Jen fissò il libro davanti a sé perplessa. La sua vita era caduta davvero così in basso? Era seduta nella biblioteca della Bell Consulting, fra tutti i posti possibili e immaginabili, a leggere un libro intitolato Le basi della finanza, che non era esattamente quello che aveva in mente quando aveva accettato la sfida di un’operazione sotto copertura.
Capovolse il libro e scostò la sedia dal tavolo. Certo, non voleva essere precipitosa. Ovviamente, doveva pianificare le mosse in modo accurato e mantenere un profilo basso in modo da non farsi beccare prima di scoprire qualcosa di importante. Ma c’era una linea sottile fra starsene zitta e buona e non fare un cavolo per paura di essere scoperta. E in quel preciso momento si stava perdendo sicuramente nel completo dolce far niente. Chiunque avrebbe pensato che aveva paura di vedere suo padre o qualcosa del genere. Paura di quello che avrebbe potuto scoprire. Chiunque avrebbe pensato che Angel aveva ragione su tutta la linea. Oppure avrebbero potuto pensare che Jen stava prendendo in considerazione la carriera di commercialista.
Chiuse il libro e sospirò. Se non avesse fatto qualcosa alla svelta, si sarebbe dimenticata il motivo per cui si trovava lì. Si alzò e si diresse verso la sezione della biblioteca intitolata Ciclo degli approvvigionamenti, che era vuota in modo rassicurante, e si incamminò lungo il corridoio, tentando di escogitare un piano.
Era come aveva detto Daniel, constatò. Doveva stabilire la propria missione e i propri obiettivi. Sviluppare una strategia.
Tornò al tavolo, prese carta e penna e si concentrò.
“Missione: porre termine alla corruzione in Indonesia e portare i responsabili davanti alla giustizia.”
Per un attimo, si crogiolò all’idea di avere una missione così nobile, poi però scosse la testa. Non era quella la sua missione. Quella era la sua strategia. La sua missione era proteggere le persone a cui era crollata la casa. Due volte. Persone convinte che aziende come la Axiom realizzassero quanto promesso. La sua missione era assicurarsi che stavolta le case fossero costruite bene, da aziende che ottenevano gli appalti per il loro curriculum, non perché erano abili a pagare tangenti. Ma come poteva Jen avere un impatto su una questione così importante? Dato che c’era, avrebbe potuto anche scegliere come missione “la pace e la fine della fame nel mondo”.
Ecco, sì, quella era un’idea.
Decise di saltare subito alla riga successiva. Strategia: smascherare il ruolo della Bell nel giro di corruzione – in particolare il ruolo di un certo George Bell – e avvisare le autorità.
Si mise comoda, immaginandosi di consegnare suo padre alla polizia in stile Scooby Doo. Lui l’avrebbe guardata con rabbia e avrebbe detto che sarebbe riuscito a farla franca se non fosse stato per colpa di una bambina impicciona…
A parte il fatto che Jen non stava per scoprire niente. Non sapeva nulla di più di quello che sapeva molte settimane prima. E non era più una bambina impicciona.
Cosa farebbe Gavin, si domandò, tentando di immaginare il suo ex ragazzo al posto suo. Per quanto le scocciasse ammetterlo, Gavin era piuttosto bravo in queste cose, sembrava sapesse sempre cosa fare, riusciva in ogni occasione a coinvolgere tutti per farsi aiutare. Magari era quello il suo problema: era talmente abituata a eseguire e prendere ordini che non sapeva da dove cominciare quando non c’era nessuno a dirle cosa fare.
Corrugò la fronte. Non voleva prendere ordini. Soprattutto non da Gavin. Ce l’avrebbe fatta da sola. Doveva solo iniziare. Trovare un sistema.
Guardò il suo elenco e si rese conto di quanto fosse patetico. Di quanto fosse patetica lei. Angel aveva ragione: era stata un’idea stupida. A meno che non avesse davvero intenzione di entrare nell’ufficio di suo padre e frugare nei suoi file, che senso aveva stare lì? Nessuno, ecco la verità. Era solo l’ennesima idea folle di sua madre e lei era stata incredibilmente stupida da assecondarla.
Rimise di nuovo a posto il blocco per gli appunti e uscì dalla biblioteca. Forse avrebbe dovuto mollare il corso, pensò scoraggiata. Forse avrebbe dovuto fare qualche altra cosa nella sua vita, qualcosa che l’avrebbe fatta arrivare realmente da qualche parte. Quella del corso era stata una pessima idea fin dall’inizio e rimanere lì era semplicemente aggiungere offesa al danno.
Ma cosa avrebbe potuto fare? Tornare alla Green Futures?
Mentre percorreva lentamente il corridoio, pensò che non sarebbe stato poi così male. Almeno non avrebbe dovuto finire l’elaborato per il corso di analisi interna.
Si diresse all’ascensore e si fermò ad aspettare che arrivasse, scrutando il suo riflesso sulle porte a specchio ricurve.
“Vado a fare una passeggiata” si disse. “Vado a passeggio e mi chiarisco le idee. E se decido di mollare, ben venga. Mamma dovrà farsene una ragione.”
Udì dei passi scattanti lungo il corridoio e, alzando gli occhi, vide Jack, il consulente che aveva incontrato alla cena di beneficenza e in ascensore, insieme a un collega che però non riconobbe. Jen spalancò gli occhi. Ci mancava solo quella: un altro consulente con la puzza sotto il naso che parlava degli studenti contestatori.
Ma i due uomini sembrarono non accorgersi della sua presenza, mentre aspettavano l’ascensore insieme a lei.
«Lui vuole dei biglietti per l’Indonesia?» domandò uno dei due con aria cospiratoria.
«Già» rispose l’altro. Era l’uomo con cui Jen aveva discusso in ascensore. «Chissà per quale cavolo di motivo. Vuole che gli siano consegnati personalmente.»
Jen distolse lo sguardo. Aveva già deciso di andarsene, si disse. La faccenda non le interessava affatto.
«Sei in fase ascendente adesso?»
«Secondo te?»
«Credi che abbia a che fare con la Axiom?»
Il tizio con cui Jen aveva discusso guardò il collega con disprezzo. «Non ci avrei mai pensato» commentò in tono sarcastico, mentre arrivava l’ascensore.
La porta si aprì emettendo un suono acuto.
«Questo scende» disse il tizio polemico, lanciando un’occhiata a Jen. «Lo prende?»
Jen aggrottò la fronte.
«In effetti, no» rispose alla fine Jen, con un sorriso nervoso sulle labbra. «Mi sa che salgo.»
I due consulenti si allontanarono a passo svelto senza prestare la minima attenzione a Jen, che uscì esitante dall’ascensore e tentò di orientarsi. Quindi, quello era l’ottavo piano. Era lì che suo padre lavorava, e lì si riuniva il consiglio di amministrazione. Jen c’era già stata, tanti anni prima, ma in quel momento le sembrava fosse accaduto in un’altra vita. Le sembrava diverso adesso, più piccolo, e non ricordava più il percorso che aveva fatto.
Avanzò lentamente lungo il corridoio, tentando di apparire disinvolta, come se avesse mille ragioni al mondo per trovarsi lì. Se glielo avessero chiesto, avrebbe risposto che si era persa, decise. Che stava cercando la biblioteca. Oppure il suo tutor. Oppure…
«Salve, cara. Posso aiutarla?»
Una donna sulla cinquantina le sorrideva. Jen contraccambiò il sorriso. «Ehm… cercavo il bagno, a dire il vero» si affrettò a rispondere.
«È proprio qui, cara. All’angolo.»
Jen guardò la grossa scritta SIGNORE e sorrise imbarazzata. Si diresse verso la porta, ma un attimo prima di entrare lanciò un’occhiata furtiva dietro di sé e vide i due consulenti che varcavano la soglia di un grande ufficio con la parete a vetro, nella parte opposta del piano. Era una stanza che riconosceva. Vide un uomo che si alzava per salutarli. E l’uomo, si accorse con un sussulto, era suo padre.
«Abbiamo i biglietti, signor Bell. Allora, a cosa servono?»
George fissò Jack come per dirgli che era una domanda da non fare. Jack distolse lo sguardo imbarazzato.
«Peter ha detto che quelli della Green Futures hanno partecipato in massa alla cena per lo tsunami l’altra sera» intervenne rapidamente il suo collega. «A quanto pare, sua, ehm… Harriet… la signora Keller… ha parlato molto della Axiom con la gente. Dando a intendere che la Bell possa essere implicata nelle… ehm… nelle accuse di corruzione. Pensavo… pensavo che volesse saperlo.»
George prima fissò lui, poi Jack, ed entrambi indietreggiarono.
«Grazie, vi ringrazio tutti e due» disse George in tono burbero. «E per la cronaca, il giorno in cui la Bell Consulting comincerà a preoccuparsi dei pettegolezzi sarà il giorno in cui voleranno gli asini. Sono stato chiaro?»
«Nel modo più assoluto, signor Bell.»
I due consulenti se ne andarono, e George tornò lentamente alla sua scrivania. Cosa stava combinando Harriet? C’era da preoccuparsi? Scrollò le spalle. Harriet combinava sempre qualcosa. Non aveva senso allarmarsi. Non c’era niente che Harriet amasse più dei pettegolezzi, delle storielle. Lei non sapeva niente e George era fiducioso che la situazione sarebbe rimasta tale e quale.
Non era mai riuscito a capire come una persona intelligente come Harriet potesse essere al tempo stesso così profondamente stupida. Ricordava ancora il giorno in cui lei era entrata nel suo ufficio, da semplice segretaria, e gli aveva detto che il documento che stava battendo a macchina per lui era del tutto sbagliato e che lei aveva un’idea migliore. George se ne era innamorato lì su due piedi, sbalordito per la sua sicurezza, la sua disinvoltura e, ovviamente, la sua idea, che risultò fantastica. Ma il giorno successivo l’aveva sentita dire con lo stesso tono pressante che gli alberi erano creature molto più spirituali degli esseri umani. Era dispersiva, concluse George. Non avrebbe mai riflettuto su una sola idea abbastanza a lungo da realizzarla. Harriet non era una grossa minaccia.
Era straordinario, rifletté, che fosse riuscita a dirigere la sua azienda per così tanto tempo. Era straordinario come i suoi collaboratori fossero capaci di lavorare con lei malgrado gli umori mutevoli e la soglia di attenzione pari a zero o quasi che la contraddistinguevano.
Be’, almeno adesso lui ne era fuori. Almeno non era più suo marito. Che matrimonio era stato il loro, pensò sconsolato. Quanta fatica!
Eppure… ne aveva tratto anche un po’ di gioia. Grazie a Jen, soprattutto. Jennifer Bell, sua figlia. Ne era stato così fiero e aveva riposto in lei grandi speranze.
George si girò e guardò fuori dalla finestra. La vita era piena di compromessi, pensò scoraggiato. Piena di scambi di favori e di affari accomodanti. C’era qualcuno che riusciva ad avere esattamente quello che voleva? E lui c’era riuscito? Perfino quando erano ancora una famiglia, non vedeva quasi mai Jen. Lui era sempre molto impegnato a costruire il suo impero, a costruire un futuro. E poi sua figlia era sparita e lui si era accorto che la conosceva a malapena.
E comunque, si disse, girandosi di nuovo verso la scrivania, non aveva senso piangere sul latte versato o domandarsi cosa sarebbe potuto accadere. Era molto meglio andare avanti con il lavoro da fare.
Sospirò. A volte si domandava se sarebbe stato un padre migliore nel caso avesse avuto un figlio maschio. Qualcuno con cui parlare di affari, con cui praticare sport. Le donne erano così… complicate. Perfino adesso, perfino alla sua età, trovava difficile capirle. Le donne volevano parlare di continuo, si mettevano a litigare per sciocchezze. Per George il mondo era un luogo semplice in bianco e nero. Ma ogni donna che aveva conosciuto sembrava decisa a trasformarlo a tutti i costi in una massa grigia incerta e cangiante. George si alzò, si diresse alla porta e si sporse fuori.
«Emily, perché le donne sono così complicate?» chiese alla sua assistente personale.
Lei lo ignorò, come sempre. «Signor Bell, ho il signor Gates in linea. Chiede se è possibile per lei fare un salto da lui in settimana.»
«Okay. Passamelo pure. E poi, Emily, un caffè sarebbe perfetto. Me ne porteresti uno macchiato?»
«Intende dire un decaffeinato macchiato?» ribatté Emily in tono concreto, ignorando la sua smorfia.
George tornò spedito alla sua scrivania, prese il telefono e allontanò dalla mente ogni pensiero su Jennifer.
Dall’altra parte del corridoio, Jen lo osservò con grande attenzione prima di incamminarsi lentamente verso il settimo piano.
Harriet Keller si guardò intorno con cautela. Doveva in qualche modo ritrovare l’energia dei vecchi tempi, riportare in auge la Green Futures. E c’era da augurarsi che quella presentazione cogliesse nel segno ed entusiasmasse di nuovo tutti quanti.
«Quindi vi rendete conto» disse in tono energico alla cinquantina di impiegati della Green Futures radunati nella sala riunioni «che dobbiamo utilizzare la passione. La comprensione. Tutt’intorno a noi, le multinazionali cominciano a capire che non possono più ignorare la comunità, non possono più ignorare il riscaldamento globale e la povertà. Noi continueremo a sostenere l’integrità e l’amore. E così facendo, cambieremo il mondo.»
Mentre tornava a sedere, ascoltava, nervosa, gli applausi dei dipendenti. Harriet aveva bisogno di applausi, aveva bisogno di lodi e di conferme, e lo sapeva. Non era una cosa di cui andava particolarmente fiera. Era consapevole che si trattasse di una debolezza, che avrebbe dovuto fregarsene di quello che pensava la gente, ma la verità era che a lei importava moltissimo. Non c’era niente che le desse più motivazione dell’adulazione degli altri; niente che la spronasse di più dell’opportunità di dimostrare il proprio valore – o più spesso, di dimostrare che qualcun altro aveva torto. Aveva messo su quella azienda solo per dimostrare al suo dannato ex marito che ce l’avrebbe fatta, ed era stato un trionfo. Ma adesso quella particolare motivazione non era più convincente come un tempo. E in quel periodo neanche la stampa era molto interessata alle sue vicende. Harriet sospirò, ma sorrise appena vide Paul che la stava raggiungendo.
«Che te ne è parso?» domandò subito, tentando di apparire allegra e sicura.
Lui la guardò serio. «Brava, molto brava» rispose. «L’ho trovato un discorso molto… ispiratore.»
Gli occhi di Harriet si illuminarono, mentre sorrideva con gratitudine. «Oh, sei troppo carino, Paul, davvero. Allora ti è sembrato decente?»
«Era molto più che decente» si affrettò a rispondere. «Non dovresti dubitare così tanto di te.»
«Oh, lo so» commentò Harriet con un sospiro. «Ma è molto dura stare al vertice. Davvero. Tutti ti chiedono sempre di più… e tentare di gestire il mio tempo… mi sfinisce. Soprattutto quando Tim continua a ripetermi senza sosta che dovremmo spendere meno. Non sono capace di dirigere un’azienda senza spendere soldi, Paul. Non ne sono davvero capace.»
«Andrà tutto bene» la rincuorò Paul con un tono sereno. «Ti preoccupi troppo, Harriet. Abbi più fiducia nelle tue capacità.»
Gli prese la mano. «Oh, Paul, non so cosa farei senza di te. Sei l’unico che mi capisce davvero, sai. L’unica persona che capisce quello che sto tentando di costruire, che riesce a vedere la portata del mio lavoro.»
Paul sorrise, ma appariva un po’ imbarazzato. «Faccio del mio meglio» commentò laconico.
«La prossima settimana» disse all’improvviso Harriet «dovremmo dare una festa. Qualcosa per suscitare di nuovo entusiasmo nella gente. Cosa ne pensi?»
Paul annuì serio. «Credo che sia un’idea fantastica. Purtroppo io non ci sarò. Devo vedere un cliente in Scozia.»
Harriet parve avvilita. «Devi andare via? Ma cosa farò senza di te?»
«Starò via solo pochi giorni. Credo che te la caverai. Anzi, ne sono sicuro.»
Harriet annuì con aria stoica. «Sì, me la caverò» disse con un mezzo sorriso. «Con il tuo sostegno, Paul, so che ce la farò.»
Tornò nel suo ufficio, borbottando con voce sommessa e progettando nella sua mente una festa per il ritorno di Paul. Avrebbe invitato tutti i giornalisti che l’avevano intervistata nel corso degli anni. Avrebbe tenuto un altro breve discorso. Magari alludendo alla Bell e alle accuse di corruzione. Avrebbe mostrato al mondo quanto fosse importante il contributo suo e della sua azienda a difesa della verità e della giustizia e… Il borbottio di Harriet cessò di colpo appena vide che Tim, il contabile, la stava aspettando.
«Harriet, ho bisogno che tu controlli i conti insieme a me» le disse subito lui.
Con un gesto della mano, Harriet lo mandò via. «Tim, adesso non ho proprio tempo. Credevo di averti assunto per occuparti delle finanze al posto mio, giusto?»
Tim sospirò. «Sono un commercialista, Harriet, non un mago. Il fatto è che abbiamo un’emorragia di denaro contante al momento e dobbiamo fare dei tagli da qualche parte.»
Harriet corrugò la fronte e si ricordò le parole di Paul. Doveva avere più fiducia nelle proprie capacità. Come aveva ragione! Se solo Tim avesse visto le cose nello stesso modo.
«Tim, qual è la missione della Green Futures?» gli domandò, guardandolo attentamente.
Tim si accigliò. «Attività olistiche, crescita olistica» bofonchiò.
«Esatto. E per crescere servono fondi, Tim, lo sai. Magari adesso i soldi che escono sono più di quelli che entrano, ma credo che stiamo facendo la cosa giusta. Tu non lo credi, Tim?»
Lui la guardò perplesso. «Certo che ci credo, ma se perdiamo ancora altri soldi, noi…»
Harriet si portò le dita alle labbra e Tim tacque. «Dobbiamo investire per crescere» gli disse in tono pacato, ricordandosi le parole che aveva utilizzato per la sua prima intervista al Financial Times. «È proprio perché le aziende si concentrano oltremodo sui profitti e gli utili che continuano a succedere i disastri aziendali. Abbi fede, Tim.»
Lui annuì e lasciò l’ufficio, mentre Harriet si sedeva alla scrivania. Le aveva mandato tre e-mail, tutte contrassegnate come «URGENTI», e lei le aveva cancellate una dopo l’altra.
“Concentrati” si disse. “Tim può occuparsi delle cifre, io devo concentrarmi sul quadro generale. E sull’organizzazione della festa.” Contenta di avere un piano di azione, sorrise e prese il telefono.
Tim se ne tornò stancamente nel suo ufficio.
«Non è stata una riunione proficua?» domandò Mick, il suo assistente, con aria impassibile.
«Tu che dici?» ribatté Tim, con un tono di voce da sconfitto.
«Quindi non crede che un buco da un milione e mezzo di sterline sia un po’ preoccupante?»
«Non ho avuto modo di dirglielo, sai?» confessò Tim. «Mi ha spiegato che concentrarsi sugli utili ha portato le imprese all’avidità.»
Mick inarcò le sopracciglia. «Per cui andremo a farci un bel pranzo costoso da inserire fra i rimborsi, giusto?»
Tim sospirò. «Non vedo perché no» rispose, posando i suoi fascicoli. «Se tutti gli altri spendono soldi come se crescessero sugli alberi, non vedo perché non dovremmo farlo anche noi.»