«Bentornati, ragazzi. Dunque, siamo alla seconda settimana del corso, il che significa che per le prossime sette o otto settimane daremo un’occhiata al funzionamento interno di un’organizzazione. Oggi, siamo molto fortunati ad avere un ospite che sa davvero il fatto suo…»
Mentre Jay, il direttore del master, presentava Daniel Peterson, il professore di analisi interna, Jen spuntò dalla porta e scivolò lungo il corridoio laterale dell’auditorium, infilandosi accanto a Lara, che la guardò incuriosita.
Mettendosi a sedere, fece involontariamente scivolare l’astuccio di Lara a terra e le sue matite si dispersero ovunque. Lanciando un sorriso di scusa alla sua compagna, Jen si abbassò rapidamente per raccoglierle, poi sedette al suo posto, notando che nel frattempo l’atmosfera era diventata un po’ troppo tranquilla.
Innervosita, si girò verso la cattedra, da dove il nuovo professore guardava dritto verso di lei. A quel punto, Jen fece cadere il suo blocco per gli appunti, provocando l’ilarità di quelli seduti intorno a lei. Diventò rossa come un peperone e lo fissò con aria incredula. Era lui. Era l’uomo che aveva incontrato alla toilette degli uomini alla cena di beneficenza.
«Mi scusi, stavo… ehm…»
La stava fissando. Evidentemente era tornata in mente anche a lui la stessa scena.
«Sì?» domandò.
Adesso quasi le sorrideva e Jen si rese conto che ormai era diventata paonazza. Oddio, avrebbe pensato che l’unica cosa che sapeva fare era chiedere scusa e arrossire. Eppure, stavolta per lo meno non era incollata alla porta della toilette degli uomini; per lo meno stavolta aveva solo fatto cadere a terra matite e fogli.
«Mi scusi» ripeté lei.
«Bene, allora.» Daniel guardò di nuovo i suoi appunti e lanciò un’altra rapida occhiata a Jen. Lei sentì il battito del cuore accelerare e distolse lo sguardo, raccogliendo rapidamente il blocco e abbassando la testa per prendere appunti. Quindi era un professore della Bell!
Non appena lui riprese a parlare, Jen poté osservarlo e ne notò i capelli scuri e gli occhi – marroni o verdi, non riusciva a capirlo da quella distanza –, l’espressione vivace. Non che le interessasse, si disse. Le interessava solo la sua materia. Corrugò la fronte: non le poteva importare di meno di quello che insegnava. Quindi forse le interessava lui, dopo tutto.
«Per cui, quando si intraprende un’analisi interna, si comincia all’inizio con l’analisi MOST» stava dicendo il professore. «Per i profani, significa Missione, Obiettivi, Strategia e Tattica, quattro aspetti che dovrebbero supportarsi a vicenda.»
Jen si scosse e cominciò a prendere appunti. Missione, scrisse. Obiettivi. Daniel Peterson. Daniel. Dan.
«La formulazione della missione può essere ampia quanto vi pare, ma deve indicare una direzione» proseguiva Daniel. «Qualcuno, mi dia il nome di un’industria in modo da rendere la cosa un po’ più realistica.»
Nessuno parlò.
«Lei cosa mi dice?» la stava guardando. Oddio, lui la stava guardando, e a lei non veniva in mente neanche il nome di un’industria.
«Che ne dici di un’azienda di preservativi?» le sussurrò Lara con una risatina, scrutando gli appunti che Jen aveva preso fino a quel momento. «O di motel…»
Jen le lanciò un’occhiata e con fare furtivo coprì i suoi fogli. Non riusciva più a pensare a niente.
«Forza, un’industria qualsiasi» la incoraggiò Daniel.
«Ehm…» esordì Jen, presa dalla disperazione. Doveva dire qualcosa. «Ehm… una fabbrica di preservativi?»
Una risatina attraversò la sala e Daniel sembrò lievemente colto alla sprovvista.
«Perfetto» commentò un po’ incredulo. «Perfetto, okay, una fabbrica di preservativi. Per cui, ehm…»
Guardò i suoi appunti, si passò le mani fra i capelli e sollevò di nuovo lo sguardo.
«Okay, allora. Quindi, una fabbrica di preservativi potrebbe decidere di diventare la più grande fornitrice di profilattici al mondo se desidera concentrarsi sulla crescita e sulla quota di mercato da conquistare, oppure potrebbe optare per promuovere la salute sessuale se volesse essere considerata un’azienda etica e attenta al benessere della gente. Nel primo caso, dovrebbe puntare in modo aggressivo alla conquista di nuovi mercati; nel secondo, potrebbe allearsi con enti quali l’Organizzazione Mondiale della Sanità per accrescere la consapevolezza delle malattie sessualmente trasmissibili e costruire il marchio come scelta informata. In entrambi i casi, i risultati previsti saranno maggiori vendite di preservativi e migliori margini di profitto.»
«Senz’altro un’azienda di preservativi cerca di penetrare il mercato» gridò qualcuno in fondo alla sala, scatenando una risatina sommessa.
«E di stroncare i concorrenti più duri» aggiunse qualcuno dall’altra parte dell’aula, suscitando applausi frenetici.
Jen si nascose la testa fra le mani, augurandosi di sprofondare sotto terra.
Daniel Peterson si forzò di guardare ovunque tranne che nella direzione della ragazza che aveva incontrato alla cena di beneficenza. La ragazza a cui di tanto in tanto aveva pensato tutta la settimana, sorridendo ogni volta che gli era capitato. Si era aspettato una noiosa cena piena di gente in abito da sera – non voleva neanche andarci e non ci sarebbe andato se il presidente della sua azienda non avesse prenotato un tavolo – e aveva avuto ragione del resto. Tranne che per lei. Lei non si era dimostrata affatto noiosa.
“Non guardarla” si ripeteva a mo’ di mantra. “Sei un docente. Concentrati sul compito che hai davanti.”
Non capiva perché trovava questa lezioncina così difficile. Certo, non era un professore universitario, né aveva qualifiche per insegnare, ma faceva regolarmente lezioni al corso senza alcun problema. “Ma proprio qui doveva spuntare fuori lei” si disse.
Si passò le mani fra i capelli per la terza volta in cinque minuti, un riflesso che aveva quando era nervoso e che talvolta lo costringeva a lavarsi i capelli due volte al giorno, soprattutto quando era stressato.
“Okay, fai del tuo meglio” si disse. Guardò nell’aula e vide un giovane in sovrappeso in prima fila. “Perfetto. Concentrati sul ragazzo grasso” si disse.
Non avrebbe dovuto chiedere a lei di suggerire un esempio, pensò sconsolato, ma in un modo o nell’altro non era riuscito a trattenersi. Aveva pensato a lei tutto il fine settimana e adesso eccola lì, davanti a lui, e lui era incapace di toglierle gli occhi di dosso. Ma per l’amor di Dio, perché aveva dovuto scegliere proprio una fabbrica di preservativi? Era così ovvio che la stesse fissando? Certo. Lei lo stava prendendo in giro. Era il suo modo di dirgli di fare marcia indietro.
O stava flirtando con lui?
Il ragazzo grasso lo guardava. Come se avesse appena detto qualcosa. Maledizione!
«Fantastiche osservazioni, presentate in modo articolato» si affrettò a commentare Daniel. Doveva allontanare il discorso dai preservativi e tornare alla formulazione della missione. Si accorse che involontariamente aveva distolto gli occhi e si costrinse a guardare di nuovo verso la prima fila. «Ma quello che sto tentando di spiegare in questo caso è che la formulazione della missione non è solo un’accozzaglia di parole che stanno bene insieme. Definisce la strategia. E se stando alla formulazione della missione l’azienda mira a fare del bene nel mondo, mentre la vostra tattica comporta la produzione della merce in fabbriche che sfruttano i lavoratori, allora c’è un problema evidente. Deve cambiare la missione, oppure la tattica.»
«Naturalmente le aziende non esistono per fare del bene al mondo» intervenne il ragazzo grasso. «Ma per fare soldi.»
Daniel corrugò la fronte e senza accorgersene si passò di nuovo le mani fra i capelli. «Sì, be’,» rispose serio «l’etica è un tema un po’ troppo vasto da affrontare oggi. Ma ci sono aziende la cui qualità fondamentale per essere appetibili sul mercato è un atteggiamento etico o ecosostenibile, o comunque lo vogliate chiamare. Prendete lo sviluppo del settore biologico o del caffè equo e solidale. Può essere una proposta irresistibile per i consumatori.» Vide Jen che lo guardava con fare furtivo e distolse lo sguardo.
«Ma d’altro canto la motivazione è sempre fare soldi. Solo che si fanno comportandosi bene» continuò il ragazzo grasso. «Se la gente smettesse di volere il caffè equo e solidale, le aziende smetterebbero di venderlo, no? Passerebbero a qualsiasi altro prodotto che i consumatori vogliono comprare. Le aziende devono dare profitti, altrimenti non sopravvivono.»
«Balle!»
Daniel alzò subito gli occhi: era lei.
«Mi scusi?» domandò, tentando di mantenere un’espressione tranquilla e normale – qualunque cosa volesse dire normale. In quel momento non se lo ricordava.
«È che sta dicendo delle fesserie pazzesche» riprese Jen, la voce carica di passione e le labbra accese dal maggior afflusso di sangue. Daniel si domandò come sarebbe stato baciarle, ma si riscosse. «Le aziende devono essere responsabili, non possono semplicemente operare come se non avessero un impatto sul mondo. Altrimenti sarebbe come dire che la corruzione non è un problema, finché ai consumatori non importa…»
«Be’, esatto» replicò prontamente il ragazzo grasso. «I piani di protezione governativi potrebbero essere considerati corrotti, a seconda del lato della barricata su cui uno si trova.»
Daniel alzò una mano. «Okay, ragazzi, grazie per i vostri contributi» si affrettò a troncare il discorso. “Pensa al lavoro” si impose deciso. “Concentrati sul problema.” «È un problema importante, in effetti» si ritrovò a dire. «E avete entrambi ragione, sotto molti punti di vista…» Si mise a pensare freneticamente. Non era il suo settore di competenza. «Ci sono due modi per guardare la questione» continuò, tentando di apparire tranquillo e sicuro di sé. «Si potrebbe sostenere, per esempio, che se un’azienda di preservativi ignora i milioni di africani che muoiono di AIDS, ben presto non avrà più un mercato per i suoi prodotti. Se le compagnie petrolifere non fanno la loro parte nell’incoraggiare l’efficienza energetica, dovranno biasimare solo se stesse quando il petrolio sarà esaurito e i loro profitti si prosciugheranno. Oppure, si può sostenere che obiettivi lodevoli come combattere la fame nel mondo e insegnare a leggere ai bambini dei paesi in via di sviluppo vadano benissimo, ma se non portano a un profitto, allora un’azienda non ha motivo di perseguirli. Eppure, nell’ambiente di oggi, l’etica sta senz’altro diventando sempre più un tema centrale. Le proteste contro la globalizzazione, per esempio, e i boicottaggi contro le aziende che ricorrono a fabbriche che sfruttano i lavoratori hanno in effetti un grosso impatto.»
Jen si ritrovò a fissare di nuovo Daniel. Non solo era l’uomo più bello che avesse mai visto, era anche in gamba.
Lara le diede una leggera gomitata e lei sussultò. «Chiedigli di uscire» le sussurrò con un mezzo sorriso. «Consideralo come un compito per casa».
Jen diventò rossa e contraccambiò il sorriso. «Credo che preferisca il ragazzo in prima fila» disse scrollando le spalle, mentre Daniel continuava a parlare, gli occhi puntati sulla prima fila per il resto della lezione.
All’ora di pranzo, Jen fece un salto nell’ufficio di Bill per dare un’occhiata ai suoi libri.
«Ciao, Jen!» Le fece un gran sorriso. «Cosa posso fare per te? Le basi del management? Tutto quello che avreste voluto sapere sul mondo del business ma non avete mai osato chiedere?»
Jen gli sorrise esitante. «Ha niente di Daniel Peterson?»
Bill rimase sconcertato e lei si pentì subito di averglielo chiesto. Avrebbe anche potuto dirgli: «Sa se Daniel Peterson è fidanzato?». Jen si chiedeva infatti se avesse una fidanzata. O una moglie.
«Non credo» rispose Bill, corrugando la fronte. «Daniel Peterson, hai detto? Non ho mai sentito questo nome, temo.»
«Lui, ehm, lavora qui» gli spiegò, incapace di trattenersi. «Fa lezione di analisi interna…»
Bill parve pensieroso, poi fece un gran sorriso. «Dan? Dan non è un professore universitario. È quello che chiamiamo un professionista di chiara fama. Credo che lavori nel settore delle librerie. Ogni tanto tiene delle lezioni come ospite.»
Jen annuì, tentando di nascondere il suo entusiasmo. Un libraio! Non era un dipendente della Bell dopo tutto – vendeva libri. Che lavoro fantastico! Non avrebbe mai pensato a un libraio, stratega aziendale, che teneva lezioni a un corso MBA, ma la cosa lo rendeva ancora più affascinante. Daniel non era un automa che lavorava nell’azienda. E ancora meglio, non lavorava per suo padre – almeno, non del tutto –, probabilmente lavorava in una piccola libreria molto carina e in modo carino esponeva libri di…
E se fosse stata una libreria specializzata in economia? Una persona che lavorava in una piccola libreria indipendente difficilmente sarebbe finita a tenere lezioni alla Bell Consulting, anche se solo come ospite. Avrebbe voluto domandare a Bill per quale libreria lavorava Daniel, ma riuscì a trattenersi appena in tempo. Per quanto ne sapeva, Bill avrebbe potuto conoscere molto bene Daniel, e lei non voleva che pensasse di trovarsi davanti una stalker.
«Allora» continuò Bill. «Magari qualcosa sui sistemi di informazione?»
Jen lo guardò seria e si ricordò i consigli di Tim sulle finanze della Green Futures.
«Ha qualcosa sulla gestione finanziaria?» chiese esitante. Era una domanda che non avrebbe mai pensato di porre in vita sua e non le uscì di bocca con molta disinvoltura.
«Livello iniziale o intermedio?» le domandò Bill con un gran sorriso.
«Tutti e due» rispose Jen decisa. «Se non è un problema.»
«Non c’è niente di male a essere un po’ ambiziosi» commentò Bill con un gran sorriso. «E fa’ con comodo. Non c’è molta richiesta per questi libri, in effetti.»
«Non capisco perché…» Uscendo, Jen gli fece l’occhiolino, strinse i libri al petto e si domandò se le sarebbero entrati nella borsa. Non li avrebbe portati a casa in metropolitana senza nasconderli, neanche per sogno.
Daniel Peterson era seduto alla sua scrivania e guardava fuori dalla finestra, profondamente assorto in riflessioni. Ci dovevano essere delle regole per uscire con le studentesse.
Tecnicamente lei era una studentessa? E lui era un docente? In effetti, no: per lui era solo un’attività secondaria. Era il secondo anno che insegnava. Lo aveva fatto più come favore che altro. E per il suo curriculum, ovviamente.
Ma, in entrambi i casi, era un’idea stupida. Non era comunque interessata a lui.
Dan aggrottò la fronte. Quando lo aveva guardato ed era diventata rossa… e poi tutti quei “mi scusi”, era semplicemente adorabile.
Ma era una cosa ridicola. Ovviamente. Daniel cercava solo un diversivo. Non sapeva neanche come si chiamasse e “la ragazza della toilette degli uomini” non era granché come nome. No, lei non c’entrava niente, si convinse; piuttosto, il fatto era che il suo lavoro l’annoiava. Doveva affrontare il problema alla radice, non farsi coinvolgere da una ragazza, per quanto strepitosa.
Prese il telefono. «Jane, potresti fissarmi un appuntamento con Frank questo pomeriggio? Grazie.»
Era quella la soluzione. Una riunione con il direttore finanziario avrebbe dovuto togliergli dalla testa qualsiasi idea di una storia d’amore.