18

Arrivata a casa, Jen aveva un’ora libera prima di dover di nuovo uscire per incontrare Alan per la sessione di allenamento che gli aveva promesso. Dovevano essere le sue vacanze di Natale, pensò, ma non era mai stata tanto impegnata. Tirò fuori il suo nuovo tailleur dalla sua elegante busta di carta e lo appese nel guardaroba prima di farsi un bagno. Aveva ragione Angel? Stava voltando pagina? Era così semplice? Bastava assumere una nuova pelle, trasformarsi in un’altra persona con ideali diversi, pensieri diversi e priorità diverse? Era così… strano. E così facile. Bisognava per forza tormentarsi su roba del genere. Stare in letargo diversi mesi. Alla fine affrontare una specie di rito, o una prova di qualche tipo.

Versando l’olio essenziale nella vasca, sorrise fra sé. Forse il master era il letargo e l’esame finale il rito. Si immaginò tutti gli studenti dell’MBA che eseguivano una danza tribale e venivano dichiarati membri a pieno titolo della comunità del business. Poi il sorriso le svanì dalle labbra. Dio mio, era questo che stava facendo? Si era concentrata così tanto sull’idea di fare colpo su suo padre da dimenticarsi che nel frattempo stava diventando tutto ciò che aveva sempre odiato.

Mentre si spogliava, corrugò la fronte. Era tutto alla rovescia adesso: sua madre era la bugiarda; suo padre la persona che Jen desiderava proteggere. Il mondo del business non era più così malvagio, mentre l’attivista ambientalista Gavin l’aveva tradita. Aveva appena comprato un tailleur e stava per trascorrere il sabato sera con Alan, lo sfigato del master, per insegnargli come agganciare le donne. Be’, solo una parte del sabato sera. Aveva promesso a Daniel che sarebbe stata a casa sua entro le dieci. Daniel, il suo nuovo ragazzo che aveva un appartamento suo, un lavoro suo, ogni altra cosa sua. Jen scosse la testa ed entrò in vasca. Se il destino aveva in serbo per lei un magnifico progetto, una qualche spiegazione che desse senso allo strano nuovo mondo in cui sembrava vivere, avrebbe voluto darvi una sbirciatina.

Un’ora e mezzo dopo, Jen si infilò in un pub buio e squallido all’angolo di Tottenham Court per il suo appuntamento con Alan, un locale scelto da lui su cui Jen avrebbe voluto sapere prima che si trovava in fondo alla strada, perché così sarebbe scesa a una fermata della metropolitana diversa e avrebbe evitato di camminare venti minuti.

A un tavolo in un angolo trovò Alan, che alzò gli occhi e la guardò nervoso.

«Che viaggio da incubo!» lo salutò Jen, accasciandosi sulla sedia. «Alan, perché diavolo hai scelto un locale così sperduto?»

Lui si tolse gli occhiali e li pulì con il fazzoletto. «Senti, ci ho riflettuto e non sono sicurissimo che sia una buona idea» esordì irrequieto. «Non la voglio neanche una ragazza. Non ne ho bisogno, in ogni caso. Devo studiare per il master e…»

Jen sospirò e lo guardò decisa. Se lei era pronta ad accettare cambiamenti nella sua vita, allora poteva benissimo farlo anche lui, che cavolo! «Alan, tu vuoi una ragazza, ed è una buona idea. Guardati… tremi da quanto sei nervoso, e seduta qui ci sono solo io! Stammi a sentire, io vado a prendere da bere e tu nel frattempo pensi ai modi per attaccare discorso con una ragazza. Poi li provi con me. Okay?»

Alan non sembrava affatto convinto, ma Jen si diresse verso il bancone imperterrita. Il cambiamento fa paura, ricordò a se stessa. Avrebbe dovuto aiutare Alan ad affrontarlo un po’ alla volta. E lei era senz’altro la persona giusta per rimetterlo in carreggiata, pensò determinata, ordinando una birra media per lui e un gin tonic per sé. Il dubbio e l’incertezza che l’avevano attanagliata quando aveva acquistato il tailleur poche ore prima stavano lentamente dileguandosi, lasciando al loro posto la convinzione che voltare pagina era un’esperienza incredibilmente positiva. E che adesso lei era diventata l’esperta in materia.

«Allora» disse con un sorriso cinque minuti dopo, posando i drink sul tavolo. «Spara!»

Alan parve perplesso. «Spara?» domandò nervoso. «Cosa, vuoi che ti faccia fuori?»

Jen sospirò e si sedette. «Intendevo dire raccontami. Le frasi per rimorchiare.»

«Ah, già. Si dice davvero spara

Jen scrollò le spalle. «Non lo so. Ma il punto non è questo. Dài, forza!»

Alan arrossì. «Non ho trovato nessuna frase da rimorchio» ammise imbarazzato.

«Okay, mettila così. Sei in un pub, proprio qui, e io sono una donna estranea che si è appena seduta al tuo tavolo perché non c’è nessun altro posto dove sedersi. E quando dico estranea, intendo dire che non mi conosci, non che sono fredda e distante. Sono… non so, una donna carina e dall’aria intelligente. Belle scarpe, cose così. Allora, sono seduta qui e ovviamente non sono in compagnia di nessuno, e a te piace il mio aspetto. Cosa mi diresti per attaccare discorso?»

Alan la guardò in modo strano. «Niente. Probabilmente tirerei fuori un libro per non dovermi mettere a parlare con te.»

«Okay» disse Jen perplessa. «Bene, è un approccio interessante. Okay, che ne dici di una festa? Una in cui hai visto una ragazza che ti piace?»

«Io non vado alle feste. Le odio. Devi parlare a gente estranea.»

Jen rifletté un attimo. Stava diventando tutto molto più difficile di quanto avesse sperato. «Okay, Alan. Senti, il fatto è che se vuoi una ragazza dovrai parlare con gente estranea. Te la sei cavata bene quando hai conosciuto me e Lara, no?»

«Lì era diverso. Potevo parlare subito di lavoro con voi. Non vi aspettavate che parlassi di film che non ho mai visto, né di posti all’estero dove non sono mai stato. Non riesco a fare chiacchiere da salotto.»

Jen bevve un gran sorso di gin tonic e sospirò. Ma chi voleva prendere in giro? Anche lei detestava le chiacchiere da salotto. Detestava andare alle feste piene di estranei.

«Okay» disse infine Jen. «Dimentichiamoci dei pub e delle feste. Pensiamo a una situazione di lavoro. Magari una ragazza ti ha colpito al master. Così dovrebbe essere più facile, giusto?»

Alan la guardò preoccupato. «Non mi ha colpito nessuno al master» si affrettò a rispondere. «Non so cosa dica la gente, ma non è vero. Non sono…»

«Ho detto se» lo interruppe Jen, enfatizzando la parola a effetto. «Ho usato il master solo come esempio. Uno teorico. Insomma… se ti piacesse qualcuno, come ti muoveresti per parlarci?»

Alan sembrava accaldato e a disagio. «Non mi piace nessuno, però» ribatté in tono burbero. «Lo sapevo che era una cattiva idea.»

Jen appoggiò il bicchiere sul tavolo. Le sarebbero servite tutta l’abilità e la pazienza che possedeva. «Alan,» disse lentamente, «pensaci. Tante persone si conoscono sul luogo di lavoro. È il posto perfetto: un sacco di gente che la pensa allo stesso modo nello stesso ufficio. Se non riesci a invitare fuori una donna che vedi al lavoro, dove trascorri metà della tua vita con la stessa gente, allora lo troverai molto più difficile in qualsiasi altra parte.»

«Te l’ho già detto» ribadì Alan in tono di sfida, «non mi piace nessuno al master. E anche se mi piacesse e le chiedessi di uscire, mi direbbe di no e poi dovrei iscrivermi a un master diverso. No, è una pessima idea.»

Jen trasse un profondo sospiro. «Non deve per forza dirti di no» si affrettò a precisare. «Non accadrà, se pianifichi tutto con molta cautela. Quello che devi fare è trovare dei sistemi per scoprire se una ragazza potrebbe essere interessata a te. Mandarle tenui segnali per farle capire che potrebbe interessarti. Così, se e quando le chiederai di uscire, per lei non sarà uno shock totale. Capisci? In questo modo non ti esponi troppo.»

«Parli di gestione del rischio?» domandò Alan, serio.

Jen lo guardò esasperata. Quell’uomo non riusciva a parlare di niente altro che di strategie aziendali. Era un caso disperato, e se lei avesse avuto un po’ di buon senso, se la sarebbe svignata all’istante per andare a casa di Daniel. Ad aspettarla lì avrebbe trovato una cena pronta, vino e quelle braccia…

Poi ebbe un’idea.

«Gestione del rischio, hai detto?» domandò cauta. «Be’, in effetti, sì. È proprio quello che è.» Prese di nuovo il bicchiere in mano e bevve un altro sorso. «Davvero, perché non provi a considerare questo esercizio come una specie di gestione degli stakeholder?» gli suggerì, notando come l’espressione di Alan da sospettosa era diventata interessata. «La tua eventuale ragazza è una potenziale stakeholder. Devi capire quanto sia interessata a te, analizzare le sue preferenze e i suoi interessi, e poi sviluppare una tua strategia. È come un elaborato per il master, solo non su carta. Un elaborato concreto

«Vuoi dire, scoprire se le piacciono i film prima di invitarla al cinema?»

Jen si illuminò. «Esatto, Alan. Ma tu non suggeriresti a un’azienda di chiamare un cliente a freddo, giusto? A meno che non vendano doppi vetri e non sia un problema per loro sentirsi riattaccare il telefono in faccia un milione di volte. No, le suggeriresti di arrivarci per gradi, giusto? Di assicurarsi che il cliente abbia sentito parlare dell’azienda, che conosca i loro prodotti.»

Alan annuì.

«Giusto» proseguì Jen. «Così magari non inviteresti una ragazza al cinema su due piedi… all’inizio potresti accennare a un film che hai visto. Domandarle se lo ha visto anche lei, e nel caso se le sia piaciuto. Chiederle cosa le è piaciuto e cosa no. La conoscenza del mercato, sai? All’improvviso ne nasce una conversazione e, se va bene, la prossima volta che parli di film potrebbe venirti spontaneo invitarla al cinema.»

Alan annuì serio e si mise a prendere appunti su un blocco di carta.

«Tipo Amazon» commentò Alan, mentre scriveva. «Sa cosa hai comprato l’ultima volta e ti dà suggerimenti la volta successiva in cui visiti il sito. Gestione delle relazioni con i clienti?»

Jen trasse un profondo respiro. «Proprio così» confermò.

«E questa roba funziona davvero?» domandò Alan.

Jen sorrise, ricordandosi le sue prime conversazione con Daniel sugli MBA, i libri, la finanza etica, i litigi in famiglia.

«Ci sono un sacco di coppie là fuori» disse decisa. «Da qualche parte avranno pure cominciato.»

«Ciao, splendore!»

Jen fece un gran sorriso e si allungò per baciare Daniel, che la prese tra le braccia, la sollevò da terra e la fece girare prima di depositarla nell’atrio.

«Come mai ci hai messo tanto?» domandò, accompagnandola dentro. «Non sapevo se cucinare o meno.»

Lo sguardo di Jen seguì il corridoio, osservando le foto di Daniel con la muta da sub, in montagna, che sorrideva con un braccio intorno a una donna. Suo malgrado Jen socchiuse le palpebre e corrugò la fronte.

«Mia sorella» precisò Daniel, con un luccichio nello sguardo. «Vive negli Stati Uniti. Allora?»

«Allora cosa?» domandò Jen, leggermente imbarazzata di essere stata còlta in fallo.

«Allora dove sei stata?»

«Ah, giusto. Ero con un amico del master. Alan.»

A quel punto toccò a Daniel corrugare la fronte. «Giusto» disse, dirigendosi in salotto. «Be’, spero che vi siate divertiti.»

Jen lo seguì e sorrise fra sé. «Sì, in effetti, sì» rispose, prendendo in giro Daniel. «Abbiamo parlato di relazioni, prevalentemente.»

Daniel si girò e la fissò. «Di relazioni?»

«E di come lui possa crearsene una» precisò Jen con un gran sorriso. «È un po’ uno sfigato, a dire il vero. Gli ho spiegato come fare. Come procurarsi una ragazza.»

«Capisco» commentò Daniel. «Be’, purché non metta gli occhi su di te…»

Jen inarcò le sopracciglia e lo fissò. «Ho i miei grossi dubbi» si affrettò a dire. «Allora, cosa hai deciso?»

Daniel la guardò incuriosito. «Deciso su cosa?»

«Sulla cena. Hai detto che non sapevi se cucinare o meno.»

«Ah. Be’, ho deciso di no. Ho immaginato che se per caso avevi fame, avremmo potuto ordinare qualcosa da casa, se per te va bene.»

Jen annuì. «Perfetto. Allora, cosa hai fatto dall’ultima volta che ci siamo visti?»

Daniel rovistò dentro un cassetto, tirò fuori alcuni menù e li porse a Jen. «Cucina italiana, cinese o thai? Scegli tu… Cosa ho fatto? Oh, non molto. Ho lavorato, dormito, aspettato che si facesse viva la mia splendida ragazza… e ho tentato di individuare alcune idee vincenti per una presentazione che avrò fra un paio di settimane.»

«Mi andrebbe un curry di fagioli neri con il pollo» disse Jen, restituendogli il menù. «Di che presentazione si tratta?»

Daniel stralunò gli occhi. «Al consiglio di amministrazione. E non ci sarebbero problemi, ma a quanto pare negli ultimi tempi io e il presidente non vediamo le cose allo stesso modo. Mi servono idee importanti che colpiscano i membri del consiglio, ma lui non fa che parlare di taglio dei costi, come se fosse la risposta a tutti i nostri problemi.»

Jen corrugò la fronte. «Problemi? Non credevo che la Wyman’s ne avesse.»

Daniel scrollò le spalle. «Tutti ce li hanno. Tutti i nostri concorrenti sono un problema, come lo è il costo degli immobili a Londra e il fatto che le strade principali abbiano perso importanza. Non sono problemi insormontabili, ma sono un grattacapo. Per cui, curry di fagioli neri? Buono… mi sa che ti copio.»

Prese il telefono e fece l’ordine, poi raggiunse Jen sul divano.

«E tu cosa hai fatto negli ultimi tempi?» domandò in tono tenero. «Spero di esserti mancato…»

Jen lo guardò con un’espressione giocosa. «E perché avrei dovuto sentire la tua mancanza, quando il tuo unico pensiero è stato il costo degli immobili di Londra?»

Daniel annuì serio. «Questa è cattiva, ma giusta» commentò in tono grave. «Non ho accennato al fatto che mi sei mancata talmente tanto che non riuscivo a dormire?»

Jen lo guardò con aria maliziosa. «Puoi fare di meglio» ribatté con un mezzo sorriso.

Daniel si passò una mano fra i capelli. «Okay, quindi l’insonnia non è abbastanza. Che ne dici dell’autoflagellazione? Basta per fare colpo su di te?»

Jen ridacchiò. «Hai sentito molto male?»

Daniel annuì. «Già. Moltissimo, a dire il vero. Speravo che tu potessi farmi passare il dolore con un bacio.»

«Capisco» disse Jen pensierosa. «E questa autoflagellazione… dove avrebbe lasciato tracce?»

«Ehm, be’, immagino qui» rispose Daniel, indicando una guancia. Jen si avvicinò e gli diede un bacino.

«In qualche altro punto?» insisté lei, gli occhi scintillanti.

Daniel corrugò la fronte, poi si sbottonò un po’ la camicia rivelando il suo ampio torace. «Qui» disse, indicando un punto sotto il collo. Jen si allungò e lo baciò.

«E qui» aggiunse con voce sommessa, indicando la parte alta della schiena.

«Sai, forse dovresti toglierti la camicia» suggerì premurosa Jen.

Daniel annuì serio. «Se credi possa essere utile» disse, sbottonandola ancora un po’. «Pensi che sarebbe una buona idea se anche tu la togliessi?»

Jen si ritrovò a ridere suo malgrado. «Sei tu che avresti dovuto fare da coach ad Alan stasera, sai» disse, mentre si lasciava sbottonare la camicia e baciare il collo. «Io gli ho detto solo che avrebbe dovuto fare tante domande.»

«Domande?» chiese Daniel, togliendole la camicia e mettendola da una parte.

«Sì» rispose Jen, tentando di concentrarsi, mentre le labbra di Daniel cominciavano ad esplorare il suo corpo. «Gli ho detto che avrebbe dovuto scoprire cosa interessa una ragazza, e che poi così troverà qualcosa di cui parlarle.»

«Ti piace questo?» domandò Daniel, togliendole il reggiseno e spostando le labbra sul suo petto.

Jen annuì. «Mmm… mmm…»

«E questo?» Adesso le stava togliendo i pantaloni.

«Oh, sì.»

«E che ne dici di questo?» le chiese, mentre si spogliava rapidamente.

Jen sospirò. «Credo che questo mi piaccia più di tutto.»

Venti minuti dopo suonò il campanello. Daniel controvoglia si liberò da Jen, corse in camera e si infilò l’accappatoio.

Lentamente Jen si mise a sedere e poi si diresse verso il camino, sopra il quale c’era un elegante specchio di noce. Si guardò con attenzione – guance rosse, capelli arruffati e un gran sorriso un po’ folle stampato in faccia – e tornò pigramente verso il divano. Il suo cervello sembrava incapace di pensare a qualsiasi altra cosa tranne il presente – gli eventi della giornata sembravano accaduti da una vita, la Bell Consulting e sua madre erano come lontani ricordi. “Esiste niente di meglio del sesso per alleviare lo stress?” si domandò oziosamente Jen. “Esiste del sesso migliore di quello con Daniel?”

Lui si presentò con due piatti, ne porse uno a Jen e appoggiò l’altro sul pavimento. Poi uscì dal salotto e ritornò pochi secondi dopo con una bottiglia di vino e due bicchieri. «Possiamo mangiare a tavola, se vuoi… oppure qui. Decidi tu.»

Jen aveva appoggiato il proprio piatto in grembo. «Va bene qui» disse, contenta in cuor suo di non doversi spostare. Si era infilata di nuovo la camicia, ma a parte questo era nuda e stava comodamente rannicchiata sul divano.

«Allora, cosa hai intenzione di fare per i problemi della Wyman’s?» domandò Jen in modo vago, iniziando a mangiare. O aveva molta fame o quello era il miglior curry di fagioli neri che avesse mai assaggiato. Daniel le era seduto accanto e un ginocchio le sfiorava il suo ogni volta che lei portava la forchetta alla bocca, procurandole dei piccoli brividi di eccitazione. Daniel era così perfetto. Era tutto così perfetto.

«Che cavolo ne so: in questo preciso momento non me ne importa niente. Mi interessa di più guardarti le gambe.»

Jen arrossì un po’. «Be’, anche a me piace molto guardare le tue, il che però non mi impedisce di interessarmi al tuo lavoro» disse, abbozzando un sorriso.

Daniel la fissò e scrollò le spalle. «Oh, non so. Mi inventerò qualcosa. Ehi, sei tu che frequenti il master… dovrei farmi dare da te delle idee.»

Jen fece un gran sorriso. «Sì» disse con uno scintillio nello sguardo. «E anche se i miei consigli non costano poco, ho imparato molte cose dal mio maestro, Daniel Peterson in persona, per cui è un affare.»

Lui sorrise di rimando. «Okay, allora. Io ti ho fornito un piatto di curry – dovrebbe bastare per una o due idee, giusto?»

Jen annuì seria. «Ed è anche ottimo, per cui, sì, credo almeno due idee. Allora…» Rifletté un attimo. Le sembrava di avere la testa nell’ovatta; l’endorfina in circolazione le impediva qualsiasi pensiero coerente e riusciva a stento a ricordare una sola cosa del master.

«Che ne dici della catena di fornitori?» domandò dopo un po’. Era stato l’argomento di un breve saggio per l’esame e pensava che fosse un tema circondato da un alone di serietà sufficiente da fare colpo su Daniel.

Lui inarcò le sopracciglia. «La catena di fornitori, dici. Continua…»

Jen corrugò la fronte. Voleva che continuasse ancora? Ci pensò un po’ su. «Oh, non lo so. Comprare una casa editrice. O stringere un accordo che la vincoli a produrre in esclusiva per voi. E non puoi metterti a mangiare il mio pollo solo perché hai finito il tuo!» Lanciò un’occhiata stizzita a Daniel, la cui forchetta era appena atterrata sul suo piatto. Lui sorrise con aria sorniona e lei trasferì una cucchiaiata di curry nel piatto vuoto di Daniel.

«In effetti, non è una cattiva idea» commentò Daniel pensieroso.

«Cosa, comprare una casa editrice?»

Lui scosse la testa. «L’esclusiva. Mi domando se c’è un reale vantaggio da un accordo di joint branding.»

Jen, sentendosi sazia, poggiò il piatto sul pavimento e prese il vino, poi appoggiò la testa sulla spalla di Daniel.

«Devi vincolare anche i tuoi clienti» sottolineò Jen. «Convincerli a fare acquisti da Wyman’s invece che altrove. Avere delle strategie di fidelizzazione e roba simile.»

Daniel le mise un braccio sulla spalla. «Quindi i programmi fedeltà ti vincolerebbero?»

«Potrebbero.»

«Un piatto fisso di curry di fagioli neri funzionerebbe?»

«Il curry potrebbe essere un inizio» rispose Jen con un mezzo sorriso.

«Un inizio» commentò Daniel pensieroso. «Be’, immagino che un inizio sia pur sempre qualcosa.»

La tirò a sé e, mentre le loro labbra si sfioravano, a Jen venne la pelle d’oca.

«Anche questo aiuta» disse Jen con un sospiro di contentezza, mentre Daniel spostava le labbra sul suo collo. «Questo, abbinato al curry, è irresistibile, a dire il vero.»