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«Okay, ragazzi, adesso calmatevi» disse Jay, mentre Jen, Lara e Alan entravano uno dietro l’altro nell’auditorium il lunedì mattina successivo. «Vorrei presentarvi la dottoressa Marjorie Pike, che vi parlerà di opzioni strategiche e valutazione. Marjorie ha portato a termine il suo MBA all’Henley Management College e il dottorato a Wharton, negli Stati Uniti, dove ha poi insegnato negli ultimi cinque anni, per cui siamo molto fortunati ad averla qui con noi oggi. Marjorie, passo la parola a te.»

I tre ragazzi corsero velocemente a trovare posto, mentre Marjorie si dirigeva con passo lento e deciso verso la cattedra. Era una donna piccola, con la pelle bianca e i capelli neri tirati all’indietro in uno chignon; i suoi occhi sembravano trafiggere ogni persona presente in sala. Nessuno emise un suono.

«Opzioni, opzioni, opzioni» disse pensierosa la docente. «Faccio un MBA o un master di marketing? Lavoro nel Regno Unito o negli Stati Uniti? Compro questa casa o quest’altra? Oppure tengo il piede in due staffe e aspetto di vedere come si evolve il mercato immobiliare nel prossimo anno o giù di lì? Ogni giorno ci troviamo davanti a delle opzioni e prendiamo decisioni. Il problema è che la maggior parte delle volte prendiamo le decisioni sbagliate: rimango per un altro drink, oppure vado a casa finché sono in tempo? Di solito beviamo quell’ultimo drink e ce ne pentiamo la mattina dopo. E se scegliere l’opzione sbagliata non è forse un grosso problema se si tratta del dentifricio da portare a casa, diventa un problema se si investono miliardi di dollari degli azionisti in una speculazione sbagliata. Giusto?»

Jen annuì con aria cupa. Sapeva più di quello che avrebbe mai voluto sapere su cosa significava prendere le decisioni sbagliate. Francamente, si sentiva un’esperta in materia.

«Allora che cosa fate?» stava dicendo Marjorie. «Avete evidenziato i punti di forza e di debolezza. Avete identificato le minacce e le opportunità. Come trasformate questi dati in opzioni, e come decidete fra l’una e l’altra?»

Ancora silenzio. Poi Alan alzò una mano.

«Be’,» disse con esitazione «si sviluppano alcune azioni che sfruttino le opportunità e altre che mitighino i rischi.»

«Come?»

«Be’, se un’opportunità è… attrarre un nuovo cliente – un tipo di cliente, voglio dire – allora si fanno ricerche per scoprire se ci sono delle chance. Se è fattibile, voglio dire. E se una minaccia è rappresentata da un concorrente che sta anche lui – come dire? – dietro allo stesso cliente, allora è necessario lavorare di più per assicurarsi che non sia lui a conquistarla… a conquistarlo. Così, insomma, si potrebbe lanciare una consistente campagna pubblicitaria o qualcosa del genere…»

Alan non finì la frase e Jen lo guardò incuriosita, mentre si domandava come mai quella faccenda sembrasse esaltarlo tanto. Immaginò che fosse il suo solito entusiasmo da secchione per qualsiasi cosa avesse a che fare con la strategia, ma, anche in tal caso, si era talmente agitato che saltava su e giù sulla sedia. Lo fissò per un attimo, poi però si distrasse ricominciando a pensare a suo padre. Senz’altro lui aveva sfruttato le opportunità. E lei si era fatta mettere sotto i piedi. Be’, George non l’avrebbe passata liscia. Jen non sapeva ancora bene cosa avrebbe fatto con quel foglio di calcolo, ma qualcosa avrebbe sicuramente fatto. Magari l’avrebbe portato alla polizia.

«Bene. Molto bene» disse Marjorie in tono sbrigativo. «Ma in questa situazione potrebbe anche decidere di consolidare, no? Accaparrarsi uno o due concorrenti, o magari perfino i fornitori. E se invece avesse più di una opportunità? Se potesse entrare in nuovo mercato, o cambiare marchio al prodotto per un nuovo pubblico, oppure concentrarsi sull’accrescimento della quota di mercato già esistente? Che succede allora?»

Alan corrugò la fronte. «Cambiare il marchio» disse serio. «Non ci avevo pensato.» Si mise a prendere appunti come un pazzo e Jen stralunò gli occhi.

«In un libro di testo, le opzioni strategiche sono molto semplici» proseguì Marjorie. «Prendi un paio di cavalli, vedi se corrono, e bingo!, puoi prendere una decisione. Nella vita reale non è così semplice. Nella vita reale è un processo caotico e complesso: non si deve semplicemente considerare l’imperativo aziendale, ma anche la gente e le personalità. Un’opzione potrebbe comportare la vendita di una parte dell’azienda che produce perdite. Ma se è stato il direttore generale a mettere su quel settore e ci è legato a livello emotivo, vendere probabilmente non sarà un’opzione realizzabile. Okay, qualcuno mi faccia un esempio, un’azienda che avete già analizzato e che possiamo esaminare velocemente per evidenziare i problemi.»

La professoressa perlustrò la sala con lo sguardo, mentre gli studenti si lanciavano occhiate furtive. Alla fine qualcuno dal fondo dell’aula pronunciò le fatidiche parole. «Abbiamo già lavorato un po’ su un’azienda di preservativi.»

Ci fu qualche risatina maliziosa, sebbene sommessa. In un modo o nell’altro, Marjorie non era il tipo di persona con cui qualcuno poteva pensare di averla vinta. Ma lei si destreggiò molto bene.

«Un’azienda di preservativi? Interessante. Okay, allora. E supponendo che abbiate già esaurito tutti gli elementi umoristici sui punti di forza e di debolezza dei preservativi, quali sono le opzioni possibili per questa teorica azienda?»

«I sex toys» gridò qualcuno.

«La penetrazione del mercato» gridò qualcun altro, guadagnandosi un breve applauso.

«Il rapporto con nuovi mercati geografici» urlò un altro.

«Okay, grazie» disse Marjorie, scrivendo i suggerimenti sulla lavagna, mentre i ragazzi ridacchiavano. «Allora abbiamo la penetrazione del mercato, nuovi mercati e nuovi prodotti, giusto? E come facciamo a scegliere una di queste opzioni?»

«Be’, deve avere un buon inserimento» disse qualcuno con un tono di voce impassibile. Marjorie preferì ignorare la battuta.

«Certo, un inserimento strategico. Ma cosa significa in realtà? Lei» disse indicando Alan, che immediatamente si mise seduto dritto.

«Be’,» rispose Alan, serio «immagino che uno si debba allineare al proprio brand. Il proprio prodotto, voglio dire. Allineare il proprio prodotto al proprio brand.» Sembrava un po’ agitato. «Per cui, si dovrebbe cambiare il brand prima di poter attrarre l’interesse di un nuovo mercato, tipo, che ne so, i sex toys

«Bene» disse Marjorie, perplessa. «Probabilmente io considererei la cosa dal punto di vista opposto; analizzi i valori del tuo brand e la qualità specifica che lo rende appetibile, e non tenti di spostarti in un nuovo mercato se non è adatto. Una volta rovinato il marchio, magari ti ritrovi senza azienda. Certo, niente è intoccabile: alcune società cambiano la loro ragione d’essere con successo, tipo la IBM, che era un’azienda manifatturiera e adesso concentra la propria attività sulla consulenza. Ma si deve essere sicuri – o disperati – per mettere a segno un’operazione del genere. Allora, qualcos’altro?»

«La fattibilità» disse Alan. «Valutare se si hanno le capacità interne necessarie. In caso affermativo, si può essere capaci di… adattare il brand.»

«Okay» commentò Marjorie, corrugando lievemente la fronte «Mi faccia qualche esempio.»

«Tipo scoprire cosa vuole il cliente e tentare di capire se ce l’hai. Quello che i clienti vogliono, intendo dire.»

A quel punto fu Marjorie a guardarlo incuriosita.

Alan diventò rosso e si schiarì la gola. «Voglio dire, se si vuole entrare in Europa, si hanno delle infrastrutture lì?» si affrettò a precisare. «Si parlano lingue straniere? Cose così.»

«Perfetto. Va bene» approvò Marjorie, e Alan si mise comodo, con espressione sollevata. «Quello che sto tentando di farvi capire in questo caso è che quando arrivate al punto delle opzioni, magari pensate di aver già fatto tutto il lavoro difficile, mentre in realtà il lavoro sta per cominciare. Dovete riflettere bene su tutto. Dovete prendere in considerazione l’impossibile e l’ordinario. Dovete sapere cosa sta accadendo nella vostra azienda e fuori da lì… il che include le stranezze del vostro top team e le politiche del governo in carica. Dovete considerare se un’opzione è raggiungibile, se è credibile e se è accettabile. Quali sono i rischi? Sono gestibili? Allora, torniamo alla vostra azienda di preservativi. Pensiamo ai rischi associati allo spostamento in nuovo mercato…»

Jen corrugò la fronte. Lei aveva sicuramente bisogno di valutare le sue opzioni personali, solo che non sapeva se voleva ricorrere all’aiuto di un modello economico.

«Opzioni, dici?»

Bill sembrava pensieroso.

«Ho appena assistito a una lezione sulle opzioni strategiche, e mi stavo domandando come si fa a sapere quale direzione prendere. Quando non si ha idea di cosa fare dopo.»

Bill si accarezzò la barba, che adesso era lunga cinque centimetri buoni. «Sai, mi piacerebbe raccontarti una storiella, se posso.»

Jen annuì.

«C’è un ragazzo giovane. Il mondo ai suoi piedi, appena uscito dalla facoltà di economia e commercio. E fa il giro delle società di consulenza, delle industrie, di tutto di più, mi segui?»

Jen annuì seria.

«Okay, parla con questa gente e porta in giro il suo cv, e loro gli offrono varie cose: tipo uno stipendio fantastico, gratifiche, un ufficio personale, l’auto, il cellulare…»

Jen inarcò le sopracciglia.

«Sì, si tratta di un po’ di tempo fa. Quando il cellulare era ancora uno status symbol.»

Jen scrollò le spalle.

«In ogni caso, il ragazzo si trova di fronte a un dilemma. Quale direzione prendere? Cosa deve fare? Allora va a fare una passeggiata per chiarirsi le idee. Tenta di capire se l’ufficio è meglio del cellulare, o se lo stipendio è meglio delle gratifiche. E mentre cammina, si rende conto di essere del tutto preso dai fronzoli, dai dettagli superficiali. Quando invece dovrebbe concentrarsi su cosa vuole dalla vita, su dove vuole essere fra cinque, dieci anni a partire da quel momento. E sai cosa scopre?»

Jen scosse la testa.

«Scopre che non vuole niente di tutto ciò. Non vuole i soldi, gli abiti eleganti, le auto alla moda. Vuole fare qualcosa che abbia un senso più profondo. Vuole aiutare le persone. Per cui fa dietrofront, torna all’università e comincia a studiare tutto daccapo, questa volta per diventare counsellor, non un esperto di analisi aziendale. Capisci quello che voglio dire?»

«Che lei non è la persona adatta a cui porre domande di analisi aziendale?»

Bill parve offeso e Jen gli offrì un gran sorriso.

«Oh, stai scherzando. Oh, ho capito. Divertente, sì. Ma sul serio, quello che sto tentando di dirti è che devi guardare dentro di te. Ci sono sempre alternative. Ma sono lì, nel tuo cuore, non nella tua testa. Ho ragione, o ho ragione, eh?» Con fare affettuoso Bill diede un colpetto al braccio di Jen e lei gli sorrise.

«Mi sa che ha ragione» gli disse, rendendosi conto che non aveva la minima idea di come quella storia avrebbe potuto aiutarla.

Daniel si appoggiò allo schienale della sedia e guardò il presidente dritto negli occhi. Era il momento decisivo. Doveva convincere Robert che il taglio dei costi e una crescita insensata non erano la direzione giusta da prendere. Lui aveva progetti e innovazioni che avrebbero portato la libreria che dirigeva nel ventiduesimo secolo, figuriamoci nel ventunesimo, e Robert non avrebbe potuto fare a meno di rimanerne colpito. “Vendere libri è un’arte” avrebbe detto. “Non si tratta di smerciare grosse quantità di libri a poco… si tratta di capire il lettore, entrare nella sua mente e soddisfare ogni suo capriccio.”

Sorrise tranquillo. La verità era che per la prima volta dopo tanti mesi si sentiva entusiasta del suo lavoro. Il pranzo con Anita aveva riacceso in lui una scintilla, lo aveva persuaso di avere buone idee. Adesso doveva solo convincere Robert.

«Per cui, vedete,» disse fiducioso «tutti possono valutare l’efficienza finanziaria e tagliare i costi. Ma a mio parere, il vero futuro di questa società sta nell’innovazione. Dobbiamo far innamorare le persone della lettura, non tentare come dei pazzi di abbassare i prezzi per indurli a entrare in negozio. I libri non sono per niente cari in confronto ai film o ad altri tipi di intrattenimento, e offrono ore e ore di piacere. Dobbiamo entrare nella mente dei nostri clienti ed escogitare qualcosa che li lasci a bocca aperta. Dobbiamo tornare al nucleo dell’azienda: i libri.»

Robert Brown si tolse gli occhiali, li pulì e se li infilò di nuovo, poi guardò Daniel con aria pensierosa. «Pensi che il nucleo dell’azienda siano i libri?» domandò.

Daniel corrugò la fronte. Dove voleva andare a parare Robert? «Sì» rispose semplicemente, passandosi senza volerlo una mano fra i capelli per abbassarli. «Sì, certo.»

«Capisco. È solo che, dalla mia posizione, il nucleo della società sono i suoi azionisti. Produrre guadagni per loro. Dividendi, cose così.»

Daniel lo guardò spazientito. Che cos’era? Una lezione di economia? «Nel modo più assoluto» disse Daniel con un sorriso tirato. «Ed è importantissimo. Ma ci arriviamo vendendo libri. Azzecchiamo questo, e i nostri azionisti, ne sono sicuro, saranno al settimo cielo.»

Robert annuì. «Senti, Daniel, hai messo su una piccola azienda di librerie fantastica. Davvero, hai fatto un lavoro splendido. Ma lavori per noi adesso. Siamo una grossa società. E ci attendiamo grossi profitti. E altrettanto vale per i nostri azionisti.»

Daniel deglutì, la gola che gli si stringeva. «Non vuoi sentire nessuna delle mie idee?» domandò.

«Nel breve periodo, come ho spiegato, il consiglio di amministrazione ritiene che dovremmo attenerci a quello che già sappiamo. Ridurre i costi, tagliare i prezzi, magari fare qualche “paghi due e prendi tre” in più. E nel frattempo, cercare un’acquisizione. È tutta una questione di quota di mercato, Daniel, come sa fin troppo bene il consiglio di amministrazione.»

«Il consiglio di amministrazione o tu?» domandò Daniel in tono pungente, girandosi a guardare fuori dalla finestra la vista di Londra che poteva ammirare dal suo ufficio. Vedeva Buckingham Palace e il Big Ben, e in lontananza riusciva a scorgere il profilo del London Eye. Era un panorama fantastico. E rappresentava tutto ciò per cui aveva lavorato sodo. Non era sicuro di poterlo abbandonare.

Robert non rispose.

«Hai comprato la mia azienda perché era innovativa» continuò Daniel. «Perché eravamo migliori, più veloci e più attenti di qualsiasi altra libreria.»

«L’abbiamo comprata perché era un affare redditizio, Daniel. E perché abbiamo capito che con la giusta strategia si potevano realizzare maggiori profitti.»

Daniel trasse un profondo respiro e poi espirò lentamente.

«Pensaci, signor Peterson» disse Robert, alzandosi dal tavolo. «Ho la massima fiducia che per la presentazione al consiglio di amministrazione, la prossima settimana, ti concentrerai sul taglio dei costi e la riduzione dei prezzi. Vogliamo proposte di valore aggiunto, non progetti assurdi. Mi auguro che la mia fiducia sia ben riposta.»

Mentre Robert se ne andava, Daniel si girò verso il computer, aprì la sua presentazione e premette CANC. Era furioso. Non era mai stato tanto arrabbiato in vita sua. Rimase a guardare tutta la sua fatica che scompariva nel nulla, a guardare le idee che tanto lo avevano entusiasmato trasformarsi in pagine bianche. E fu solo quando squillò il telefono e lui si sporse per rispondere, che si accorse che gli tremavano le mani.

«Daniel Peterson» disse in tono burbero.

«Daniel, sono Anita. Senti, scusa se te chiedo solo adesso, ma sei libero per pranzo oggi? Stavo parlando con il nostro amministratore delegato della tua idea per il branding e gli è piaciuta da morire. Vuole che io mi faccia dare più dettagli…»

«Scordatelo» la interruppe Daniel in tono cupo. «Non se ne farà niente.»

«Ma la tua presentazione non c’è ancora stata, giusto?»

«Robert non ha neanche voluto sentirne parlare.»

«Allora vieni a pranzo con me e la renderemo così convincente che non potrà dire di no.»

Daniel sospirò. «Bene» disse. Forse non era una cattiva idea in fondo. Se fosse rimasto lì, magari avrebbe finito per sfondare a calci la porta.

«Fantastico. Da Wolseley all’una?»

«Bene.»

Daniel mise giù il telefono prima che Anita riuscisse a salutarlo e tornò al pulsante CANC.

Jen uscì dall’ufficio di Bill e ciondolò lungo il corridoio, dove si imbatté in Lara e Alan, che venivano dalla direzione opposta.

«Tutto okay?» le domandò Lara preoccupata.

Jen scrollò le spalle. «Tutto bene, benissimo.»

«Ti va una cioccolata calda? Di solito un picco di zuccheri mi tira su di morale il lunedì mattina.»

Jen scosse la testa. «No… credo che andrò a fare una passeggiata, a dire il vero.»

Lara annuì con fare comprensivo. «Oh, okay, in ogni caso mi sa che io dovrò andare in biblioteca a studiare un po’.»

All’improvviso Alan si schiarì la gola. «A me andrebbe una cioccolata calda.»

Lara e Jen si girarono a guardarlo, e lui arrossì.

«Cosa?» domandò Lara.

«Una cioccolata calda. Mi piacerebbe, visto che Jen è troppo impegnata.»

«Perfetto» disse Lara, un po’ perplessa. «Bene, okay allora. Grazie.»

«Non c’è di che» rispose Alan, ormai sorridendo. «Quindi ti piace la cioccolata calda, giusto? Ci sono delle marche particolari che preferisci?»

Lara inarcò le sopracciglia. «Sei proprio strano» gli disse affettuosamene.

Si girò verso Jen. «Visto cosa succede quando mi abbandoni?» le sussurrò. «Se finirò per dover parlare di riprogettazione dei processi aziendali, sarà tutta colpa tua!»