«Lo strano sorriso della Gioconda»

Del sorriso della Gioconda si è detto talmente tanto, che esso è diventato un mito, un mito ormai un po’ logoro. Nessuno della nuova generazione, delle nuove generazioni, penserà ormai a esso come a un paradigma di bellezza, di sottile mistero, di femminilità. Nessuno sognerà di incontrare una donna che sorrida così. E, cosa ancora più decisiva, accadrà di certo che questo sorriso passi su un volto femminile o maschile senza che lo si noti, senza che nessuno raccolga il suo prodigio e si disponga di conseguenza a decifrarne il recondito significato.

È quest’ultima considerazione, quella che ci induce a trattare un argomento così passato di moda, appartenente senza dubbio a quella famiglia di miti, di temi, di topici, che si sono estinti con la prima guerra mondiale. Perché è vero che il nostro secolo XX comincia, in realtà, in quel dopoguerra; il XIX, iniziatosi in realtà con la Rivoluzione Francese, è stato un secolo molto lungo. Fu Adolfo Salazar, diciamo qui di passata, a richiamare l’attenzione anni fa sul ritmo alterno – brevi e lunghi – dei secoli dell’Occidente. Il nostro, se non ne viene alterato il ritmo, dovrebbe essere breve, anche se sicuramente non per quanti lo stiamo vivendo da quando era appena nato.

Ed è un peccato che, allorché certi miti vanno persi, si perda con essi anche la realtà che contengono; tanto più quando si tratta, come in questo caso, di una scoperta che affina e arricchisce la sensibilità, e con essa la percezione della bellezza vivente.

È quanto accade con il mito del sorriso della Gioconda. Ne parleremo nel modo più oggettivo. In che si differenzia, il suo sorriso, dai sorrisi comuni? Questa domanda ne comporta subito altre: esistono sorrisi comuni? I sorrisi, sono tutti uguali? È un comune sorriso, quello del Marchese di Spinola nel quadro La resa di Breda di Velázquez? Rispondere a tali domande, tuttavia, implicherebbe una ricognizione, che in questo momento non possiamo affrontare, delle varie specie e famiglie di sorrisi. Prendiamo atto, dunque, questo sì, che tali specie e famiglie esistono e, senza fermarci a elencare le più importanti, interroghiamoci su ciò che distingue il sorriso della Gioconda.

È cosa nota che, quando si sorride, si formano delle pieghe nelle commessure delle labbra, e che tali pieghe hanno sempre un’inclinazione verso il basso. Nella bocca della Gioconda, al contrario, le pieghe delle commessure delle labbra vanno verso l’alto, per cui, dato che il movimento di certi muscoli del volto umano determina una certa variazione di tutti gli altri, l’intero viso di Monna Lisa viene a modellarsi in forma diversa, sia pure minimamente, da quella dei visi modellati dall’altro sorriso, quello «ortodosso», potremmo dire, dell’Occidente. Poiché, inoltre, quelle due pieghette vengono a essere come due ali, l’intero viso appare stranamente alato, e gli stessi occhi vengono ad avere qualcosa della speciale fissità degli occhi di un uccello quando giunge dall’alto, si posa un momento senza mai lasciarsi cadere del tutto e guarda con una certa curiosità il mondo di quaggiù.

La testa di Monna Lisa non è collocata tanto in alto nel piano del quadro, dato che lei è seduta e nemmeno la sua gola è particolarmente allungata; ciononostante, è dall’alto che lei ci guarda, al pari di un uccello che continui a farlo pur trovandosi più in basso delle nostre teste.

Il sorriso della Gioconda si integra col suo sguardo, uno sguardo un po’ di lato, come quello delle colombe, e in linea con esso con l’inclinazione della testa e della gola in una linea sinuosa – tutto ciò lievemente –, come nelle stesse colombe quando restano un momento quiete e guardano qualcosa senza che si sappia bene se lo vedono o non lo vedono, o se lo hanno già visto da molto tempo e lo sanno solo a memoria.

Il sorriso è stato così la chiave che ci ha fatto comprendere il modo in cui Monna Lisa riesce a essere di un altro mondo, un po’ diverso da quello che chiamiamo nostro. La luce dell’intero quadro, credo che sia stato detto, è una luce un po’ sottomarina o come d’acquario, al punto che c’è chi ha affermato che Monna Lisa è un mollusco. Ma la fronte e l’intero cranio, dalla volta solida e perfetta, non sembrano ricordare gli esseri che mancando di ossa sono costretti a vivere rinchiusi nella propria conchiglia. L’architettura solida e delicata di questa figura di donna può affrontare aria e acqua così come può, senza alcun dubbio, camminare sulla terra. La sua morbidezza è una modulazione musicale creata da quel suo alato sorriso. L’elemento acquoso da cui è avvolta serve a suggerire che è creatura che vive su un altro piano, un piano non comune; che vive, sì, se non rinchiusa, raccolta in sé [ensimismada]. Il suo sorriso, il suo raccoglimento, le sue mani lasciate morbidamente cadere, hanno, non c’è dubbio, qualcosa dell’alga. Questo qualcosa dell’alga, di una creatura marina, lo possiedono peraltro tutte le creature, figurate o viventi, che si raccolgono in sé [se ensimisman], che si addentrano nella propria anima. Così come possiedono qualcosa dell’uccello, della colomba che guarda quello che sa più di quello che vede. La Gioconda di Leonardo è forse l’immagine più felice di quella disposizione d’animo che chiamiamo raccoglimento in sé [ensimismamiento].

Tutte le figure di Leonardo hanno molto o qualcosa di questo: Sant’Anna nel quadro Sant’Anna, la Vergine e il Bambino, San Giovanni Battista, Bacco, il suo autoritratto… Leonardo era un uomo raccolto in sé che vedeva come pochi la realtà – tutte le piante dei suoi paesaggi sono riproduzioni esatte della flora reale –, che conosceva l’anatomia del corpo umano e le formazioni geologiche, l’architettura, le macchine, le città… che cosa non conosceva, Leonardo? Un uomo raccolto in sé che vede, è uno che sa e che nel guardare vede ciò che sa, ma arricchendolo. Come se un uccello potesse continuare a imparare quello che già sa dalla nascita.

Detto questo, però, aggiungiamo, rinviando la questione a un altro giorno, che il sorriso della Gioconda si trova anche in aree dell’arte molto lontane dall’arte di Leonardo. È il sorriso di tutta una classe di sorrisi che si è manifestata in luoghi diversi in epoche lontane tra loro e chissà non si manifesti ancora oggi, più spesso di quanto non si pensi e senza che quasi lo si noti.

Gennaio 1965