14.
Nuvole sul mare
Aivazovsky
«La ragazza ha fegato, lo ammetto.»
A commentare era stato il francese, mentre osservava le telecamere di sicurezza della prigione. C'era qualcosa in lei. Qualcosa di familiare. Eppure non riusciva a collocare bene quella sensazione. Era fastidiosa, come una zanzara la notte. La scacciò nell'angolo, proprio come avrebbe fatto con l'insetto irritante.
«Direi che è pronta per il gran piano.» Il tono compiaciuto del russo gli diede noia, ma non ne mostrò neppure un briciolo.
«Ne siete sicuri?» Il portoghese era quello più incerto.
Dire che tutti e sette avevano seri problemi di fiducia verso gli altri era un eufemismo. Del resto non sarebbero arrivati dove erano, se non avessero provato un profondo senso di sfiducia verso il genere umano. Forse anche la notevole dose di indifferenza era servita a rendere quei sette i famigerati Black Ghost. I due americani, solitamente così loquaci, osservano la manovra della falsaria. Era stata abile. L'inglese si guardava le unghie delle mani, noncurante della situazione. Ora che avevano trovato chi avrebbe fatto il dipinto per loro, il suo interesse per la ragazza era scemato in un lampo.
«Per la festa è tutto pronto?»
A parlare era stato l'altro francese, quello che tra loro era il più cauto, perché rischiava di più. Soprattutto con questo colpo. Il portoghese annuì. La tensione era palpabile, come se fosse un altro componente della loro cricca. Era sempre stata con loro, fino a che non avevano iniziato a rilassarsi. Stando al francese più grande, si erano rilassati troppo. Si erano adagiati negli allori e avevano commesso una serie di passi falsi. Erano costati loro più tempo e denaro di quanto si sospettasse nei circoli dei criminali. Avevano svenduto nel mercato nero grandi opere per riuscire a restare a galla e tenere alta la nomea dei Black Ghost. E adesso stavano rischiando di nuovo.
Il gala era stato fissato la sera stessa del colpo. Non potevano fare altrimenti. Dovevano essere rapidi, perché avevano la sensazione che non erano ancora fuori dai radar delle autorità.
Stavano puntando tutto sulla piccola libellula che stava entrando nel loro giro. Si era dimostrata incurante del pericolo e con una certa dose di spregiudicatezza, oltre che un'immensa bravura. Se avesse consegnato loro l'opera principale, la punta di diamante dell'asta, l'avrebbero ammessa a tutti gli effetti nel cerchio interno. L'ottavo fantasma. Ma c'erano state diverse rimostranze. Gli americani si erano lamentati che era una donna, l'inglese che era troppo giovane, il russo che non fosse abbastanza bella. Li aveva messi tutti a tacere il francese più vecchio. Aveva posto quella condizione, aveva parlato con lei faccia a faccia in quello scantinato. Era da allora che continuava ad avere quella sgradevole sensazione. Analizzava ed analizzava i file della Libellula, ma non trovava nulla fuori posto. Tutto sembrava combaciare. Eppure la sensazione permaneva. Non aveva esitato ad uccidere per loro. Se non era una prova di volontà quella, nessuno avrebbe saputo dire cosa fosse. Si guardarono, come un muto robot che comunicava silenziosamente i dati tra le vari componenti e software interni. Fecero tutti un cenno.
«Aggiornatela sui dettagli del colpo.»
Forse perché era il più anziano tra loro, ma il francese più grande era sempre il primo a parlare e l'ultimo a chiudere una discussione. Non che fosse mai stato nominato il leader, ma lo era di fatto. Aveva fondato lui i Black Ghost, ai tempi in cui era solo un ladruncolo amante delle belle donne e dell'arte. Ora era diventata una vera e propria organizzazione criminale, famosa a livello internazionale. Erano ricercati in Russia, in America, in Europa. E avevano iniziato a prendere accordi con il Giappone, la Cina e la Corea. Presto si sarebbero spostasti in Oriente. Questo sarebbe stato il loro ultimo colpo occidentale. Erano anni che lo pianificavano e finalmente avevano l'ultimo tassello. Lei, Dragonfly, come amava farsi chiamare. Il francese pensò che era una strana scelta, come nome d'arte. Le libellule erano creature leggiadre, ma anche molto fragili.
C'era qualcosa in quella ragazza. Qualcosa che gli ricordava qualcuno, una persona della sua vita passata. Ma non poteva essere lei. Forse solo alcune espressioni. Forse era la sua bravura. Non sapeva cosa fosse, ma si intimò di non prestargli più attenzione. Dovevano organizzare il colpo del secolo. Quello che avrebbe reso i Black Ghost famosi in tutto il mondo.
***
Il protocollo di comunicazione tra Judith e Claire consisteva in una serie di manovre molto semplici e facili da ricordare, ovviamente non appariscenti. Agli occhi di Sergej, che era rimasto a studiare i suoi movimenti per un mese, non erano saltati dettagli strani. La ragazza andava a fare una passeggiata al parco. Ogni tanto si fermava in un minimarket e comprava una busta di spesa. Segej aveva controllato e nel minimarket non c'erano telecamere, ne individui sospetti. Qualche sera usciva per andare ai pub o a qualche locale dance. E ovviamente passava regolarmente al negozio dei materiali d'arte. Ma non aveva una cadenza fissa per nessuna di queste attività, oltre al fatto che non incontrava nessuno. Avevano messo un'intercettazione al suo telefono. Chiamava per ordinare la pizza o cibo da asporto quasi ogni sera. Avevano controllato anche i fattorini e i ristoranti. Era tutto nella norma. Quindi a Sergej era stato dato un altro compito, quello di reclutare il braccio armato del colpo. E che colpo!
Eccitato, si era dedicato ad altro, dopo che era arrivata la notizia che la sua palla al piede e spina nel fianco era ormai sparita. Aveva finalmente comunicato alla ragazza la notizia. L'obiettivo del colpo. Quasi saltellava da un piede all'altro, come nei cartoni animati, per quanto era emozionato. Anche a lui era stato dato un ruolo più rilevante, come gli era stato promesso se avesse trovato il falsario perfetto. Falsario che adesso lo guardava a bocca spalancata.
«Ma non è possibile!»
«Oh, sì che lo è.»
«Non è possibile.»
«Senti, signorinella. Ormai sei dei nostri. Vedi di tirare fuori le palle degne dei Black Ghost. Hai una settimana.» Aspettò, finché lei non rispose con un cenno rigido del capo. «E non dire che ti serve più tempo. Sappiamo che non è così.»
«Quando potrò incontrare gli altri.»
«Il giorno del gran galà.»
«Ovvero?»
«Non te l'ho detto? È il grande giorno. La sera stessa ci sarà l'asta segreta, presso una delle proprietà dei capi. Se il colpo andrà a buon fine siamo stati entrambi ammessi.»
Ignorò la compiacenza di Sergej. «E se non andasse a buon fine?»
La guardò brutale. «Hanno già le misure.»
«Di cosa?»
«Delle nostre bare.» Lei raggelò, mentre lui continuava: «Quindi se dovessi combinare qualche disastro, sappi che prima che loro arrivino a te, passerai tra le mie mani.» Non era una minaccia leggera. Eppure non era ciò che lei temeva davvero.
Sergej non la lasciò andare finché non vide che iniziava a mettersi all'opera. Riuscì a cacciarlo dicendogli che doveva studiare il quadro da vicino e che sarebbe andata alla National Gallery. E che se li vedevano insieme sarebbero sembrati sospetti. Non aveva più modo di dubitare di lei, vedendo la paura nei suoi occhi, quindi la lasciò andare da sola. Claire ebbe uno stranissimo senso di dejà vu, mentre attraversava le sale della National, per arrivare a quella degli Impressionisti. Si sedette su quella che ormai considerava la sua panchina. Non riuscì a resistere. Alzò lo sguardo, dove sapeva che lui non ci sarebbe stato, ma fu un imperativo troppo grande. Rimase paralizzata. Lui era lì. Abbassò immediatamente gli occhi. Non poteva. Non poteva essere lì. Cosa stava succedendo?
Fu come ignorare una calamita che attirava il ferro. Lo sforzo di non guardarlo le fece pulsare le tempie. Iniziò a scattare foto della sala e dell'opera. Quando si ritenne soddisfatta, si alzò e se ne andò senza voltarsi indietro. Aveva il cuore a mille. Temeva che lui l'avrebbe seguita, come la prima volta. Ma non accadde. Nessuno la chiamò per ridarle il suo portafoglio. Nessuno le chiese un appuntamento a base di tè e confessioni. Nessuno la fermò per chiederle spiegazioni sul suo comportamento strano. Non era stata affatto circospetta, ma non poteva farne a meno. Aveva fretta di scappare da quegli occhi scuri. Li aveva incrociati solo per pochi secondi. Iniziò a credere di esserseli immaginati. Si convinse che fosse così. Che lui non era lì. Fece un respiro profondo, rendendosi conto di dove i piedi l'avevano portata. Arts & Stuff era una piccola bottega ben rifornita di tutto il necessario. Entrò, comprò qualsiasi tonalità di verde e blu e grigio che avevano, tele di varie dimensioni, diversi pennelli. Quando pagò il ragazzo alla cassa, gli lasciò nel barattolo alcune monete per la mancia. Lui le fece l'occhiolino e un sorriso gentile. L'aiutò a chiamare un taxi e a caricare tutte le compere nel bagagliaio.
Ricevette una chiamata dalla sua ragazza. «Sushi stasera? Io avevo voglia di pizza, in realtà. Ok, a dopo.» La salutò e rientrò nel negozio.
Claire cercò di non pensare affatto a ciò che era successo alla National. Il ragazzo del negozio le aveva fatto venire voglia di pizza, quindi ne ordinò una a domicilio e poi si mise a lavoro. Aveva davvero pochissimo tempo per completare il quadro che avevano commissionato i Ghost. Si mise di fronte alla prima tela, ma le tremavano le mani così forte che le cadde il pennello più volte.
Imprecò, esasperata. «Maledizione.»
Suonarono alla porta, con il solito tempismo della pizzeria a domicilio all'angolo della strada. Prese un respiro profondo, credendo di trovarsi di fronte Judith, ma quando aprì la porta rimase congelata sul posto, per la seconda volta in un giorno. Aveva il cappello e la maglietta con il logo della pizzeria, ma non era il solito fattorino. Non era Judith sotto copertura.
«Ecco qua la sua pizza, signorina.»
«Non ho il resto. Mi scusi un attimo.» Balbettò lei, facendolo entrare.
Non appena chiuse la porta alle sue spalle, lui posò la pizza sul tavolo. La guardò intensamente. Lei fece un passo indietro sotto il peso di quella intensità. Lo studiò, per vedere le differenze di tutti quei mesi. Era più asciutto e massiccio, come se avesse fatto mesi di palestra. Gli sembrava più alto di come lo ricordava, o forse era solo la sensazione della sua presenza imponente. I capelli erano tagliati corti e più ordinati. I suoi occhi erano più vigili, come se avessero acquisito più peso. La sua anima pesava di più adesso.
Non riusciva a parlare, mentre ne assorbiva i dettagli. Ma John sapeva che stava rischiando tantissimo e non voleva metterla in pericolo oltre a quello in cui già si era ficcata. Aveva pochissimo tempo. Si avvicinò cauto e stavolta lei non arretrò. Le prese il volto tra le mani e la baciò con forza, senza dire una parola. Era un bacio disperato. Era un bacio pieno di parole non dette e sentimenti taciuti. Eppure era tutto ciò di cui Claire non sapeva neppure di avere bisogno. Le toglieva energia, ma al contempo le sembrò restituirgliela in forma diversa. Come una forza vitale che sentiva nascerle da dentro. Improvviso come era iniziato il bacio terminò. La lasciò andare di colpo. Le girò la testa e si portò una mano alla bocca.
Si avvicinò e le bisbigliò all'orecchio: «Sarò per tutto il tempo vicino a te.»
Poi disse ad alta voce: «Grazie per la mancia, signorina. Arrivederci.» E se ne andò, lasciando una Claire confusa, ma con una strana sensazione che le serpeggiava nello stomaco, attorcigliandosi all'altezza del cuore. Un sensazione di felicità.
La mise a tacere con tutta la forza che poteva. Prese il cartone della pizza e lo aprì. C'era una quattro stagioni già tagliata. E in un sacchettino di plastica trasparente c'erano delle finte monete. Ne prese una e la aprì a metà, vedendo la piccola scheda SD nascosta all'interno. Dentro c'erano tutte le informazione che le serviva sapere. Ma prima avrebbe dovuto finire il quadro. Addentò una fetta di pizza e poi si pulì le mani con un tovagliolo, gettandolo sul tavolo alla rinfusa. 
Quando riprese il pennello, la mano non le tremava più.
***
Non aveva resistito. Aveva infranto non si sa quante leggi federali e internazionali quando l'aveva vista alla National e si era messo ad osservarla dalla solita postazione, sebbene non facesse più la guardia al museo. Sapeva del protocollo che aveva stabilito con Flinch. Lo aveva addirittura ammirato, per quanto fosse semplice eppure efficace. Ogni ristorante da asporto, il negozio di materiali artistici e i corrieri che ogni tanto Claire faceva finta di chiamare erano tutti agenti sotto copertura. Intere conversazioni con Sergej venivano registrate e scaricate nelle micro SD che Claire nascondeva nelle monete da un euro. Il ragazzo dell'Art & Stuff le suggeriva in modo velato quale ristorante chiamare, per non insospettire i criminali sulla metodicità del protocollo. Quel pomeriggio avevano sentito immediatamente la registrazione ed erano rimasti sconcertati. Soprattutto John.
Di tutti i quadri che i Ghost volevano rubare... perché proprio quello?
Non ci pensò oltre, preso come era a discutere la strategia migliore per incastrarli. Serpeggiava a Scotland Yard un fervore intenso. C'era in tutti la consapevolezza inespressa a voce, per timore di maledirla, che erano davvero a un passo dal chiudere un caso internazionale. In alcune persone in particolare questa consapevolezza era nitida. Judith e John sembravano pentole a pressione. Jayden si stupì di quanto bene riuscissero a lavorare insieme, considerati i precedenti. Eppure nessuno arrivava ai loro livelli di energia nervosa, come quei giochini caricati a molla che non sembravano accennare a fermarsi. Coordinavano intercettazioni, agenti sotto copertura, informazioni con una velocità e precisione quasi millimetrica. Come un laser che si stringeva a cerchio, mettendo in trappola i ladri. Ladri che ancora non sapevano di essere quasi caduti nel tranello, la cui trama era stata tesa in sei mesi di attento lavoro. Ma che purtroppo si basava quasi interamente su una civile. Una civile considerata fragile. Quanto si erano sbagliati.
Claire era diventata famosa tra gli agenti, che la nominavano “Dragonfly” con rispetto e un'ammirazione non del tutto velata. Ovviamente sempre a distanza di sicurezza da Silver-Smith, che altrimenti avrebbe lanciato dardeggianti sguardi omicidi che mettevano i brividi.
Infine la tensione nervosa aveva avuto il sopravvento. Nonostante aveva promesso che si sarebbe mantenuto lontano da Claire, non aveva resistito. L'aveva seguita alla National. Era riuscito a non approcciarla, perché la furia di Flinch l'aveva riportato al furgoncino.
«Se non volete che faccia altri passi falsi, lasciate che sia io a passarle le monete, stavolta.»
«Non se ne parla! Il protocollo...»
«Può anche andare a farsi fottere. Insieme a tutti voi.»
Jay aveva stretto la spalla di Judith per calmarla. Lo sguardo di John era quasi maniacale.
«Sei capace di non superare i cinque minuti?»
«Sì.»
«John. Se non esci da lì in cinque minuti la metterei nei guai.»
«Ne sono consapevole.»
Aveva ottenuto il permesso di vederla. Ma cinque minuti erano una miseria. C'erano forse un miliardo di cose che avrebbe dovuto spiegarle, soprattutto dopo che una sera Judith gli aveva confessato di aver detto qualcosa che forse Claire aveva male interpretato. Continuava a ripetersi come un mantra che non era quello il momento. Non sembrava mai essere il momento per loro. Fece un sospiro profondo, riportando l'attenzione sulla riunione infervorata.
«Non possiamo costringere Dragonfly a fare due copie, se ne accorgerebbero!»
«Dite? E se una copia la sostituissimo noi?»
«In che senso? Dove lo troviamo un falsario disposto a collaborare con le autorità?»
«Lo scambio non sappiamo neppure quando avverrà.»
«Molto probabilmente durante il trasporto. Questa settimana era prevista una manutenzione speciale proprio per il Monet.»
«Maledizione! I bastardi l'hanno calcolata bene.»
«Ovviamente. Parliamo dei maledetti Ghost, non della Pantera Rosa.»
«Modera i toni, O'Neal.»
«Disse lo yankee, che parlavano con due ottave superiori alla norma.»
«Piantatela.»
Era stato John a mettere fine alla discussione. C'era un unico modo perché il piano funzionasse. Lo sapevano tutti, ma nessuno aveva avuto il fegato di dirlo.
«Dobbiamo lasciargli credere di aver preso il quadro originale. E dobbiamo attenerci al loro piano.» Lo disse a denti stretti, pesando ogni singola parola. Sapevano tutti cosa volesse dire.
I Ghost avevano incaricato la stessa Claire di rubare il quadro. Un'ulteriore prova che fosse degna di entrare nella loro cerchia. Ma se davvero riusciva... Non la stavano solo ammettendo in una delle più famigerate bande criminali del secolo, ma alle famose aste segrete. Avrebbe potuto fornire nomi e volti di politici e potenti che erano intrallazzati con loro. La posta in gioco era così alta, che lo scambio di informazioni era gestito solo dal manipolo di una trentina di agenti che formava la task force. Neppure i piani alti sapevano chi fosse la talpa che avevano piantato le forze dell'ordine, per paura di una fuga di notizie. Guardarono tutti Johnathan, chiedendosi che sforzo sovrumano stesse facendo nel dire quelle parole. Lui rimaneva tuttavia impassibile. Aveva promesso a se stesso che avrebbe lasciato Claire libera di scegliere la sua strada. Tutto ciò che poteva fare ora era prendere le precauzioni necessarie a proteggerla.
«E il dipinto?»
«Glielo lasceremo rubare.»
Si alzò un coro di dissensi. Solo due persone erano rimasti a fissare con attenzione John. Judith fu la prima a parlare, quando i toni si chetarono il necessario per non farle alzare la voce. «Cosa hai in mente, Smith?»
Tutti tacquero sconcertati, nel vedere il lento sorriso di John. La luce determinata del suo sguardo li mise allerta. Prese fiato e spiegò dettagliatamente la sua strategia.
***
Claire lasciò cadere il pennello sulla tavolozza macchiata di verde e viola. Fece un passo indietro ed osservò il quadro con occhi critici. Aveva finito. Aveva finito sul serio.
Qualcuno applaudì dietro di lei. Battiti scanditi in modo preciso e lento, per farle prendere coscienza della sua presenza. Qualcuno che non aveva sentito entrare. Raggelò.
«Mi avevano parlato del tuo talento, ma non avevo capito se stessero esagerando o meno.»
Si voltò lentamente. Quando incontrò lo sguardo dell'uomo, sentì un brivido gelido attraversarla e posarsi alla bocca dello stomaco. Non riusciva a respirare. L'attacco di panico era incombente. Non sarebbe riuscita a tamponarlo.
«Ti ho rubato la parlantina? Eppure stando alle ciance rozze di Sergej sei una che sa rispondere a tono. Ti ho spaventato? Oh, ma che cosa carina.»
Ma non sarebbe riuscita a dire nulla. Lui era uno degli uomini che aveva ucciso Jackie. Lui era lì quel giorno. Era stato lui a premere il grilletto. Aveva ucciso Jackie. Ed ora era appoggiato allo stipite della porta, come se fosse il padrone di casa. Come se il mondo dovesse inchinarsi ai suoi piedi. Si avvicinò alla tela, ignorando il gesto involontario della ragazza, di ritirarsi fino ad arrivare al muro.
«Uhm, devo dire che non è per niente male. Manca giusto quel tocco di antico, che darebbe un senso di autenticità all'opera.»
Claire non riusciva a parlare di fronte all'assassino di Jackie. Cercò di ricordare le tecniche che le aveva insegnato Joanna, ma era difficile. Immagini del passato le scorrevano davanti gli occhi come se stesse rivivendo il momento. Immagini in uno scantinato con Pierre che discuteva con lui e il russo. Immagini su immagini che le stavano facendo scoppiare la testa. Cercò di ricordare come uscire da quel labirinto caotico. Ma ricordare era difficile. Era quasi impossibile. Una vocina nella sua testa le disse che lo aveva già fatto. Aveva ricordato una volta. Poteva farlo ancora. Doveva solo seguire la voce di Joanna, che le suggeriva di riflettere. Non stava succedendo davvero. Jackie era già morta. Lei era già stato in quello scantinato. L'uomo davanti a lei era un fantasma del passato. Ma era anche reale. Il suo cervello si rimise faticosamente in moto.
«Chi sei?»
«Un'ottima domanda. Credo che tu ti sia meritata il diritto di saperlo. Soprattutto perché mostri il giusto rispetto per i tuoi superiori.»
Si avvicinò a lei, il passo tranquillo di chi sembra non avere una singola preoccupazione al mondo. L'accento e il modo di parlare erano un chiaro segno del suo paese di origine.
«Mi chimo Philibert Lowell. E tu, leggiadro insettino, sarai il mio passaporto verso un futuro migliore.»
«Cosa?»
«Non lo capisci l'inglese?»
Claire lo guardava incredula. Uno dei Black Ghost che voleva tradire gli altri?
Si chiese se non fosse una trappola. Serrò la mascella, inspirò a fondo e con tutto il coraggio che aveva in corpo fece un passo verso di lui.
La prima regola per affrontare le proprie paure è avvicinarsi in modo graduale a ciò che temiamo. Ragni, serpenti o il buio che sia. Questo le aveva detto Joanna. E questo aveva appena fatto.
Irrigidì la mascella e sibilò a denti stretti: «No.»
«No, non capisci l'inglese?»
«No, non ti aiuterò.»
Lowell tirò indietro la testa e rise di gusto. «Oh, hai senso dell'umorismo, vedo.»
«Vattene.»
«O cosa farai? Mi dipingerai orrendo su una tela?»
Si avvicinò ancora e lei lo guardò con odio vero e profondo.
«Se non te ne vai, ti ammazzo.»
«Oh, ho visto come sei brava con i veleni assassini. Mi sorge tuttavia spontanea una domanda. Dove lo hai preso?»
Claire era in guai seri. Non sapeva cosa fare.
«Ho le mie fonti.»
«Ah sì? Vorrei sapere nomi e cognomi, tesoro. Vedi, uno come me ha davvero tante risorse. Se è qualcuno di mia conoscenza, di certo mi confermerà la tua versione dei fatti.»
La ragazza rimase in silenzio. Lowell le prese il mento tra le dita e lo sollevò verso di lei. Il disgusto e l'orrore dipinto nei suoi occhi era immenso.
«Sei più propensa ad ascoltare la mia richiesta, adesso?»
Claire non rispose. Si limitò a guardarlo, con la segreta ed assurda speranza che il suo odio passasse dalla sua anima attraverso i suoi occhi e in qualche modo lo fulminasse, uccidendolo seduta stante.
«Dovrai rubare il Monet per me. O dirò agli altri che sei un talpa.»
Claire non era nei guai. Era assolutamente fottuta.
***
L'imprecazione risuonò per tutta Scotland Yard.
Se non ci fossero stati vetri infrangibili e muri spessi, probabilmente sarebbe rimbombata in tutta la strada.
Jayden provava gli stessi sentimenti dell'amico. Vedendo il suo pugno stretto che aveva sbattuto con violenza inaudita sul tavolo, si chiese per l'ennesima volta se avessero fatto la mossa giusta.
«John. Lo sai che siamo ancora in tempo a tirarla fuori.»
Judith annuì. «Abbiamo l'identità di uno dei Fantasmi. Già questo è un enorme successo. Potremmo riuscire a rintracciare gli altri basandoci sui suoi spostamenti.»
Il tavolino di metallo ancora vibrava per il colpo che gli aveva assestato John. Aprì le mani sul piano scheggiato e le osservò con attenzione, cercando di liberare la mente dai pensieri di troppo e dalle emozioni. Era impossibile, ma con uno sforzo sovrumano ci riuscì.
«No. Forse questo sviluppo può venire a nostro vantaggio.»
«Ma Claire...»
«Se la tiriamo fuori adesso la metteremo ancora più in pericolo. Sapete meglio di me cosa accadrebbe dopo.»
Claire sarebbe finita nel programma protezione testimoni. Era troppo immersa in quella situazione, troppo a stretto contatto con i criminali in questione, per riuscire a scappare senza lasciare traccia. Era già un miracolo che non l'avessero scoperta fino a quel momento, grazie a tutti gli stratagemmi tecnologici che Flinch aveva messo in atto. La messinscena aveva retto. Fino a quel momento almeno. Imprecò dentro di sé ancora una volta.
«Forse il tradimento dell'inglese ci può essere utile.» Era stato O'Neal a dare voce ai suoi stessi pensieri.
Jayden, con un tono di voce basso, aggiunse: «Venire in contatto con lei adesso sarebbe tuttavia controproducente.»
John lo sapeva. Sapeva che avrebbero dovuto agire senza spiegarle la strategia. Sapeva che era la cosa migliore. Eppure il terrore che qualcosa potesse andare storto si era cristallizzato in piccoli pezzi di ghiaccio che gli erano rimasti incastrati alla bocca dello stomaco.
Judith controllò lo schermo, dove appunti, informazioni e segnalazioni lampeggiavano a velocità costante. «Non abbiamo più tempo. Mancano meno di ventiquattro ore.»
John si alzò. «Va bene. Il piano resta lo stesso. Cambia solo una cosa.»
Si irrigidirono tutti. John non era al comando, eppure lui più di tutti aveva il diritto di arrogare pretese. Ecco perché gli lasciavano più spazio nelle decisioni da prendere. E finora non se ne erano pentiti. Aveva mostrato una lucidità e una freddezza notevoli, forse addirittura superiori di prima, quando aveva iniziato il suo lavoro nell’FBI.
«Vado anche io.»
Si alzò un coro di proteste acclamate.
«No!»
«Cosa?»
«Ma sei impazzito?»
John alzò un dito per zittire tutti. «Ascoltatemi bene. Solo McCarthy alla guida del furgone non ci garantisce l'ingresso alla villa. E con i nuovi sviluppi abbiamo bisogno di un supporto maggiore sul campo.»
Jay lo guardò incredulo: «Maggiore? C'è la squadra tattica!»
O'Neal rincarò la dose: «La tua arroganza è tanto grande da farti credere di valere più di trenta uomini?»
«No, affatto. Ma io ho una cosa che quei trenta uomini ben addestrati e con più anni di servizio di me non hanno.»
«La faccia tosta?»
«No. Un curriculum che comprende esperienze di lavoro alla National Gallery.»
Marcus e Jayden lo guardarono come se fosse impazzito. Judith invece aveva capito. La sua voce era intaccata dall'asprezza: «C'è troppo poco tempo per inserire un altro membro alla squadra. Si insospettiranno.»
«Non è detto.»
Ci furono minuti intensi di parolacce, urla, imprecazioni, tentativi di far ragionare John. Infine lo lasciarono parlare. Accettarono a malincuore la sua idea.
Sarebbe stato vicino a lei. Nessuno glielo avrebbe impedito.