28

Harriet guardava al di là delle pareti di vetro del suo ufficio. Di solito le dava un gran piacere la vista dell’open space, osservare i suoi dipendenti che lavoravano, i suoi sogni che diventavano realtà. Ma adesso l’unica cosa che vedeva era l’inizio della fine. Malcolm le aveva concesso un’ora per prendere una decisione: il tempo che gli ci voleva per andare a prendersi un caffè e leggere il giornale. Due gesti prosaici ormai già compiuti, e Harriet adesso era lì a decidere il futuro della sua società.

Prese i bilanci e li fissò svogliatamente. La Green Futures aveva debiti… be’, per quanto ne capiva lei, aveva debiti per più di quanto potesse sperare di guadagnare in cinque anni. Forse Speranze Infrante sarebbe stato un nome più adatto per l’azienda. O anche Nessun Futuro. Come aveva fatto a convincersi che andava tutto bene? E dov’era finito Paul adesso che lei ne aveva realmente bisogno? Non c’era quasi mai negli ultimi tempi – probabilmente stava abbandonando una nave che affondava, ma chi avrebbe potuto biasimarlo?

Harriet sorrise sconsolata. Si sentì all’improvviso più vecchia, mentre con il senno di poi sperimentava quello che si prova quando finisce qualcosa. Cosa aveva voluto fare quando avevo messo su l’azienda? Salvare il mondo? No, quello era ciò che aveva raccontato a se stessa e a tutti gli altri, ma in realtà il suo scopo era più semplice. E molto meno nobile. Voleva dimostrare qualcosa. Voleva mostrare a George quanto si sbagliasse.

Sospirò. Era così innamorata di lui all’epoca. George era… stupendo. Entusiasmante. E lei adorava lavorare con George, anche se era un uomo molto ostinato. Non erano mai d’accordo su nulla, ovviamente, ma a lei non importava, anzi, non mancavano lunghi e appassionati litigi e dibattiti che andavano avanti per giorni e le davano la sensazione di essere viva e parte di qualcosa.

Quello che invece non sopportava era quando George smetteva di discutere con lei e la ignorava. Non molto tempo dopo le nozze, Harriet aveva scoperto l’esistenza di riunioni a cui lei non veniva invitata. Poi, quando era rientrata al lavoro dopo il congedo di maternità, aveva visto diminuire il numero dei suoi clienti. George aveva detto che era per via di Jen. Harriet era una madre ormai e a casa era necessaria la sua presenza. Ma lei non voleva starsene a casa, impelagata fra mucchi di pannolini e donne terrificanti convinte che, solo perché aveva una bambina, volesse trascorrere il tempo a parlare con loro delle gioie dell’allattamento al seno. Non tollerava di essere lasciata sola una sera dopo l’altra, mentre George usciva per intrattenere i clienti o bere qualcosa con gli amici. Non sopportava l’idea che facesse finta di non vederla, non sopportava il sospetto che non fosse più innamorato di lei.

E poi era comparso sulla scena Malcolm Bray.

Harriet si girò e fissò fuori dalla finestra. Malcolm era l’opposto di George. Erano stati compagni di scuola, ma quella era l’unica cosa che avevano in comune. Se George era esuberante e confusionario, Malcolm era pacato e riflessivo. Se George era impulsivo e deciso, Malcolm era metodico e lento. E se George parlava chiaro, Malcolm era poco comunicativo. Non che Harriet se ne fosse accorta all’epoca, evidentemente. Malcolm ci aveva messo due anni a sedurla, due anni a giocare con le sue emozioni, a convincerla che George avesse un’amante, che se l’avesse amata davvero non l’avrebbe lasciata sola tutte le sere.

Harriet scosse la testa: quanto era stata stupida. Due anni per sedurla e due mesi per rovinarla. Poi se n’era andato via, dicendole che non gli serviva più. Malcolm aveva avuto quello che voleva: aveva metaforicamente fottuto il suo vecchio compagno di scuola, l’uomo di cui era stato geloso fin da quando George era stato nominato rappresentante di istituto ed era stato accettato a Cambridge, nonostante avesse infranto metà delle regole del liceo e avesse a malapena aperto i libri; mentre Malcolm, che sgobbava e faceva tutto secondo i dettami, non ce l’aveva fatta.

«Harriet?» domandò Malcolm irritato. «Hai ascoltato una sola parola di quello che ho detto?»

Jen e suo padre scesero in silenzio le scale che portavano al parcheggio sotterraneo, dove ad attenderli c’era la Jaguar.

Salirono in macchina. George accese il motore, seguì il percorso all’interno del parcheggio ed emerse alla luce del sole di St. James.

«Paul Song» disse Jen in tono secco. «Perché ti ha chiamato?»

George accese la radio.

«Ho detto: perché Paul Song ti ha chiamato?»

«Mi ha chiamato, vero? Interessante.»

Jen stralunò gli occhi stizzita. «Vuoi che mi fidi di te, ma non ci riesco. E il motivo è che tu racconti frottole, hai i tuoi segreti e non ne sei neanche imbarazzato, a quanto pare.» Mentre parlava, fissava davanti a sé e si sentiva più forte senza gli occhi di suo padre puntati addosso.

«È proprio questo il punto» disse George, la voce carica di tensione. «Se ti dicessi tutto, non sarebbe necessario che ti fidassi di me, giusto? Avere fiducia implica correre un rischio, sospendere l’incredulità. Ti pare?»

Jen si girò a fissarlo. Lui stava guardando avanti e aveva una vena sulla fronte che pulsava. «Non capisco perché tu stia venendo con me» disse Jen dopo un attimo di silenzio. «A meno che, naturalmente, non ti preoccupi del fatto che la mamma scopra la verità.» Lo scrutò con attenzione per controllare come reagiva, ma sul suo volto non comparve la benché minima traccia di emozione.

«Okay» disse infine George. «Bene, eccoci arrivati.»

Jen annuì, mentre la macchina accostava davanti al palazzo. «Non puoi parcheggiarla qui» sottolineò. «Ti beccherai una multa»

George la guardò. «Consideriamolo un parcheggio costoso, okay?»

Spense il motore. Scesero dalla macchina e nel frattempo George tirò fuori il cellulare.

«Paul» lo sentì dire Jen. «Sì, siamo davanti alla Green Futures. Stiamo per entrare. Farai quelle telefonate? Bene, ci vediamo fra poco.»

Jen aprì bocca per fare una domanda, ma poi cambiò idea. Aveva la strana sensazione che entro breve avrebbe avuto tutte le risposte che cercava.

Harriet tentava di rimanere distaccata, di comportarsi in modo professionale. Era un contratto d’affari, continuava a ripetere a se stessa. Era l’unica soluzione.

Ma perfino mentre quelle parole le passavano per la mente, sentiva che avrebbe avuto voglia di urlare: «No!». Non era così che doveva andare a finire. Non sarebbe mai stata capace di vivere in pace con se stessa se fosse andata avanti e avesse consegnato la sua anima al diavolo, o meglio, a Malcolm Bray. Ma che scelta aveva? Bere o affogare, e Harriet non sapeva quale delle due fosse preferibile.

Guardò Malcolm e fu scossa da un fremito.

«Sai cosa dice la nostra brochure?» domandò.

Malcolm scrollò la testa.

«Dice che la Green Futures lavorerà solo con aziende che hanno gli stessi nostri obiettivi e fini. Costruire un mondo migliore. Lavorare con gli stakeholder invece che contro di loro. Essere leali negli affari, essere una forza positiva nella comunità…»

Malcolm annuì con aria saggia. «Ed è per questo che ci teniamo tanto a lavorare con voi. Per… sostenervi.»

Gli era spuntato un mezzo sorriso in faccia e Harriet ebbe voglia di tirargli dietro qualcosa.

«Credevo che il sottotesto dell’affermazione della tua missione fosse “tornare alla Bell Consulting” in ogni caso» continuò Malcolm. «Archiviamo questo contrattino sotto questa dicitura, okay?»

Lo guardò con freddezza. La cosa peggiore era che aveva ragione Malcolm. Il suo desiderio era sempre stato tornare alla Bell, tornare con George. Ma adesso non era più sicura neanche di questo. Non era più sicura di nulla. E non aveva quasi più tempo.

«Senti, Harriet, non preoccupiamoci troppo di strategie superate» insisté Malcolm in tono amabile. «Firmiamo semplicemente il contratto. La Axiom pagherà i tuoi debiti, la tua azienda verrà salvata, diremo a tutti che abbiamo capito di aver commesso un grosso errore a lavorare con una società immorale e spietata come la Bell Consulting, e organizzeremo una bella conferenza stampa in cui tu potrai raccontare a tutti i giornali il nostro programma di ricostruzione.» Fece un cenno verso la penna che Harriet teneva in mano.

«E tu pensi davvero che crederanno che non ne sapevi niente?»

«Loro cercano qualcuno a cui dare la colpa e avranno la Bell Consulting. Riempiranno i giornali per mesi e mesi.»

«Ma…» disse Harriet, la mano che le tremava «ma se non ti credo io…

All’improvviso l’apparenza gioviale di Malcolm si volatilizzò. «Harriet, mia cara, fossi in te farei molta attenzione a quello che dici d’ora in avanti. Questo contratto, questo accordo, ti viene offerto a partire dal presupposto che tu accetti pienamente la nostra posizione. Che l’anno scorso la Bell Consulting, a nostra insaputa, ha orchestrato una serie di affari illegali e immorali per nostro conto, ma ribadisco, a nostra insaputa, in seguito alla tragedia dello tsunami. Che, in seguito, quelli della Bell hanno comprato il silenzio dei funzionari per tenere segreti i contratti, perché hanno scoperto che non eravamo interessati a nessun appalto che non ci fossimo aggiudicato in modo legittimo. Che siamo arrabbiati e sconvolti come tutti gli altri adesso che sappiamo la verità. Che ci siamo rivolti alla Green Futures perché non possiamo continuare a lavorare con un uomo senza scrupoli come George Bell.»

«E gli edifici che sono crollati? Le norme che non sono state rispettate?»

«Una tragedia per la quale alcuni perderanno il posto di lavoro. Credo che potremo addebitare anche questo alla Bell, se ci impegniamo.»

Harriet chiuse un attimo gli occhi. Quello che stavano per fare avrebbe distrutto George Bell. Ma se lo meritava, giusto? Le sarebbe piaciuto che Malcolm e George fossero sprofondati insieme, ma senz’altro uno dei due era meglio che nessuno dei due, no? Stava facendo la cosa giusta, si disse Harriet. Se solo fosse riuscita a liberarsi dalla sensazione di nausea che l’attanagliava.

«Ma come fai a sapere la verità?»

Malcolm sorrise. «Abbiamo una fonte in Indonesia. Testimonierà che la Bell Consulting gli ha pagato una tangente. Non preoccuparti, Harriet, ho pensato a tutti i dettagli.»

«E… e se io non firmo? Se io non credo che tu non abbia niente a che fare con tutto questo?»

Malcolm guardò Harriet con freddezza. «Non sarai così stupida» sogghignò. «Non vorrai che George Bell stia a guardarti mentre tu vai in rovina, dimostrandogli che ha sempre avuto ragione lui. E in ogni caso, se non firmi, potresti ritrovarti coinvolta in tutta questa faccenda.»

Harriet corrugò la fronte. «Non dire cretinate, Malcolm.»

Malcolm sorrise di nuovo. «Vuoi dire che non ne sai niente, Harriet?»

Lei affilò lo sguardo e scosse la testa.

«Credevo che tu avessi capito» disse Malcolm in tono mellifluo «che uno dei tuoi impiegati è stato il canale per le varie tangenti che sono intercorse fra Gran Bretagna e Indonesia. Il tuo amico Paul Song è stato, credo, molto disponibile con George, spostando soldi da una parte all’altra, presentandogli i funzionari giusti. Certo, adesso è felice di testimoniare a tuo favore ma, se tu preferisci, sono sicuro che potrebbe puntare il dito contro di te…»

«Paul…?» Harriet rimase senza fiato.

Malcolm rise. «Sì, Harriet, Paul. E questo accade a una donna che crede di capire molto bene la gente!»

«Stai mentendo» lo accusò con veemenza Harriet. «Mi stai mentendo!»

Malcolm scrollò la testa. «Bel tipo, secondo me. L’ho conosciuto in Indonesia più di un anno fa. Molto disponibile e molto ben introdotto. È stata una mia idea farlo venire da te, in effetti. Mi sembrava una bella ironia che il nostro gancio lavorasse per Harriet Keller.»

Malcolm ridacchiava adesso, con una espressione carica di autocompiacimento, mentre Harriet era sbiancata.

«Non ti credo.»

«Sai, non mi importa se mi credi o no. Andiamo avanti, okay?»

Harriet si lasciò cadere sulla sedia. Paul, no, non il suo confidente. Era troppo da digerire tutto in una volta. Harriet aveva fallito in modo spettacolare nella gestione della sua società e adesso saltava fuori che avrebbe dovuto disprezzare l’unica persona di cui si fidava ciecamente.

Se solo avesse fatto le cose in modo diverso, pensò in preda alla disperazione. Se solo…

Lentamente alzò gli occhi e guardò verso Malcolm. Era circondata, era sotto scacco. Se avesse firmato, avrebbe salvato la sua società ma avrebbe perso tutto il resto, inclusa la capacità di dormire la notte. Se non avesse firmato, la società si sarebbe dissolta, non le sarebbe rimasto niente…

Sospirò e si fece coraggio. George aveva ragione, si disse. Gli affari erano una questione di soldi. A furia di ignorare questo piccolo dettaglio, Harriet era finita in quella situazione, a fare proprio la cosa che aveva voluto evitare entrando nel mondo degli affari.

«Bene, allora» disse dopo un po’, in uno stato d’animo prostrato. «Andiamo avanti.»

«A quale piano?» domandò George, mentre una receptionist imbambolata li guardava avvicinarsi agli ascensori.

«Devi firmare il suo ingresso per lui» disse a Jen la receptionist, indicando George. «Non potete semplicemente…»

Ma, troppo impazienti per aspettare l’ascensore, avevano già aperto la porta delle scale ed erano scomparsi dietro di essa.

«Bene, quindi devi firmare qui sulla prima pagina, siglare il paragrafo a pagina tre, e poi firmare qui, qui e qui. Oh, ci servono anche un paio di testimoni.»

Malcolm si alzò. «Posso chiedere alla tua segreteria se viene qui a fare da testimone?» domandò.

Harriet annuì. “Non sta accadendo realmente” si disse. “È solo un terribile incubo.”

Prese la penna che Malcolm teneva in mano e cominciò a scrivere.