Candy Peña fece delle copertine da neonato con il filo che le aveva comprato Gordon Hauser. Le copertine furono raccolte da un agente del blocco e messe nell’ufficio dove smistavano la posta. Gordon le vedeva ogni volta che passava davanti a quell’ufficio, dentro una bustona gigantesca da cui spuntavano, sgargianti e tristi, i colori del filo che aveva scelto lui. Un giorno chiese all’agente dell’ufficio che destinazione avevano. L’agente era una bionda ustionata con la coda tiratissima, brusca, ex militare. Sbuffò. – Queste? Nessuno le vuole. Mi dimentico sempre di dire agli inservienti di portarle fuori e buttarle nel cassonetto.
La stessa agente sorvegliava le visite famigliari, quando le detenute ottenevano di trascorrere trentasei ore con i parenti di sangue in quella che era la versione carceraria di un appartamento.
Parenti di sangue. Suonava cosí violento. O era Gordon che stava perdendo la prospettiva, vedendo tutto deformato da ciò che lo circondava.
Era difficile restare a guardare mentre si congedavano? Gordon, prima di conoscerla meglio, l’aveva chiesto all’agente dell’ufficio che smistava la posta. Lui aveva visto con i suoi occhi, passando accanto all’area dove si tenevano le visite dei famigliari, i bimbetti abbandonarsi a pianti isterici aggrappati alle loro madri. Qualcuno aveva disegnato un gioco della campana color lavanda nel vialetto fuori dai blocchi dove i famigliari si riunivano.
– Ti viene la scorza, – aveva detto l’agente, facendo una specie di broncio come per dimostrare quant’era dura la sua, di scorza. – Specie quando sai che è tutta colpa della madre.
Sarebbe stato meglio se le copertine da neonato fossero finite nel cassonetto. Invece un secondino del blocco le aveva restituite a chi le aveva fatte nel braccio della morte. Quando Gordon tornò la volta successiva, Candy Peña aveva unito le due copertine da neonato creando una lunga tunica, una specie di poncho, di un azzurro e giallo tenue, diafano. La sollevò. – Spero che le stia.
Quei lavori a maglia cercavano di tessere un legame. Nessuno li voleva quelli di Candy Peña, nemmeno Gordon, che mise la tunica in un sacchetto di carta in fondo al baule della macchina e cercò di dimenticarsela.
Una sera da Baressi’s annegò il cervello nel whisky e gli prese la nostalgia per Simone, la donna con cui usciva a Berkeley. Negli ultimi tempi lei aveva chiamato lasciando un messaggio in cui chiedeva se Gordon avesse attaccato la presa del frigorifero. Era una battuta che faceva sempre quando uscivano insieme per dire che lui era un lavoro in corso, non era ancora pronto ma diretto in quella direzione, verso una vita con il frigorifero attaccato. Era un modo per equiparare la mancanza d’istinti domestici al rifiuto per lei, cosa che lo rendeva piú colpevole di quanto Simone sapesse, perché non era del tutto vero. Era su di lei che aveva delle riserve, non sull’idea di abbandonare la vita da scapolo. Chissà perché non l’aveva richiamata. Adesso che era mezzo ubriaco e solo, non riusciva a ricordarsi il motivo. La giovane barista, con il grande sorriso e le tette finte premute contro i bottoni della camicia, chiedeva in continuazione ai clienti riuniti ma separati, tutti maschi, se avevano bisogno di qualcosa. – Vi serve altro? – Lo chiedeva come se fossero sugli Appalachi anziché nella Central Valley.
Al televisore sopra di lei passava un servizio su una città conquistata dalla milizia sciita, uomini e ragazzi con le maschere bianche che sfrecciavano davanti alla telecamera a bordo dei motorini, i cumuli di macerie che bruciavano indisturbati sullo sfondo. Qualcuno chiese alla barista di mettere la minor league di baseball. Gordon avrebbe letto della milizia rientrando a casa. La guerra era un fatto privato. Tra ogni individuo e il suo computer. Gordon avrebbe potuto optare per una vita piú ascetica ed evitare di farsi mettere l’Adsl, solo che il precedente inquilino l’aveva già installata. Il padrone di casa gli aveva detto che era tra i pochi fortunati. Molti indirizzi in montagna non erano raggiunti dal servizio.
Manderò a Simone una cartolina, pensò. Gioca di sponda. Senza svelare che sperava di farla urlare come il puma sulla montagna nella scena che si era immaginato: Simone andava nella sua capanna nel bosco, con le pile di libri lungo il pavimento sporco, la bottiglia di whisky sul ripiano della cucina. Una donna testimone della sua vita solitaria, del gusto acquisito per la bellezza della valle che, a un occhio inesperto, non aveva niente di bello. La valle era un paesaggio brutale, piatto, meccanizzato, con una strana luce color limonata addensata dal terriccio sospeso nell’aria e da altri agenti inquinanti prodotti dai macchinari agricoli e dalle raffinerie petrolifere. Era un inferno in terra creato dall’uomo ma era anche una valle vera e propria, con le montagne ai lati. Era a misura di agricoltura industriale, commisurata alle sue proporzioni. Difficile immaginare come fosse prima che la coltivassero. Difficile anche immaginare come fosse coltivata alla vecchia maniera, dalle persone. I macchinari scuotevano i mandorli con violenza sincronica. I frutti cadevano al suolo a ogni scossone meccanico. Altri macchinari spingevano dentro i solchi le mandorle ancora coperte dal mallo e un’altra apparecchiatura le risucchiava lungo degli scivoli caricandole sui vagoni merci. Succedeva tutto molto in fretta una volta l’anno, la raccolta di settembre. Per la maggior parte del tempo gli enormi appezzamenti dei mandorleti erano vuoti e silenziosi.
Pagò il conto e andò alla stazione di servizio lí accanto. La stazione di servizio era il principale distributore di alcol della città e c’era la fila, uomini e ragazzi che strizzavano gli occhi sotto le luci impietose mentre aspettavano di comprare liquore al malto e Mad Dog. Gordon prese una Perrier piccola dal frigorifero in vista del viaggio su in montagna. L’anidride carbonica lo aiutava a stare sveglio mentre guidava. Il ragazzo in fila dietro di lui lo guardò mettere la bevanda sul bancone. – Che cos’è? – gli chiese. La bottiglia di vetro verde a forma di pera sembrava tutt’a un tratto invitante ed esotica. Gordon capí che il ragazzo doveva averla presa per qualcosa di alcolico. – È, ehm, è acqua francese.
– Acqua francese –. Il ragazzo fece un verso di disapprovazione. – Mi sembrava sciroppo per la tosse.
Non avevano cartoline alla stazione di servizio. Provi al Dollar Tree, gli suggerirono alla cassa. Non trovò cartoline di Stanville. A quanto pareva non era un posto da ricordare e se voleva restare in contatto con Simone le poteva mandare un’e-mail come tutte le persone normali.
A Natale, durante la settimana di vacanze, prese la macchina e andò a Berkeley a dormire sul divano di Alex.
– Come va la vita nel monolocale? – chiese Alex.
Gordon non si era messo in contatto con Simone. Lui e Alex fecero il giro nostalgico: le librerie dell’usato, la mensa irlandese vicino agli alloggi, i caffè sulla Telegraph pieni di belle donne che si sforzavano un mucchio per sembrare semplici e naturali. Il ristorante barbecue sulla Shattuck e il locale accanto dove suonavano il blues che, quando loro facevano l’università, avrebbe potuto avere come insegna «La bettola piú fumosa del pianeta» mentre adesso nessuno piú fumava nei bar; era vietato. Alex e Gordon parlarono della guerra. Controllavano tutti e due gli stessi siti ossessivamente, Informed Comment per le analisi e iCasualties per le cifre. Trovavano divertenti le stesse cose e atroci le stesse cose. Era tutto atroce, ma qualcosa era anche divertente. Il modo in cui Bush parlava di «Mr Maliki» che la Cia aveva piazzato come presidente. «Sto cercando di aiutare quel poveretto!» aveva detto Bush con disperazione reale ma inconsapevole a una conferenza stampa andata male.
Sto cercando di aiutare quel poveretto! ripeteva Alex di continuo.
Subito dopo Natale il nuovo governo iracheno impiccò Saddam Hussein. Gordon e Alex lo guardarono su internet.
– Ha mantenuto la sua dignità, – disse Alex. – Mentre moriva lo sfottevano, ma secondo me è lui che ha avuto l’ultima parola.
Gordon andò sul ponte di San Francisco da solo, mangiò in un ristorante vietnamita del centro di cui gli aveva parlato la sua allieva Romy Hall. Non gliel’aveva esattamente raccomandato. L’aveva elencato tra i posti di cui sentiva la mancanza. Il cuoco, aveva detto, ha un simpatico tic. Dopo averle usate, batte due volte le pinze da cucina e se le passa sul camice. Ha una grossa chiazza unta in quel punto del grembiule. E suo padre fuma una sigaretta dietro l’altra tagliando la carne a dadini al piano di sopra, dove ci sono i bagni. Il cuoco era lí quando Gordon andò. Batteva le pinze due volte e se le passava sul camice. Il padre era al piano di sopra, a fumare una sigaretta dietro l’altra tagliando un’enorme pila di carne a dadini.
A Capodanno lui e Alex andarono a una festa a Oakland, la classica situazione con tutti accalcati in una cucina a farsi domande inutili tipo che cosa fai e di dove sei. Le donne riservavano particolari attenzioni a Gordon, non sapendo ancora quale fosse il suo problema, cosa che invece avevano già appurato con gli altri single della festa, a sentire Alex. Alcune erano ex universitarie che dalle facoltà di Inglese, di Retorica e di Letteratura comparata avevano poi seguito la strada della psicanalisi. E non si limitavano a studiarla, avevano proprio cominciato a esercitare. Alex disse che l’avevano etichettato come maschio isterico, come a dire che le autrici dell’avventata diagnosi volevano portarselo a letto ma il fatto che lo trovassero troppo astuto e che avesse l’aria del fratello minore impediva una vera relazione.
Quando Gordon accennò esitante al suo lavoro, dopo che gliel’avevano chiesto diverse volte, le donne nella cucina lo assalirono come un’invasione di cavallette.
– Davvero? Una prigione. Chissà che fatica.
– Gli agenti di custodia. Io non riuscirei a guardarli.
– Non portano nemmeno i loro vestiti. Come gli sbirri, anzi, peggio. Che vita di merda.
Le donne si dilungarono sulla feccia dell’umanità che faceva l’agente di custodia. Lui non ebbe il coraggio, o forse la voglia, di chiedere se ne avessero mai conosciuto uno. E del resto perché avrebbe dovuto difendere gli agenti di custodia? Era lui il primo a odiarli. Ma se una persona si fosse degnata di uscire dal suo guscio, avrebbe scoperto che erano poveracci senza troppe alternative. Uno si era appena fatto saltare le cervella in una torre di guardia a Salinas Valley. Gordon avrebbe potuto raccontarlo, imbarcarsi in una discussione sul sistema rieducativo con quelle donne alla festa. Ma non era evidente? Non portavano nemmeno i loro vestiti. L’interazione risvegliò timori che risalivano ai tempi del dottorato, l’abitudine che avevano i suoi colleghi di criticare a vanvera persone di cui non sapevano un accidenti.
Come primo e unico componente della sua famiglia ad aver conseguito un’istruzione cosiddetta superiore, forse Gordon era portato all’ipersensibilità. Ai tempi del dottorato aveva conosciuto persone smaniose di dichiarare un pedigree proletario magari perché avevano un genitore un po’ meno istruito, o la famiglia era «povera» ma con la laurea in tasca. Fatto sta che se qualcuno urlava ai quattro venti le sue vere origini, in linea di massima Gordon la considerava prova del fatto che non era un vero proletario. Se fosse venuto da un ambiente come quello di Gordon avrebbe pensato bene di nasconderlo, come faceva lui, perché la sua posizione pionieristica era di per sé dimostrazione di quanto fosse esiguo il suo margine di salvezza.
A quella festa si presentarono persone che conosceva, amici del dipartimento diventati ricercatori che parlavano degli imminenti colloqui di lavoro, dei particolari sui contratti delle loro pubblicazioni accademiche, come se fossero argomenti interessanti. Le donne facevano il gesto tipico dei dottorandi di mimare le virgolette con le dita per mettere una distanza fra loro e le parole che sceglievano, quelle studiose con una goffaggine che lui a suo tempo aveva trovato deliziosa. Gordon non voleva discutere la propria vita con quelle persone. Si attaccò alla bottiglia, una salvezza temporanea dall’alienazione.
Lui e Alex si svegliarono con i postumi della sbronza.
Con Alex, se non altro, Gordon poteva raccontare qualcosa di com’era Stanville. Gli aveva parlato delle sue allieve, dandogli a intendere che Romy Hall fosse soltanto una delle tante studentesse che aiutava, o cercava di aiutare, al pari delle altre, il che risvegliò dentro di lui la consapevolezza che non era cosí.
Alex cominciò a fargli domande sul suo coinvolgimento con le detenute. Alex parlò di Norman Mailer e Jack Henry Abbott. Alex disse che si domandava se Mailer non fosse stato responsabile di quello che era successo dopo aver fatto uscire Jack Henry Abbott, il suo progettino personale, di prigione.
Non era un progetto personale, disse Gordon.
– Sí, come no, – disse Alex. – Non era un progetto. Era una persona. Ma Norman Mailer l’aveva capito?
Il primo giorno che Gordon rientrò al lavoro, il direttore mise la prigione in quarantena per via della nebbia. Non era vera nebbia. Era una caligine provocata dagli aerei agricoli che spruzzavano i mandorleti intorno alla prigione. Quarantena significava che erano tutte confinate nelle celle. Nessuno scambio lavorativo, nessuna lezione, nessun movimento. Gordon sarebbe stato pagato per non fare niente, come tutti all’interno della struttura, ma gli dispiaceva. Non l’avrebbe vista, non le avrebbe raccontato che era andato al ristorante vietnamita sulla Sesta Strada.
Tornò a casa e si lasciò guidare dall’istinto. Chiamò il numero che lei gli aveva dato. Jackson Hall: il nome del bambino era scritto su un foglietto di carta rosa. Chiedo e basta. Non sono tenuto a dirle che ho fatto questa telefonata. La persona che rispose gli disse di fare un altro numero. Al nuovo numero lo misero in attesa per un sacco di tempo, poi lo passarono a una casella vocale. Dopo diversi giorni, qualcuno lo richiamò e lasciò un messaggio. Gordon era al lavoro. Chiamò quel numero la mattina successiva, rispose una casella vocale e lui lasciò un altro messaggio. Andò avanti cosí per settimane, perché Gordon spesso non era a casa, visto che lavorava giú a valle e viveva su in montagna.
Quello che venne a sapere quando finalmente parlò con un essere umano dei servizi sociali di San Francisco era la dimostrazione pratica del perché non avrebbe dovuto farsi coinvolgere.