Corsi lungo un filare di mandorli, mi spostai di due e corsi ancora, poi di altri due e corsi ancora, ancora, ancora. Correre, non avevo altra scelta. Correre e trovare un posto dove nascondermi finché non faceva notte.
Dalle montagne capivo dov’era l’est. Il mandorleto è fatto di righe dritte e quando uno finí e incontrai la strada, vidi che anche le strade erano dritte, come ricordavo di averle viste dal cellulare. Attraversai e continuai a correre, attraversai e continuai a correre. Se mi stavano già seguendo, tutti quegli zig-zag avrebbero reso difficile localizzarmi con precisione. Andavo a zig-zag ma procedevo verso est, verso le grandi montagne.
Arrivai a un canale d’irrigazione. C’era una conduttura aperta dove potevo infilarmi, nascondendomi finché non calava il buio.
Nel canale vidi che sanguinavo. Non me n’ero accorta, non avevo nemmeno sentito i pantaloni bagnati. L’acqua fredda sembrò fermare il sangue. Sulla coscia avevo un lungo squarcio che mi ero fatta col filo spinato.
Dopo aver ascoltato per un po’ il rumore dell’acqua, riuscii a sentire anche il resto. A distinguere altri rumori: gli insetti. Un corvo. Lo sfrecciare di un’auto sulla strada vicina. Bevvi con le mani l’acqua nel canale.
Quando scese la notte uscii dalla conduttura. Camminai svelta nella tuta del carcere bagnata e lacera. Non vedevo le montagne ma sapevo da che parte erano. Lí era tutto dritto. Ero dentro una griglia gigante; svuotata dalle persone ma fatta dalle persone. Il mondo intero, questo almeno, la Central Valley, dalle montagne all’orizzonte occidentale, era una gigantesca prigione. Frutteti e fili dell’alta tensione anziché filo spinato e torrette. Senza uomini, e opera degli uomini.
La griglia mi aiutava a capire dove andavo. Potevo evitare di perdermi stando alla larga dalle strade e percorrendo invece i sentierini in mezzo ai frutteti.
Camminai tutta la notte, piú lenta e piú veloce.
Prima dell’alba incontrai una casa con delle vecchie auto scassate parcheggiate intorno. Dalla cucina trapelava una fredda luce al mercurio. Un odore di guava veniva dal cortile. C’era un filo del bucato con i panni stesi. Vestiti, dovevo prendere quei vestiti, ma con la luce in cucina era pericoloso. Sentii un rumore all’interno e mi rimisi a camminare. Superai molte altre baracche malmesse lungo la strada, tutte buie, niente vestiti in mostra da prendere. Dopo un lungo tratto senza abitazioni, eccone un’altra, e con i vestiti ad asciugare sulle sedie di plastica vicino all’ingresso. Corsi il rischio, sgattaiolai verso le sedie e presi un paio di pantaloni e una maglia.
All’alba mi ritrovai alle porte di una cittadina. C’era un parcheggio con un bidone della spazzatura dove infilai la tuta del carcere. Addosso avevo gli altri vestiti, un paio di jeans da uomo rigidi, ruvidi, e una T-shirt. Mi esercitai a camminare, a non correre, a comportarmi in modo legittimo, non illegittimo, come una persona che aveva il diritto di camminare per strada.
Non c’erano piú frutteti lí, né strade a griglia. La strada curvava dietro gli alberi, gli affioramenti di roccia e i campi aperti. Trovai una macchia di cespugli appartata e mi stesi sotto a dormire. Dormii a tratti fino al crepuscolo. Ero debole ma m’imposi di camminare mentre scendeva la notte. Non bevevo da quando ero uscita dal canale d’irrigazione, e non avevo toccato cibo.
Sentii l’urlo di un animale. Il cuore mi martellava in petto da quando ero uscita dal recinto della prigione, scandiva l’allerta alla paura, agli sbirri, a qualunque segno che si stessero avvicinando. Adesso avevo paura anche del buio. Di quell’animale, che strillò di nuovo. Aveva un verso quasi umano, ma era il verso quasi umano di un animale allo stato brado.
Camminavo da tanto quando vidi delle luci. Era un incrocio con una stazione di servizio e una strada tutta curve che saliva verso le montagne. Era notte fonda. La stazione di servizio era aperta.
Si fermò un pick-up. Il conducente scese e andò verso la pompa. Un uomo solo. Sentii che potevo farlo. Che era la persona giusta a cui chiedere. Mi avvicinai.
– Che c’è, – disse. Un tipo grassoccio con un giubbotto della Marlboro scolorito.
– Mi serve un passaggio.
– Un passaggio. Può darsi. Può darsi. Sposata?
– Non sono sposata.
– Non è che c’è uno nascosto qua in giro, che mi saltate addosso o roba del genere?
Dissi che ero sola.
– Dove vai?
– Su –. Indicai col mento le montagne.
– Fin dove?
– Fino in cima.
– Sugar Pine Lodge, è lí che lavori, per caso?
– Già.
– Bene. Aspetta, faccio benzina. Ti do un passaggio –. Lo disse cantilenando, come se le stazioni di servizio sperdute fossero state piene di donne a zonzo che chiedevano favori, e lui le accontentava sempre.
Prese un boccione di soda dal sedile del furgone. Doveva essere da quattro litri e sopra c’era scritto Ammazzasete.
Impostò il riscaldamento sui trentuno gradi e sorseggiò quella stupida bibita enorme blaterando della sua intenzione di darsi ai distributori automatici. Lo squarcio si era riaperto e sanguinavo sul sedile del furgone. Mi girava la testa per la sete. Ma se gli avessi detto chiaro e tondo che avevo un bisogno disperato di bere un po’ della sua soda, c’era il rischio che capisse come stavano le cose.
Lo guardavo bere dalla cannuccia, grossa come la bocchetta di una tanica di benzina, sforzandomi di non svenire.
– Basta fare l’investimento, rifornirli e ritirare i soldi –. Coi profitti avrebbe preso un negozio in franchising. – Ci vogliono quarantacinque testoni per comprare un Dunkin’ Donuts. Per un Taco Bell qualcosa di piú. Basta cominciare coi distributori automatici, poi ti prendi un Dunkin’ Donuts, torni in pari e solo dopo ti compri un Taco Bell.
Sfrecciava a destra e a sinistra salendo lungo quei tornanti. Beveva soda. Ruttava.
– Ho un sacco di progetti. Voglio entrare nel mercato immobiliare. Lo sai come si dice?
Aspettava una risposta.
– No.
– Se sai piazzare una dose sai piazzare una casa. Forte, no? Anche se le assunzioni sono bloccate non vuol dire che non puoi trovarti un’attività redditizia. Basta saper riconoscere un’occasione. Hai visto quei poster: Compriamo Case Brutte Punto Com? Quella è gente che fa soldi a palate, che fa di necessità virtú, dico bene? Senti questa: se pensi fuori dagli schemi, rimani fuori dagli schemi. Questa è profonda. E: dimmi con chi vai e ti dirò chi sei. Io non voglio avere a che fare con gli sfigati. Non tocco alcol. Ehi, devo fare due gocce.
Rallentò sul ciglio della strada e parcheggiò la macchina. Non scese. Il motore era acceso. Mi fissava.
– Ci vogliamo divertire?
– No.
– Ti potresti divertire con me, però.
– Non credo proprio.
– Sei tu che mi hai chiesto un passaggio.
– Perché mi serviva.
– Be’, possiamo fare in modo che convenga a tutti e due.
– Tu portami in cima alle montagne, e vediamo come si mette.
– Va bene. Ci sto. Okay –. Scese, si avvicinò al bordo della strada e si abbassò la cerniera. Si era scolato mezzo boccione di Ammazzasete.
Scivolai al posto di guida mentre lui pisciava tra i cespugli. Inserii la marcia e me ne andai.