2.
Gli amanti.
Magritte
Si studiavano attentamente oltre al bordo della tazza di tè. Davanti a loro c'erano diversi piatti e piattini, colmi di dolci e spuntini salati. Notandolo, John scoppiò a ridere.
«Così inglese!»
Claire gli sorrise. «Lo hai proposto tu il tè, o sbaglio? Perché fare una cosa inglese a Londra ti stupisce tanto?»
Si schiarì la voce: «Perché è la prima volta che faccio una cosa come prendere il tè delle cinque.»
«Davvero? Non sei inglese? In effetti non hai il tipico dialetto snob londinese.»
Scosse la testa. «No. Americano. Sono qui a Londra da tre anni, per lavoro. Tu nemmeno sei inglese, o sbaglio?»
«Non sbagli. Sono francese. E sono a Londra da tre anni per lavoro.»
Si guardarono sorpresi. «Veramente una strana coincidenza.»
Scese un silenzio imbarazzante. Fu il turno di Claire di schiarirsi la gola.
«Ora me lo dici il tuo nome per intero? Non mi sembra giusto che tu sappia il mio, ma io non conosco il tuo.»
«Hai ragione. Il mio nome è Johnathan Silver-Smith.»
«Perché lo hai abbreviato con John Smith?»
Questa era una domanda difficile. Non era ancora in grado di dirle la verità.
«Tu perché hai smesso di disegnare?»
Anche questa era una domanda proibita. Claire impallidì. Posò la tazza nel piattino.
«Forse non è stata una buona idea.»
Le prese una mano, impulsivamente. «Aspetta, Claire.»
Il suo tono la convinse a sedersi di nuovo e a guardarlo negli occhi. La lasciò andare e si passò una mano tra i capelli, arruffandoli in modo buffo. Sentì le mani che le prudevano per la voglia di disegnare. Le strinse per tenerle a bada.
«D'accordo. Sicuramente non è stata una buona idea. Però prima di andare via, voglio che tu sappia che sei la prima ragazza che mi incuriosisce dopo molto tempo. Ti ho notata da come guardavi Lo stagno
Lei soppesò le parole. «Perché sorridi in modo così... Spiegazzato?»
Spalancò gli occhi, sorpreso: «Spiegazzato?»
«Sì. Come se non ti ricordassi più come si fa.»
Incapace di trattenersi oltre, allungò una mano e tracciò i contorni della sua bocca. Rendendosi conto dell'intimità di quel gesto, ritirò di scatto la mano. Lui la fermò e intrecciò le dita con le sue. Dopo un attimo di esitazione, decise.
«Ci sono molte cose che non ricordo. Il sorriso è una di quelle, ma non la più importante. Non ricordo il mio nome. Il volto di mia madre e di mio padre. Non ricordo di avere un fratello e una sorella. Non ricordo i miei amici. Non ricordo che lavoro faccio. Non ricordo se ho senso dell'umorismo, se ho qualche allergia, se ho degli strani feticismi. Non ricordo il mio primo bacio o la prima volta. Non ricordo nulla.»
Claire assorbì quelle parole come una spugna, mentre lui le lasciava libere le dita.
«Puoi andare via, se vuoi.»
Lei lo guardò a lungo. Gli prese la mano.
«Ho smesso di disegnare perché non ricordavo più come si fa. Il tuo volto è la prima cosa che riesco a disegnare negli ultimi quattro anni. Ho smesso di dipingere perché non riuscivo a vedere più i colori. Il mondo era tutto bianco e nero, per me.»
Si studiarono in silenzio ancora un po'.
«Ho avuto un incidente, quattro anni fa.»
«Anche io. Non ricordo nulla di quella sera.»
«Io non ricordo nulla di tutta la mia vita.» 
Claire sorseggiò il tè. «Ora che la spada di Damocle non pende più sulle nostre teste, che ne dici di passare ad argomenti più leggeri?»
John le sorrise. «Ben detto. Parlami del tuo lavoro.»
Le cinque divennero le sei. Poi divennero le sette. John, non volendo tirare troppo la corda, le chiamò un taxi. Si chinò sulla portiera per salutarla.
«Ci vediamo lunedì?»
«Al museo?»
«Sì. Ah, aspetta!» Infilò una mano nella giacca e tirò fuori il suo disegno.
Lei scosse la testa: «Tienilo. Sarà la tua garanzia per quando mi chiederai un secondo appuntamento.»
Il taxi partì, mentre John sorrideva al cielo nuvoloso di Londra.
Dopo quel sabato pomeriggio c'erano stati altri appuntamenti. Soprattutto al cinema. La scusa era stata John.
«Sul serio non sai che genere di film ti piace?»
Lui scosse la testa. «Hanno provato a dirmelo. Ma onestamente sentirsi dire che hai sempre amato la saga del Signore degli Anelli , non è la stessa cosa che sedersi e vederlo. Non ricordo neppure di cosa parla, il Signore degli Anelli
Claire lo guardò sconvolta. Il cinema era una forma d’arte meravigliosa. Non poteva tollerare che lui ne fosse all'oscuro.
«Non è possibile.»
«Ti dico che è così. Ho provato a leggere la trama su internet, ma non mi dice nulla.»
Allungò una mano e chiuse dolcemente la bocca spalancata di Claire.
«Lo hai almeno rivisto, per capire se ti piace o meno?»
John sospirò, scombinandosi nuovamente i capelli con una mano. «È complicato, Claire.»
Lei aspettò pazientemente, finché lui decise di spiegarle: «Ho smesso di tentare di riacchiappare i frammenti perduti della mia memoria. È come cercare di fare un puzzle sott'acqua, con tutti i pezzi che vengono trascinati via dalle correnti oceaniche. Ho ferito troppe persone.»
«Hai paura di vedere il film e scoprire che non ti ricorda nulla, vero?» Lui annuì, rigido. Lei ci rifletté un attimo.
«Vedila così. Avrai il piacere di rivederlo con occhi nuovi, come se non lo avessi mai visto. Hai presente quella sensazione di quando scopri un quadro bellissimo per la prima volta? Ecco.»
Ci pensò. «Prima di rivedere vecchi film, che ne dici se riduciamo la selezione cercando di capire che genere mi piace?»
E così era iniziata una sorta di sfida. Sceglievano a turno il film da vedere. Scoprirono che non era particolarmente affascinato dall'horror. Aborriva assolutamente i film romantici. Adorava invece i film di fantascienza. Se proprio era costretto a vederli, si appassionava anche ad alcuni film drammatici. Non sopportava molto i film d'autore, che invece Claire apprezzava.
La vera sorpresa fu la sua incapacità di vedere film thriller o gialli. Non perché non gli piacessero, ma tendeva a trovarli noiosi. Rovinava sempre il finale a Claire, dicendole anticipatamente come sarebbe andata la storia, secondo le sue deduzioni. Alla fine rinunciò a proporglieli. Avevano avuto diversi appuntamenti al cinema, prima che finalmente trovasse il coraggio di invitarlo a cena da lei.
Era un salto nel vuoto per entrambi, che si sentivano ancora instabili. Insicuri. Come se stessero camminando su un ponte fatto di corda e assi di legno rosicchiate dai tarli. E sotto scorresse un fiume impetuoso. Ognuno su una riva diversa, camminavano in direzione dell'altro, con passo malfermo. Si avvicinavano sempre più al centro esatto del ponte, la parte più pericolante. Ma continuavano a guardare verso l'altro, non verso il basso. Non avevano ancora vacillato.
Fino a quella cena.
***
John aveva presto imparato che Claire amava quasi ogni tipo di fiori, tranne i girasoli. Diceva che le ricordavano troppo i quadri di Van Gogh. Non le piaceva Van Gogh. Evitava sempre con lo sguardo i suoi quadri, quando entrava alla Gallery.
Lui aveva continuato ad indagare sulla faccenda, finché esasperata aveva ammesso che il loro grande centro le sembrava una bocca aperta, pronta a divorare l'anima di chi incautamente li guardasse. Claire aveva paura dei girasoli. Ogni volta che ci pensava, gli veniva da ridere. Quindi quella sera le prese dei gigli bianchi. E una bottiglia di vino rosso.
Non si era creato particolari aspettative. O almeno aveva convinto se stesso di non averlo fatto. Continuava a ripetersi che era solo una cena.
Claire abitava in un bilocale nella zona più periferica di Covent Garder. Gli aveva aperto la porta con un sorriso imbarazzato e lo aveva fatto accomodare. Aveva preparato dei piatti italiani.
Avevano conversato del più e del meno, percependo una piacevole tensione nell'aria, carica di aspettative. Poi Claire lo aveva fatto accomodare sul divano.
Si era chinata a prendere qualcosa da terra, ma lui non vi aveva badato, intento come era ad ammirare la graziosa curva della sua schiena. Si era seduta accanto a lui e gli aveva messo tra le mani un DVD. Il Signore degli Anelli.
Fu come se qualcuno gli avesse infilato un tubo di azoto liquido in bocca, ghiacciandogli le viscere. L'istante successivo gli sembrò che qualcosa si spezzasse, come le lastre di ghiaccio al polo Nord quando le correnti marine si spostano.
Si ritrovò in piedi, il rumore della custodia di plastica che cadeva un tonfo in sottofondo. Claire lo guardava sorpresa e preoccupata. Doveva uscire da lì. Doveva allontanarsi il più in fretta possibile da lei. Prima che dicesse o facesse qualcosa di irreparabile, come urlarle contro.
«Pensavo che forse … era il momento giusto.»
Il momento giusto? Aveva perso i momenti giusti. Viveva di momenti sbagliati. Lui era un calderone di momenti sbagliati, di istanti rubati e memorie perdute. E lei aveva appena tolto il coperchio. Forse era troppo tardi per allontanarsi e salvare la situazione. John la guardò, furioso.
«Con che diritto stabilisci se sia o meno il momento giusto?»
«Ma io pensavo…»
La sua risata suonò vuota e amara. Sentendola, Claire si ritrasse come se fosse stata colpita da una frusta.
«No, Claire, non pensavi. Non dire che lo hai fatto, perché ti ritengo più intelligente di così.»
Lei lo fissò, turbata e ferita.
«Non guardarmi in quel modo. Sei tu che hai deciso di rovinare la serata.»
«Ho rovinato la serata perché ti ho proposto di vedere un film a casa mia?» Iniziava ad arrabbiarsi anche lei. Le sue buone intenzioni erano appena state trasformate in qualcosa di subdolo, lontano anni luce dalla realtà.
«Non mi hai proposto nulla. Mi hai imposto qualcosa che non volevo fare.»
«Ho capito male, allora. Scusami.»
«Già. Non ho mai detto che avrei visto questo film con te.»
«Già. Non hai detto mai niente. Hai solo fatto mille allusioni diverse. Va bene, non importa. Puoi pure tornartene a casa, fiero di non aver lasciato entrare nessuno nella tua torre arroccata.»
«Che diavolo vai blaterando?»
«Ah, giusto. Tu pensi che abbia fatto tutto questo di proposito.»
«È così.»
Lei si alzò e si allontanò da lui. «Il mio unico proposito era tentare di aiutarti.»
Quelle parole scatenarono un incendio di proporzioni bibliche.
«Aiutarmi? Aiutarmi? Ti ho forse chiesto aiuto? Ti ho forse mai dato l'impressione di averne bisogno? Ti sembro un povero barbone abbandonato sul ciglio di una strada, che aspetta la tua elemosina?»
«Ora basta, John! Stai esagerando!»
Lui le afferrò le braccia. In quel momento era uno sconosciuto pericoloso per Claire. Qualcosa dentro di lei rimpicciolì e la trasformò in un esserino tremante, ma lui non se ne accorse, preso dalla rabbia.
«Rispondimi, Claire! Ti faccio pena? Per questo hai accettato di uscire con me? Usciamo con il poveraccio che non ricorda più un fottuto cazzo della sua vita, dai!»
Claire teneva gli occhi bassi, concentrata sul suo respiro. Se fosse rimasta immobile, forse lui l'avrebbe lasciata stare. Forse se ne sarebbe andato. Però si era ripromessa che non avrebbe avuto più paura. Con la voce sottile come un filo in procinto di spazzarsi, sussurrò: «Lasciami.»
Qualcosa nel suo atteggiamento riuscì a penetrare il manto rosso della rabbia di John. La lasciò andare di scatto e fece un passo indietro. Fu come se la vedesse per la prima volta. Fece un profondo respiro e un passo verso di lei.
«Claire…»
Lei indietreggiò, andando a sbattere contro il davanzale della finestra. Quella sua reazione lo gelò.
Rimasero in quella condizione di stasi per alcuni silenziosi minuti, carichi di una tensione tutta diversa da quella della cena. Perché non era ancora andato via? Sentendo il battito del suo cuore rallentare, finalmente alzò lo sguardo. John la guardava preoccupato. La sua rabbia era evaporata come neve al sole, sostituita da un'espressione che sembrava quasi angosciata. Non aveva senso. Perché il suo aggressore avrebbe dovuto essere angosciato per lei?
La risposta arrivò un istante dopo. Lui si scombinò i capelli con la mano. I ciuffi buffi la riportarono lentamente alla realtà. Perché aveva pensato una cosa simile di John?
Inspirò ed espirò profondamente.
«Mi dispiace, Claire … Non volevo spaventarti.»
Non era ancora sicura della propria voce, quindi fece un gesto con la mano. Lui non tentò neppure di avvicinarsi, mentre lei si sedeva malferma sul divano.
«Claire …»
Lei alzò una mano, per chiedergli di aspettare. Dopo un po' riuscì finalmente a parlare, anche se la sua voce suonava roca.
«Passo falso.» Lui attese che continuasse. «Abbiamo entrambi fatto un passo falso.»
John annuì. Non sapeva cosa pensare. Nella testa aveva un caos di immagini e parole. Non gli succedeva da molto tempo. Quella era la ragione per cui si era allontanato dalle altre persone.
«Credo sia meglio che vada via … Ma una parte di me pensa che lasciarti da sola in queste condizioni non sia saggio.»
Lei non disse nulla. Sembrava svuotata. La scintilla di luce e umorismo che le illuminava sempre gli occhi verdi era spenta. Ed era colpa sua. Non riusciva a perdonarselo.
Mise da parte la rabbia e la paura e le disse la verità.
«Ho reagito in modo eccessivo. Ti chiedo di perdonarmi. Claire … Sei la prima persona con cui parlo davvero da quattro anni. Voglio solo che tu sappia che mi hai spinto di nuovo a vedere il mondo oltre al mio naso. Mi hai spinto di nuovo a vivere. I film? Tu non sai cosa vuol dire per me andare al cinema con te. Non hai idea del senso di meraviglia che provo ogni volta che siamo insieme, seduti su quelle poltrone...»
Claire rimase a lungo in silenzio. John attese. Finalmente lei parlò.
«Hai chiesto se mi fai pena. Ti sbagli. Non c'è niente di più lontano dalla realtà. Devi capire una cosa. Il mio incidente … Ha lasciato tracce profonde. Solchi più grandi di quelli delle talpe. Non sei tu a farmi pena. Mi faccio pena da sola. Tu sei …» cercò i suoi occhi. «Tu sei l'interesse che mi è mancato negli ultimi quattro anni. Sei riuscito inconsapevolmente a farmi disegnare ancora, quando ero sicura non sarei stata in grado di farlo mai più. Volevo solo … volevo solo fare lo stesso per te.»
Lo aveva fatto. Lo faceva in continuazione, senza che neppure lo sapesse. Possibile che non se ne fosse resa conto? Possibile che lui fosse stato troppo stupido e incapace nel dimostrarglielo?
Sospirò. «Stasera abbiamo combinato un pasticcio, vero?»
Lei annuì. Rimasero in silenzio, ognuno perso nei propri pensieri. John era indeciso. Voleva scappare, ma voleva anche restare. Voleva urlare contro il gesto gentile di Claire, ma voleva anche abbracciarla. Doveva scegliere e doveva farlo in fretta. Lo sguardo gli cadde sulla custodia di plastica abbandonata. Si alzò e la raccolse. Mise tutta la sua forza di volontà nel non scaraventarla via di nuovo.
In un primo momento sembrò incerto. Poi si voltò a guardarla, un intenso sguardo riflessivo.
«Volevo metterlo ora nel lettore DVD e iniziare a vederlo. Per dimostrarti ciò che non riesco a spiegare. Ma non ce la faccio.»
Una piccola parte di Claire si rannicchiò su se stessa. Poi John continuò. «Quindi vorrei chiedertelo in prestito. Lascia che lo tenga con me per un po'. Quando sarò in grado di vederlo, vorresti farmi compagnia?»
Un lento, insicuro, sorriso le piegò le labbra. «Con piacere.»
Si diresse alla porta, mentre lei lo seguiva a distanza. Si girò a guardarla. Le sfiorò delicatamente la guancia. Vedendo che non si ritraeva, si chinò a baciarle la fronte. Una pressione leggera, gentile. Come a rassicurarla che quel passo falso non significava ancora essere caduti nel baratro. Quando chiuse la porta, Claire vi si appoggiò. Scivolò lentamente verso terra. Si prese la testa tra le mani e pianse in silenzio.
***
Una settimana. Sette lunghi giorni.
Avevano preso le distanze. Era necessario ad entrambi. Ora però erano passati sette lunghissimi giorni. Claire non era venuta al museo e John non l'aveva ancora chiamata.
Erano le dodici e trenta di un martedì, una settimana dopo quella cena. John voleva rivederla. Si disse che era ora di smetterla di frignare e darsi una mossa. Non era una fottuta mammoletta, dopotutto. Se lo ripeteva in continuazione da due giorni. Chiese una pausa pranzo ed uscì. Le scrisse un messaggio.
Sono stanco di vedere quella dannata custodia girare per casa. Mi perseguita.
Aspettò cinque minuti, gli occhi che vagavano su Trafalgar Square, senza posarsi su un soggetto in particolare. Sentì la suoneria del messaggio, che lesse immediatamente.
In effetti hai le occhiaie. Credo che per disegnarle mi serva una mina più scura.
Alzò lo sguardo e se la ritrovò davanti, con il cellulare in mano e un sorriso cauto. Quella cautela l'aveva impiantata lui. Maledizione.
«La Compagnia dell'Anello mi ha perseguitato anche durante il sonno.»
«Non molto educato da parte loro. Forse è il caso di sgridarli per bene.»
«Vorresti venire con me dopo il lavoro, per quest'arduo compito? Ti avverto, la mia massima competenza in fatto di cucina consiste nel comporre il numero della pizza a domicilio.»
Lei ridacchiò: «Strano. Avrei detto, da come ti muovi, che tu fossi una di quelle persone fastidiosamente brave in tutto.»
Lui si rabbuiò un poco. «Non ho modo di saperlo, no?»
Claire si rattristò. «John … Mi dispiace averti spinto verso una direzione che non desideravi intraprendere.»
Lui scosse la testa. «No, Claire. Se ti scusi sembrerà che tu abbia commesso qualche errore. Non è così. L'errore è stato il mio comportamento eccessivo.»
«Forse. Però avevi ragione. Che diritto ho io di stabilire il momento giusto? Soprattutto quando sono la prima ad evitare l'argomento.»
«Allora ho una proposta. Che ne pensi del gioco delle venti domande?»
Claire era perplessa: «Non conosco quel gioco.»
«Per ogni domanda che ti pongo, tu ne puoi fare una a me. Che ne dici?»
«E se non volessi o potessi rispondere?»
«Allora mi riservo lo stesso diritto.»
La curiosità vinse sulla paura. Paura di scoprire e di scoprirsi.
«D'accordo. Comincia tu.»
«Sicura?»
«Questa è la tua prima domanda?»
Il sorriso malizioso che gli rivolse lo rincuorò. Fece scrocchiare le dita, le spalle e il collo in modo teatrale. Il sorriso di Claire si allargò. Poi divennero seri.
«La mia prima domanda è questa: non ricordi proprio nulla dell'incidente?»
Lei inspirò a fondo. Era difficile, tanto quanto si era immaginata. «Non lo so con esattezza. Ricordo alcune cose, ma in modo molto confuso e non coerente.»
«Cosa?»
«Non tocca a me, adesso?»
Le sorrise in modo apologetico, alzando le mani.
«Perché ti sei arrabbiato tanto la settimana scorsa?»
Il gioco lo aveva proposto lui, quindi non si sarebbe tirato indietro. Anche se non era davvero un gioco. Ed era maledettamente difficile.
«Perché ho passato un anno circondato da estranei che continuavano a dirmi che ero questo e quello, che amavo quella cosa e non l'altra, che ero così e non così. Estranei che continuavano a dirmi di essere la mia famiglia, i miei amici e i miei colleghi. E facevano di tutto per farmi ricordare di loro.»
«Te ne sei andato per questo?»
«È il mio turno ora. Cosa ricordi dell'incidente?»
Claire guardò l'orologio. Doveva tornare a lavoro, come lui.
«Questa domanda richiede una risposta troppo lunga. Che ne dici di parlarne stasera?»
«Stasera vedremo il film, se ti va. E potremmo riprendere il gioco nel fine settimana. Che ne pensi?»
Lei annuì. Si salutarono, sfiorandosi le mani.