Jen si strinse il cappotto addosso e osservò l’alito che formava una nuvoletta di vapore nell’aria fredda dell’autunno. “Sarà bene che si tratti di una faccenda importante” pensò stizzita, guardando l’orologio per la seconda volta. Sua madre aveva insistito per parlarle e le aveva proposto un incontro clandestino al parco. Come se lavorassero per i servizi segreti o qualcosa del genere.
Forse era ingiusta nei suoi confronti. Forse sua madre aveva avuto accesso a informazioni importanti, e qualcuno la pedinava. Alle grandi società non piace essere smascherate. Magari erano entrambe in pericolo.
Jen rise di se stessa. “Troppi programmi alla TV”, pensò, scuotendo la testa e rimproverandosi per essersi fatta contagiare dall’isteria di sua madre. Harriet viveva in funzione delle emozioni, della comparsa del pericolo e del mistero. Cosa avrebbe fatto se si fosse mai trovata ad affrontare un pericolo reale, Jen però non lo sapeva.
Guardò di nuovo l’orologio. Aveva una lezione nel pomeriggio con Daniel e voleva trovare un ottimo posto, nelle prime file. Se arrivava in ritardo perché sua madre non riusciva a rispettare gli appuntamenti, Daniel non ne sarebbe rimasto ben impressionato.
«Tesoro, eccoti qua!» Harriet era senza fiato e stringeva fra le mani una tazza di caffè per scaldarsi.
«Mi sorprende che tu mi chiami “tesoro”. Non dovremmo usare dei nomi in codice o qualcosa del genere?» le disse Jen con un mezzo sorriso.
Harriet ci pensò su, poi vide l’espressione di sua figlia e sospirò.
«Davvero, tesoro, non capisco perché tu debba essere così difficile. Dài, non è carino qui?» Si sedette sulla panchina accanto a lei e si guardò intorno. «Adoro l’autunno a Londra, e tu?»
Jen la guardò incuriosita. «Siamo venute qui per parlare del tempo?»
Harriet scosse la testa e si girò verso la figlia, gli occhi scintillanti. «No. Ho delle novità.»
Jen avvertì un brivido lungo la schiena. «Anch’io. Sono andata all’ottavo piano l’altro giorno, e dei tizi hanno portato a papà dei biglietti per l’Indonesia.»
«Va in Indonesia? Quando?»
«Non lo so» ammise Jen. «Ma tenterò di scoprirlo. E le tue novità?»
«Darò una festa!»
Jen corrugò la fronte. «Tutto qui? Mi convochi su una panchina al parco per dirmi che darai una festa?»
Harriet guardò sua figlia con aria disperata. «Una festa per celebrare un nuovo inizio. È importante, Jen. Parlando con Paul, ho capito che mi sono fatta coinvolgere troppo dal trantran che implica la gestione di un’azienda. Devo guardare oltre, devo tornare alla mia missione fondamentale. Essere un faro! Inviterò la stampa. Farò tornare in auge la Green Futures!»
«Con una festa?» ribatté secca Jen. “Perché mi sorprendo?” si domandò stizzita.
Harriet affilò lo sguardo. «Sì, Jen. Con una festa.»
«Tim mi ha detto che hai qualche problema con i flussi di cassa. Puoi permetterti una grande festa?»
«Tim dovrebbe mettere in moto il cervello prima di aprire bocca. Senti, Jen, non mi servono consigli su come gestire la mia azienda da qualcuno che crede che il mondo vada avanti con i fogli di calcolo. Pensavo che tu mi avresti capito… Paul andrà in Scozia la prossima settimana, e ho pensato che magari ti avrebbe fatto piacere dare una mano…»
Jen fissò sua madre, allibita. «Non mi avrai fatto venire fin qua per parlare con me di una festa, vero? Solo perché il tuo caro Paul si è all’improvviso accorto di avere cose più importanti da fare…? Mamma, ti sei vista? È una follia. Io dovrei essere a lezione adesso. Pensavo che tu avessi cose importanti da dirmi.»
Harriet la guardò a occhi sgranati. «Capisco. Quindi la Green Futures per te non è importante? Suppongo tu sia troppo impegnata con il tuo master.»
«Che non starei seguendo se non fosse per te e le tue fantastiche idee.»
«Bene, se non ti interessano le mie fantastiche idee, allora non so proprio cosa tu ci faccia qui» ribatté Harriet risentita. «Mi dispiace deluderti, Jennifer. Sto solo facendo del mio meglio, sai. Tentando di tenere in piedi tutto, come sempre…» disse, alzandosi.
Jen sospirò. Era la carta preferita di Harriet, quella che usava sempre per riuscire vittoriosa in ogni discussione. “Sono una madre single e un’imprenditrice indipendente e sto tentando di salvare il mondo da sola” era la sua carta vincente e Jen non avrebbe mai potuto batterla.
«Stai facendo più che del tuo meglio» cedette Jen. Non valeva la pena discutere con Harriet, affrontare i suoi lunghi silenzi, il suo labbro tremulo e gli infiniti incontri di rappacificazione in cui sua madre non solo doveva avere l’ultima parola ma anche tutte quelle precedenti. E comunque, non era colpa di Harriet. Jen non era irritata solo con lei.
«Sono frustata perché io stessa non sto facendo del mio meglio» confessò Jen, scrollando le spalle. «Non sono sicura di essere la miglior spia che ci sia sulla faccia…»
«Facciamo tutti quello che possiamo, Jennifer, e nessuno può chiederci di più» la interruppe Harriet con un mezzo sorriso e un tono di voce che sembrava già molto più sereno. «Adesso, sarà meglio che vada e cominci a pianificare la festa, se devo sbrigare tutto da sola. C’è un sacco di lavoro da fare, ma so che ne varrà la pena. Fammi sapere cosa scopri del viaggio in Indonesia di tuo padre, okay?»
Jen annuì e rimase seduta immobile, mentre Harriet la baciava sulla testa prima di incamminarsi a passo spedito nel parco.
“Povero Tim” pensò Jen, osservando sua madre che scompariva. “Poveri tutti noi!”
Jen rimase a sedere un minuto, a guardare la gente che camminava e a godersi la pace e la tranquillità del parco. Poi prese la borsa. Era l’ora di darsi una mossa.
Qualcuno si sedette accanto a lei e Jen lo prese come il segnale che era arrivato il momento di alzarsi e andarsene. Ma, mentre si metteva la borsa in spalla, quella persona le rivolse la parola.
«Allora, è qui che fai la tua analisi interna?»
Jen alzò gli occhi, sbigottita, e sentì lo stomaco rigirarsi. Era Daniel.
«Io… ehm… be’, per modo di dire» rispose cauta, felice che l’aria fredda le impedisse di diventare rossa stavolta. Era ancora più bello visto da vicino, con piccoli ricci all’attaccatura dei capelli e le ciglia più lunghe che avesse mai visto sul viso di un uomo.
«Quindi… lavori da queste parti?» domandò Jen dopo un attimo di silenzio. «Lavori nel settore della vendita dei libri, giusto? Io sono Jen, fra parentesi.»
Daniel rise. «Piacere, Jen. Io sono Daniel.»
Jen inarcò le sopracciglia e lui parve un po’ imbarazzato. «Sì, okay, suppongo che tu lo sapessi già.»
Daniel distolse lo sguardo rapidamente come per recuperare in qualche modo il controllo della situazione. «In ogni caso, mi chiedevi del mio lavoro? Immagino che si possa dire che mi occupo della vendita dei libri» disse disinvolto. «Anche se di rado riesco a venderne uno in questo periodo. La conosci la Wyman’s?»
Jen annuì. La Wyman’s era una delle catene di librerie più grandi e aveva negozi sparsi in tutta Londra.
«Ci sono stata proprio l’altro giorno.»
«Allora sai per chi lavoro.»
Jen si domandò cosa poteva dire a questo punto. Non ne sapeva granché di come si fa a vendere libri, lei li comprava e basta, ma suppose che probabilmente non fosse la stessa cosa.
«Mi ha colpito quello di cui parlavi l’altro giorno» disse Jen, dopo un altro momento di silenzio. «La scelta fra l’etica e il profitto, voglio dire. È un tema su cui ho riflettuto molto.»
Daniel la guardò con interesse e Jen si ritrovò a fissarlo negli occhi – che, si rese conto, erano di un marrone verdastro chiaro – senza riuscire a distogliere lo sguardo da lui.
«Per chi lavoravi prima del master?» le domandò. Jen riuscì a distogliere gli occhi solo per un attimo prima di ricominciare a fissarlo.
«Per la Green Futures» rispose. «Una società di consulenza.»
«La conosco» si affrettò a dire Daniel. «Harriet Keller, le truppe d’assalto del business etico. Lavori a stretto contatto con lei?»
Jen annuì.
«Be’, capisco perché ti interessi l’etica, allora. A essere sincero, non è proprio la mia specialità – ne saprai molto più tu di me se hai lavorato con Harriet Keller. Volevo solo trasmettere il concetto che devi sapere quello che vuoi, altrimenti non hai la minima possibilità di ottenerlo. Dài, mi sa che dobbiamo incamminarci verso le Bell Towers, no? Non devo tenere una lezione che ti annoierà a morte, alle tre?»
Jen fece un gran sorriso e si alzò. Anche se sul suo cappotto si stavano formando piccole goccioline di ghiaccio, Jen sentiva un caldo incredibile mentre si dirigeva insieme a Daniel verso la Bell.
Adesso Jen sapeva benissimo cosa voleva. L’unica cosa era capire come arrivarci. Magari le idee di sua madre non erano così malvagie in fondo, osservò mentre camminava verso l’ufficio, continuando a sbirciare Daniel lungo tutto il tragitto. Magari la situazione stava finalmente prendendo una piega migliore.
Il fine settimana, Jen si ritrovò al tavolo da cucina a tentare di scrivere l’elaborato di analisi interna. Ogni volta che buttava giù qualcosa, lo leggeva con gli occhi di Daniel e lo cancellava subito. Troppo ingenuo, troppo stravagante, troppo noioso. Voleva scrivere un compito che lo avrebbe portato a guardarla sotto una luce diversa. Un compito che lo avrebbe lasciato a bocca aperta, che gli avrebbe fatto venire voglia di parlarle ancora, magari a cena fuori…
Si scosse. “Nessuno si è mai innamorato grazie a un compito” si disse decisa. E se anche fosse accaduto, Jen era sicura che non si sarebbe trattato di un elaborato di analisi interna.
Esaminò di nuovo la traccia del compito. “Conduci un’analisi interna di un’organizzazione o un’industria a tuo piacere, usando i modelli e le teorie discussi durante il corso”. Per lo meno era chiara. Non era una domanda a tranello. Però era anche una traccia che ispirava come… be’, qualcosa di nient’affatto ispirante. Jen sospirò.
A meno che… corrugò la fronte. Se avesse scritto un’analisi interna su una libreria avrebbe catturato l’attenzione di Daniel, no? Se fosse riuscita a scovare idee che lui non aveva neanche mai preso in considerazione… Okay, magari era improbabile, dato che Jen studiava analisi interna solo da poche settimane, mentre lui la insegnava. Eppure, Daniel avrebbe potuto trovarla interessante. Avrebbe anche potuto sentirsi lusingato.
Sorridendo, Jen si alzò e si preparò una tazza di tè prima di rimettersi al lavoro.
«Ho ordinato il tuo solito.»
Jen fece un gran sorriso ad Angel. «Grazie.»
«Quindi hai lavorato tutta la notte? Cioè, hai scritto davvero un elaborato? Credevo che tu facessi il master controvoglia.» Angel aveva un’espressione incredula.
«Lo so, sono rimasta sorpresa anch’io. Ma c’è questo tipo che ci tiene un corso. Daniel. Volevo… be’, volevo che il mio elaborato fosse ben fatto.»
Angel rise. «Ti sta cominciando a piacere il master, vero? Finirai a lavorare come consulente della Bell o qualcosa del genere. È di un’ironia straordinaria…»
Jen fece una smorfia. «Non diventerò una consulente della Bell. E sono tuttora convinta che gli MBA siano mostruosi. Ma visto che devo farlo, tanto vale che lo faccia per bene… Conosci il tuo nemico, eccetera.»
«Quindi questo Daniel sarebbe il nemico?»
Jen diventò rossa e Angel inarcò le sopracciglia.
«Non proprio.»
«Non conosco nessuno complicato come te, Jen. Davvero, non so come tu possa farcela a volte.»
Jen la guardò con un’aria strana. «Non sono affatto complicata. Sono una persona semplicissima.»
Angel rimescolava la tisana. «Jen, passi la vita a ribellarti, poi però torni al punto di partenza. Tuo padre, tua madre, Gavin. Ho perso il conto perfino io!»
«E tu saresti quella semplice?» la sfidò Jen. «Dici di non volere un matrimonio combinato e di non voler diventare una tipica moglie indiana, ma non hai mai avuto una storia seria. Non bevi caffè perché è pieno di tossine, ma scommetto che ti sei trangugiata vari shot di vodka ieri sera come al solito…»
Ad Angel brillarono gli occhi e si stampò sul viso l’espressione più pudica che poté. «La vodka è purissima, sai. Ma okay, basta. Non ho mica detto che essere complicata è una cosa negativa, giusto? Poteva essere un complimento.»
«Lo era?»
Angel rise. «Sì e no. Torniamo a Daniel. È un brav’uomo? È ricco?»
Jen annuì mentre le arrivavano il suo yogurt e muesli e il suo bagel con la marmellata. Per essere una che sosteneva di odiare l’atteggiamento di sua madre verso gli uomini e il matrimonio, Angel riusciva ad assomigliarle molto a volte. «Ti piacerebbe» rispose Jen con un sorriso. «È completamente diverso da Gavin.»
«Allora mi piace di già. Ma è un tuo professore, giusto? Quindi non succederà niente?»
Jen scrollò le spalle e si mise a mangiare. «Probabilmente è sposato e ha cinque figli. Il che però non impedisce a una ragazza di sognare, ti pare?»