Anne, tornando a casa un venerdì sera dall’ufficio postale, fu raggiunta dalla signora Lynde, come sempre gravata dalle preoccupazioni quotidiane.
«Sono appena andata da Timothy Cotton per chiedere ad Alice Louise se poteva venire ad aiutarmi per qualche giorno» disse.
«L’ho chiamata la settimana scorsa perché, anche se è lenta come una tartaruga, è sempre meglio di niente. Ma è ammalata e non può venire. Anche Timothy se ne stava lì seduto a tossire e a lagnarsi. Sono dieci anni che sta per morire e andrà avanti così dieci anni ancora. Questa gente non riesce nemmeno a morire e a farla finita... Non riescono a perseverare in nulla, neanche nella malattia, tanto da portarla a termine. È davvero una famiglia di inetti, e cosa accadrà di loro io proprio non lo so. Forse solo la provvidenza lo sa!»
La signora Lynde sospirò, quasi a mettere in dubbio sull’argomento perfino la speranza provvidenziale...
«Marilla è andata di nuovo a farsi visitare gli occhi martedì, vero? E che ha detto l’oculista?»
«Era molto soddisfatto» rispose Anne allegramente. «Dice che sono molto migliorati e ritiene che il pericolo di perdere completamente la vista sia passato. Ma dice pure che non potrà mai leggere molto, né far lavori fini di cucito. Come vanno i preparativi per la vendita di beneficenza?»
La Società di Mutuo Soccorso stava organizzando una fiera, con relativo pranzo, e la signora Lynde era l’anima dell’impresa.
«Vanno abbastanza bene... Oh, a proposito. La signora Allan pensa che sarebbe carino allestire uno degli stand arredandolo come una cucina del buon tempo antico e servire una cena a base di fagioli al forno, ciambelle, pasticcio e così via. Stiamo raccogliendo ovunque dei vecchi arredi. La signora Fletcher ci presterà i tappeti intrecciati di sua madre e la signora Boulter delle vecchie sedie e zia Mary Shaw la credenza con gli sportelli a vetro. Credi che Marilla vorrà darci i suoi candelieri d’ottone? E ci servono piatti antichi, tutti quelli che riusciamo a trovare. La signora Allan ci tiene moltissimo a trovare un piatto da portata di vera porcellana cinese, a disegni blu su sfondo bianco. Sarà possibile? Ma pare che nessuno ad Avonlea ce l’abbia. Sai dove potremmo trovarne uno?»
«La signorina Joseph Barry ne ha uno. Le scriverò chiedendole se può prestarvelo per l’occasione» disse Anne.
«Bene, vorrei che lo facessi. Credo che la cena sarà tra una quindicina di giorni circa. Zio Abe Andrew prevede pioggia e temporali per quell’epoca, e così abbiamo quasi la certezza che farà bel tempo.»
Il soprannominato “zio Abe” assomigliava ad altri profeti almeno in questo, che in patria godeva di scarso credito. Nessuno, infatti, lo prendeva sul serio, giacché poche delle sue previsioni meteorologiche si erano mai avverate. Il signor Elisha Wright, che si considerava a torto o a ragione il personaggio più spiritoso del luogo, era solito dire che nessuno ad Avonlea si sognava di dare un’occhiata ai quotidiani di Charlottetown per leggere le previsioni del tempo. No, perché bastava chiedere a zio Abe come sarebbe stato il tempo l’indomani e poi aspettarsi l’opposto. Tuttavia, per nulla scoraggiato, lo zio Abe continuava nelle sue previsioni.
«Vogliamo che la fiera si tenga prima che finiscano le elezioni» continuò la signora Lynde «perché i candidati verranno certamente a spendere un mucchio di quattrini. I Conservatori già stanno dando bustarelle a destra e a manca, ragion per cui tanto vale, per una volta, dare loro una possibilità di spendere il proprio denaro onestamente.»
Anne parteggiava con fervore per i Conservatori, in omaggio alla memoria di Matthew, ma tacque. Si guardava bene dal provocare la signora Lynde in fatto di politica.
Aveva una lettera per Marilla, che recava il timbro di una città della Columbia Britannica.
«Forse è lo zio dei gemelli» disse tutta eccitata, quando arrivò a casa. «Oh, Marilla, chissà cosa scrive...»
«La cosa migliore è aprire la lettera e leggerla» tagliò corto Marilla. Un osservatore attento avrebbe detto che anche lei era eccitata, ma sarebbe morta piuttosto che darlo a vedere.
Anne aprì la lettera e diede una scorsa la contenuto, un foglio piuttosto sgualcito e mal scritto.
«Dice che non può prendere i bambini questa primavera; è stato malato gran parte dell’inverno e il matrimonio è stato rimandato. Vuol sapere se possiamo tenerli fino all’autunno, e allora forse sarà in grado di prenderli. Li teniamo, naturalmente, vero Marilla?»
«Non vedo cos’altro possiamo fare» rispose Marilla in tono brusco, anche se si sentiva segretamente sollevata. «Comunque, adesso, non danno più un gran da fare come all’inizio; o forse noi ci siamo abituate. Davy è molto migliorato.»
«In quanto a buone maniere, sì, è migliorato» assentì Anne cautamente, come se non fosse disposta a fare altrettanto in quanto a principi morali. La sera prima Anne era tornata a casa da scuola; Marilla era uscita, per recarsi a una riunione della Società di Mutuo Soccorso, Dora era addormentata sul sofà in cucina e Davy, davanti all’armadio del salotto, stava beatamente ingurgitando il contenuto di un vasetto della famosa marmellata di prugne gialle di Marilla, la “marmellata delle visite”, come la chiamava Davy, al quale era stato vietato di toccarla. Aveva l’aria molto colpevole nel momento in cui Anne gli era balzata addosso e l’aveva allontanato in fretta dall’armadio.
«Davy Keith, non lo sai che stai commettendo veramente una cattiva azione, quando mangi quella marmellata mentre ti è stato detto di non toccare nulla di quanto si trova in quell’armadio?»
«Sì, lo sapevo di far male» ammise Davy imbarazzato, «ma la marmellata di prugne è così buona! Ho solo dato una guardatina e mi è sembrata così appetitosa che ho pensato di assaggiarla. Ho infilato un dito...». Anne emise un borbottio di disapprovazione «E l’ho leccata ben bene. Ed era così buona, persino più buona di come pensavo, così ho preso un cucchiaio e ci ho dato dentro...»
Anne gli fece una paternale così grave sul furto della marmellata di prugne, che Davy fu preso dal rimorso e promise, con molti baci di pentimento, di non farlo mai più.
«In ogni caso, in paradiso di marmellata ce ne sarà in abbondanza, e questa per me è una consolazione» disse soddisfatto.
Anne soffocò un sorriso.
«Forse, se ne avremo voglia...» disse. «Ma cosa te lo fa pensare?»
«Ma come, c’è nel catechismo» disse Davy.
«Oh, no, non esiste nulla del genere nel catechismo, Davy.»
«E invece sì, te lo dico io» insistette Davy. «È proprio nella domanda che Marilla mi ha insegnato domenica scorsa. “Perché dobbiamo amare Dio?” “Perché egli ci preserva e ci redime.” Che significa preserva? È lo stesso che dire conserva... È un modo religioso per dire marmellata...»
«Corro a bere un sorso d’acqua» disse Anne che soffocava dal ridere. Quando tornò, sudò sette camicie per spiegare a Davy che quella domanda e risposta del catechismo avevano un significato ben diverso.
«Beh, mi sembrava troppo bello per essere vero» disse alla fine Davy, con un sospiro di delusione. «A parte il fatto che non so come si potrebbe trovare il tempo di fare la marmellata se, come dice l’inno, il paradiso è un lungo, infinito giorno di festa. Non sono sicuro di voler andare in paradiso. Credi che non ci saranno mai sabati in paradiso.»
«Ma certo ci saranno i sabati, Davy, e ogni sorta di belle giornate. E ogni giorno, in paradiso, sarà sempre più bello di quello che l’ha preceduto» fece Anne, soddisfatta che Marilla non fosse lì a scandalizzarsi di quei discorsi. Marilla, inutile dirlo, allevava i gemelli secondo il vecchio catechismo e scoraggiava al riguardo qualunque interpretazione fantasiosa. Davy e Dora imparavano un inno, una domanda di catechismo e due versetti della Bibbia ogni domenica. Dora li imparava, ubbidiente, e li recitava come una macchinetta, senza approfondirli e senza un vero interesse, meccanicamente. Davy, al contrario, era molto curioso e spesso poneva delle domande che mettevano in crisi perfino Marilla.
«Chester Sloane dice che in paradiso saremo tutto il tempo senza far altro che andarcene in giro con abiti lunghi e bianchi a suonare l’arpa. E dice che spera di andarci quando sarà vecchio, dato che forse, allora, tutto questo gli piacerà di più. Intanto pensa che sarà spiacevole indossare degli abiti lunghi, e anche io la penso così. Perché gli angeli uomini non possono portare i calzoni? Chester Sloane si interessa molto a queste cose perché i suoi vogliono che faccia il pastore. Deve fare il pastore perché sua nonna ha lasciato il denaro per mandarlo all’università, e lui non può entrarne in possesso se non fa il pastore. La nonna pensava che avere un pastore in famiglia fosse una bella cosa. Chester dice che a lui non gliene importa molto, per quanto preferisca fare il fabbro; però vuole divertirsi più che può prima di fare il pastore, perché pensa che dopo non potrà più divertirsi molto. Io no, non voglio fare il pastore. Voglio fare il negoziante, come il signor Blair, e avere mucchi di canditi e di banane. Però mi piacerebbe anche andare in paradiso se mi lasciassero suonare l’organino a bocca, invece dell’arpa. Pensi che mi sia possibile?»
«Sì, credo proprio che sarà possibile.» E questo fu tutto quello che Anne si arrischiò a dire in proposito.
La SPA (Società per il Progresso di Avonlea) si riunì quella sera a casa del signor Harmon Andrew; tutti erano stati pregati di intervenire, giacché si dovevano discutere questioni importanti. La SPA era in pieno rigoglio e aveva già compiuto miracoli. All’inizio della primavera il signor Major Spencer aveva mantenuto la promessa e aveva sgomberato dai ceppi d’albero, livellato e seminato tutto il terreno del fronte della strada antistante la fattoria. Una decina di altre persone, alcune spinte dal desiderio di non lasciarsi superare da Spencer, altre spronate all’azione dai progressisti nell’intimità domestica, avevano seguito il suo esempio. Il risultato fu che là dove una volta si stendeva il sottobosco o una squallida sterpaia, c’erano ora lunghe strisce di un vellutato tappeto erboso. Quei poderi in cui non s’era provveduto a questi lavori, apparivano per contrasto così brutti che i proprietari se ne vergognarono al punto da decidere che avrebbero riconsiderato il problema la primavera prossima. Anche il triangolo di terreno al crocevia era stato pulito e seminato e al centro vi campeggiava l’aiuola di gerani piantata da Anne, al sicuro dalle scorrerie di qualunque mucca.
Nel complesso, i progressisti pensavano che le cose andavano piuttosto bene, anche se il signor Levi Boulter, avvicinato diplomaticamente da una commissione appositamente scelta, disse senza mezzi termini che non aveva intenzione di consentire loro di immischiarsi nella vecchia casa della fattoria alta.
Nel corso di quella particolare riunione, i giovani si ripromettevano di avanzare una petizione agli amministratori, sollecitando umilmente che il terreno circostante la scuola fosse recinto con uno steccato; e si doveva anche discutere di un progetto di piantare alcuni alberi ornamentali accanto alla chiesa, se i fondi della società lo avessero consentito, perché – come sosteneva Anne – era inutile avviare un’altra sottoscrizione finché il Circolo ricreativo restava dipinto d’azzurro. I membri della società erano radunati nel salotto degli Andrews e Jane stava già per proporre la nomina di una commissione incaricata di appurare e riferire poi il prezzo dei suddetti alberi, quando fece solennemente ingresso Gertie Pye, pettinata “alla Pompadour” e tutta in ghingheri dalla testa ai piedi. Gertie aveva l’abitudine di arrivare tardi, “per far più sensazione”, dicevano i maligni. L’ingresso di Gertie in questo caso fu veramente d’effetto, poiché ella si fermò al centro della sala con aria drammatica, alzò le braccia, roteò gli occhi ed esclamò: «Ho saputo poco fa una notizia spaventosa. Volete conoscerla? Il signor Judson Parker vuole affittare lo steccato della sua fattoria che dà sulla strada a una ditta farmaceutica, a scopo pubblicitario.»
Per una volta in vita su Gertie Pye creò tutto lo scalpore che desiderava.
Se avesse lanciato una bomba tra i progressisti non avrebbe potuto far di peggio.
«Non può essere vero» disse Anne, con indifferenza.
«Proprio quello che ho detto io quando me l’hanno raccontato la prima volta» rispose Gertie, che non se l’era mai spassata tanto in vita sua. «Io ho detto che non poteva esser vero, che Judson Parker non avrebbe mai avuto il coraggio di fare una cosa simile. Ma papà l’ha incontrato nel pomeriggio e gliel’ha chiesto e lui ha detto che era vero! Immaginate un po’! La fattoria dà proprio sulla strada di Newbridge e pensate che orrore vedere i cartelloni pubblicitari di pasticche e cerotti, eh?»
I progressisti ci pensavano fin troppo. Anche il meno fantasioso tra loro riusciva a figurarsi l’effetto grottesco che avrebbe fatto mezzo chilometro di steccato adorno di cartelloni del genere. Ogni idea di abbellire la chiesa e la scuola svanì di fronte al pericolo incombente. Norme assembleari e regolamenti vennero dimenticati e Anne, dalla disperazione, rinunciò perfino a dirigere un verbale. Tutti parlavano contemporaneamente e la baraonda era infernale.
«Su, non perdiamo la calma» intervenne Anne, che era la più eccitata di tutti «e cerchiamo di farci venire in mente un qualche modo per impedirglielo».
«Non so come tu possa pensare di impedirglielo» esclamò Jane con amarezza. «Lo sanno tutti che tipo è Judson Parker. Farebbe qualunque cosa per denaro. Non ha un briciolo di spirito critico, né alcun senso estetico!»
La prospettiva appariva assai poco promettente. Judson Parker e sua sorella erano gli unici Parker ad Avonlea, sicché non si poteva far leva in alcun modo su eventuali parenti. Martha Parker era una signora di una certa età, che disapprovava i giovani in generale e i progressisti in particolare. Judson era un giovialone, dai modi insinuanti, sempre di buon umore e così mite che sorprendeva il fatto che avesse pochi amici. Forse aveva avuto la meglio in troppe transazioni d’affari, il che di rado accresce la popolarità. Lo si considerava “molto sveglio” ed era opinione generale che “non avesse molti principi”.
«Se a Judson Parker si presenta l’occasione di “farsi onestamente un penny”, come dice lui, non è tipo da lasciar perdere» dichiarò Fred Wright.
«Non c’è nessuno che abbia una qualche influenza su di lui?» chiese Anne, disperata.
«Va’ a trovare Louisa Spencer a White Sands» suggerì Carrie Sloane. «Forse potrebbe convincerlo a furia di moine a non affittare lo steccato.»
«No, non lei» intervenne Gilbert con enfasi. «Conosco bene Louisa Spencer. Non crede nel progresso dei villaggi e nelle società che lo vogliono promuovere, ma crede solo nei dollari e nei loro sottomultipli... Si rischierebbe di vederlo sollecitato, piuttosto che dissuaso.»
«L’unica cosa da fare è designare un comitato che si rechi da lui a protestare» disse Julia Bell, «e bisogna mandare delle ragazze, perché dubito che con i ragazzi si comporterebbe in modo civile... Io però non ci vado. Risparmiatevi pure la pena di incaricare.»
«Meglio mandare Anne, lei sola» disse Oliver Sloane. «Se c’è qualcuno che può far intendere ragione a Judson è lei.»
Anne protestò. Acconsentiva volentieri ad andare a fare il discorso; ma aveva bisogno di altri “per conforto morale”. Sicché Diana e Jane furono designate a fornirle il suddetto conforto e la riunione dei progressisti, che per l’indignazione ronzavano come api impazzite, si sciolse. Anne era così preoccupata che non si addormentò fin verso l’alba, e poi sognò che gli amministratori avevano fatto costruire uno steccato attorno alla scuola e vi avevano dipinto sopra “Provate le Pasticche Porporine”.
La commissione si recò da Judson Parker il pomeriggio dell’indomani. Anne perorò appassionatamente la propria causa, dando addosso a quel progetto nefasto e Jane e Diana la sostennero moralmente con grande coraggio. Judson fu mellifluo, soave, complimentoso; le paragonò parecchie volte a delicati girasoli; era davvero rattristato di rifiutare un favore a delle signorine così affascinanti... ma gli affari sono affari: non poteva permettersi di farsi intralciare dal sentimento in tempi così difficili.
«Ma vi dico io cosa farò» disse con un guizzo negli occhi larghi, vivaci.
«Dirò all’agente della casa farmaceutica di impiegare solo colori gradevoli, piacevoli all’occhio, rosso, giallo e così via. Lo diffiderò a ogni buon conto dall’usare l’azzurro nei cartelloni...»
A quell’accenno all’“azzurro” la commissione sgominata si ritirò, pensando cose che è più che legittimo tacere.
«Abbiamo fatto tutto il possibile e ora dobbiamo solo confidare nella provvidenza» fece Jane, imitando inconsciamente il tono e la maniera della signora Lynde.
«Chissà se il signor Allan potrebbe intervenire» rifletté Diana. Anne scosse la testa.
«No, è inutile disturbare il signor Allan, specialmente ora che il bambino è tanto ammalato. Judson eluderebbe elegantemente i suoi discorsi come ha eluso i nostri, anche se adesso ha ripreso ad andare regolarmente in chiesa. Solo perché il padre di Louisa Spencer è vecchio e ci tiene molto a queste cose.»
«Judson Parker è l’unico ad Avonlea capace d’affittare la sua palizzata» disse Jane indignata. «Perfino Levi Boulter o Lorenzo White non si abbasserebbero mai a questo, per tirchi che siano. Hanno troppo rispetto della pubblica opinione.»
Quando i fatti divennero di dominio pubblico, l’opinione generale fu fieramente avversa a Judson Parker; ma ciò non ebbe alcuna conseguenza utile. Judson ridacchiava tra sé, sfidandola, e i progressisti stavano tentando di adattarsi alla prospettiva di vedere la parte più graziosa della strada di Newbridge sconciata dai cartelloni pubblicitari. Ed ecco che, in occasione della successiva riunione della Società, all’invito rivolto dal presidente alle varie commissioni di presentare le loro relazioni, Anne si alzò calma calma e annunciò che il signor Judson Parker l’aveva pregata d’informare la Società che non avrebbe affittato il suo steccato alla ditta di specialità farmaceutiche.
Jane e Diana sgranarono gli occhi come se non credessero alle proprie orecchie. Il protocollo assemblare, strettamente osservato dalla SPA, impedì a ognuno di dare istantaneamente sfogo alla propria curiosità, ma quando la seduta fu sospesa Anne tuttavia non aveva altre spiegazioni da dare. Judson Parker l’aveva raggiunta per via la sera prima e le aveva detto di aver deciso di seguire la SPA nella sua spiccata avversione contro i cartelloni pubblicitari di specialità farmaceutiche. Questo fu tutto quello che disse Anne, allora e in seguito; ed era la pura verità. Ma quando Jane Andrew, tornando a casa, confidò a Oliver Sloane la sua ferma convinzione che v’era dell’altro dietro a quel misterioso mutamento di rotta di Judson Parker, e certo più di quanto Anne Shirley avesse rivelato, anche lei diceva la verità.
Anne era andata a trovare la vecchia signora Irving, la sera prima, passando per la strada costiera ed era tornata a casa per una breve scorciatoia che dapprima la portò sui bassi campi che scendevano alla spiaggia, e poi, attraverso la faggeta sotto la proprietà di Robert Dickinson, per un viottolino che sbucava sulla strada principale giusto sopra al Lago delle Acque Lucenti, noto alle anime poco fantasiose come il laghetto di Barry.
Due uomini sedevano nei loro calessini, fermi sul ciglio della strada, proprio all’inizio del viottolo. Uno era Judson Parker; l’altro Jerry Corcoran, un tale di Newbridge contro il quale – come vi avrebbe detto la signora Lynde in termini eloquenti – non era mai stato provato nulla di equivoco... Era un rappresentante di attrezzi agricoli e un personaggio influente in materia di politica. Aveva lo zampino – la gente diceva più d’uno – in ogni faccenda che con la politica avesse a che fare; e dato che il Canada era alla vigilia delle elezioni generali, Jerry Corcoran era stato impegnatissimo per settimane, battendo la campagna a favore del candidato del suo partito. Mentre Anne emergeva da sotto i rami sporgenti, udì Corcoran che diceva: «Se voterà per Amesbury, Parker, beh... ho qui una fattura per quel paio di erpici che ha acquistato in primavera. Penso che non le spiacerebbe riaverla indietro, eh?»
«Noi... Beh, se la mette in questo modo» disse Judson con voce strascicata, con un mezzo sorriso, «penso che potrei farlo. Uno deve badare ai propri interessi, in tempi così difficili».
Entrambi, in quel momento, si accorsero di Anne e la conversazione cessò di colpo. Anne s’inchinò gelidamente e proseguì, con il mento lievemente più sollevato del solito. Ben presto Judson Parker la raggiunse.
«Vuole un passaggio, Anne?» s’informò giovialmente.
«Grazie, no» disse Anne con gentilezza, ma con un sottile e pungente disdegno nella voce che trapassò perfino la coscienza non troppo sensibile di Judson Parker. Questi arrossì in volto e diede un iroso strattone alle redini; ma subito dopo intervennero a frenarlo alcune prudenti considerazioni. Guardò Anne imbarazzato, mentre lei continuava a camminare senza voltarsi né a destra, né a sinistra. Aveva udito la proposta inequivocabile di Corcoran e il suo palese assenso? Accipicchia a Corcoran! Se non fosse riuscito a esprimere i suoi intendimenti con frasi meno pericolose, prima o poi avrebbe finito col mettersi nei guai. E accipicchia alle maestrine con i capelli rossi! E alla loro abitudine di saltar fuori all’improvviso dalle faggete dove non è possibile prevedere che vi siano. Judson Parker, che giudicava Anne prendendo se stesso a misura di tutto (ovvero misurava il grano con il suo staio, come si diceva in campagna, e cioè imbrogliava, come si fa di solito con la gente) riteneva che la ragazza sarebbe andata a spiattellare tutto. Judson Parker, come abbiamo visto, non dava troppo peso alla pubblica opinione, ma passare per uno che si era fatto corrompere era assai spiacevole; e se mai questa voce fosse giunta all’orecchio di Isaac Spencer, addio per sempre a ogni speranza che gli concedesse la mano di Louisa Jane, addio alla consolante prospettiva di impalmare l’erede di una fattoria ben avviata. Judson Parker sapeva già di non essere troppo gradito al signor Spencer, e non poteva permettersi di correre rischi.
«Ehm... Anne, volevo giusto vederla, a proposito di quella faccenduola di cui si discuteva l’altro giorno. Ho deciso, alla fin fine, di non affittare il mio steccato a quella ditta. Una Società come la vostra, con un così nobile scopo, dev’essere incoraggiata.»
Anne si fece un tantino più cordiale.
«Grazie» disse.
«E... e... non occorre che lei faccia parola della piccola conversazione che ho avuto con Jerry.»
«Non avevo comunque intenzione di farne parola» rispose Anne con freddezza; avrebbe preferito vedere ogni steccato di Avonlea deturpato da insegne pubblicitarie piuttosto che abbassarsi a discutere con l’uomo che vendeva il suo voto.
«Per l’appunto, per l’appunto» convenne Judson, più che mai convinto che tra loro due se l’intendessero perfettamente. «Non ho mai pensato che lo facesse. Naturalmente stavo solo menandolo per il naso quel Jerry Corcoran... Lui si crede un furbone, un tipo svelto. Ma io non ho alcuna intenzione di votare per Amesbury. Voterò per Grant, come ho sempre fatto. Vedrà, quando ci saranno i risultati delle elezioni. Ho solo voluto stuzzicare un po’ Jerry, per vedere se si comprometteva. E per lo steccato, va tutto bene; può dirlo ai progressisti.»
«Ci vuole ogni sorta di gente al mondo, come spesso ho sentito dire; ma di certuni penso proprio si potrebbe farne a meno» disse Anne quella sera alla sua immagine riflessa nello specchio dell’abbaino rivolto verso levante.
«Non avrei riferito quella disgraziata conversazione a nessuno, sicché al riguardo ho la coscienza pulita. Davvero non so chi o che cosa si debba ringraziare, per questo. Io non ho fatto nulla per ottenerlo, ed è difficile pensare che la provvidenza si serva di politicanti della genia di Judson Parker e Jerry Corcoran.»