL QUATTRETTI Non s’arrabbi. È un modo che ha trovato mio fratello per spiegarmi che, al suo posto, il papà ne ha scelto un’altra.

L’ARIALDA E voi, un maiale così, avete il coraggio di chiamarlo ancora papà?

IL GINO Vada piano con le parole, signorina.

L’ARIALDA Piano, un corno! Del resto, fosse qui, glielo griderei in faccia. Anzi, com’è che non è ancora arrivato?

IL QUATTRETTI Si vede che sarà là a far il tenero con la Gaetana...

IL GINO Ma lei, scusi, perché è venuta qui? Non avevate sistemato tutto?

L’ARIALDA Perché, v’ha detto così?

IL GINO Così.

L’ARIALDA Lo vedete se non è un maiale! Tutto? Niente, non tutto! E per saper qualcosa ho dovuto pensarci io e mandar qui l’Eros.

IL GINO Quello è buono!

L’ARIALDA Buono o non buono, affari che non vi riguardano. Come una serva, m’ha trattata! Peggio, come uno straccio! E io non capisco come facciate a dir di sì a una che non sapete neanche da dove venga e cosa faccia, una piena di debiti fin sopra la testa, una che vostra mamma non l’ha nemmeno mai vista. Tu, poi...

IL GINO Io, cosa?

L’ARIALDA Non far finta, adesso, perché se la Rosangela ti piaceva veramente...

IL QUATTRETTI Per quello, guardi, gli piace talmente che oggi al pomeriggio si son chiusi là, nella stanza, per due ore di fila.

IL GINO Ma perché glielo dici? Vuoi proprio che ti spacchi la faccia?

IL QUATTRETTI Tu lascia fare a me, che con le donne non valgo magari niente, ma, sul resto, ce ne voglion trenta di te per far me. Del resto, cosa vuoi ribattere? È o non è la verità?

L’ARIALDA Oggi, al pomeriggio, qui, in casa... E lui magari là, nei prati, con quella negra...

Al Gino
Ma è vero? Gino, parlo con te. È vero?

Il Gino non risponde.

L’ARIALDA Su, rispondi. È vero che eri qui con la Rosangela o è una strampalata del Quattretti?

Il Gino guarda il Quattretti come se stentasse a capire.

IL GINO Se lo dice lui...

L’ARIALDA Come, se lo dice lui? Io parlo con te. Rispondi: è vero? Perché per me è importante, troppo...

IL QUATTRETTI Sì, guardi, signorina. Stia tranquilla. È vero. Ho anche la prova.

L’ARIALDA E che prova?

IL QUATTRETTI Levando il fazzoletto.
Questo.

IL GINO Ma cosa fai? Sei diventato scemo, adesso?

IL QUATTRETTI Sta’ in silenzio, per piacere, sta’ in silenzio che così risparmierai di rubar in bottega!

All’Arialda
Lo prenda. Su, lo prenda...

L’Arialda prende con la punta delle dita il fazzoletto.

IL QUATTRETTI C’è anche la cifra. No, no. A destra. Cos’ha? Schifo? Dopo tutto, per cose che ci sian su, son poi sempre cose di donna.

L’ARIALDA E voi...

IL QUATTRETTI Noi, cosa?

L’ARIALDA Me lo potete lasciare?

IL QUATTRETTI Lasciare, come?

L’ARIALDA Lasciare, lasciare.

IL QUATTRETTI Dipende da quanto mi dà. Il Gino, per averlo, mi ha offerto tremila.

IL GINO Non è vero!

IL QUATTRETTI Taci, stupido, che sei il primo a sapere che è verissimo!

IL GINO Ma io non lascerò mai che il fazzoletto della Rosangela vada a finire in mano di quella lì! Rabbiosa com’è, chissà cosa combina!

L’ARIALDA Sempre tenendo fra le dita il fazzoletto .
È il colmo, ecco, il colmo! Ma possibile, possibile che non siate riusciti a dirgli che la vostra povera mamma, con una donna come quella là, lo sapesse, non lo lascerebbe mai e poi mai? Il collo gli tirerebbe, piuttosto! Il collo!

IL QUATTRETTI Allora, senta, del coso lì, cosa vuol fare?

L’ARIALDA Lo tengo.

IL QUATTRETTI E nella tasca cos’ha?

L’ARIALDA Come, cos’ho?

IL QUATTRETTI Dico, cos’ha in contanti?

L’ARIALDA E perché?

IL QUATTRETTI Perché se lo vuole, deve darmi tutto quel che ha. Sempre che basti. Su, vedere...

L’ARIALDA Lei non tocchi.

IL QUATTRETTI Allora qui il fazzoletto!

L’ARIALDA Levando dalla tasca del golf un borsellino .
Prenda.

IL GINO Quant’è?

IL QUATTRETTI Dieci.

IL GINO Metà e metà!

IL QUATTRETTI Metà e metà, un corno! Tre e mezzo a te e sei e mezzo a me. E ringrazia Dio che t’ho fatto spartir la torta!

IL GINO Ma, la Rosangela...

IL QUATTRETTI La Rosangela, la Rosangela! Tanto una volta o l’altra dovevi pur piantarla!

L’ARIALDA Allora, siete a posto?

IL QUATTRETTI A posto.

L’ARIALDA E adesso aspettatevi tutto.

IL QUATTRETTI Per me, signorina... Tanto, se vuole che facciamo bella faccia alla nuova luna che tira in casa, deve così vederne!

Un lungo silenzio. Il Gino esce. Si sente lo scricchiolio della serratura. In fretta e furia, seppur con un certo orrore, l’Arialda raggomitola il fazzoletto e se lo infila nella tasca. Entrano l’Amilcare e la Gaetana.

L’AMILCARE Ah, tu!

L’ARIALDA Io.

L’AMILCARE Al Quattretti .
Va’ fuori, ma fuori di casa, non di qui. Capito? E fa’ andar fuori anche il Gino.

Il Quattretti esce. Una lunga pausa.

L’ARIALDA E così ci siamo tutti. Anche la Napoli.

L’AMILCARE Cerca di non cominciare, Arialda...

L’ARIALDA Be’, perché? È forse nata sul Monte Rosa?

L’AMILCARE Arialda!

L’ARIALDA Lo sai cosa mi fai tu, adesso come adesso? Schifo, mi fai! Ma schifo qui, alla bocca dello stomaco. Quello schifo che poi ti fa tirar su anche la saliva!

Una pausa d’esitazione.

LA GAETANA Amilcare, forse io è meglio che me ne vada...

L’AMILCARE Andare? Ma d’una povera esaltata come la Repossi non si deve aver paura!

L’ARIALDA Esaltata, sì! Talmente esaltata che, se vuoi, posso cominciar subito a recitarti su il rosario!

L’AMILCARE E comincia! Così, prima cominci, prima finisci! Tanto ’sta scena, dovevo pur aspettarmela!

Una pausa.

L’ARIALDA Allora hai proprio deciso? Finito? Finito tutto? Tutto liquidato? Promesse, progetti, carte, dote, pubblicazioni, cifre sulle federe e sui lenzuoli, stanza mezza-comprata e mezzacomprata da me...

L’AMILCARE Se è per quello, guarda, te la posso ricomprar quando vuoi.

L’ARIALDA Grazie. Ma dei tuoi soldi, al massimo, posso servirmi come carta da cesso! E di’ un po’, i conti, quelli che dovevi arrangiar coi parenti della Vittoria, sarebbero questa vedovazza qui?

LA GAETANA Signorina!

L’ARIALDA Mi chiami pure Arialda, che tanto, non abbia paura, appena mi sarò sporcata la bocca, la chiamerò anch’io col nome di battesimo!

L’AMILCARE Non farci caso, Gaetana. Non farci caso. È una povera mentecatta!

L’ARIALDA Ah, siam già arrivati al tu! E quanto agli incontri nei prati, siamo restati al braccio e braccio, o siam passati alle complicazioni?

LA GAETANA Arialda! La pianti!

L’ARIALDA E dica, su, dica, come l’ha trovato in confronto al morto? Perché il morto, quello, è inutile che faccia finta, quello ce l’ha anche lei!

LA GAETANA Ho detto di piantarla!

L’AMILCARE Porta pazienza. È questione d’un momento. Fammi il piacere, porta pazienza, Gaetana.

L’ARIALDA Porti pazienza, che Gaetana fa rima con puttana!

LA GAETANA Basta, Arialda! Adesso, basta!

Scagliandosi contro l’Arialda.
Lei è una svergognata. Ritiri quello che ha detto! Ritiri quello che ha detto o la strozzo!

L’ARIALDA Non ritiro niente! Anzi, se vuole, glielo ripeto! E lei, lasci andar le mani! Capito? Le lasci andare!

L’AMILCARE Lasciala, Gaetana! Fammi il piacere! Lasciala! Lasciala che a calmarla ci penso io!

La Gaetana si stacca dall’Arialda. L’Arialda in fretta e furia si sistema sottana e capelli. Una lunga pausa.

L’ARIALDA Ecco. Lo vedi, dove m’hai fatto arrivare? Lo vedi? A non capir più né cosa faccio né cosa dico. E tutto per quella bestia lì! Ma la nostra casa? Amilcare, dov’è la nostra casa? Dov’è? Perché sa, cara la mia Carimati, tra noi avevamo già parlato anche di quello. Di tutto, avevamo parlato. Qui ci va questo, là ci va quest’altro. Questo si tiene, questo si toglie... Finito anche quello, eh, Amilcare! Finito tutto. Ma a te, a te, tua moglie, non dico quando sei là, in negozio, ma almeno in letto, dove dopo tutto ha penato per dei mesi e dei mesi, non ti vien proprio mai in mente? E quello che t’ha detto prima d’andar in agonia, non ti gira mai nella testa? Proprio mai? “Ricordati, Amilcare. Se devi sposarti... Ecco, se devi sposarti...” E con gli occhi guardava me, non quella lì! Li vedo ancora, li vedo sempre. Ce li ho qui, davanti. Mi sembra di toccarli. Quegli occhi più sbiaditi di quelli d’una gallina; quelle labbra bianche, come se a furia d’emorragie, del sangue non ci fosse restata neanche l’ombra...

Una pausa.

L’AMILCARE Alla Gaetana .
Gaetana, forse adesso è meglio davvero che torni a casa... Tanto, qui...

L’ARIALDA No. Resti, resti perché il bello comincia solo adesso.
All’Amilcare .
Sicché per te... Ecco, per te, l’Arialda andava bene solo fin a quando non spuntava un’altra luna. È così?

L’AMILCARE Ma cosa c’entra la luna?

L’ARIALDA Non che voglia paragonarmi a ’sta meraviglia qui per quel che riguarda bellezza, amore e calore...

LA GAETANA Ma, insomma, ha intenzione di ricominciare un’altra volta?

L’ARIALDA Se è il caso, sì!

Tornando a parlar all’Amilcare.
Ma tu, cosa credi che possa pensare la Vittoria di tutte le tue fregole? La Vittoria che di ’ste schifose della bassa non voleva neanche sentir parlare? Le odiava! Le odiava prima ancora di vederle! Bastava che sentisse l’odore, per scappare...

L’AMILCARE Be’, e con questo?

L’ARIALDA Il “con questo” lo conosci e straconosci!

L’AMILCARE Ma l’amore è amore!

L’ARIALDA Perché, ti sei forse messo in testa che questa qui ti vuole bene?

L’AMILCARE Più di te, di certo.

L’ARIALDA Più di me sarà brava nei prati, sui lenzuoli e sulle federe, magari lenzuoli e federe marcate con la cifra di quando l’amore lo sentivi per la Vittoria! Ma per il resto... Cosa credi che ti si sia attaccata per fare? Per questi, ecco per cosa! Per questi!

LA GAETANA Mandala fuori, Amilcare! Mandala fuori o non so più cosa faccio!

L’AMILCARE La Gaetana ha ragione! Fuori! Su. Va’, va’! Tanto ormai quel che è fatto è fatto.

L’ARIALDA Quel che è fatto è fatto un corno! Perché io non mollo!

L’AMILCARE Cerca di non diventar ridicola, Arialda. Cerca di non andar troppo giù, cerca di non scivolar troppo in basso...

L’ARIALDA E allora, perché m’hai baciata quella sera là, alla cava? Perché m’hai stretta qui? Perché m’hai tirato giù il corpetto? Cosa credi, che a una donna si possano far provare certe cose e poi, basta, chiuso, niente?

Alla Gaetana.
Ah, perché sa, non s’illuda, l’amore, sia pur nel niente di cui son capace, con il suo Amilcare, avevo cominciato a farlo anch’io!

LA GAETANA Quello che lei ha fatto, non m’interessa!

L’ARIALDA Credo bene! A lei, che interessa, è solo la bottega e il conto in banca!

LA GAETANA Arialda! Cerchi di capire che anche la pazienza dei santi ha un limite!

L’ARIALDA Un limite, sì! Un limite che passan tutti, e lei per prima! Perché questa casa qui, se c’è una che la conosceva e aveva il diritto di chiamarla casa mia, questa è la sottoscritta! Capito? Quando la morta era ancora là, nel letto, e lei se ne stava al suo Pero, la minestra, i cornetti e la fesa, a prepararli su questi fornelli, son stata io! E la pulizia? E i pavimenti? E i vetri? E le maniglie? Chi li faceva, la tua terrona anche quelli? E la padella, alla Vittoria, quando le scappava, chi gliela metteva? E quando nessuno, neanche la tua bella sorella, ce la faceva più a resistere, perché la fistola che le si era aperta qui, all’appendice, puzzava come se invece che carne di cristiani fosse carne da macello, chi stringeva i denti, chi faceva finta di niente e stava lì, a tirar via il sudore e a far aria? Su, rispondi! Chi?

Una pausa.

L’ARIALDA Non parla più nessuno, adesso? Tutta ’sta gran passione che vi tira uno nelle braccia dell’altra, non si rivolta più?
Alla Gaetana .
Vuol strapparmi i capelli, ancora? Vuol strangolarmi? Avanti. Sono qui. Ma lei... E mi guardi, su, mi guardi, dato che siam qui faccia a faccia! Ecco, lei, un uomo, l’ha pur avuto. La sera, lei, quando non se ne può più e la miseria, la vita e la fame fan venire una roba qui, ecco, uno a cui parlare, uno da cui farsi abbracciare e con cui fare quelle tre o quattro scemate che metton a posto tutto, lei l’ha avuto. Il ventre, a lei, una volta le s’è gonfiato! Ma io? Io, niente. Coi morti vado a letto, io! Ha capito? Coi morti! E con quelli, le tre o quattro scemate, zero! E il ventre, se si gonfia, è solo di bestemmie!

Una pausa.

L’AMILCARE Va’, Gaetana. Va’ a casa. Poi verrò anch’io e parleremo...

L’ARIALDA Tu non vai da nessuna parte!

L’AMILCARE Ma allora vuoi proprio cimentarmi! Vuoi proprio costringermi, obbligarmi!

L’ARIALDA Sì, perché prima d’andar da quella là o da chiunque altra, tu i conti devi farli con me!

L’AMILCARE Sì? E allora ascolta. Lo sai perché ho preferito la Gaetana? Perché la Gaetana è una donna. Perché è una donna che sa cosa vuol dire star vicino a un uomo. Perché è una donna che sa far la minestra ma sa anche star nei prati. E se vuoi saper tutto, perché è una donna che non ha un fratello che si chiama Eros.

L’ARIALDA Cos’hai detto?

L’AMILCARE Ho detto, perché è una donna che non ha un fratello che si chiama Eros. Ti basta, o vuoi che vada avanti?

Una pausa.

L’AMILCARE E adesso chi è che non parla? Ma sì! Del resto, a tirarmele fuori, ’ste cose, non son stato io. Sei stata tu! Con tutta la tua rabbia, il tuo veleno e la tua nevrastenia! Ma cosa credi, che sia colpa degli altri, se il tuo Luigi è morto senza neanche averti baciata?

Un’altra pausa.

L’AMILCARE E adesso, basta! Non parliamone più! Ma proprio più, perché se no mi si spacca il cuore!

La Gaetana si avvicina all’Amilcare e gli mette le mani sulle spalle. L’Arialda si tende tutta, muove nervosamente le dita nel fondo delle tasche come se non trovasse la forza per decidersi. Poi, di colpo, alza la testa.

L’ARIALDA Secondo la tua morale, dato che sul conto dell’Eros ne hai fatta tanta, è meglio un fratello come il mio o un incesto come quello che sta succedendo qui, in casa tua?

La Gaetana e l’Amilcare si guardano inorriditi.

L’ARIALDA Incesto! Incesto! Perché, cosa credete? Che i vostri figli abbian smesso di far porcate? Anzi, ne fanno di più e le fanno qui, in casa vostra! Guardate! Guardate questo!
Estrae il fazzoletto e lo mostra alla Gaetana .
Lo riconosce? È della sua Rosangela. L’ha lasciato qui oggi, intanto che era sdraiata là, sul letto del Gino. Non ci crede? Lo chieda, lo chieda al Quattretti. Del resto c’è su anche la cifra: C. R. Carimati Rosangela.

Una lunga pausa. L’Arialda fissa per un attimo l’Amilcare e la Gaetana.

L’ARIALDA Con un urlo .
E adesso addio, vedovo della merda! Anzi, arrivederci!