«Fossi in te, non lo farei.»
Jen, alle spalle di suo padre, vide Harriet che alzava il viso sconvolta, mentre si spalancava la porta e il suo ex marito compariva davanti a lei. «Cosa… cosa ci fai qui, George?» chiese Harriet, sbiancando. «Jen… cosa… non capisco.»
Jen aprì bocca per parlare, ma George rispose per primo.
«Piuttosto stavo pensando io di chiedere al mio amico Malcolm cosa ci fa lui qui» disse in atteggiamento inflessibie, varcando la soglia.
Jen lo seguì e si appollaiò su una sedia. La tensione nella stanza era palpabile: Malcolm fissava con rabbia George, sua madre sembrava sul punto di vomitare e suo padre vagava per l’ufficio come una tigre in gabbia pronta ad attaccare.
«Stai firmando qualcosa, Harriet?» domandò George, posando gli occhi su quello che aveva tutta l’aria di essere un contratto.
Con cautela, Malcolm tirò su alcuni fogli e li spostò a poco a poco dall’altra parte del tavolo per coprire in parte le pagine davanti a Harriet. «Niente che ti interessi, George» intervenne con un mezzo sorriso. «Solo un po’ di affari. Come vanno le cose, a proposito? Dobbiamo andare a pranzo insieme uno di questi giorni…»
«A pranzo. Sì, certo» disse George pensieroso, poi scosse la testa.
Jen prima guardò sdegnata suo padre, poi si girò verso sua madre. Qualsiasi cosa stesse succedendo, le dava il voltastomaco. Per quanto la riguardava, erano decisamente fatti l’uno per l’altra. Gli affari venivano sempre condotti in quel modo? Con contratti loschi firmati a porte chiuse, minacce e promesse distribuite come banconote?
«Vedi, il guaio, Malcolm,» riprese George «è che non sono il tipo di persona che può venire a pranzo con un bastardo doppiogiochista come te.»
Jen corrugò la fronte, sorpresa, e Malcolm sollevò subito lo sguardo. «George» disse con un tono di voce minaccioso. «Non qui.»
«Oh, credo che qui sia il luogo e il momento perfetto, no?» si affrettò a dire George, mentre Jen e sua madre assistevano silenziose. «Lasciami indovinare quello che sta succedendo. Harriet, tu sei sul lastrico, e Malcolm è disperato. Fiuto un affare…»
Jen lo fissò. «Non essere ridicolo» disse irritata. «Mamma non concluderebbe mai un affare con uno come Malcolm Bray. Se qualcuno da queste parti sta facendo affari con lui, è più probabile che sia tu…»
Guardò Harriet in cerca di sostegno, ma notò che sua madre fissava il tavolo davanti a sé. Poi notò la penna che aveva in mano.
«Mamma?» riprese subito Jen. «Mamma, digli che non è vero…»
«Volevo solo salvare la mia società» rispose Harriet con voce sommessa. «Tuo padre si è scavato la fossa con le sue mani e io ho intravisto un’opportunità…»
«Avevi intenzione di concludere un affare con Malcolm Bray?» domandò Jen, incredula.
«Ne sta concludendo uno» si affrettò a precisare Malcolm, alzandosi in piedi. «Senti, George, non so che tipo di circo hai intenzione di mettere su adesso, ma è troppo tardi. Sono già stato dalle autorità, spiegando che hai orchestrato un tremendo giro di corruzione… e Harriet è d’accordo di avere noi come suoi clienti, adesso che la Axiom vuole ovviamente prendere le distanze dalla Bell Consulting. Se fossi in te, mi preoccuperei del mio futuro e non interferirei nei nostri affari.»
Jen fissò Malcolm, poi suo padre. «Allora è vero» disse rimanendo senza fiato. «C’eri tu dietro a tutto. Sei… sei un bastardo.»
George rimase impassibile. «Harriet, metti giù quella penna.»
Harriet lo guardò con aria di sfida. «Non dirmi cosa devo fare, George. Non provare mai a dirmi cosa devo fare.»
«Te lo chiedo per favore, allora. Per favore, metti giù quella penna. Non abbassarti, Harriet. Non lasciare che le cose arrivino a questo punto.»
La mano di Harriet si spostò lievemente in direzione del contratto. «Non ho scelta, George» disse con un filo di voce. «Non posso fare nient’altro.»
George corrugò la fronte. «C’è sempre un’alternativa. Ti tireremo fuori dai guai noi, se ti servono dei capitali. Dio, non vendere l’anima al diavolo appena la situazione diventa difficile.»
«Forse papà potrebbe pagare delle tangenti per te» intervenne Jen in tono caustico. «Vero, papà?»
George si girò e la fissò. «Tu mi odi proprio, vero?» domandò sconsolato.
«Non ti odio, papà, ti disprezzo. Per avermi convinta a credere in te. Per avermi convinta che avevo di nuovo un padre. Io mi fidavo di te.»
«E non potresti fidarti di nuovo? Se te lo chiedessi? Adesso, voglio dire.»
Jen corrugò la fronte. «Perché dovrei?»
«Perché sì. Ti fidi?»
Jen esitò, osservando la mano incerta di sua madre, l’espressione seria di suo padre. Non sapeva più cosa pensare. Ma dentro di sé aveva voglia di credere che suo padre non fosse implicato in quella faccenda, che ci fosse una spiegazione perfettamente plausibile. Anche se sapeva che era altamente improbabile, nel suo cuore voleva fidarsi di lui.
«Bene» disse pacata. «Ma se mi deludi…»
George annuì. «Ha ragione Malcolm. C’ero io dietro tutto» ammise lentamente, mentre Jen lo guardava come un avvoltoio. «O meglio, io ero dietro l’ultima serie di contratti. Ero piuttosto allibito del fatto che la Axiom continuasse a vincere un appalto dietro l’altro in Asia, visto che sapevo com’era scadente il loro lavoro, e quando ho sentito dire che i soldi passavano di mano, mi sono… be’, incuriosito.»
Malcolm guardava George con sospetto, ma fu Harriet a parlare.
«Lo sapevo» disse all’improvviso. «Lo sapevo che eri tu. E tu hai sempre saputo che Paul era implicato in questa faccenda e hai lasciato che lavorassi con lui, che mi fidassi di lui…»
«Paul?» la interruppe Jen. «Cosa c’entra Paul?»
«Chiedilo a tuo padre» rispose Harriet, lanciandogli un’occhiata torva. «È lui quello a cui piace giocare con le persone.»
Jen guardò suo padre in trepida attesa e George le rivolse un ampio sorriso.
«Hai di nuovo ragione tu» disse George. «Mi piace giocare con le persone. Quanto a Paul, è molto bravo nel suo lavoro. Un pessimo esperto di feng shui, ma immagino che non si possa avere tutto.»
«Come osi!» gridò Harriet. «Mi hai già rovinato la vita una volta e adesso tenti di farlo di nuovo.»
George inarcò le sopracciglia. «Se conosco Malcolm,» disse in tono malizioso «come credo di conoscerlo, suppongo che tu stessi tentando di rovinarmi la vita, per cui immagino che siamo pari. In ogni caso, io non ti ho mai rovinato la vita. Ho fatto un errore che riconosco, ed è stato fidarmi di Malcolm. Credevo che ci si potesse fidare dei vecchi compagni di scuola ed è quello che ho fatto. Ma me ne pento. Credimi, me ne pento.»
Jen corrugò la fronte. «Di cosa stai parlando?» domandò in tono perentorio. «Quando è che ti sei fidato di lui?»
«Quando mi ha detto che la sua azienda lavorava alla luce del sole. Tua madre ha tentato di convincermi a troncare ogni rapporto con lui, ma io mi sono rifiutato. Mi sono fidato di lui invece che di lei, cosa che è stata, me ne accorgo ora, un grosso errore. Un errore che stiamo tutti pagando adesso, in tanti modi.»
Jen corrugò la fronte. «Che vuoi dire?»
«Vuol dire che ho divorziato da lui per questo. Per questo e… anche per altre cose» rispose Harriet in tono cupo.
Malcolm inarcò le sopracciglia. «Sono felice di aver fatto una così grande differenza nella vostra vita» commentò in tono aspro. «Adesso, Harriet, forse potresti chiedere alla tua famiglia di allontanarsi, così possiamo riprendere la nostra riunione, che ne dici?»
«Io non me ne vado da nessuna parte» ribatté Jen decisa. «Voglio capire cosa sta succedendo.»
George ridacchiò e guardò l’orologio. «Lascia che te lo spieghi» le rispose pacato. «Quello che sta succedendo è che Malcolm sta per avere quello che si merita.»
Malcolm corrugò la fronte. «George, levati dai piedi, okay?» disse con rabbia.
«Oh, volentieri» ribatté George in tono affabile. «Ma non prima dell’arrivo della polizia.»
Malcolm e Harriet sollevarono di colpo gli occhi.
«Non voglio la polizia qui» si affrettò a dire Harriet. «Non c’è neanche Paul. Lui…»
«Sarà qui fra cinque minuti o giù di lì» la interruppe George. «Come la polizia. Mi dispiace, Malcolm, ma non si mette molto bene per te, vecchio mio.»
Malcolm scosse la testa. «George, non so cosa tu stia tentando di dimostrare, ma chiamando qui la polizia verrai solo spedito più alla svelta in prigione. Sei stato tu a organizzare le tangenti, a trasferire il denaro. La Bell Consulting non sopravvivrà mai a questo…»
«Ah, è qui che ti sbagli» intervenne George. «Vedi, quando hai pensato che io corrompessi i funzionari governativi per te, attraverso il nostro amico Paul, in realtà io stavo pagando il risarcimento a quei poveri disperati a cui tu avevi costruito la casa – se “costruire” è la parola giusta per quelle patetiche imitazioni di case che la tua azienda metteva su.»
Malcolm lo fissò. «Se è un trucco per coprire le tue mosse, George, non funzionerà…»
«Nessun trucco» ribadì George. Dopo un momento di silenzio, riprese: «In effetti, è una bugia. Il trucco c’era. Solo che era per stanare te, non me. Vedi, il nostro amico Paul magari è scarso come consulente di feng shui, ma è un detective infiltrato di prima classe. Uno dei più bravi dell’Indonesia».
Si girò verso Jen. «Puoi immaginare come il governo indonesiano avesse un grande desiderio di scoprire fino in fondo ogni sospetta corruzione, no?»
Jen annuì in silenzio.
«Bene, negli ultimi mesi Paul ha seguito ogni tuo singolo movimento, Malcolm. Ogni tangente, ogni bugia. Purtroppo non siamo stati capaci di rintracciare nessuna delle tangenti che hai pagato per ottenere i lavori di ricostruzione dopo lo tsunami, ma Paul e io abbiamo un corpo del reato piuttosto consistente per i tuoi successivi tentativi di corruzione dei funzionari che indagavano su di te. E per le minacce, naturalmente. Non c’è niente come la carota e il bastone per ottenere dei risultati, eh, Malcolm?»
Questi fissò George con aria impassibile.
«Solo oggi però ho capito che eri stato tu a far avere la lettera al Times a Natale. Sono stato uno stupido. Ma appena me ne sono reso conto, ho immaginato che tu potessi fare un tiro del genere.»
Jen rimase a guardare, mentre Malcolm stringeva gli occhi e suo padre le faceva l’occhiolino.
«Ammettilo, Malcolm, il gioco è finito. Mi hai privato di mia moglie e hai tentato di privarmi della mia azienda, e adesso mi piace pensare che, almeno in parte, mi prenderò la rivincita.»
Jen fissava suo padre, sbigottita. «Tu… tu…» balbettò, incapace di mettere insieme una frase intera.
«Non starò seduto qui ad ascoltare questa roba» si affrettò a dire Malcolm, radunando i suoi fogli e dirigendosi verso la porta. «Ne ho avuto abbastanza di voi due per il resto della vita. Harriet, l’affare è saltato. E George…»
Ma, prima che Malcolm riuscisse a terminare la frase, apparve sulla soglia Paul Song, accompagnato da due poliziotti in divisa. Sorrise educatamente a Jen, si inchinò a Harriet e indicò Malcolm, che venne subito ammanettato.
«Sei un bastardo, George» disse Malcolm con veemenza, mentre veniva portato via. «Ti ho sempre disprezzato, lo sai.»
«Così pare» replicò George in tono pacato. «Ma tu, Malcolm, avrai quello che ti meriti.»
«Per cui sei stata a letto con Malcolm? Iuuugh.»
Erano sedute in un pub dietro l’angolo della Bell Consulting e Jen fissava sua madre con aria incredula, cullando fra le mani un gin tonic, mentre George era al bancone a prendere un secondo giro di bevute. Jen si stava ancora riprendendo dalla scioccante rivelazione che, dopo tutto, suo padre era quello bravo, mentre Harriet aveva ancora problemi ad accettare il fatto che il suo esperto di feng shui e di confidenza era in realtà un ex poliziotto della milizia che le aveva comprato i cristalli da Woolworth’s. Tutto considerato, Jen ebbe la sensazione che stessero gestendo la faccenda piuttosto bene.
«È stato tanto tempo fa» tagliò corto Harriet. «Una vita fa.»
«Ma, Malcolm Bray?»
Harriet lanciò uno sguardo di avvertimento alla figlia. «Basta, grazie.»
«Mi dispiace averci messo un po’ troppo, mi sono imbattuto in una cliente al bancone» disse George, comparendo con un vassoio pieno di drink. «Basta cosa?»
Harriet lo guardò con aria colpevole. «Niente, George» si affrettò a dire. «Proprio niente.»
«Ancora non riesco a credere che tu non me lo abbia detto» ribadì Jen, guardando suo padre con aria accusatoria. «Per tutto questo tempo mi hai lasciato pensare che tu fossi coinvolto. Perché non ti sei fidato di me?»
«Sei stata tu a non fidarti di me» ribatté George con un sorrisetto. «E poi non volevo coinvolgerti. In ogni caso, hai mai sentito l’espressione “il fine giustifica i mezzi”?»
«Oh, fantastico, quindi io sarei stata “i mezzi”?»
George scosse la testa. «Ma no, ovvio. Malgrado i migliori tentativi di tua madre» disse sorridendo.
«Non capisco ancora bene» disse Harriet, scuotendo la testa e tentando di inquadrare la situazione.
«È semplice in realtà» spiegò George in tono spiccio. «Quando la Axiom ha vinto gli appalti in Indonesia, noi siamo rimasti basiti, sinceramente. Ho visto i documenti per la gara d’appalto: mancavano di competitività ed erano alquanto rabberciati. Ma non me ne sono molto preoccupato, finché non hanno cominciato a circolare voci su tangenti e affari loschi. Non mi piacciono gli affari loschi, soprattutto quando sono pericolosamente vicini alla mia azienda, per cui ho cominciato a scavare un po’. È stato allora che ho incontrato Paul, che stava indagando sulla faccenda per conto suo. Abbiamo ordito il nostro piccolo piano, così mi sono offerto di dare una mano a Malcolm in una situazione difficile presentandolo a Paul, che ha finto di essere un detective governativo corrotto. Malcolm insisteva per chiudere accordi alle normali condizioni di mercato – è un uomo in gamba, questo glielo riconosco – per cui io dovevo pagare Paul attraverso il nostro ufficio indonesiano.»
«Però non lo hai fatto» disse Harriet. «Sì, comincio a capire. Ma perché ti ci è voluto così tanto per inchiodarlo? E perché i giornali continuavano a dire che non c’erano indizi?»
George scrollò le spalle. «Colpa mia, temo. Non volevo che Malcolm sospettasse niente. Ci servivano prove concrete delle prime tangenti, così ho spedito un consulente in Indonesia per vedere cosa riusciva a trovare. Ovviamente era troppo tardi. E poi ci siamo accorti di quello che stava facendo Malcolm: stava elaborando dei piani affinché sembrasse che dietro ci fossimo noi fin dall’inizio. Maledetto. Se solo non fossi stato in ospedale per Natale, l’avrei capito al volo.»
Jen arrossì un po’, ricordando i suoi tentativi di tenerlo alla larga dalle notizie e dal lavoro. «Però» si affrettò a dire «adesso lo hai beccato!»
Harriet era inviperita. «Spero che Paul abbia abbastanza prove per metterlo dentro per un bel po’» disse in tono appassionato.
George annuì con aria saggia. «E per mandare in rovina la sua società e avere ripercussioni nel settore.»
Tacquero per alcuni minuti. Jen notò come i suoi genitori, quando erano insieme, apparissero diversi, in un modo o nell’altro. Sua madre sembrava più aperta, più cedevole, ma in un modo positivo, che le consentiva di mostrare la sua vulnerabilità. E suo padre, be’, non lo aveva mai visto così allegro. Anche se sospettava che la sua allegria avesse più a che fare con Malcolm Bray che con loro.
Dopo un po’, George si girò verso Jen. «Allora, come va il master?»
Lei lo guardò con aria incredula. Dopo tutto quello che avevano passato, lui voleva ancora sapere se sua figlia studiava?
«Mettila così» rispose Jen. «Stamattina ero pronta a mollare tutto, mentre adesso non ne sono più sicura. Ma, a essere sincera, ho avuto tante cose per le mani negli ultimi tempi,» lanciò un’occhiata significativa ai suoi genitori «per cui, a dire il vero, non sono granché avanti con il programma…»
«Non puoi mollare» replicò subito George. «Non essere ridicola. Su cosa è il tuo ultimo elaborato? Ti aiuteremo noi, vero, Harriet?»
Harriet rimase un attimo in silenzio, poi disse: «Be’, immagino che sarei in grado di dare una mano, anche se sai come la penso sugli MBA…».
«Mi hai costretto tu a iscrivermi» le ricordò Jen, incredula.
«Forza, allora, su cosa è l’elaborato?» domandò George, spazientito.
«Sul mercato librario» rispose Jen, sentendosi all’improvviso un po’ meno euforica. Non aveva più voglia di scrivere di editoria. Aveva perso l’entusiasmo per l’argomento.
«Il mercato librario?» intervenne Harriet. «Che tema strano da scegliere. Avrei pensato che fosse molto meglio una cosa tipo la responsabilità sociale d’impresa. Tesoro, sei così in gamba, dovresti scegliere un tema che dimostri realmente la tua abilità, non credi?»
Jen guardò sua madre dritta negli occhi. «Mamma, smetti di manipolarmi. Mi occuperò di librerie.»
Harriet sospirò. «Be’, se tu credi che sia una buona idea…»
«Certo che è una buona idea» commentò George in tono allegro. «Fra l’altro, la cliente che ho appena incontrato al bancone lavora nell’editoria. Si occupa della pubblicazione, non della vendita, ma è esperta del mondo dei libri più di chiunque altro io conosca. Dovresti incontrarla. Vuoi che te la presenti?»
Jen annuì con aria vaga. «Certo. Dammi il suo numero» disse.
«Quale numero, te la presento adesso. Devi cogliere le occasioni quando si presentano, Jennifer. Non rimandare mai a domani quello che puoi fare oggi.»
«Sono stanca, papà» si lamentò Jen. «Posso semplicemente bere il mio drink? Ti prego.»
Ma le sue parole caddero nel vuoto, George era già in piedi. «Vieni con me» le ordinò.
Controvoglia, seguì suo padre dall’altra parte del pub, dove vide una donna bionda molto glamour, seduta insieme a tre uomini di mezza età.
La donna alzò velocemente gli occhi e sorridendo incrociò lo sguardo di George, poi si girò verso Jen, che però era corrucciata.
«Anita, ti presento mia figlia, Jen. Sta seguendo un MBA alla Bell e scrive una tesina sulla vendita dei libri. Ho pensato che voi due dovevate conoscervi. Che ne dici?»
Anita accolse Jen con un sorriso luminoso. «Molto volentieri, George. Ciao, Jen. Per cui ti interessa il mercato librario, giusto?»
Jen la fissò, accigliata. Era la donna che aveva visto al ristorante, quella che Daniel aveva riempito di attenzioni.
«A dire il vero, non so se la mia tesina sarà ancora sul settore librario» si affrettò a dire, lo stomaco in subbuglio. Anita era l’ultima persona al mondo con cui voleva parlare. In effetti, non aveva voglia di stare lì a guardarla neanche un minuto di più.
«Ma di cosa stai parlando?» domandò George, perplesso. «Hai appena detto…»
«Ho detto che stavo pensando al mercato librario. Ho cambiato idea» lo interruppe Jen decisa, aggiungendo, prima di riuscire a fermarsi: «Ne ho avuto già abbastanza di librai e di librerie».
Anita la fissò, poi sgranò gli occhi. «Jen, non sarai mica la Jen di Daniel, vero?» domandò.
Jen la guardò in cagnesco. «Lo ero» rispose in tono tagliente, mentre suo padre la guardava, confuso. «Prima che decidesse di mollarmi per te.»
Adesso era Anita a essere confusa. «Mollarti per me? Di che diavolo parli? Daniel è innamorato pazzo di te» disse, sgranando gli occhi.
«Vi ho visti al ristorante» ribatté Jen, arrabbiata. «Senti, non c’è nessun problema, davvero. Stai pure con lui.»
«Ma io non lo voglio Daniel» ribadì Anita, l’espressione incredula. «Eravamo a pranzo insieme, tutto qui. Perché dovresti pensarla diversamente?»
Jen tentava di mantenere un tono di voce pacato, ma faceva fatica. L’ultima cosa che voleva era dare l’impressione di essere una fidanzata petulante davanti alla glamour Anita. E a suo padre.
«Ti ha baciata. E non mi ha chiamato. È stato spregevole con me l’ultima volta che l’ho visto, e appena me ne sono andata è scappato via per venire a pranzo con te…»
“Be’, non me la sto cavando benissimo per non apparire petulante” constatò.
Ma Anita sorrideva, non la guardava come fosse una bambina piagnucolosa. «Gli stavo dando dei consigli, Jen. Stava malissimo per il litigio che avevate avuto. Mi ha detto che si è comportato come un cretino assoluto e pensava che tu non lo volessi più vedere.»
Jen notò che suo padre vacillava. «In effetti, si è comportato come un cretino assoluto» ribatté Jen con un mezzo sorriso.
«E quando mi ha raccontato cosa ti ha detto» continuò Anita «ho concordato appieno con lui. Ma gli ho detto che se si fosse scusato per una settimana intera, magari lo avresti perdonato.»
Jen annuì e il suo sorriso si allargò.
«In ogni caso, mi ha baciato solo per ringraziarmi prima di correre a cercare te. Ha anche chiamato la Bell Consulting e ha scoperto che non c’eri, per cui aveva intenzione di andare a casa tua. Questa è l’ultima cosa che so, in ogni caso. Non ti ha trovato?»
Jen corrugò la fronte e scosse la testa. «Non è mai venuto» confessò, il battito del cuore accelerato dopo aver saputo che Daniel non andava a letto con Anita. Ma perché non era passato da lei? Cosa lo aveva bloccato? «Magari ha cambiato idea» ipotizzò, con la voce che scemava.
Anita scosse la testa. «No, era deciso a venire da te.»
Jen si lambiccò il cervello disperatamente. Era uscita? Era in bagno? Era…?
All’improvviso guardò Anita e tirò fuori il cellulare. «Gavin» disse in tono convulso. «C’era Gavin da me.»
Anita annuì per compiacere Jen, come se davvero sapesse chi era Gavin.
Jen compose un numero e rimase in attesa, la faccia che si accaldava lentamente. Sentì la voce di Gavin.
«Sì?»
«Gavin» esordì Jen. «Hai incontrato Daniel l’altro giorno? Quando sei uscito da casa mia, hai incontrato Daniel? E se mi dici una bugia, giuro che ti scuoio vivo.»
Ci fu un attimo di silenzio. «Forse sì.»
Jen sospirò rumorosamente. Sentiva l’adrenalina che le inondava il corpo. «E per puro caso, non gli hai mica detto niente che lo abbia convinto ad andare via?»
Un altro momento di silenzio. «Senti, Jen, forse gli ho detto che eravamo tornati insieme, più o meno. E che non volevi più vederlo. Ma pensavo solo a te. Partivo dall’ipotesi che se lui non fosse più stato sulla scena, magari tu e io potevamo…»
«Sei… sei un maledetto imbecille» gridò Jen. «Stupido, idiota…»
«Bastardo?» suggerì Anita.
«Bastardo» confermò Jen, riattaccando rapidamente. «Papà, devo andare» disse d’un fiato, girandosi sorridente verso Anita. «Grazie. E scusami se ho pensato che tu andassi a letto con Daniel.»
Anita sorrise. «Nessun problema. Magari potremmo andare a pranzo insieme uno di questi giorni per parlare della tua tesina. E a far ingelosire Daniel piuttosto?»
Jen annuì con gratitudine, diede un bacino a suo padre e corse fuori dal pub, fermandosi solo per dire a sua madre che se ne andava e rifiutandosi di dare ascolto al suo suggerimento di occuparsi di tutt’altro.