«Che ci fai qui?» domandò di nuovo Jen.
Lanciò un’occhiata stizzita ai capelli castano chiaro di Gavin, che sembravano non fossero stati lavati da diverse settimane, e al suo sorriso sghembo.
«Sono venuto a trovarti, bella. Non pensavo che avrei interrotto qualcosa. Era un tuo amico, vero?»
Jen lo ignorò, tirò fuori la chiave e aprì il portone.
«Ti trovo… bene» disse Gavin con un tono di voce che suggeriva l’esatto contrario. «Sei elegante, voglio dire. Hai i capelli luminosi.»
«Ti trovo uno schifo» ribatté Jen sulla difensiva. «Che hai fatto ai vestiti?»
Gavin fece un gran sorriso. «Pensavo ti piacesse uno stallone proletario. Be’, la prossima volta sarà meglio che venga con la mia macchina sportiva.»
Jen inarcò le sopracciglia e lo guardò. Gavin scrollò le spalle. «Ho dato una mano a organizzare una manifestazione contro un supermercato» spiegò, entrando a balzelloni in cucina e servendosi un grande bicchiere di latte. «Ho finito per conoscere gente che viaggia davvero fica, per cui ho girato in lungo e in largo insieme a loro per un po’.»
Jen annuì. «Il che spiega i tuoi capelli» commentò secca.
Gavin sorrise imbarazzato. «Credo mi stiano bene a dire il vero. Attenzione, potrei uccidere per farmi un bagno. Se siamo amici, cioè?»
Lanciò un’occhiata speranzosa a Jen, ma lei bofonchiò come una mamma stizzita. «Non puoi continuare a venire qui» gli disse bruscamente. «Non sono più la tua ragazza. Ho la mia vita adesso.»
Gavin parve offeso. «Ma sei una mia amica» ribatté. «Me ne vado, se vuoi. Steve ha detto che potevo dormire per terra da lui…»
Tirò su il vecchio borsone che aveva con sé e si diresse lentamente verso la porta. Jen lo lasciò arrivare a metà strada e poi cedette. «Un bagno solo. Poi basta.»
«E qualcosa da mangiare?» Gli scintillavano gli occhi. «Sei una grande cuoca, Jen. Solo un pasto, e domani me ne andrò, promesso.»
«Domani?»
Gavin sorrise e si chinò verso di lei per baciarla sulla guancia. «Non mi vorrai mica buttare fuori a calci, giusto? Non ora che sono qui. Non quando non ci vediamo da così tanto tempo?»
Jen si mise a braccia conserte e lo guardò. Gavin era diverso da tutte le altre persone che conosceva. Era energico, affascinante, imbranatissimo con le cose concrete, ma più bravo di chiunque altro nelle cose in cui eccelleva: coinvolgere le persone, trovare sostegno, convincere la gente. Tutti volevano prendersi cura di lui, tutti volevano stargli accanto. Ma lui era come un gatto randagio: era affettuoso e amorevole quando gli serviva qualcosa, poi però schizzava via veloce come il vento una volta soddisfatti i suoi desideri. Quando era la sua ragazza, Jen era invidiata e compatita in egual misura dalle persone che avevano intorno. Ma Jen aveva scoperto che non essere più la sua ragazza non bastava a proteggerla da Gavin come si sarebbe aspettata.
«Dovrai trovare qualcun altro a cui fare le tue visitine a sorpresa» disse infine Jen. «Puoi rimanere stanotte. Poi basta. Sul serio. Non hai un’altra ragazza?»
Glielo domandò anche per mettere alla prova se stessa. Per controllare la propria reazione nel caso avesse risposto di sì. Era sicura che non gliene importasse più niente.
«Non come te.»
«Sei come un libro aperto, Gavin. Smettila con le moine, okay? Ti ho già detto che puoi rimanere.»
«Sei la migliore, Jen. Davvero.»
Lei stralunò gli occhi, aprì il frigo e rimase a guardare Gavin che se ne andava in bagno per riempire la vasca.
«Allora, lavori ancora per tua madre?» domandò Gavin, parlando e trangugiando l’ottimo thai curry verde che Jen preparava sempre.
Lei corrugò la fronte. «Più o meno.»
«Più o meno?»
«È… complicato.»
Gavin sorrise. «Mi piacciono le cose un po’ complicate. Allora racconta, dài.»
Jen scrollò le spalle. «Okay, ma è un segreto.»
«Mi venga un colpo se ne faccio parola con qualcuno. A dire il vero, spero proprio che non mi venga un colpo. E perché mai dovrei sperarlo? Ma non ne farò parola con nessuno.»
«Faccio un po’ di spionaggio aziendale.»
Mentre parlava, Jennifer si accorse che suo malgrado stava assumendo alcune caratteristiche di sua madre perché voleva fare colpo, impressionare Gavin con i suoi drammatici racconti di spionaggio, e se ne vergognò un po’.
«Fico!»
Jen corrugò la fronte. Solo “fico”? Nessuna domanda? Nessuno sguardo carico di rinnovato rispetto e stupore?
«Sì» riprese lei. «È collegato a tutto lo scandalo sulla corruzione in Asia. I soldi dello tsunami? Io… be’, io sono a capo della squadra che tenta di scoprire chi è coinvolto in questa faccenda in Gran Bretagna.» Era davvero così superficiale, si domandava nel frattempo. Aveva ancora tutta questa voglia di fare colpo su Gavin? Per come l’aveva messa, sembrava che lavorasse per il governo, che gestisse un’indagine da sola, quando l’unica cosa che in realtà aveva fatto era seguire suo padre e scoprire che lui non c’entrava niente.
«Fichissimo. Allora chi è coinvolto?»
Jen prese il proprio piatto ormai vuoto e lo portò al lavello. «Oh, stiamo seguendo alcuni indizi» disse con aria vaga.
«Quali indizi? Dài, è interessante.»
Gavin era seduto ben dritto e la guardava in trepida attesa. Jen sospirò. Era colpa sua: aveva voluto fare bella figura. Ci pensò un attimo e si mise di nuovo a sedere.
«Be’, pensavamo che potesse trattarsi della Bell Consulting. Sai… hanno degli uffici laggiù, clienti governativi e la Axiom – l’azienda di costruzioni – be’, anche loro sono clienti della Bell. Ma loro non c’entrano, per cui sono più o meno tornata al punto di partenza.»
«La Bell Consulting? È l’azienda di tuo padre, no?»
Jen annuì e si accorse che si stava accalorando un po’. Probabilmente era il curry, pensò.
«E come fai a sapere che lui non c’entra?»
«Lo so… e basta.»
«Come, perché te lo ha detto lui?» Gavin rise e Jen gli lanciò un’occhiata torva.
«Può darsi.»
La guardò con finto stupore. «Dici sul serio, vero? Lui ti ha detto che non c’entra niente e tu gli hai creduto. Oh, Jen. Oh, piccola e dolce Jen.»
«Non sono piccola, né dolce» ribatté con rabbia, ricordandosi all’improvviso il motivo per cui desiderava così tanto dimostrargli quante cose riuscisse a fare da sola. Aveva trascorso due anni a correre in giro dietro di lui, e Gavin aveva contraccambiato il favore ripetendo di continuo che era lei ad avere bisogno di essere sorvegliata, che era troppo ingenua e fiduciosa. “Fa’ attenzione,” pensò “sono uscita con te per parecchio tempo. Magari non avevi tutti i torti.”
«Senti, non me lo ha solo detto. C’era ben altro» disse in tono pratico, portando il piatto di Gavin al lavello e lavandolo. Era imbarazzata, sulla difensiva.
«Come credi.» Gavin sorrideva fra sé e sé, e Jen trasse un respiro profondo. Non avrebbe abboccato all’amo. Non gli avrebbe permesso di darle sui nervi.
«Il tizio in macchina oggi. È il tuo ragazzo?»
Jen appoggiò il piatto. «Forse.»
«Come, non si è ancora deciso?»
Jen si girò, gli occhi dardeggianti. «Forse, se non fossi saltato fuori tu oggi. Forse, se tu non fossi stato ad aspettarmi davanti casa, ci sarebbe lui qui adesso.»
Gavin fece un gran sorriso. «Ooops. Mi sono messo in mezzo? Ehi, non è una cosa negativa fargli capire che ha dei concorrenti, sai. Lo terrà all’erta.»
«Tu non sei un concorrente» ribatté Jen, stizzita. «E se non ti dispiace, ho intenzione di andare a letto presto stasera. Ti va bene il divano?»
«Ho un’alternativa?» Gli occhi gli scintillarono di nuovo e Jen sospirò.
«No, non ce l’hai, che cavolo!»
Mentre Jen si dirigeva verso la porta, Gavin si alzò, bloccandole la strada. «Per cui immagino sia colpa mia se non fai sesso con quel tizio stasera, giusto?»
Jen affilò lo sguardo. «Taci, Gavin.»
«È solo che mi sento in debito con te. Sai…» L’abbracciò e si chinò per baciarla. Era un gesto così familiare per Jen, ma che le sembrò comunque scorretto nel modo più assoluto.
«Cazzo, mi sei mancata, Jen» gemette Gavin, mentre lei si scostava decisa. «Cosa c’è?» domandò. «Qual è il problema?»
Jen lo guardò e scosse la testa. «Non mi interessa più, Gavin. Ti tocca il divano, e ti voglio fuori da qui domani.»
Lui scrollò le spalle. «Peccato» disse con un mezzo sorriso. «Sei molto sexy, sai, Jen.»
Mentre se ne andava verso il letto, Jen si domandò se Daniel condividesse la sua opinione.