Prologo

“Dio mio, Jen, in che situazione del cavolo ti sei cacciata stavolta?” si disse Jennifer Bell mentre riattaccava il telefono e si guardava intorno, in cucina, nel disperato tentativo di dare un senso a quello che aveva appena accettato, per renderlo ai suoi occhi meno assurdo, meno terrorizzante. “Sto per iscrivermi a un MBA” pensò, stralunando gli occhi esterrefatta. “Odio il business. E la Bell Consulting ancora di più. Eppure ho appena accettato di seguire un master alla Bell Consulting.” Solo l’idea le dava la nausea.

“Come è potuto accadere?” continuava a chiedersi. “Come mi è saltato in mente di dire di sì?”

Solo pochi minuti prima, stava guardando il telegiornale. Era seduta tranquilla, pensando agli affari suoi, senza la minima prospettiva di grossi cambiamenti nella sua vita. Ma, come aveva imparato nel corso degli anni, in pochi minuti potevano cambiare tante cose. Soprattutto quando c’era di mezzo sua madre.

Si sforzava di capire se, tuffandosi in quell’impresuccia rischiosa, si era lasciata fregare come un’allocca oppure aveva avuto un ruolo nel prendere quella decisione. “Probabilmente è vero il primo caso” si disse sospirando, mentre rimuginava su quanto era accaduto negli ultimi dieci minuti…

«Ci sono ulteriori aggiornamenti sul terremoto in Indonesia. Più di cinquecento famiglie hanno perso la loro casa in questa tragedia. Servizio di Susan Mills.»

«Grazie, Sandra. Gli scienziati lo avevano previsto, ma nessuno si aspettava che sarebbe avvenuto a così breve distanza dallo tsunami del 26 dicembre scorso. Quello che più preoccupa la gente, qui, è che alcune delle case costruite dopo, proprio per resistere a catastrofi di questo tipo, sono crollate, e questo alimenta l’ipotesi che gli standard edilizi richiesti non siano stati rispettati da alcuni costruttori. Corrono voci di corruzione e di tangenti pagate per assicurarsi gli appalti, ma per il momento non è stata ufficialmente mossa nessuna accusa. La Axiom, una delle grandi imprese di costruzioni, nega ogni coinvolgimento in transazioni poco chiare e ha diffidato due quotidiani…»

Okay, quindi Jen stava guardando la TV, deprimendosi per le notizie del TG, come sempre. Si era domandata in che razza di mondo vivesse se a pochi mesi da un maremoto che aveva ucciso migliaia di persone tutti perdevano di nuovo la casa per un terremoto. Era veramente insopportabile.

«E abbiamo ulteriori notizie dell’ultimo…»

Sentendosi impotente, Jen aveva spento la TV ed era andata in cucina per versarsi un bicchiere di vino. Non che fosse di grande aiuto, ammise, ma era comunque necessario. Dopo lo tsunami sarebbe voluta andare nello Sri Lanka, avrebbe voluto dare una mano a costruire le case o fare qualcosa che servisse alla gente del posto a ricostruirsi una vita. Non che sapesse qualcosa di edilizia; era più probabile che sarebbe stata d’intralcio. Ma l’avrebbe fatta sentire meglio con se stessa. In ogni caso, adesso aveva un lavoro vero e proprio in un ufficio vero e proprio, e se apprezzava la sicurezza significava che fare la pendolare andava bene e mollare tutto per volare nello Sri Lanka invece no. E comunque, bell’aiuto sarebbe stato il suo!

In quel momento era squillato il telefono, interrompendo le sue riflessioni. Guardò l’orologio e si rese conto che avrebbe dovuto essere già pronta per uscire. Doveva vedere la sua amica Angel, e probabilmente era lei che voleva chiederle a che punto fosse.

Non che avesse molta voglia di divertirsi. Il TG le aveva destato pensieri che aveva tentato di ignorare. Sul senso della vita. Su di sé. Su tutto. Fino a un annetto prima, le cose erano sembrate piuttosto facili; Jen aveva un fidanzato e un obiettivo: era un’ecologista militante. Lottava per la gente semplice, per la natura… per qualsiasi cosa, a dire il vero, ed era stato proprio quello il problema. L’associazione per cui aveva lavorato era piena di persone che sapevano perfettamente contro cosa combattevano – le grandi aziende, quasi tutti i governi, i consumatori – ma si erano dimenticate le cose per le quali erano a favore. Jen aveva cominciato a pensare che lo facesse più per dimostrare qualcosa che per raggiungere risultati tangibili. Certo, aveva mollato tutto perché sospettava che Gavin, il suo ragazzo, la tradisse, ma non era stato quello il vero motivo. Il vero motivo era che non sapeva più perché lo stesse facendo.

Anche se la prospettiva di trascorrere una settimana arrampicata su un albero insieme a Gavin, a protestare contro il progetto di una nuova strada, era di per sé un motivo piuttosto valido per piantare tutto. Forse stava solo crescendo, pensò sconsolata.

«Ciao!» disse distrattamente. «Senti, sono un po’ in ritardo…»

«Lo siamo tutti, tesoro, non credi?»

Jen trasalì. Non era Angel.

«Scusa, mamma. Pensavo fosse qualcun altro.»

«A volte vorrei essere qualcun altro» commentò Harriet con un sospiro.

«Tutto a posto?» osò chiedere Jen, prendendo una sedia e controllando di nuovo l’ora. Le conversazioni con sua madre non erano certo note per la loro brevità.

«Oh, me la caverò. Immagino che tu abbia guardato il TG. Tutte quelle case distrutte. Quelle vite rovinate. È terribile.»

«Sì, lo so. Ho appena spento la TV.» Jen e sua madre non avevamo molte cose in comune, ma non c’era niente come un disastro naturale o la percezione di una crisi politica che le spingesse a conversare. O meglio, spingesse Harriet a parlare. Jen di solito non riusciva a dire molto più di: «Lo so. Hai perfettamente ragione».

«Oh, tesoro, è tremendo. E pensare a tutti quei soldi sprecati. Le tante donazioni che le persone sensibili hanno inviato, e tutto per niente.»

«Per niente no» intervenne Jen. «Le case magari sono state distrutte, ma un sacco di soldi sono stati usati per aiutare…»

«Sì, be’, lo vedremo.»

Jen stralunò gli occhi e pensò “Ci risiamo”. Non c’era niente che Harriet amasse di più che lanciare insinuazioni e occhiate significative come se lei fosse un padreterno, come se sapesse più di quanto aveva sentito dire alla radio o letto sul giornale. Una volta, mentre Jen lavorava a un progetto di Greenpeace contro una compagnia petrolifera che scaricava petrolio greggio nel Mare del Nord mettendo a rischio l’intero habitat, sua madre l’aveva chiamata per poi tenere una vera e propria conferenza sulla gestione ambientale, basandosi su un programma di Radio 5 Live in cui gli ascoltatori intervenivano con telefonate in diretta. Senza dubbio, Harriet aveva una sua teoria anche sugli aiuti per lo tsunami. C’era un’infinità di storie in circolazione sui problemi doganali e sulla corruzione, ed era esattamente il tipo di teoria complottista che la faceva gongolare.

«Perché insinui che i soldi per gli aiuti non siano arrivati?» disse Jen, dopo un attimo di silenzio.

«Potrebbero anche essere arrivati. Ma è quello che si intende per aiuti a preoccuparmi. Chi può averci messo le mani sopra prima che fossero spesi dove era necessario. È questo che mi dà pensiero.»

Jen si morse un labbro, tentando di reprimere l’irritazione. Harriet presumeva sempre di essere l’unica ad avvertire la gravità di una data situazione. Jen si infuriava per il modo in cui sua madre trasformava regolarmente una crisi in un piccolo melodramma privato nel quale ricoprire sempre il ruolo della protagonista. Ma non lo avrebbe fatto trapelare, si disse Jen. Non era il momento di sparare a zero su di lei.

«Sono sicura che sia così, mamma, ma sto per uscire» replicò in tono diplomatico. «Speriamo solo che un po’ di soldi arrivino alle persone giuste, no?»

«Speriamo?» ribatté subito Harriet, per poi abbassare la voce. «Sperare non basta» proseguì in tono cupo. «È una faccenda gravissima, Jennifer. Davvero molto grave.»

Jen sospirò. Avrebbe sicuramente fatto tardi con Angel… un’altra volta. «Ti basi su fatti precisi» domandò con cautela «o stai semplicemente parlando in termini generali?»

Sentì sua madre emettere un breve sospiro compiaciuto.

«Be’» riprese Harriet in tono cospiratorio, ma la voce tradì il suo entusiasmo, perché finalmente poteva rivelare la teoria che aveva disperatamente sperato che la figlia le “strappasse di bocca”. «Non so se dovrei dirtelo, ma so da ottime fonti che alcuni lavori di ricostruzione in quel Paese sono gestiti da un’azienda che se li è assicurati con le tangenti. E appena il Parlamento ha cominciato a investigare sulla faccenda, i documenti sono spariti, e il governo è rimasto con un pugno di mosche in mano. C’è corruzione ovunque. Non mi sorprenderebbe se fra poco saltasse fuori che alcune società piuttosto vicine a noi erano coinvolte. Sono coinvolte.»

Jen si accorse che le stava montando dentro una bella incavolatura per questa ingiustizia, mentre scemava l’irritazione verso sua madre. «Dici sul serio? È… be’, è scandaloso!»

«Scandaloso è dir poco» continuò Harriet. «È una vergogna. Non dovrebbe succedere con i tempi che corrono…»

«Ma qualcuno dovrebbe fare qualcosa.» Non appena le parole le uscirono di bocca, se ne pentì. “La mamma è fatta così” si rammentò in un baleno. Magari non era neanche una storia vera. Ma, d’altro canto, Harriet aveva delle buone fonti. Era raro che stravolgesse le cose, di solito le esagerava un po’ per renderle più pepate.

«Certo, tesoro, ma è così, no? Nessuno ha il coraggio. Nessuno di quelli che hanno accesso alle informazioni giuste è disposto a farsi coinvolgere.»

«Come fai a sapere tutte queste cose?» domandò all’improvviso Jen. Una vocina dentro di sé le ricordava che sua madre a volte si lasciava trasportare e riusciva a trasformare un’ipotesi in realtà con una facilità disarmante.

«Tesoro, su questa faccenda devi fidarti di me» le rispose in tono cupo. «Sono a conoscenza di cose che semplicemente non posso dirti. Non sarebbe corretto.»

«Non sarebbe corretto? Nei confronti di chi?»

«Nei tuoi.»

Infastidita, Jen fece una smorfia. Perché sua madre non poteva mai tirare fuori tranquillamente quello che voleva dire, qualunque cosa fosse?

«Che significa? Perché non sarebbe corretto nei miei confronti?» Tentò di non far trapelare l’irritazione dal tono di voce, ma non era facile. Ecco cosa succedeva quando trascorrevi troppo tempo insieme a un genitore, si rese conto Jen. Fino a sei mesi prima, con sua madre andava d’amore e d’accordo. Si parlavano al telefono una volta ogni due settimane o giù di lì, e si vedevano ogni due mesi o quasi, quando Jen passava a trovarla per un tè. Lei e Harriet avevano sempre avuto tante cose di cui parlare, ma quando cominciavano a darsi sui nervi a vicenda, quando la conversazione cominciava a trasformarsi in un litigio, significava che per Jen era giunto il momento di allontanarsi, magari per partire alla volta della Scozia o del Dorset per protestare contro il progetto di un nuovo supermercato o lottare per la salvaguardia dei delfini. Jen aveva lavorato per la Fighting for Survival, un gruppo famoso per il suo amore per le cause perse, e Harriet adorava ascoltare le sue storie; più precisamente, adorava intrattenere i suoi colleghi raccontando quanto la figlia fosse coraggiosa e impegnata, esagerando qua e là e abbellendo un po’ le cose.

E poi tutto era cambiato. Jen aveva lasciato Gavin e visto che lui, il leader del gruppo, era il motivo per cui lei collaborava con la Fighting for Survival, aveva deciso che forse avrebbe dovuto ripensare alle proprie scelte. Harriet si era subito fatta avanti, invitandola a lavorare per un periodo nella sua società di consulenza, la Green Futures.

In un primo momento Jen aveva rifiutato l’offerta, ovviamente: collaborare con una società di consulenza non era esattamente l’attività che aveva sempre sognato, così come non lo era lavorare per sua madre. Ma Harriet era una donna determinata e aveva affrontato l’incertezza della figlia con le sue solite tattiche di persuasione: l’aveva bombardata di dati, l’aveva fatta sentire in colpa, aveva montato una situazione in cui, se Jen avesse rifiutato, non avrebbe deluso solo lei, ma il mondo intero. La Green Futures, aveva sottolineato Harriet, aiutava le aziende a individuare soluzioni responsabili a livello sociale e ambientale, e senza l’aiuto di Jen sarebbero tornate alle loro cattive abitudini. Jen sapeva benissimo che il suo ingresso nella Green Futures non avrebbe fatto la benché minima differenza, dato che era andata avanti benissimo senza di lei per quasi quindici anni, e in segreto era preoccupata che le grandi aspettative della madre nei suoi confronti si sarebbero crudelmente infrante non appena avesse scoperto che lei non sapeva quasi niente di politiche imprenditoriali. Aveva conosciuto Gavin a una manifestazione a cui aveva partecipato con Angel per protestare contro una compagnia petrolifera che, guarda caso, era in affari con suo padre. Solo per questo (e tacendo il fatto che era stata appena licenziata da un’azienda di marketing dopo aver litigato con un possibile cliente durante la presentazione di un progetto) unirsi all’associazione le era sembrata la miglior idea al mondo, soprattutto dopo aver scoperto che Gavin baciava da urlo. E pur avendo imparato tante cose (era stata soprattutto una “ricercatrice”, perché nessun altro all’interno dell’associazione sembrava interessato alle biblioteche), quello che sapeva sull’organizzazione delle proteste o sull’etica del mondo degli affari poteva praticamente essere scritto sul retro di un pacchetto di fiammiferi.

Ma per il momento poteva andare, aveva deciso alla fine Jen. Non aveva altre offerte di lavoro sul tavolo, né soldi in banca, e anche se non si sarebbe più accampata sugli alberi, la Green Futures aveva almeno un obiettivo meritevole.

Una volta entrata lì, in effetti aveva apprezzato la sicurezza del posto e il lusso di avere un appartamento tutto per sé, con tanto di acqua calda a gogò. Era come partecipare a una campagna in tono minore: poteva sentirsi a suo agio con se stessa perché faceva del bene nel mondo, senza però dover indossare lo stesso paio di pantaloni da battaglia tutti i giorni per una settimana di fila. Aveva cominciato a mettersi di nuovo il rossetto e a comprare scarpe che non erano state disegnate per camminare in un campo fangoso. E andare in ufficio, vedere le stesse persone, sviluppare relazioni personali, era diventata una routine piuttosto tranquillizzante. Era una china scivolosa verso la pigrizia, su cui però era piuttosto piacevole sdrucciolare. In un modo o nell’altro, anche se Jen bramava qualcosa di più entusiasmante, non sapeva se sarebbe riuscita a lasciare la sua confortevole doccia o la TV via cavo adesso che aveva imparato ad apprezzarle. Un pizzico di pigrizia in effetti era piuttosto gradevole.

«Allora, perché non sarebbe corretto?» domandò in tono paziente. «Perché dovrebbe importarmi per un verso o per l’altro?»

Harriet sospirò in modo melodrammatico. «Tesoro, per me è più facile. Conosco tuo padre da tanti anni. So chi è realmente, ma non voglio infangare ulteriormente il suo nome. So quanto sia stato difficile per te quando ti ha abbandonata.»

«Papà?» domandò Jen, incredula. «Adesso dai veramente i numeri. Oh, a proposito, ha abbandonato noi, non me. E di lui non mi importa niente. Lo sai.» Si fermò con la fronte corrugata mentre sua madre taceva. Il silenzio significava una cosa sola: Harriet faceva sul serio. Jen guardò di nuovo l’orologio, poi domandò con cautela: «Quindi ritieni che papà sia coinvolto in questa faccenda. Non capisco. Dirige una società di consulenza gestionale». Nel dirlo, abbozzò una risata per dissimulare l’imbarazzo. Detestava parlare di suo padre. Di solito si convinceva di non averne uno. Parlarne rafforzava l’idea che fosse vivo e vegeto ma completamente disinteressato a lei. Ipotizzare però che fosse coinvolto in una faccenda del genere era un altro paio di maniche. Suo padre rappresentava tutto quello che lei odiava: le grandi aziende, gli enormi profitti, gli abiti perfetti, i portafogli gonfi; e per di più aveva manifestato un interesse pari a zero nei confronti della sua unica figlia. Jen lo odiava, e di lui non voleva saperne. Ma era pur sempre suo padre.

«Jennifer, come ben sai, i consulenti di organizzazione aziendale lavorano su un sacco di cose… dalla strategia a… be’, allo sviluppo internazionale, se capisci cosa voglio dire.»

Jen corrugò la fronte. «No, non capisco. Ma immagino che me lo dirai.»

Seguì un lungo silenzio, ma alla fine Harriet parlò.

«Io non ti ho detto niente, ma a quanto mi risulta, chiunque sia a capo di questo giro di corruzione, di questo tremendo sistema di tangenti e affari loschi in Indonesia, be’, doveva sicuramente avere la facciata di una società rispettabile. Una multinazionale con succursali in zona. Una società che avesse molti clienti, che potesse tranquillamente organizzare riunioni con i funzionari governativi e con i costruttori. E il nome di tuo padre è saltato fuori…»

«Non ti credo» la interruppe con veemenza. «Lui non… non è possibile che…»

«Tesoro, non conosci molto bene tuo padre» rincalzò subito Harriet, e Jen si morse un labbro. Era vero: se lo ricordava a malapena. Anche quando suo padre c’era, si preoccupava più del lavoro che di lei, e dopo aver lasciato sua madre non l’aveva mai cercata.

«Tuo padre farebbe qualsiasi cosa pur di guadagnare soldi per la sua preziosa azienda» continuò Harriet, approfittando del silenzio della figlia. «E credimi, non sono l’unica a pensare che sia coinvolto.»

«Allora perché lo stai dicendo a me?» domandò Jen. «Dovresti dirlo alla polizia!» Attese la reazione. Tirare fuori la polizia, l’Agenzia Ambientale o qualsiasi altro ente ufficiale era in genere un buon modo per accertarsi se Harriet parlasse di cose reali o immaginarie.

«Oh, è ancora troppo presto. Non troverebbero nessuna prova. Il fatto che la Axiom sia un cliente di tuo padre potrebbe insospettire te o me, ma purtroppo non tutti lo conoscono come lo conosciamo noi. Non hanno trovato uno straccio di prova sulle tangenti pagate dalla Axiom, ma, d’altro canto, sospetto che stiano cercando nel posto sbagliato. A nessuno viene in mente di interrogare i consulenti gestionali, vedi…»

«La Axiom? Che cos’è la Axiom?»

Harriet bofonchiò in segno di disapprovazione. «Tesoro, aggiornati. La Axiom è l’azienda che ha vinto tutti gli appalti per la ricostruzione. Sempre che si possa chiamare ricostruzione.»

Jen scosse la testa incredula. Era troppo da digerire in un colpo solo. Possibile che suo padre fosse dietro una cosa del genere? «Mamma, senti, è tutto molto interessante» proseguì con cautela «ma non sarebbe il caso di parlare con qualcuno che possa fare qualcosa, invece che con me? Oppure, insomma, recuperare qualche prova? Trovare qualcosa per incriminarlo. Ti serve qualcuno che lavori come infiltrato… suggerirei Gavin, ma non siamo esattamente in rapporti cordiali al momento…»

Harriet sospirò, ma quel sospiro parve un po’ calcolato e a Jen vibrarono le antenne. «Oh, Jen, uno come Gavin non la spunterebbe mai con lui; tuo padre è troppo in gamba. No, per avere le prove ci serve qualcuno che lavori alla Bell Consulting, e figurati se loro parlano con noi. L’azienda di tuo padre e la mia… be’, te lo immagini un consulente della Bell che mi racconta qualcosa?»

Jen scosse la testa e rimase in silenzio. La Bell Consulting e la Green Futures erano il prodotto dei loro proprietari e i consulenti delle due aziende condividevano la stessa ostilità dei genitori di Jen.

Eppure, a Jen non piacque molto l’uso disinvolto di «noi», come se fosse un loro problema. Se la faccenda aveva qualcosa a che fare con suo padre, lei voleva starne fuori.

O per lo meno, non voleva avere niente a che fare con lui. Se suo padre era coinvolto, non avrebbe potuto farla franca. Sinceramente, ci era riuscito già troppe volte.

Stralunò gli occhi mentre sua madre continuava a parlare. Chiunque altro si sarebbe domandato perché Harriet parlava come se fosse l’unica persona al mondo in grado di scoprire la verità, ma Jen la conosceva troppo bene. Se c’era qualcosa di detestabile in ballo, Harriet doveva andare fino in fondo. Non si fidava del fatto che la polizia, il governo o chiunque altro facessero meglio di lei. Nenche Jen, in verità; in effetti erano uguali: entrambe si fiondavano a capofitto nelle difficoltà, determinate ad affrontare i problemi, a risolvere le situazioni. Il possibile coinvolgimento di suo padre in quella particolare circostanza funzionava come un drappo rosso sventolato davanti a un toro. Era ovvio che Harriet ci si tuffasse dentro.

«Per cui dovresti infilare qualcuno in azienda, come quel tipo che ha trovato lavoro in un fast food e poi ha scritto un articolo sull’inosservanza delle procedure igieniche» disse Jen con cautela. In questo modo Harriet si sarebbe sentita coinvolta, ma la piega presa dalla conversazione fece nascere in Jen lo spiacevole presentimento che le sarebbe stato chiesto un grosso favore. Non che non volesse dare una mano, pensò mordendosi il labbro preoccupata. Era solo che negli ultimi tempi ne aveva avuto abbastanza dei tentativi di salvare il mondo, e in ogni caso aveva sempre grandi dubbi quando si trattava di farsi coinvolgere nei progetti di sua madre.

Un altro momento di silenzio.

«Be’, questo mi suggerisce un’idea… ma no, no, non saresti mai d’accordo. E sarebbe chiedere troppo.»

Jen alzò gli occhi verso il soffitto e contò fino a tre.

«Non sarei mai d’accordo su cosa?» domandò con tono paziente.

«Be’,» rispose pacata Harriet «mi è appena venuto in mente che hai ragione tu… l’unico modo in cui potremmo scoprire se la Bell Consulting è coinvolta sarebbe infilare uno dei nostri al suo interno. Qualcuno che possa indagare un po’, ascoltare le conversazioni del personale.»

Jen corrugò la fronte. «Esatto. E quale sarebbe la grande idea? Ci saranno dei posti di lavoro per cui fare domanda. Tipo per lo smistamento della posta o qualcosa del genere.»

«Troppo periferico» commentò Harriet in tono vago. «No, ci serve qualcosa di più centrale. Sai che la Bell gestisce un MBA

Jen trasse un respiro affannato. Aveva l’orribile sensazione di sapere perché sua madre l’avesse chiamata. Non era un favore, era qualcosa di ben più grande.

«Ehm, no, no, non ne avevo idea. Ma non starai mica pensando di metterci qualcuno, vero?» domandò, esitante. «Chiederesti tanto a un dipendente?»

«Hai ragione. Ma non perché è chiedere tanto… è che nessuno di loro sarebbe all’altezza. Tu sì, ovviamente, ma per quale motivo dovrebbe interessarti? Sarebbe molto impegnativo…»

«Io?» Jen sgranò gli occhi. Anche se sua madre non poteva vederla, sentiva di dover simulare la sorpresa.

«Non potrei fidarmi di nessun altro, tesoro. Ma dimenticati che te l’abbia detto. Davvero. Dovremmo pensare a qualcos’altro. In ogni caso, sono sicura che le… le autorità stiano indagando.»

Harriet enfatizzò il termine «autorità» come a suggerire che da loro non si aspettava niente del genere. Jen si mise comoda, tentando di fare mente locale, tentando di ricordarsi che in quel periodo voleva una vita tranquilla. Che doveva capire cosa desiderava, non abbracciare uno dei folli progetti di sua madre. Che doveva ignorare la ridicola sensazione di entusiasmo che le gorgogliava nello stomaco. Era una pazzia, tutta quell’idea. Frequentare un MBA alla Bell Consulting? Spiare suo padre, che non vedeva da più di quindici anni? Uno dei più abili businessman in circolazione, che non si era preoccupato di cercarla una sola volta da quando se ne era andato via di casa? No. Neanche per sogno. Anche se sarebbe stato un bel modo per fargliela pagare.

«Non credi che iscriversi a un MBA sia un po’ esagerato?» domandò Jen con delicatezza. «Insomma, quei corsi durano un anno. E ci sono gli esami eccetera. Credo che sia molto meglio l’idea dell’ufficio corrispondenza. A me non dispiacerebbe.» Jen aveva visto da poco un documentario in cui il personale alla corrispondenza schizzava in giro per le stanze su pattini a rotelle, e l’idea piaceva tanto alla ragazzina dentro di lei.

«Non sembrerebbe strano che una ragazza della tua età, con le tue doti, smistasse la posta? E poi pensi che i ragazzi che lavorano lì abbiano accesso alle riunioni importanti?»

Jen stava per dire che l’ufficio corrispondenza probabilmente aveva più accesso alle informazioni di qualsiasi altro settore, tranne forse quello informatico, ma non ne ebbe l’opportunità perché sua madre era un fiume in piena. «Credimi, Jen,» disse in tono spiccio «ci ho pensato bene, e il master è l’unico modo.»

«Strano, il tuo sembra sempre l’unico modo» ribatté Jen quasi sottovoce. «In ogni caso, ero convinta che l’idea ti fosse venuta adesso, no? Senti, non riuscirei mai a entrare al corso» si affrettò a dire. «E anche se ce la facessi, papà mi riconoscerebbe subito.»

«Sciocchezze. Sei una ragazza in gamba, Jen. Certo che ci riusciresti. E con più di trecento persone che lavorano alle Bell Towers non penso proprio che andresti a sbattere contro di lui…»

Harriet aveva assunto un tono di voce flautato e Jen sapeva perfettamente a che cosa serviva. Non metti su una società di consulenza di gestione ambientale e la trasformi in una compagnia con trecento dipendenti, se non sai persuadere la gente a fare cose che non si sognerebbe mai.

“Non ti far convincere dalle sue moine” pensò.

«Saresti di nuovo in mezzo all’azione» riprese Harriet. «Concluderesti… qualcosa di importante per la tua vita.»

«E se lui non c’entra niente?» domandò Jen, cercando di guadagnare tempo. Stava tentando di superare la sua naturale tendenza a tuffarsi in una situazione prima di aver compreso se si trattasse di una buona idea o meno. E soprattutto stava tentando di convincersi che era un pessimo modo di risolvere i suoi dubbi sul senso delle cose.

«Così compiremo un passo avanti per scoprire chi c’è realmente dietro questa faccenda.»

Jen sospirò. Capiva quando era sconfitta e conosceva sua madre abbastanza bene da sapere che non avrebbe mollato finché non avesse accettato.

«Avevi già pianificato tutto, mamma, vero? Insomma, è da un po’ che ti frulla in mente questa idea, giusto?»

«Tesoro, ma per chi mi prendi?!» esclamò Harriet in tono incredulo. «Anche se è vero che ho avuto l’accortezza di inviare la richiesta di informazioni per l’MBA. Dovresti riceverle domani. Chissà, magari ti piace anche.»

Jen rise. «Piacermi? Sei pazza. Ho vissuto su un albero per una settimana, il che, lasciatelo dire, è piuttosto scomodo. Ma preferirei tornare lassù per un mese piuttosto che starmene seduta in un’aula piena di studenti dell’MBA a imparare… be’, qualunque cosa sia.»

«Ma lo farai?»

Jen si guardò intorno, osservò il suo bell’appartamento e pensò alla sua scrivania alla Green Futures. Le piaceva la stabilità che le offrivano il nuovo lavoro e la nuova casa, ma la verità era che le mancavano anche l’entusiasmo e la passione del vecchio lavoro. Non aveva sempre desiderato una sfida come quella? Non era forse l’opportunità di “fare la differenza”, fra l’altro senza neanche dover rinunciare a quella casa? Era vero, non si trattava certo di un’avventura entusiasmante: era un master di business che sarebbe stato pieno di noiosissimi sfigati in giacca e cravatta o tailleur. Sarebbe stato insopportabile, più che insopportabile. E se Gavin l’avesse scoperta, non l’avrebbe perdonata per tutta la vita.

A meno che non smascherasse uno scandalo enorme, si ritrovò a pensare. Sarebbe diventata un’eroina…

«Non ho intenzione di mettermi un tailleur» precisò secca, per guadagnare tempo. Non le dispiaceva indossare un paio di belle scarpe, né di tanto in tanto una gonna dritta, ma detestava nel modo più assoluto i tailleur e Harriet lo sapeva. Parte della sua strategia per convincere Jenny a lavorare nella sua azienda era consistita nel sottolineare lo stile casual permesso alla Green Futures e nel metterla in guardia sul fatto che più o meno tutte le altre società di Londra costringevano i dipendenti a indossare giacca e cravatta o tailleur, perfino la Friends of the Earth.

Harriet rise. «Sono sicura che non sarà necessario. Ma dovremo trovarti anche un nome nuovo. Credo che mettere Jennifer Bell sulla domanda di iscrizione potrebbe far inarcare più di un sopracciglio, no?»

«Parli come se avessi già accettato.»

«E invece?»

Jen scosse la testa rassegnata. «Sembrerebbe di sì» rispose con un mezzo sorriso. «Ma a una condizione.»

«Tutto quello che desideri, tesoro.»

«Non voglio che lo sappia nessuno. Non deve diventare una delle tue storie, né materia per il festival del pettegolezzo a una delle tue cene.»

«Oh, Jen.» Harriet sembrava ferita, ma la figlia sapeva che era solo delusa.

«Non voglio che lo racconti a nessuno della Green Futures, a nessuno dei tuoi amici, a nessuno nessuno. Sono serissima.»

«Be’, certo, tesoro. Per chi mi prendi?»

«Neanche a Paul.»

Ci fu un attimo di silenzio.

«Ma a Paul dico tutto…»

«Be’, se glielo dici, va tutto a monte.»

Ci fu di nuovo silenzio, poi un sospiro. «Benissimo. Non ne farò parola con nessuno.»

Jen si chiese se sua madre sarebbe stata capace di mantenere la promessa, poi scrollò le spalle. «Senti, adesso devo proprio andare, okay?»

«Certo. Ci vediamo lunedì. Hai preso la decisione giusta, sai.»

Fu in quel momento che Jen mise giù la cornetta e si rese conto dell’enormità della cosa che aveva appena accettato. Il telefono squillò di nuovo e Jen rispose subito.

«Che c’è adesso?» domandò con aria decisa.

«Okay, okay, non mi staccare la testa con un morso. Volevo solo sapere a che ora pensavi di venire a casa mia. Mi sembrava di aver fissato mezz’ora fa…»

Era Angel. Cavolo. Dovevano andare in un nuovo bar molto glamour e lei non aveva neanche cominciato a prepararsi. Si guardò, vide che aveva ancora i jeans indosso e balzò in piedi.

«Scusa, ho avuto un imprevisto. Non crederai mai cosa… Io, ehm, arrivo fra poco. Mi dai venti minuti?»

«Venti minuti alla Jen o venti minuti normali? Perché i tuoi durano il doppio di quelli di chiunque altro…»

Jen sorrise sconsolata. «Mi sbrigo il prima possibile, okay?»

Si precipitò in camera e perlustrò il guardaroba alla ricerca di qualcosa da mettersi.

“Sto per iscrivermi a un master” continuava a rimuginare, mentre tirava fuori e poi scartava diverse magliette e paia di scarpe. “Sto davvero per frequentare un MBA alla Bell Consulting.”

Aveva già la sensazione di aver commesso un terribile errore.