Doc era al Las Brisas la sera che ricevette la chiamata sul furto al banco dei pegni sul Beverly a Filipinotown. L’allarme silenzioso del banco dei pegni si era attivato. Doc decise di accostare con le luci e le sirene spente, casomai il furto fosse stato ancora in corso.
Vede che il sospettato è ancora lí. Non gli parte la macchina, una Chevy Caprice scassata. Lui continua a girare la chiave. Il motorino guaisce ma non si accende.
Doc si avvicina di soppiatto, gli punta la pistola d’ordinanza alla testa e gli chiede educatamente di scendere dalla macchina. La sua voce, quella di Doc, diventa gentile. Sembra la voce di Mister Rogers, ma non vuole imitare un personaggio televisivo. È una voce che gli calza come un guanto. Doc è un tipo ammodo, sembra piú un dentista che uno sbirro. Pensava a se stesso attraverso le categorie del basket: era l’inizio degli anni Novanta e se certi della polizia usavano uno stile e un linguaggio di strada – come i Lakers con quei calzoncini che arrivavano al ginocchio – Doc, per come la vedeva lui, giocava per gli Utah Jazz, una squadra che come realizzatori aveva giocatori bianchi con i calzoncini attillati. Uomini che, al pari di Doc, sembravano dentisti e dicevano cose intelligenti sulla strategia e la tecnica, a differenza di quei ritardati che quando li intervistavano nel dopopartita dicevano che avevano vinto prendendo tempo e calibrando i tiri. Prendo tempo e calibro i tiri. Questo il ritornello di quasi tutti i giocatori, manco l’avessero imparato a memoria. Ma in effetti era una buona formula. Anche Doc faceva cosí.
Doc fa: – Si direbbe che ha un problema con la macchina –. Poi chiede con tutta calma al sospettato com’è andato il furto.
– Che cosa? – Quello è confuso. È un nero. Nel campo di Doc, i neri sono quelli che gli danno piú problemi. O meglio, è lui quello che dà piú problemi a loro.
Doc spiattella il tipo a braccia e gambe divaricate contro il suo catorcio e prende dal sedile anteriore la refurtiva, che è dentro una federa di quelle che Doc usava da piccolo quando chiedeva dolcetto o scherzetto per accaparrarsi quante piú caramelle poteva, e ’fanculo tutti gli altri. La federa è piena di armi, orologi, gioielli: solita roba. Il tipo ha addosso una pistola e Doc gli leva anche quella. Una Glock. È una piacevole sorpresa che quel tipo in un cesso di macchina che manco si mette in moto abbia un’arma decente che Doc potrebbe pure tenersi anziché venderla.
La radio della polizia gracchia un messaggio: arrivano i rinforzi a Beverly e Vendome. I rinforzi? Lui non ha chiamato i rinforzi. Invece il comunicato dice che stanno arrivando. Sarà un’auto di pattuglia fantasma. Era un raggiro che adottavano spesso. Il commissario vuole che in quella divisione girino un casino di auto. Può andare a farsi fottere: gli ufficiali di tutta la città inviavano comunicati fasulli facendo credere che erano usciti per una chiamata mentre invece se ne andavano a mangiare e a giocare d’azzardo, o in palestra, o a sbattersi qualcuna in un locale a ore giú sulla Western, lo Snooty Fox, un posto molto frequentato da quelli della polizia. Era pulito, Doc ci tiene a farvelo sapere, non la solita pianta carnivora per fumatori di crack e motociclisti del cazzo. Lo Snooty Fox era un posto di classe, con le suite e una buona macchina del ghiaccio, e c’erano gli specchi sul soffitto cosí ti potevi guardare. (Per Doc è una stramberia che uno specchio serva a guardare qualcuno che non sei tu. Faceva questi discorsi con i ragazzi giú alla divisione Rampart, e ripeteva sempre la stessa cosa. «Se voglio vedere com’è una puttana da dietro, piglio e la giro. Mica ho bisogno dello specchio. Semmai sono io che senza lo specchio non mi vedo»).
Doc decide che chiunque ci sia sull’auto di pattuglia inviata a dargli manforte, probabilmente sarà allo Snooty Fox a farsi inumidire l’uccello.
Il sospettato è davanti a lui, le mani in alto.
– Non t’agitare, – dice Doc. – Senti, nessuno dei due può tirarsi fuori da questa faccenda, perciò vediamo di venirci incontro. Io posso semplificare le cose. Tu adesso vai in centrale a lasciare i tuoi dati. Domani riceverai una citazione in giudizio e il tribunale ti nominerà un avvocato come si deve.
Oppure no, come Doc sapeva.
– Al massimo ti becchi due anni.
Il sospettato si mette a frignare.
– Ehi, ti capisco. Stavi solo cercando di fare un lavoretto facile.
Il sospettato squadra Doc poco convinto, perché ha paura, e probabilmente odia gli sbirri. – Questa volta però hai fatto un casino, – dice Doc.
Doc sente le sirene gemere verso l’incrocio tra Virgil - Temple - Silver Lake - Beverly. Stanno arrivando davvero i rinforzi. Se trovano il semaforo rosso, Doc ha tempo mentre l’auto di pattuglia rallenta per attraversare l’incrocio multicorsia con le macchine che sfrecciano.
Doc tira fuori una sigaretta. – Queste cose non divertono nemmeno me.
Ne offre una al sospettato, che lo occhieggia guardingo e scuote la testa, cercando di trattenere le lacrime.
– Puoi abbassare le mani, – dice Doc, soffiando il fumo. – La tua arma ce l’ho io. Lo so che non costituisci una minaccia. Basta che non fai stupidaggini. Però rilassati. Mi stai innervosendo.
Il sospettato lo guarda. Tiene le mani sollevate.
– Rilassati, davvero. Gliele faccio prendere agli altri le tue generalità, la volante sta arrivando. Lo sai perché? Odio mandare la gente in galera. Avanti. Ti ordino di abbassare le mani. L’ho capito che sei un bravo ragazzo. Scommetto che è stato il tuo primo furto, perciò hai combinato ’sto cazzo di casino. Metti giú le mani e respira. Tra poco quelli ti metteranno le manette, e le manette non sono una bella cosa.
Gli occhi del sospettato luccicano per la paura. Comincia ad abbassare un pochino le braccia.
Si asciuga la faccia bagnata con la manica della maglia.
Vi ricordate il periodo in cui tutti portavano quelle maglie da rugby con le rigone verticali dai colori sgargianti e il colletto bianco? Ecco, il sospettato ne indossava una.
Doc odiava quelle maglie.
Il sospettato abbassa completamente le mani.
– E bravo, – dice Doc. – Cerca di non preoccuparti. Conosco l’agente giú alla centrale. Gli chiederò di andarci piano con te. Può anche darsi che ti rilasciano stasera stessa.
Il sospettato porta le braccia non proprio giú ma verso le tasche.
Non appena le mani del sospettato entrano nelle tasche, Doc gli spara in faccia. Due volte, mirando verso l’alto.
I rinforzi arrivano pochi istanti dopo. Quanto basta per nascondere la federa che Doc ha ereditato.
Due ufficiali della divisione centrale accostano.
– Cristo santo. Che è successo?
Il sospettato è accasciato contro il radiatore della sua macchina. Dietro di lui, un raggio di sangue screzia il cofano.
– Gli ho ordinato di alzare le mani, – dice Doc, – e lui le ha messe subito in tasca. Non volevo correre rischi.
Non sapeva perché l’aveva fatto. Lo stupratore di bambini poteva bruciare all’inferno, ma perché aveva ucciso quel ragazzo sul Beverly?
Se il ragazzo gli avesse detto: «Perché lo fai?», Doc forse si sarebbe fermato, perché non lo sapeva. Il ragazzo però non aveva potuto chiederglielo, Doc non gliene aveva dato il tempo.
Vero è che lui e il suo vecchio partner, José, avevano torturato una vittima, il direttore di un locale per soli uomini sotto la superstrada 605, e a cose fatte avevano buttato il corpo vicino alla 710. Ma quello aveva violentato la ragazza di José, perciò che avrebbero dovuto fare? La stampa aveva sollevato un polverone con la faccenda della tortura, ma Doc non è uno squilibrato, non è un serial killer. L’ha fatto perché pensassero che a uccidere quell’uomo fosse stato uno del genere.
Non era tutto cosí. Doc era un detective conosciuto, magari l’avresti pure invidiato vedendolo scorrazzare con un’altra manciata di agenti fuori servizio lungo le scogliere sopra Malibu in una giornata mite e senza vento. Erano un gruppo che andava sulla Pacific Coast Highway. Doc di solito a bordo della sua Sportster del ’78, mica una frociomobile grande-stile vecchio-modello, di quelle che spesso vedi parcheggiate fuori dal Neptune’s Net sulla Pacific Coast Highway, il proprietario che la tratta con i guanti perché l’ha presa in leasing. Doc odia i froci che prendono le Harley in leasing e tanto per la cronaca lui ne ha due, pagate sull’unghia, la Sportster e una Softail, la Softail anche lei ridotta all’osso ma con le bisacce di vacchetta per quando va su alla sua casa di Three Rivers, dove ha un appezzamento di terreno con un corso d’acqua che scorre al centro, altro particolare invidiabile della vecchia vita di Doc. Bellissimo paesaggio collinare, fantastica pesca alla trota, aria pulita. Un capanno dove si sparava metanfetamine in vena e scopava donne rimorchiate nella zona sud di Los Angeles.
Three Rivers lo riporta a una cosa stuzzicante: vede fianchi e cosce spalancate. Ecco cosa succede al corpo di una donna quando vengono via i vestiti, i fianchi si allargano reagendo alla spinta spugnosa del materasso bozzoluto nella sua casa di campagna. Vede le pareti rivestite con un legno da quattro soldi. Una fica pelosa, bagnata, rilassata. Lui separa le labbra con le dita, usa l’altra mano per prepararsi. Questa sta funzionando. Non vede la faccia ma non ne ha bisogno, né ci tiene. Vede le cosce aperte e sente il cigolio della vecchia rete del letto mentre si mette in posizione. Sente il caldo di una stanza immobile in un giorno d’estate e questa sta funzionando.
Tutto il sesso che ha fatto in vita sua. Restavano soltanto quei momenti che ripercorreva a ripetizione.
Fianchi, spinta, muri rivestiti di legno, cigolio del letto. Due mani sul suo fondoschiena (lui è un maschio, chiaro? Ha un fondoschiena, non un culo). Afferra quello di lei. Afferra una manciata di passera. Il modo in cui i fianchi si allargano sotto di lui sul materasso di campagna, è questo che ha contribuito a farlo funzionare. Affonda. Il letto cigola all’impazzata; lui è in dirittura d’arrivo e dal rumore sembra che abbiano spaccato in due la rete del letto con l’accetta.
Questo invece, dove lui sprofonda, riprendendo fiato, no. Questo è un letto di cemento. Rimane steso nel caldo immobile della cella, cercando di conservare la sensazione di caldo immobile di una giornata estiva su nella regione delle sequoie.
Cosí caldo che non serve tirare lo starter alla sua Harley, basta il motorino d’avviamento e come niente ti ritrovi in folle.
In un pomeriggio cosí se ne andrebbe al bar dei motociclisti di Three Rivers, lasciando la donna, chiunque fosse, su alla capanna con la droga confiscata e la tv satellitare. Si siederebbe al bar a bere birra fresca alla spina.
La gente snobba la Budweiser a favore di quelle stupide marche mai sentite, ma la Budweiser è la regina delle birre per una ragione: è buona.
Il suo compagno di cella è nella saletta comune a strimpellare le corde della sua grossa chitarra gialla. Suona come i Led Zeppelin, ma quale bianco che fa blues su una chitarra acustica non suona come loro? Il compagno di cella non è male come musicista per essere un verme che si scopava la figlia. Gli altri sono tutti in cortile. Doc in cortile non ci va. In caso non lo sapeste, il cortile di una prigione non è posto per uno sbirro, pure quello nella sezione dei protetti, a meno che quel giorno non giochino a sexy softball, e allora Doc correrebbe il rischio pur di non perdersi lo spettacolo.
Doc sta dando da mangiare alla sua lucertolina quando torna il compagno di cella. Ultimamente ha scoperto che la pellicola a adesione statica – la puoi ordinare sul catalogo Walkenhorst’s – funziona come rete per coprire il terrario di cartone della lucertola. Il terrario è ricavato da una scatola di Nike. Doc porta soltanto scarpe da ginnastica bianche, pulite come quelle da ospedale, le striglia varie volte al giorno con il Blocco Carcerario 64 e ne fa fuori varie paia, grazie ai soldi che gli sganciano tanti del dipartimento per tenere la bocca cucita. Dà alla lucertola dei pezzetti di foglia presi dai germogli che coltiva in un barattolo. Gli piace tenere in cella qualche pianta e un po’ di vita animale purché rimanga pulita e ordinata e non aleggino strane puzze. Guarda la lucertola guardare la sua manona che le allunga la foglia e poi…
Qualcosa l’ha ridotto a un punto interrogativo.
È a terra, ma si sta ripigliando. Il compagno di cella, che cazzo. Gli ha dato una botta in testa. Con cosa, Doc non lo sa. Qualcosa di grosso.
Non riesce a respirare. Una garrota di fortuna lo sta quasi strozzando.
Esistono garrote d’altro tipo?
La mente divaga, anche nei momenti critici. Si dice sempre «garrota di fortuna». Doc la tocca… è forte, è fatta con…
Non riesce a respirare!
Il filo interdentale? Una corda di chitarra?
Sputacchia e grugnisce con un desiderio animale di vita. Doc cerca di…
Non riesce a…