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«L’analisi esterna è forse l’aspetto più interessante della strategia.» Il professore si fermò con aria teatrale e si guardò intorno per assicurarsi che fossero tutti concentrati su di lui.

Jen lo fissò indignata. Dov’è Daniel?” avrebbe voluto domandare. “Perché l’analisi interna viene trattata così alla svelta? Cominciava adesso a diventare interessante…”

Le ultime settimane erano state un concentrato confuso di duro lavoro sui punti di forza e di debolezza interni, di troppi caffè bevuti insieme a Lara e Alan, di imboscate nei corridoi per origliare le conversazioni senza riuscire a scoprire granché, ma prendendo comunque tanti appunti. Adesso sapeva tutto della vita amorosa di quasi la metà dei consulenti della Bell Consulting, sapeva chi stava facendo domanda per un nuovo posto di lavoro e che Bruce Gainsborough, chiunque fosse, era stimato poco dai suoi colleghi. Ma non sapeva quasi nulla di suo padre, né del suo viaggio in Indonesia.

Eppure, aveva finito l’elaborato per Daniel e aveva fatto un lavoro piuttosto buono, almeno a suo giudizio. Si immaginò Daniel che lo leggeva e che, nel mentre, pensava a lei, ma poi si riscosse.

«L’analisi interna vi porterà solo fino a un certo punto» stava dicendo il professore. «Come accade per le persone, guardarsi dentro non è di grande aiuto per decidere il proprio futuro. No, essere consapevoli di se stessi può essere un prerequisito, ma poi si deve cominciare a esaminare le opportunità e le minacce all’orizzonte per poter capire qual è il proprio posto nel mondo. E così succede per le aziende. Considerate il contesto dell’azienda: chi sono i suoi clienti, cosa vogliono, dove vivono? Considerate i vostri concorrenti: quanto sono forti? Siete in grado di prevenire la loro prossima mossa? Chi sono i vostri fornitori? Sono efficienti? Economici? Quali problemi stanno affrontando? E poi pensate all’ambiente allargato: cosa succede nel mondo esterno all’azienda? Alluvioni, carestie, boom, stasi, fuga dei cervelli, immigrazione – tutti questi fattori hanno effetti su un’azienda. È vostro compito identificare questi effetti e individuare una strategia per sfruttare al meglio le opportunità e minimizzare i rischi.»

“Sfruttare al meglio le opportunità e minimizzare i rischi” annotò mentalmente Jen. Ecco quello che doveva fare lei alla Bell. Fra le sue opportunità annoverava andare a sbattere contro Daniel in modo apparentemente casuale, spiare suo padre e ascoltare di nascosto altre conversazioni in ascensore. Fra i rischi inseriva essere accusata di perseguitare Daniel, essere scoperta da suo padre e che le venisse chiesto per quale cavolo di motivo passava tutto il giorno in ascensore.

«Per cui, conclusa l’introduzione, esaminiamo alcuni modelli di base» stava dicendo il professore. «Il modello PEST è sempre utile: ovverosia, fattori politici, economici, sociali e tecnologici. Se qualcuno vuole suggerire un’azienda, possiamo lavorarci sopra utilizzando il modello PEST

Un ragazzo in prima fila alzò la mano. «Che ne dice di un’azienda di preservativi?» domandò con un sorrisetto compiaciuto, e tutti nell’aula concordarono entusiasti. Jen si fece piccola: la sua uscita non se la sarebbero mai più dimenticata, ovviamente.

Il professore rimase perplesso. «Un’azienda di preservativi, ha detto?»

«Ci sentiamo a nostro agio con i preservativi» ribatté il ragazzo nel modo più serio possibile. «Sono abbastanza flessibili per essere sottoposti a un’analisi efficace, e si possono davvero cogliere le… ehm, le questioni chiave.»

Una risatina attraversò la sala e il professore sospirò.

«Perfetto, allora. Fattori politici che influiscano su un’azienda di preservativi?»

Silenzio.

Jen incrociò lo sguardo del professore suo malgrado e se ne pentì subito.

«Lei?» domandò immediatamente il professore. «Mi dica un fattore politico che influisce su un’azienda di preservativi.»

Jen si mise a pensare all’impazzata. «Ehm, che ne pensa delle politiche governative per ridurre le gravidanze fra le adolescenti?» azzardò a dire.

«Bene!» commentò il professore con un sorriso. «Questo è uno. È un fattore che potrebbe funzionare in entrambi i sensi. Il governo distribuisce preservativi gratis, nel qual caso la nostra azienda deve assicurarsi che distribuiscano quelli del proprio marchio, oppure il governo sostiene l’astinenza, il che può significare una riduzione delle vendite. Se il marchio è importante e ha un’immagine giocosa, tipo la Durex, potrebbe prendere attivamente le distanze dagli omaggi distribuiti dal governo perché sono percepiti come “responsabili”. Per cui, sì, c’è tanta roba buona in ballo in questo caso. A qualcuno vengono in mente altri fattori?»

Jen si accorse che un sorriso le si insinuava sulle labbra per il complimento ricevuto.

«La consapevolezza dell’AIDS» disse un altro studente.

«Sì, ma non è un fattore politico. L’atteggiamento del governo verso l’AIDS è il fattore politico: riconoscono che c’è un problema e lo vogliono affrontare, o lo stanno ignorando? Entrambi questi aspetti avranno implicazioni per la nostra azienda. Okay, fattori economici?»

Lara alzò la mano. «Il costo della gomma» disse con un gran sorriso.

«Assolutamente. Fattore molto importante» commentò il professore, accompagnato da una grande quantità di risatine soffocate in giro per l’aula.

Il docente affilò lo sguardo. «Fattori sociali?»

«Quante persone fanno sesso» gridò qualcuno dal fondo dell’aula, suscitando altre risate.

Il professore sospirò. Non importava che età avessero gli studenti, non appena c’era un gruppo di persone in un’aula regredivano tutti a un umorismo adolescenziale.

«Qualcuno trasformi questo concetto in un fattore sociale.»

Il professore guardava Jen e lei arrossì di nuovo.

«Ehm, i tassi di matrimonio?» tentò. «E i dati demografici: quante persone hanno intenzione di avere figli, a che età, cose del genere.»

«Bene. Perché?»

«Perché se ci sono tante persone sposate o in coppia che non vogliono avere figli, l’uso dei preservativi salirà.»

«Ottimo. Grazie. E infine, i fattori tecnologici. Qualcuno?»

Alan alzò la mano. «Nuove invenzioni, tipo la pillola maschile» disse serio.

«Bene. Nient’altro?»

«I vibratori» intervenne Lara tutto d’un fiato.

«Lo spieghi.»

«Be’, se sono abbastanza buoni, alle donne magari non serve più fare sesso con gli uomini…» Ricevette qualche applauso dalle poche donne presenti nella sala.

«Idea interessante» commentò il professore «che non approfondiremo adesso… lo lascio a voi, okay? Ora, una volta usato il modello PEST, dovete…» fu interrotto dalla porta che si aprì. Jen sollevò lo sguardo e rimase paralizzata. Il cuore cominciò a batterle forte e sentì che stava sbiancando.

«Signor Bell!» esclamò il professore, raddrizzando subito la schiena e assumendo di colpo un’aria molto più formale. «Che bella sorpresa. Vuole… ehm… vuole accomodarsi?»

George fece un sorriso ampio. «Continua pure, Julian» rispose, affabile. «Ho pensato di dare un’occhiata agli studenti ammessi al master quest’anno, se per te non è un problema.»

«Oh, si figuri. Certo. Stavamo facendo l’analisi con il modello PEST» disse il professore, ovviamente agitato. «Su una… un’azienda manifatturiera.»

George annuì e si incamminò verso il fondo dell’auditorium.

Jen si guardò intorno disperata, poi gettò una penna a terra e si tuffò a raccoglierla. Quello era un rischio che non aveva previsto. E poteva significare la fine di tutto. Lanciando un’occhiata a Lara, si nascose sotto il banco e trattenne il respiro.

Lara la guardò stranita, evidentemente perplessa, e Jen tentò di spiegarle che tentava di nascondersi, facendo dei gesti che sinceramente avrebbero anche potuto voler dire che sperava di andare sulla luna prima o poi. Eppure, la collega parve afferrare il concetto e appoggiò immediatamente il suo cappotto sopra Jen.

«Signor Bell?» domandò Lara in tono gentile, girandosi per guardarlo. «Qual è il suo parere sul bizzarro mondo dei preservativi?»

Sfogliando l’elaborato di Jen, Daniel sorrideva beato. Le librerie. Lo aveva fatto sulle librerie. Stava tentando di dirgli qualcosa?

Non era male, constatò. Era sicuramente più interessante di tutte le altre cose che aveva letto quel giorno. Relazioni sulla gestione, bilanci d’esercizio, strategie per la catena di fornitura… Come mai, si domandò Daniel, più sei bravo a fare qualcosa, meno riesci a farlo, andando avanti? Lui era stato un libraio fantastico. E cos’era accaduto? Aveva continuato a essere promosso finché non aveva smesso di vendere libri, di essere coinvolto nella promozione, nelle decisioni di acquisto. Adesso si limitava a stare seduto tutto il giorno a parlare con il presidente della sua compagnia sul controllo dei costi e con il direttore finanziario sull’opportunità o meno di aprire una libreria in un centro commerciale o in un altro.

Si domandò cosa avrebbe dovuto scrivere su quell’elaborato. “Lavoro molto interessante con diverse idee buone e originali”? No, era troppo complimentoso rispetto alle valutazioni fatte fino a quel momento. Doveva essere coerente. Ma per un verso o l’altro “Buon lavoro. Idee interessanti” gli sembrava troppo stringato.

Era una donna in gamba, evidentemente. E le sue idee erano interessanti. Magari Daniel sarebbe potuto passare alla Bell in settimana, avrebbe potuto incontrarla per caso e darle un feedback a voce. Davanti a un caffè o qualcosa del genere…

Probabilmente l’avrebbe spaventata a morte. Cazzo! Forse le interessava davvero il mercato librario. Forse era quello il motivo per cui si era dimostrata desiderosa di parlargli, di sapere di cosa si occupasse. Non era lui a interessarle, dopo tutto.

Sorrise a sé stesso con aria sarcastica. “Non importa, Daniel” si disse. “Non c’è niente di male a essere ottimisti.”

Poi con cautela scrisse: «A–. Lavoro molto ben fatto».

Lara fissava Jen con le sopracciglia inarcate. Jen nel frattempo fissava il caffè, tentando di trovare una spiegazione plausibile per il comportamento che aveva avuto a lezione.

«E allora, sei terrorizzata dalle figure di autorità?» tirò a indovinare Lara, con un sorrisetto stampato in faccia. «Oppure sei una criminale in fuga?»

Jen si fece piccola. Scrutò attentamente la collega, ormai quasi amica, e trasse un profondo respiro. «Lara,» cominciò con un certo nervosismo «devo dirti una cosa.»

L’altra affilò lo sguardo. «Sei stata tu a rubare i miei appunti sulla scheda di valutazione bilanciata?»

Jen scosse la testa stizzita. «No, certo che no. Non è niente del genere.»

«Okay, allora, spara.»

Jen trattenne il fiato e congiunse le mani con fare nervoso. «Hai presente il corso e la società che lo organizza?»

Lara annuì come se stesse parlando a una bambina di cinque anni. «Sì, Jen. La Bell Consulting. Lo so, hai ragione.»

Jen le diede una lieve spinta a un braccio. Non c’era altro da fare: doveva semplicemente tirare fuori tutto.

«Devi promettere – e intendo promettere sul serio – di non dirlo a nessuno. In nessun caso. Mai.»

Gli occhi di Lara scintillarono. «Oooh! Un segreto. Okay, terrò la bocca chiusa. Qual è il pettegolezzo?»

«Sono… be’…» cominciò a dire Jen, il cuore che le batteva forte dentro al petto.

«Sì?» la spronò Lara con impazienza.

«Sono la figlia di George Bell. Lui non sa che sono qui, non sa che frequento il master, né lo deve sapere.»

«Sei cosa? Sei sua figlia?» domandò Lara incredula, sputando il caffè mentre parlava. Jen si asciugò le goccioline di caffè su una mano e annuì.

«E non sa che sei qui?»

Jen annuì di nuovo.

«Ma ti chiami Bellman!» Jen la guardò, inarcando un sopracciglio. «Oh, giusto, no. Sei davvero Jennifer Bell? Sei sua figlia?»

Jen annuì con aria cupa.

«Ho una domanda da farti.»

«Okay» rispose Jen perplessa.

«Che cavolo! Perché non glielo dici? Dio mio, potresti dirigere la baracca fra un paio di anni. Non capisco.»

«Non è realmente mio padre»

Lara le lanciò uno sguardo sospettoso. «Senti, se è uno scherzo, non è affatto divertente.»

«No, non volevo dire… Ascoltami, se ne è andato di casa quando avevo tredici anni. Da allora non l’ho più visto. E non ne ho una gran voglia. Di vederlo, cioè.»

«Per cui stai frequentando il master qui perché…»

«Perché… okay, questo è davvero… davvero un segreto.»

Lara stralunò gli occhi. «Dio mio, basta con i melodrammi.»

«Okay. Sto… sto tentando di scoprire se la Bell Consulting è coinvolta nel giro di corruzione in Indonesia. Hai presente le donazioni per lo tsunami e il programma di ricostruzione laggiù? Bene, sono stati vinti degli appalti in modo traballante. E per costruire case altrettanto traballanti.»

«E come mai pensi che la Bell sia coinvolta?»

«Perché una delle compagnie che guarda caso si è aggiudicata alcuni degli appalti più importanti è la Axiom, che è cliente della Bell. La Bell guarda caso ha delle succursali in Indonesia, e fra i suoi clienti là ci sono diversi dipartimenti governativi. E…» si chinò verso Lara per poter sussurrare «mio padre andrà in Indonesia la prossima settimana.»

«Porca miseria!» esclamò Lara, con un’espressione sconvolta. «Per cui tu cosa hai intenzione di fare?»

Jen la guardò imbarazzata. «Devo entrare nel suo ufficio. Vedere i suoi documenti.»

Per poco Lara non cadde dalla sedia. «Vuoi entrare di nascosto nell’ufficio di George Bell… scusa, di tuo padre?»

Jen sorrise nervosamente.

«Sul serio?»

Jen annuì e Lara divenne pensierosa.

«Immagino che vorrai il mio aiuto, no?»

Jen scosse la testa, poi esitò. «Sul serio?» domandò con voce sommessa. «Cioè, lo faresti?»

«Che cavolo, siamo una squadra, no?» rispose Lara con aria pratica.

Jen le sorrise con gratitudine. «Significa che dobbiamo dirlo anche ad Alan?»

Lara rise. «Oh, sarebbe divertente» rispose, gli occhi scintillanti. «Varrebbe la pena chiederglielo solo per vedere che faccia fa!»

Sorrisero entrambe e rimasero in silenzio per diversi minuti.

«E di preciso quando pensavi di andarci?» domandò alla fine Lara.

Jen si fece pensierosa. «Pensavo la prossima settimana. Quando sarà in Indonesia.»

«Perfetto» commentò Lara, facendo del suo meglio per apparire impassibile. «Vada per la prossima settimana, allora.»

Bill indossava un maglione a strisce e pantaloni mimetici, e aveva i capelli legati all’indietro in una morbida coda. Jen stava quasi per domandargli come avesse fatto a renderla tanto liscia e lucida, ma poi si morse la lingua.

«Allora, Jennifer, come te la passi?»

Jen abbozzò un sorriso. «Oh, niente di che» rispose con vaghezza.

Lui le fece cenno di accomodarsi. «Per cui sei già al secondo modulo, giusto? Ti sembra che il master funzioni bene?»

Jen annuì. Sapeva che avrebbe dovuto trovare qualcosa da dire, altrimenti Bill sarebbe stato costretto a porle una sfilza di domande che lo avrebbero fatto preoccupare; e lei si sarebbe sentita in imbarazzo di fronte al suo tutor personale, con cui si supponeva dovesse avere un buon rapporto.

Il problema era che non le veniva in mente nulla da chiedergli. Lara era andata dalla sua tutor quella mattina e avevano parlato per due ore di fila, discutendo (senza un particolare ordine) del programma del corso, se era una buona idea andare a letto con un collega del master – una domanda solo teorica, ci tenne a precisare Lara, dato che non c’era nessuno papabile nei paraggi –, degli affitti di Londra, delle future possibilità di carriera e se il marito della tutor la tradiva o meno (secondo Lara, la risposta era sì, ma la donna non lo avrebbe mai ammesso). Allora come mai, si domandò Jen, a me non viene in mente nulla?

«Abbiamo appena cominciato l’analisi esterna» disse Jen dopo un po’. «I fattori ambientali. La collocazione sul mercato, queste cose qui.»

Bill annuì interessato. «Cavolo, è la mia parte preferita» commentò con un sorriso. «Puoi smettere di guardarti di continuo l’ombelico e uscire fuori, vedere cosa accade nel mondo reale. Ho ragione?»

Jen annuì perplessa. L’unica cosa a cui riusciva a pensare era l’irruzione nell’ufficio di suo padre, cosa che la riempiva di entusiasmo e terrore in pari misura.

«Suppongo di sì» rispose ancora in tono vago. «Insomma, più o meno. Non stiamo andando fuori, niente del genere.» Adesso che Daniel non era più un suo docente, l’ondata di passione per quegli studi le era passata.

«Perché non vai a visitare delle aziende per conto tuo, allora?» le suggerì bonariamente Bill. «Perché non vai a trovare dei manager in carne e ossa da qualche parte? Sono sicuro che sarebbero contenti di parlare con te. In ogni caso dovrai scegliere un’industria su cui scrivere il tuo elaborato, per cui rientrerebbe nel tuo lavoro di ricerca.»

Jen lo guardò pensierosa. «Intende dire, telefonare a un’azienda per vedere se mi lasciano andare lì a parlare con loro?»

Bill annuì. «Perché no? Chiedere non costa nulla.»

Jen ci pensò su un attimo, sapendo perfettamente quale azienda avrebbe selezionato se avesse potuto fare a modo suo. Si immaginò alla Wyman’s, che seguiva Daniel e gli parlava del suo elaborato. La vendita dei libri doveva essere influenzata da ogni genere di fattori esterni, ed era anche un settore molto bello. Pochissimo inquinamento, nessuna pratica non etica – be’, a meno che non si vogliano prendere in considerazione quelle orrende biografie di popstar che non hanno ancora vent’anni e di certo neppure una vita degna di essere raccontata, ma in questo caso era colpa delle case editrici, non delle librerie. Jen si riprese dal suo sogno a occhi aperti appena in tempo per sentire Bill che le chiedeva della sua vita.

«Insomma, relazioni, vita sociale, cose così?» le stava domandando Bill, mentre assumeva all’improvviso l’espressione “partecipe” da life-coach.

Jen distolse lo sguardo, sulla difensiva. «Bene, bene» rispose in tono evasivo, tentando di convincere se stessa e lui.

«Mi fa piacere sentirtelo dire. Ma se per caso hai dei problemi, vieni pure da me… è per questo che hai un tutor personale. Per aiutarti ad affrontare le cose.»

«Grazie, Bill. Grazie davvero.»

«Figurati! Non ti preoccupare, se i problemi continuano ad arrivare, io continuo ad aiutarti. Affare fatto?»

Jen fece un gran sorriso. Si sentiva davvero meglio. «Okay, Bill» rispose seria. «Affare fatto.»