La libertà dell’immagine

Il disegno è la suprema libertà dell’immagine, delle immagini della passione che trovano in esso la loro liberazione ultima. Il disegno libera infatti l’immagine dal subbuglio in cui il peso e il colore la tengono prigioniera. Le immagini vive, attuali, vivono rumorosamente, e il disegno crea il silenzio.

La serenità dell’animo bagna le immagini del passato – e le immagini sempre del passato sono – immergendole in un ambito trasparente che è la libertà. Ambito che bagna completamente l’immagine spogliandola del suo rumore, denudandola della confusione del colore che è e non è, della sua opprimente gravità. Quando raggiungiamo la serenità, le immagini del passato acquistano quest’aspetto, che il disegno riflette più di qualsiasi altra arte.

Così, nelle arti plastiche, i grandi artisti che hanno fissato passioni sono stati soprattutto disegnatori geniali, che mediante il disegno – sarà questo, il significato della ieraticità della scultura egiziana? – hanno fissato, schematizzandola, la passione. Dürer, Leonardo da Vinci, Michelangelo, Goya, pittori di passioni, sono stati disegnatori non solo per l’ampiezza del loro genio, ma anche perché hanno fatto del disegno il loro strumento.

Una scultura ha sempre una certa mole e un peso. Un’immagine artistica soggetta alla legge di gravità fa parte anche del mondo fisico e non è immagine di libertà. Le immagini disegnate invece non pesano, sono l’intellegibile, l’astrazione corrispondente al concetto; però una passione (e la vita è composta di «passioni») può essere insieme afferrata e affrancata non da concetti, ma solo da queste immagini liberatrici, prive di peso, non più soggette a leggi fisiche: miracolose. Una scultura può – addirittura invita a – essere toccata, e il tatto è il segno della vita; non così l’immagine priva di colore, che è cavità, vuoto sfuggente e inafferrabile situato in uno spazio non fisico, ma intellegibile. Lo spazio del disegno – la serenità dell’animo – è lo spazio della libertà, lo spazio intellegibile. E qui interviene come sempre il non essere, la forma più raffinata di morte. (Quella morte che assume ai nostri occhi, benché ancora incapaci di discernerle tutte, molte forme diverse: «La morte si dice in molti modi)».

1944