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Quando ero bambina, si disse la signora Sweet, parlando da sola nella sua immaginazione, le labbra immobili, gli occhi fissi sui punti creati dai ferri che scivolavano l’uno sull’altro sotto la sua guida, dato che lei aveva imparato da sola a lavorare a maglia, a far scivolare il punto lavorato giù dal ferro per poi recuperarlo con una torsione nella direzione opposta, ottenendo un punto in rilievo come una perla che si chiamava «rovescio», e anche così la signora Sweet capiva che il suo metodo avrebbe suscitato la disapprovazione di qualunque autorità olimpica; e la signora Sweet stava facendo una copertina, seguendo le istruzioni delle autorità che l’avrebbero disapprovata, producendo un motivo a nastri intrecciati, una serie di diritti-e-rovesci, e a quel tempo non aspettava un bambino, però: quando ero bambina, disse, credevo che prima il mondo fosse fermo e poi che l’intero creato avesse avuto origine solamente per me e che io fossi nata il Settimo Giorno. Lo credevo davvero, sul serio, ma poi quando avevo circa nove anni successe qualcosa, e cosa fu?

Prima che avessi nove anni, prima di allora, successe qualcosa. Adesso vedo che nella mia vita c’erano agitazione e scompiglio, ma tutto questo aveva a che fare con la mia narrazione creativa, con la mia creazione individuale: non mi era permesso piangere quando venivo rimproverata per questa o quella trasgressione, e ne commettevo tante, perché venivo sempre rimproverata, e mi vergognavo tanto delle mie imperfezioni, anche se in realtà, se mi avessero lasciata in pace, sarei stata perfetta: non c’era nulla di me che trovassi insoddisfacente, né i pensieri, né l’aspetto fisico, né mia madre con tutto quello che faceva o non faceva. Accettavo tutta la mia tristezza, tutto il mio desiderio, tutta me stessa. Eppure sembravo incapace di fare qualcosa che soddisfacesse qualcuno, compresa me stessa, anche se a quel tempo non sapevo che me stessa costituisse un’esistenza. Non riuscivo a soddisfare la gente che conoscevo e così non riuscivo a soddisfare me stessa. Un’intera vita viene distillata da qualcosa che ti è successo prima dei tre anni o dopo i tre anni ma non dopo i sei; un’intera vita potrebbe abbracciare seimila anni, ogni anno fatto di 365 giorni tranne l’anno bisestile, senza però cambiare questo: che un’intera vita è fatta di qualche avvenimento piccolo, passeggero, una cosa molto piccola, sepolta dentro se stessa, una catastrofe, non facilmente rintracciabile da te o dall’osservatore attento, ma abbastanza visibile a un innamorato o a un compagno di stanza o al vicino che non ti augura ogni bene, l’avvenimento, che in effetti diventa la tua più grave magagna, si verifica quando sei meno in grado di contrastarlo, quando sei meno capace di rendere benigna la sua malignità, quando sei meno capace di scrollartelo di dosso come una foglia caduta da un albero in ottobre, un cambiamento di stagione, un fenomeno piuttosto evidente in alcune parti dell’atmosfera terrestre, sì, sì, è questo che fa un’intera vita, il piccolo avvenimento che non può essere visto da te, ma può essere visto da persone qualsiasi, e quel piccolo avvenimento ti rende vulnerabile ai desideri profondi e accidentali di quelle persone, qualsiasi o selezionate, non si può mai sapere davvero. Tutto questo si disse la signora Sweet mentre risiedeva nella propria immaginazione e lavorava a maglia un indumento, questa volta un maglione con un motivo fatto per essere indossato da uomini che vivevano su un’isola alla deriva nella parte settentrionale dell’Oceano Atlantico e quell’isola si era formata nel periodo chiamato Carbonifero Inferiore e gli uomini che vivevano sull’isola portavano quell’indumento per uscire in mare. Un maglione Aran, era quello che stava sferruzzando, i punti erano due diritti due rovesci e un diritto due rovesci, oppure due rovesci un diritto e far cadere una maglia, oppure far cadere due maglie e poi riprenderne una o non riprenderne nessuna, e così la signora Sweet continuò: non mi era permesso piangere; tante volte avrei voluto piangere, tante volte, ma quando piangevo mi rimproveravano severamente, mi dicevano che le mie lacrime erano il segno che ero superba come l’eroe caduto di un paradiso perduto, che ero Lucifero o qualcosa del genere, e quando avevo sette anni la punizione per essermi comportata male a scuola fu ricopiare a mano i libri I e II del Paradiso perduto di John Milton; e a quel tempo vivevo senza luce artificiale, che sarebbe la luce fornita dall’elettricità, allora vivevo in una casetta con mia madre e suo marito, un uomo che era mio padre per proprietà transitiva e questo lo rendeva più importante del mio padre naturale; e ricopiai quei capitoli, il libro I e il libro II, e mi identificai con Lucifero, che non piangeva, ma non era una cosa che sapevo come sapevo di preferire il caldo al freddo. Io però piangevo: piangevo se mia madre mi portava con sé nella biblioteca di St. John’s quando non sapevo ancora leggere, e lei leggeva tanti libri per conto suo tenendomi in braccio e io guardavo le sue labbra che non si muovevano mentre tutto il suo essere, il suo corpo, era trasformato, perché lei non era più la stessa.

Ma la vita, la vita vera, il modo in cui una vita si svolge non è mai come l’avevi immaginato: così si disse la signora Sweet mentre preparava un baule di vestiti per il giovane Heracles che allora stava partendo per il corso estivo di golf con il suo amico, l’altrettanto giovane Will Atlas, e la signora Sweet stava ripensando alla scena del signor Sweet che le diceva, be’, lo so che ce la stai mettendo tutta ma io amo un’altra e non la lascerò, perché mi fa sentire me stesso, davvero me stesso, quello che sono veramente, sono innamorato di una donna che viene da un clima e da una cultura molto diversi da quelli da dove vieni tu e ha un carattere molto dolce, proprio come me, e suona tutto Brahms a quattro mani anche se ne ha solo due come tutti gli altri, ed è giovane e bella e può partorire figli belli e dolci come me che non avranno mai bisogno di Adderall; la signora Sweet allora, cioè, mentre il signor Sweet pronunciava tutte quelle parole che formavano frasi dotate di senso eppure no, perché quell’ometto vestito con pantaloni di velluto a coste e giacca di lana a scacchi nello stile del gentiluomo inglese di campagna pronunciava quelle parole che spezzarono il dolce cuore della signora Sweet, e lei non poteva avere niente a che fare con una persona simile, eppure l’uomo vestito così era suo marito, il signor Sweet, e allora, proprio allora, le furono chiare tutte le piccole scene avvenute in precedenza: in gennaio, quando lei soffriva di più per la mancanza di calore del sole indebolito, il signor Sweet si iscrisse a un corso di balli da sala e lei voleva accompagnarlo in quell’attività entusiasmante, e quando glielo suggerì lui si arrabbiò come se gli avesse suggerito di buttare una bomba atomica su un’isola-nazione dell’Oceano Pacifico ma poi si calmò e le disse, sorridendo gentilmente, be’, no, non puoi venire perché Danny e Susan, e poi per la signora Sweet tutte le parole successive di quella frase svanirono, visto che bisognava mandare alla bellissima Persephone un sacco di cose mentre si trovava all’Eisner Camp o alla St. Mark’s School o anche solo in vacanza, e poi c’erano i conti da pagare per la manutenzione della casa, che era la casa di Shirley Jackson, o almeno così la chiamavano tutti gli abitanti di quel paesino che sorgeva su entrambe le rive del fiume chiamato Paran.

Oh Adesso, oh Allora, disse forte la signora Sweet, ma non aveva importanza, era come se avesse parlato da sola, perché nessuno avrebbe mai potuto capire la sua angoscia, mai, mai capire la sua sofferenza, il suo dolore, non c’erano parole per esprimerlo, nulla di esistente poteva comunicare o esprimere la sua esistenza allora, adesso o mai, la voce di suo marito, suo marito era stato avviluppato in un’entità chiamata signor Sweet. Mi sento morire, si disse la signora Sweet ma finì nel silenzio; mi sento morire quando sono con te, disse il signor Sweet alla signora Sweet, mi sento morire ed è per questo che ti odio, perché mi sento morire e non posso essere me stesso, il vero me stesso, mi sento morire e quando te lo dirò morirai tu, però mi sento morire, mi sento morire, mi sento morire. Ho capito, disse la signora Sweet ad alta voce ma neppure lei riuscì a sentirsi, e tutto quello che vide, allora e adesso, rimase in silenzio!

Ma allora vide il giovane Heracles seduto su un divano nella stanza dei giochi, a guardare Michael Jordan e Scottie Pippen e Dennis Rodman che battevano Karl Malone e John Stockton, e Michael Jordan allora aveva un brutto raffreddore e ogni volta che segnava un punto rischiava di cadere ma il suo compagno di squadra Scottie Pippen era sempre lì a sorreggerlo, e il giovane Heracles, che adorava Michael Jordan, provava un forte disprezzo per i suoi avversari e diceva che erano incapaci, e nel frattempo la signora Sweet lavorava a diritto e rovescio, ascoltando il figlio urlare e gridare e gemere e strillare angosciato al solo pensiero che la squadra del suo amatissimo Michael Jordan potesse perdere, ma poi vinse e il giovane Heracles disse a sua madre: ehi mamma, lo so che stai per dire che è proprio come Omero, proprio come l’Iliade, e c’è Agamennone e c’è Achille che arriva a salvare tutto, ammettilo mamma, stai per dire che è proprio come in Omero con quella tua vocina stramba come se fossi alla radio, perché parli come una della radio, hai una voce formale ma sei solo la mia mamma e sei così ridicola che non so più cosa fare, mi metti in imbarazzo; e la signora Sweet continuava a sferruzzare, perché proprio allora stava confezionando l’intera orchestra che avrebbe eseguito la suite di notturni del signor Sweet, ma con sua grande sorpresa quando il lavoro fu terminato a tutti i musicisti mancava una delle braccia con cui suonavano lo strumento. Così inevitabile è la serie di avvenimenti che vedi alle tue spalle quando ti giri a guardare distogliendoti dalla serie di avvenimenti che vedi davanti a te, e nella mente puoi vedere la serie di avvenimenti che verranno, disposti davanti a te, ed è come se li vedessi nello specchietto retrovisore ma solo a rovescio, solo come se lo specchietto retrovisore potesse rendere visibile la cosa che non è ancora successa, perché forse il Tempo, si disse la signora Sweet mentre sferruzzava quegli indumenti senza una manica, è un padre, non una madre, e la signora Sweet non aveva padre, cioè, non aveva un artefice, era stata creata da una donna perfida. Oh, mamma, mamma, non vedi, disse il bambino a sua madre, e intanto saltava su e giù, correva qua e là in mezzo alle folle riunite di timidi Mirmidoni, Tartarughe Ninja, Power Rangers, Super Mario, Batman, vari pupazzi di Guerre stellari, vari animali di peluche, alcuni somiglianti ad animali domestici, alcuni somiglianti ad animali selvatici ormai estinti; ed erano tutti davanti a lui ed erano così freschi nella sua memoria che abitavano ancora il suo Adesso; e adesso il bambino, il giovane Heracles, era coinvolto nella tristezza dell’ansia per Ken Griffey, figlio di una leggenda del baseball, o almeno così il giovane Heracles disse a sua madre, e il giovane Heracles voleva bene al giovane Griffey e quindi era coinvolto nel suo destino, che forse non sarebbe stato pieno di gloria come quello di Michael Jordan e Scottie Pippen e Dennis Rodman; ma proprio allora, mentre Heracles era seduto sulla sua poltrona nella stanza dei giochi, suo padre il signor Sweet gli disse: devo dirti una cosa e il signor Sweet disse: non amo più tua madre, amo un’altra donna che viene da un altro posto, un’altra donna con la quale vado a lezione di balli da sala e parlo di Mozart, perché lei è un’eccellente pianista e potrebbe essere il prossimo straordinario genio del pianoforte del secolo, il secolo è lungo perché i secoli sono lunghi, anche se nella tua vita potresti, ah ah ah, trovarli meno lunghi di come li ho trovati io, ma io la amo e non c’è niente da fare e non amo tua madre, sai, siamo sempre stati incompatibili, perché lei è scesa da una barca che trasportava principalmente banane, e lei è strana e dovrebbe vivere nella soffitta di una casa che brucia, anche se non vorrei che fosse lì quando succede, eppure se fosse lì quando la casa brucia non mi stupirei, perché sarebbe proprio da lei. E sentendo tutto questo, nooooooo, un lungo ululato di dolore salì dalle viscere e uscì dall’oscurità della bocca del giovane Heracles, che si raggomitolò e si distese più volte come i petali di un fiore che sboccia e poi appassisce in fretta, così fece il giovane Heracles, che non aveva fatto altro che sedersi in poltrona nella stanza dei giochi per vedere in TV il giovane Ken Griffey in procinto di diventare o meno il grande giocatore di baseball che tutto il mondo del baseball pensava sarebbe diventato.

E la signora Sweet adesso si spezzò in due come se fosse fatta di qualcosa che si trovava nella formazione geologica della Pennsylvania e invece non era fatta di quello, sapeva solo che esisteva; e pianse e pianse sopra il corpo spezzato di suo figlio, che adesso giaceva sul divano, il televisore era acceso ma la signora Sweet non pensava a Ken Griffey, il signor Sweet non si era mai interessato al baseball a parte il fatto che gli piaceva Willie Mays e sapeva dire qualcosa su Willie Mays ed era proprio una gran cosa, vedere la grandezza nel libro di un bambino; e la signora Sweet si spezzò in due ininterrottamente, continuò a spezzarsi ancora e ancora, mai in molti pezzi, sempre i soliti due, il cuore, la testa, e soprattutto il cuore, e poco dopo il circuito elettrico del cuore divenne irregolare e dovette essere ablato. Ma allora, proprio allora, il signor Sweet spiegò in dettaglio al giovane Heracles tutto il disincanto che provava per sua madre: russa orribilmente; puzza di passato, perché sta invecchiando come me, disse il signor Sweet, ma io piaccio alle donne giovani e a me non piacciono le vecchie, disse il signor Sweet, tua madre è vecchia; è arrivata ad apprezzare Wittgenstein però non lo capisce; apprezza Erwartung ma non capisce quello che legge, è molto ingenua, è molto primitiva, è molto divertente, è fantastica quando cerchi di essere coraggioso, ma quando sei con lei e affronti i tuoi limiti è ridicola, è imbarazzante, non è il mio tipo, siamo incompatibili. Ma papà, ma papà, disse il giovane Heracles, e io cosa farò?, e si appallottolò come un pezzo di carta su cui è stata scritta la cosa sbagliata ed è stato buttato nell’immondizia per essere subito dimenticato, e la signora Sweet prese in braccio il suo dolce figlio e lo avvolse in una coperta fatta da lei, l’unico lavoro senza errori, lo avvolse e lo depose al piano inferiore del suo letto a castello, un letto fatto di frassino e comprato da Crate & Barrel.

 

 

Nell’angolo della stanza in cui il giovane Heracles sentì l’atto d’accusa nei confronti della sua sacra madre, che lui amava tanto, anche se trovava ridicola la sua ossessione per le piante e i loro fiori e frutti; e per la serata dei genitori a scuola voleva sempre mettersi dei calzoni larghi alla cavallerizza, l’uniforme di certi operai di un paese lontano, così tutti gli altri genitori avrebbero visto che lei era diversa; la sua mania di cucinare pietanze con un lungo tempo di preparazione: anatra in salsa di prugne, che era pronta dopo giorni e giorni; le altre madri non immaginavano che sapesse a memoria le canzoni di Eminem e che le piacesse Dr. Dre; una volta andò in Cina e passò settimane a raccogliere i semi delle piante che poteva coltivare nel suo giardino; e quella volta che disse a uno che stava portando la famiglia a fare acquisti a Manchester e le aveva fregato il parcheggio mentre lei stava facendo manovra, ti cascasse l’uccello, e quello, che non si era mai sentito apostrofare così davanti alla sua beneamata famiglia, si infuriò, tanto che provò una grande vergogna e per poco non ci restò secco ma si riprese presto e non mollò il parcheggio e entrò nello spaccio Ralph Lauren e il giovane Heracles non lo vide mai più; e la mamma è tanto ridicola ed è tanto ridicola e la mamma è tanto ridicola, e il giovane Heracles pensò a quando gli aveva insegnato a preparare un martini da portarle alle cinque e mezzo del pomeriggio mentre era in giardino a fare qualcosa che non interessava a nessun altro della famiglia, e poi quel giorno che il signor Sweet entrò in casa e chiese al giovane Heracles: hai visto la mia bella moglie?, e Heracles rispose: no, ma se cerchi la mamma la trovi in giardino, e la mamma, che amava il giardino più o meno come fosse una persona, così pensava il giovane Heracles, e nessuna delle altre madri era così, nessuna pensava che il giardino fosse come una persona e avesse esigenze individuali e richiedesse attenzioni e cure e potesse arricchire la vita interiore, così pensava il giovane Heracles, nessuno dei miei amici ha una mamma come la mia ed è molto imbarazzante, la mamma è molto imbarazzante, se non fosse stata la mia mamma sarei andato a cercare una mamma completamente diversa, una mamma come le altre, perché la mia è molto imbarazzante. E proprio davanti alla stanza dove in un angolo giacevano i timidi Mirmidoni e le Tartarughe Ninja e i Power Rangers e Dart Fener e Luke Skywalker, ma non c’era mai la principessa Leila, e Batman ma non Robin, proprio davanti a quella stanza c’era la casetta sull’albero che aveva costruito Rob con il legno ordinato su misura dal signor Sweet nel deposito di legname di Greenberg, e Rob aveva inchiodato il legno ai sempreverdi che erano stati piantati nel giardino proprio davanti alla casa di Shirley Jackson, e sotto la casetta sull’albero c’era il recinto di sabbia per giocare: la casetta sull’albero era solo una piattaforma con i rami troppo lunghi dei sempreverdi che le stendevano intorno un velo di lacrime verdi e ospitava insetti che si nutrivano delle sue secrezioni, e i bambini, cioè la bellissima Persephone e il giovane Heracles, la detestavano, e così stavano lì sotto, dove la casetta formava una copertura per il recinto di sabbia; nel recinto c’era un tavolo con le panche attaccate come quelli forniti al passante occasionale di una spiaggia pubblica o di un parco statale, perché a volte i bambini giocavano a fare i passanti occasionali di una spiaggia o di un parco, dato che loro vivevano in montagna e il signor e la signora Sweet nella loro vita coniugale, nella loro vita di genitori di due figli sani, non avevano mai partecipato a quella tradizione familiare, a quel rinomato evento edificante chiamato vacanza in famiglia, perché il signor Sweet aveva paura degli spazi di tutti i tipi, aperti o chiusi che fossero. E in quel recinto di sabbia c’era un trattore John Deere in miniatura che non aveva una vera utilità, faceva solo credere al giovane Heracles, mentre ci stava seduto sopra, di essere un agricoltore che mieteva un raccolto immaginario di nessun tipo particolare in un campo immaginario, o che dissodava il campo immaginario per un’immaginaria futura stagione della semina, e in generale di essere un uomo immaginario al comando di una macchina potente, e in generale gli faceva immaginare di essere una persona sconosciuta ai suoi genitori, il signor e la signora Sweet, perché erano stati loro a comprare la macchina agricola giocattolo e avevano anche comprato il retroescavatore giocattolo fatto di plastica robusta e i secchi in miniatura e le vanghe, i forconi e le carriole in miniatura, tutte cose giocattolo, tutte inutili, tutte estranee alle persone autentiche e vere che stando al loro desiderio la bellissima Persephone e il giovane Heracles sarebbero diventate.

Oh adesso, diritto e rovescio, diritto e rovescio, dieci maglie in un modo, venti maglie in un altro, farne cadere un certo numero adesso, riprenderne un altro numero più tardi e creare un motivo che poi formerà un indumento, o una coperta per un letto: perché, cosa sta facendo lei adesso? Si è messa a lavorare a maglia? Almeno non è costoso: il giardinaggio è costoso; la spianata e il muro costano quarantamila dollari; la replica di un cottage come quelli di Yaddo non costerebbe così tanto e il signor Sweet potrebbe usare quel cottage, perché ha composto le sue composizioni in una stanza sopra il garage e da lì sentiva la centrifuga della lavatrice e poi l’aspro ronzio dell’asciugatrice, e le porte che sbattevano, non per rabbia ma per sbadataggine, e le urla di dolore o di piacere dei figli, e quella strega che cantava «Dov’è andato il nostro amore», e dovrebbe essere vietato alla parola «amore» di uscirle dalle labbra, perché lei non ne sa niente, di quel dolce segreto dei sentimenti, di quella cosa preziosa, di quel momento in cui il tuo cuore incontra il cuore che completa il suo vero essere, di quella collisione di sentimenti fra te e un altro che scaturisce dal tuo profondo, dal tuo cuore, dal tuo ventre, dalle tue viscere, dai tuoi lombi, solo fra te e un altro, così inatteso, così potente da far esplodere la caldaia della casa dove vivo con una strega ignorante, e poi l’amore consola con notturni per piano suonati a quattro mani, festival e anche corsi di balli da sala. E tutti quei pensieri fuoriuscivano dal signor Sweet, all’insaputa di sua moglie, che sedeva in quell’inconsapevolezza, in quello spazio invisibile a occhio nudo, cercando di capire come fosse arrivata a essere se stessa, e disfacendo varie parti dell’indumento che era stata la sua vita: l’orlo di quell’indumento si era scucito e si era sporcato strisciando sul pavimento, e di tanto in tanto lei inciampava nel suo sé e cadeva e si sbucciava le ginocchia e si ammaccava la testa e anche i gomiti, bisogna fissare l’orlo, pensava la povera signora Sweet, bisogna cucire bene l’orlo, per i gomiti e le ginocchia e la fronte, quelle erano solo le parti visibili, tutte le sue parti ammaccate non erano visibili, neppure a lei, solo percepite a volte quando il sale delle lacrime si seccava nelle fenditure.

Oh, mamma, mamma, la signora Sweet sentì quelle parole, anche se per la persona che le pronunciava con tutto il suo essere non erano affatto parole, erano la vita stessa, e quella persona era la bellissima Persephone e quella persona era il giovane Heracles, e in quelle parole, oh, mamma, mamma, poteva vedere e immaginare se stessa come la loro madre e protettrice e nocchiera in un mondo di cui la circonferenza era nota: i bambini chiamavano la madre ma la signora Sweet amava tanto vivere nel suo indumento: il sudario del suo passato, della sua infanzia, della sua vita precedente, la sua vita sepolta dentro tutte le persone da cui discendeva e ascendeva; la sua vita proprio allora, proprio adesso, così dolce, ogni momento della sua vita quotidiana così pieno di soddisfazione: i suoi due figli che doveva svegliare la mattina presto per vestirli con abiti che aveva riscaldato nell’asciugatrice, perché loro odiavano mettersi abiti freddi, e nutrirli con una colazione a base di cialde dolci, la pastella l’aveva preparata la sera prima e messa nel frigorifero, e sopra le cialde versava sciroppo d’acero comprato da un tale che viveva in una fattoria sulla strada per Shaftsbury, un paesino a ovest del lago Paran, e prima di versarlo sulle cialde lo riscaldava nel microonde; accendeva il fuoco nel camino e si sedevano lì davanti, con un parabrace tra loro e le fiamme per proteggere i bambini dalle faville; li ficcava in macchina, una macchina grigia di una marca qualsiasi, non troppo costosa, prodotta in qualche paese, non questo, e li portava alla fermata dove salivano sullo scuolabus giallo, affidandoli a un autista che poteva essere di cattivo umore oppure no, tutto dipendeva dal comportamento degli altri bambini che erano saliti alle numerose fermate precedenti. E dopo aver visto lo scuolabus scomparire lungo Monument Avenue e oltre la chiesa nel cui cimitero erano sepolti Robert Frost e alcuni dei figli, saliva in macchina e faceva pian piano la stessa strada, oltre la Gatlin House, svoltando in Silk Road, prendendo il ponte coperto di Silk Road, percorrendo Matteson Road, girando in Harlan Road e poi raggiungendo la sua casa, la casa dove aveva vissuto Shirley Jackson. Dentro, adesso, era come se i figli, i suoi figli, non esistessero, esisteva solo lei bambina, e adesso entrava nel tempio, nel cuore sacro della sua vita: Vedi, Adesso, Allora, e avanti così, con quelle visitazioni, un viaggio santo nel passato, intorno e intorno alla stanza in cui stava seduta a ripercorrere la vita che era stata, che era, e che sarebbe stata, perché era tutto uguale, proprio com’era sempre stata e come sarebbe stata sempre:

«Essere abbandonata è la peggiore umiliazione, l’unica vera umiliazione, ed è per questo che la morte è così imperdonabile, perché la vita ti ha abbandonato e sei rimasta tutta sola, per conto tuo, separata da tutto, e così non sei neppure un niente, ciò che eri abituata a soggiogare, persona o cosa o avvenimento, è perduto nella morte, e nessuna commemorazione, nessun epitaffio, nessun monumento può cancellare il fatto che da morta sei incapace di agire, non sei più nell’Allora e nell’Adesso, non sei più niente ed esisti solo per volontà degli altri ed esisti solo se gli altri desiderano la tua esistenza, perché potrebbe essergli utile, e poi quando non lo è più vieni di nuovo abbandonata, messa da parte per qualcos’altro, e quello sarebbe ancora l’Adesso, perché l’Adesso è in corso e non finisce mai, l’Adesso è inesorabile, impervio a tutto ciò che è noto, e anche ignoto, impervio a tutto ciò che si può afferrare e tener fermo, a tutto ciò che si può afferrare e tener fermo; ed essere abbandonata è la vera, autentica natura dell’umiliazione ed essere in uno stato di umiliazione equivale alla morte ed essere morta equivale a essere umiliata, perché allora non puoi neppure conoscere la tua situazione e compatirti. L’Adesso, l’Adesso, l’Adesso, che rappresenta il vivere, che rappresenta la vita, ti respinge e ti trasforma in spazzatura, in uno scarto, in una cosa trasportata dal vento in una strada deserta, senza meta, senza meta. Adesso, Adesso e di nuovo Adesso: perché quell’istante è pieno di tutto ciò che forma la tua vera vita ma è sempre appena fuori portata, all’inizio apparentemente a breve distanza ma per sempre fuori portata, e lo sforzo ti logora però lo vedi appena fuori portata e provi di nuovo a prenderlo ma è appena fuori portata, è sempre fuori portata, e tu provi e riprovi ma gli istanti si accumulano e sono sempre fuori portata, e poi anche la morte è un istante che non è mai fuori dalla tua portata ma con la morte non riesci più a fare lo sforzo di prenderla»; proprio così si disse la signora Sweet entrando nella casa adesso priva di bambini, adesso il fuoco davanti al quale avevano fatto colazione era solo cenere, adesso la sua stanza chiamava, quella stanza infernale in cui riportava in vita tutto quello che l’aveva creata, quella stanza di fianco alla cucina che conteneva la scrivania che le aveva fabbricato Donald, e si mise a sferruzzare un maglione per sé.

 

 

Oh, mamma, mamma, gridò il giovane Heracles, allora molto avvilito, sdraiato sul divano dove prima dei fatti che lo avevano portato a dire oh, mamma, mamma, stava guardando pallacanestro, tennis, golf. Oh, mamma, mamma, gridò e si raggomitolò come se fosse stato sconfitto dalle sue fatiche, da tutte le imprese che gli erano state imposte, una dopo l’altra: il leone di Nemea, l’idra di Lerna, la cerva di Cerinea, il cinghiale di Erimanto, le stalle di Augia, gli uccelli di Stinfalo, il toro di Creta, le cavalle che appartenevano a Diomede, il cinto di Ippolita, i buoi di Gerione, le mele delle Esperidi, la cattura di Cerbero, quando è risaputo che ogni volta che si raccontano queste storie lui trionfa sempre, ma adesso no, e sua madre pianse e pianse nel vederlo così raggomitolato, come spazzatura, un pezzo di carta in attesa di un soffio di vento che lo spinga verso il suo destino; e le loro lacrime, quelle di lui e quelle di sua madre, rimasero separate, perché lei piangeva per un senso di fallimento, dato che non era riuscita a tenergli nascosta l’acredine di un padre debole e invidioso, gli aveva dato un padre che non ne sapeva niente, che non sapeva affatto come amare un figlio, come aver caro un figlio e preservarlo integro, preservare un essere unico e completo, integro e intatto, ogni sua giuntura ermetica, impermeabile, e tutto questo per fargli sentire l’inevitabilità della sua trasformazione in un uomo integro, per vederlo diventare un padre di padri, buono e gentile, pieno d’amore e generoso, e non un tiranno, un traditore, cattivo nel corpo e nell’anima; ma lei non aveva trovato per il suo giovane Heracles un padre che sapesse amarlo tanto da preferire essere distrutto e anzi proprio cancellato dalla coscienza umana, da preferire la morte piuttosto che farlo raggomitolare sul divano mentre guardava la partita di football della domenica pomeriggio in TV. Oh, mamma, mamma, e si piegò in due come uno di quei croissant che gli piacevano tanto e che la signora Sweet gli faceva in casa, anche se si trovavano quelli pronti di Sara Lee al reparto surgelati del supermercato, e la signora Sweet faceva la torta margherita per i figli, usando la ricetta di The Art of Fine Baking di Paula Peck, anche se una torta margherita si poteva trovare accanto al croissant prodotto dalla stessa entità, Sara Lee. E lui si piegò in due e lo stesso fece sua madre, la cara signora Sweet, che era cara quando amava i suoi figli, anche se a volte poteva essere sconsiderata, estranea o inetta, e non sopportava di vederli soffrire, ed era tutto questo che l’aveva spinta a creare la stanza di fianco alla cucina dove andava a dissotterrare il passato, quello che un tempo era il suo Adesso e naturalmente era diventato il suo Allora, come in Allora ero, Allora facevo, Allora sono diventata, e mentre si piegava in due e si raggomitolava in un grumo di dolore accanto al giovane Heracles, che si era piegato in due a forma di una parte della sua colazione, e ai rappresentanti della sua immaginazione dentro e fuori dalla stanza, e ormai la madre della signora Sweet era morta e lei era contenta che quella persona che era stata così determinante per la sua esistenza non fosse più viva, che quella persona che avrebbe potuto e voluto gioire del significativo momento del suo abbandono non fosse viva, fosse morta, e la morte non ha né Allora né Adesso.

 

 

E il signor Sweet disse: io amo tua madre, amavo tua madre, amerò sempre tua madre, mi è tanto cara, la cara signora Sweet, però è orrenda, hai sentito come parla ai camerieri, è così sgradevole, io non vi direi mai questo perché davvero non potrei, a casa nostra si festeggiavano il Natale e la Pasqua e non eravamo mai sgarbati con le persone di servizio e tua madre poteva essere una di loro ma tua madre era così interessante, quando l’ho conosciuta, era interessata all’ordine del firmamento e io le ho regalato un telescopio per il suo compleanno e lei amava gli insetti, soprattutto le farfalle, e le ho regalato un retino perché conoscevo Nabokov e lei non conosceva Nabokov ed era un tale piacere vederla gioire di tutto quello che potevo mostrarle, ripagava davvero i miei sforzi ma poi è diventata un mostro e un giorno ho notato che era sgarbata con i camerieri, anch’io avrei potuto essere sgarbato ma sapevo che non era giusto; un giorno però è andata da Alldays & Onions a comprare certi capperi speciali e ha visto la cameriera che parlava cordialmente con un uomo, un uomo bruttissimo, e la cameriera ha detto a quell’uomo bruttissimo: ciao bello, cosa ti porto oggi?, e dopo la transazione tua madre ha detto alla cameriera: come fa a parlare così a un uomo tanto brutto, e la cameriera ha risposto: quello era mio marito. E tua madre è tornata da me tutta traboccante di una descrizione di campi di fiori rosa a forma di pugno ed era stata quell’immagine, i campi di fiori rosa simili a pugni, a farle prendere la direzione di Alldays & Onions, ed è lì che ha insultato la cameriera e suo marito e quella è stata l’ultima goccia, è lì che ho desiderato essere con una persona che non fosse istintivamente scortese con chi serviva me, mia madre e mio padre, mio fratello e il suo amico, e tua madre non era in grado di fare una simile distinzione. Speravo che misurasse le parole, spero che si stacchi la lingua con un morso, spero semplicemente che muoia. Oh, giovane Heracles, Oh, giovane Heracles, dove sei? Sei sotto quella mia cappa di disperazione che è tua madre, quella donna abominevole, tua madre la signora Sweet?

Oh, adesso, adesso, quella era la signora Sweet che raccontava una storia sugli avvenimenti che erano stati Adesso, che sempre diventava subito Allora, mentre tentava con clamoroso successo di impedire al giovane
Heracles di raggiungere l’ingresso dell’Austen Riggs Center o di qualche altra casa di cura, o di raggiungerlo per poi occupare le stanze e i corridoi destinati a gente che era stata abbandonata dalla madre e dal padre e da fratelli sorelle zie zii cugini e altri parenti sempre più lontani e poi giù giù quanto più possibile, ed era da quella situazione che sua madre cercava di salvarlo mentre lui stava sul divano, piegato in due a forma di qualcosa di delizioso da mangiare a colazione, e suo padre gli disse che non amava più sua madre, e che sua madre era una carissima persona ma lui non la amava più, amava un’altra; e il giovane Heracles non aveva modo di capirlo se non così: la bellissima Persephone scherniva la passione per i fiori della signora Sweet perché la signora Sweet comprava piante in quantità sproporzionata allo spazio disponibile in giardino e la bellissima bambina osservava le difficoltà di sua madre e fingeva di ordinare delle piante per telefono: «Salve, avete la Madonna detroitii disgustiphilum? E quanto costa? Cento per novantanove centesimi? Potrei averne un milione, per favore?», al che l’intera famiglia, cioè il signor e la signora Sweet, la bellissima Persephone e il giovane Heracles scoppiavano a ridere degli sperperi della signora Sweet, della stupidità della signora Sweet, e in ogni caso la signora Sweet riteneva che fornire allegria e risate alla sua famiglia non fosse diverso dal fornirle la cena. Ma poi c’era lo scherno a cena dove la mamma veniva fatta a fette, come a un raduno di comici che si dicessero cose cattive ma vere ed era un’occasione impersonale e utile in molti modi, ma alla tavola degli Sweet la signora Sweet vedeva le risate suscitate dai suoi punti deboli ma non era contenta di sentire le sue manchevolezze presentate con gusto: le piante che costavano così poco singolarmente ma poi in grandi quantità diventavano costose e la sua famiglia poteva svelare che lei non capiva il vero costo di ciò che costituiva la sua vita quotidiana; e questo era devastante per la signora Sweet, perché la sua storia, la sua stessa persona, la sua attuale esistenza erano profondamente intrecciate al costo della vita quotidiana e potevano quasi illustrarlo, anche se non il costo di una vita quotidiana specifica, ma solo approssimativa. Eppure lì a tavola, con la bellissima Persephone e il giovane Heracles e il signor Sweet, la mamma veniva fatta a fette da tutti, come se partecipassero a un avvenimento in cui recitasse Jonathan Winters dicendo cose divertenti e memorabili e tra i presenti ci fossero altre persone come lui, ma quella era la cena della signora Sweet e gli altri commensali erano sua figlia e suo figlio e suo marito, e suo marito non la amava più, suo marito la odiava, e non era una cosa insolita in quella fragile struttura, formata da ossa e muscoli e sangue e anche da un’anima, nota come marito, e non era una cosa insolita nella fragile struttura formata da una donna, un uomo, due o più figli, nota come Vita di Famiglia.

Oh, Adesso, adesso, si disse la signora Sweet, perché allora stava guardando dentro un abisso, ma quella sarebbe letteratura; perché adesso stava guardando dentro una profondità superficiale, una depressione strutturale, ma quella sarebbe geologia; e in fondo a questa metafora o rappresentazione veritiera giaceva la sua vita, quel che ne restava, i fatti, la sostanza, il riassunto, la finalità, l’arrivederci per ora e il magari ci vediamo, la fine nel suo inizio, e la signora Sweet pianse, perché aveva tanto amato la sua vita; e quella fu una sorpresa per lei, il fatto di aver tanto amato la sua vita: la vita con il signor Sweet e il suo alito fetido dopo una notte di sonno, la sua scarsa statura, i capelli sulla testa dalla bella forma a pera che sparivano in maniera calcolata, come se venissero mietuti per uno scopo sconosciuto all’immaginazione umana; la madre morta che giaceva in una bara e veniva guardata da tutte le persone che aveva umiliato e tutte quelle persone erano contente di esserle sopravvissute e la signora Sweet era una di loro. E vedendo allora: le loro fotografie, del signor e della signora Sweet, il giorno dopo il matrimonio, che erano state scattate da Francesca, e il giorno in cui avevano ricevuto l’assegno annullato del rimborso a Francesca per il costo delle pellicole e altre cose, una somma di quattordici dollari, quel giorno stesso Francesca si era buttata giù da un palazzo, e la signora Sweet si era sforzata di dimenticare che il palazzo sorgeva in una strada nella piccola striscia di terra della parte meridionale di Manhattan; il signor Sweet aveva paura di coltivare alberi, con il loro ciclo che li portava a germogliare e mettere le foglie e diventare se stessi per una stagione e poi rallentare la crescita e infine interromperla temporaneamente, andando in letargo per riposare e poi germogliando di nuovo, e per la signora Sweet quel processo era una gioia, la sua inevitabilità un mistero, inatteso, addirittura inimmaginabile, e allora ordinava ancora più piante, ma il signor Sweet le aveva detto, non una volta sola ma tante, io amo solo gli alberi morti, e lei non si era accorta che le stava dicendo che non la amava, non la amava, non la amava, e lei aveva pensato che amasse davvero gli alberi quando erano morti, perché quando ami qualcuno gli fai dire quello che piace a te, quello che te lo farà amare ancora di più, e non senti mai quello che dice proprio allora e adesso, proprio adesso e allora; ma ecco Helen e i suoi quadri notturni con quarti di luna, e una donna sola che guarda il cielo quasi buio, e poi Helen e la signora Sweet che andavano a correre sull’allora sopraelevata West Side Highway e correvano e correvano e intanto vedevano uomini che facevano sesso con altri uomini e loro non avevano mai capito come gli uomini potessero fare sesso con altri uomini fino ad allora, fino ad allora, e Helen disse wow!, ma lei diceva wow! per ogni cosa, così la signora Sweet si disse, Allora e anche Adesso!, che Helen parlava così; sì, quella era Helen ed è Helen adesso e anche allora.

Adesso ascolta, stava dicendo il signor Sweet, io ti amo ma non ti amo nel modo in cui amo una persona superiore perfino a me stesso, una persona con la quale non dovrei neppure essere autorizzato a parlare, tanto è meravigliosa e al di fuori di tutto ciò che conosco, e la signora Sweet sentiva tutte quelle parole ma non riusciva a capirle e riusciva solo a vedere il signor Sweet che un giorno sarebbe stato coperto di vermetti striscianti che però andavano solo dalla testa ai piedi e non oltre e poi tutto il suo corpo sarebbe diventato come un merletto, bello e inutile, in attesa di essere trasformato in qualcosa, il corpetto di un vestito o il bordo superiore di una tenda, una cosa vista di sfuggita e in definitiva irritante: ascolta, stava dicendo il signor Sweet, e adesso la signora Sweet si trasformò non in pietra ma in un mucchio di fango, e dolore divenne il suo secondo nome ammesso che ne avesse uno ma non lo aveva né allora né adesso, e sprofondò nel suo antico paesaggio e cioè la memoria e sua madre e quel paesaggio aveva un orizzonte e lei aveva sempre desiderato vederne la fine, vedere l’orizzonte e starci sopra e vedere la cosa che conteneva o il nulla lì dentro: mia madre era molto bella e io me ne vergognavo tanto, mi vergognavo della bellezza di mia madre.

«Una volta mi vergognavo persino del giorno in cui ero nata, perché era il venticinque maggio, anziché il ventiquattro, e quel giorno, il ventiquattro maggio, c’era una festa nel giardino della chiesa morava, si chiamava Fiera di Maggio, e c’erano ragazze, belle ragazze di una bellezza anche allora non folgorante, perché erano suddite e il loro stesso essere, la loro esistenza, dipendeva da quell’evento, il ventiquattro maggio; e la festa aveva un evento principale, che era il palo di maggio intorno al quale danzavano quelle ragazze dalla bellezza instabile ed era un grande onore all’epoca, allora e adesso, a seconda dei casi, e danzavano con in mano nastri rossi o bianchi o blu fissati al palo, e si avvicinavano e si allontanavano dal palo e dalle altre ragazze e si muovevano intorno al palo in modo da coprirlo con i nastri blu e bianchi e rossi; e allora quando non sapevo di poter amare i vestiti che indossavo, quando non sapevo che il modo in cui apparivo agli altri era qualcosa su cui riflettere, allora quando mia madre aveva un amico che faceva lo stivatore e abitava a Points e io e mia madre abitavamo in Dickenson Bay Street in una casa con due stanze, noi due sole, e andavamo a trovare il suo amico stivatore; era un uomo basso e grosso e largo, come una figura in un libro illustrato per bambini: uno stivatore, e abitava in una casa da dove vedevo la locomotiva piena del prodotto che si ricavava dalla canna da zucchero appena raccolta, prodotto che andava dalla fabbrica alle navi in attesa di caricarlo e portarlo in Inghilterra, un posto molto lontano, molto, molto oltre l’orizzonte; e allora mia madre e lo stivatore venivano inghiottiti dalla casa, la casa in cui abitava lo stivatore, in un’oscurità dove io non avevo il permesso di entrare; e quando mia madre e lo stivatore scomparivano dentro quella casa e mi lasciavano sola io giocavo con la mia ombra, immaginavo che la mia ombra fosse una bambina, e io e lei giocavamo e ci leggevamo i libri che avevamo scritto, e a volte eravamo due bambine in Inghilterra, ed eravamo in un giardino con fiori ma solo fiori e bastava così, perché i fiori sono l’arredamento di un giardino, dovunque si trovi il giardino, e nel giardino dello stivatore c’era solo portulaca, anche se allora mi avevano detto, e in che modo non so, che si trattava di una rosa spontanea. Allora nel giardino dello stivatore, dove rimanevo sola mentre mia madre scompariva con lui in quella casa, così buia dentro che mia madre non mi lasciava mai entrare, danzavo intorno ai punti in cui cresceva la portulaca, almeno così la chiamo adesso, e quei punti erano distanti fra loro e fra l’uno e l’altro guardavo passare la locomotiva e vedevo la scuola di Points dove un giorno avrei studiato e il profilo di Rats Island in lontananza e così tenevo me stessa, la vera me stessa, anche se allora non la conoscevo, tutta insieme e tutta d’un pezzo, e poi quando mia madre emergeva dalla casa dello stivatore mi prendeva per mano e tornavamo insieme verso la casa dove vivevamo e lei portava un sacco di zucchero grezzo, quello che si ottiene cristallizzando la melassa, quello da usare tutti i giorni, perché la domenica usavamo lo zucchero bianco, ma in ogni caso mia madre non mi permetteva di mangiare niente di zuccherato, se non nelle grandi occasioni. Ma quali erano le grandi occasioni?

«Oh, ed era così bella che mi vergognavo di farmi vedere con lei; aveva i capelli lunghissimi e li portava attorcigliati e fissati alla testa come una specie di tesoro e poi scoprii che era la pettinatura tipica delle donne della Guadalupa e della Martinica e lei parlava anche patois e portava vestiti che le altre madri non portavano, gonne strette con uno spacco sul retro che partiva dall’orlo e saliva per un terzo della lunghezza; e gli uomini la guardavano e poi si fermavano a parlarle e lei non li guardava mai ma poi si fermava a parlare con loro e proseguiva e tutti lo sapevano, lei era mia madre e io sapevo che era mia madre e amavo lei e tutto il resto: lo stivatore, i capelli di lei, i suoi vestiti, il suo odore dopo che le avevo lavato la schiena nella vasca zincata piena d’acqua che lei aveva profumato con le erbe, le sue labbra rosse, la sua crudeltà nei miei confronti, la sua abitudine di mettermi in disparte quando arrivava qualcosa di nuovo, qualcosa che non sapevo potesse esistere: un giorno si innamorò di un uomo ed ebbero dei figli, tre maschi, alla fine, ma quando il primo non era ancora nato io capii, no, non capii, perché neppure adesso capisco quello che Allora era Adesso, anche adesso vedo l’allora traslucido, come se tutto avvenisse su una lastra di vetro e stesse scivolando di là e proprio sul punto di scomparire nel nulla la lastra di vetro s’inclinasse di qua, e torno a vedere Adesso e Allora dove tutto si trova prima di entrare in un altro Allora e Adesso, un altro Allora e Adesso, e torno a vedere tutto in un battito di ciglia».

 

 

«Le cose cambiano!» diceva il signor Sweet alla signora Sweet. «Le cose cambiano!». Ma quella era la versione stridula, perché il signor Sweet era in uno stato di furore, la sua voce come una lametta Wilkinson appena uscita dalla fabbrica di quel ferramenta, e le sue braccia scattarono in avanti ma si fermarono prima di entrare in contatto con quell’inconsolabile ammasso di carne squassata dal dolore, tanto da doversi fermare a tratti a riposare. «Le cose cambiano, tesoro, le cose cambiano». E mosse i fianchi e scosse vigorosamente la testa, danzando al suono di una musica che sentiva solo lui, o almeno così si disse la signora Sweet vedendolo allora, e allora lui cominciò a canticchiare a bocca chiusa parti di La sagra della primavera, Il mare, Il gatto, La tela del ragno, Il topo, Il cane, Il letto del bambino, e quando ebbe finito disse a sua moglie, ormai spogliata della dignità, la signora Sweet, e lei portava un bel vestito marrone fatto da Lilith, io non ti ho mai amata, sai, non ti ho mai amata, non perché sia impossibile amarti, anche se in realtà lo è, nessuno potrebbe amarti, neppure io che allora non sapevo niente dell’amore ma adesso sì e capisco che non ti ho mai amata, perché tu sei come finire contro il filo spinato nel buio, sei come un invito a un tè in un formicaio, sei come, sei come, adesso non riesco più a pensare a cosa sei, così disse il signor Sweet alla signora Sweet, e proprio allora, in quel momento, lei era fuori di sé dallo strazio e piangeva e le sue lacrime bagnarono la Primula capitata che aveva piantato sotto l’enorme pino bianco e le sue lacrime erano molto gradite a quella piantina delicata, nativa delle regioni umide dell’Himalaya. E piangeva e piangeva e il signor Sweet le parlava mentre era china sulle primule assetate, appassite e prostrate sul terreno, sofferenti per le condizioni avverse nelle quali venivano forzatamente coltivate, in mezzo alle radici di un sempreverde originario del Canada anche se loro venivano dalla regione himalayana; e la signora Sweet pianse e pianse e ancora pianse, perché allora il signor Sweet le disse: piangi solo perché sai che io e i bambini non perdoneremo né dimenticheremo le cose terribili che hai detto e fatto, e questo la fece morire di una morte in cui era ancora viva, non del tutto morta, ma ancora viva, eppure morta, perché lui le mostrò la vita che aveva vissuto, il momento in cui la bellissima Persephone andava messa a letto al crepuscolo ma lei si rifiutava sempre, perché voleva stare con i genitori che facevano cose per lei misteriose, e rimandava sempre il momento di coricarsi nel lettino, perché non era ancora cresciuta, dormiva con la coperta di cotone lavorato tirata su con cura fino al mento, le braccia piegate come un uccellino da cuocere al forno per una deliziosa cenetta. La signora Sweet morì e morì e in questo modo visse per molto tempo, morendo tante volte, senza mai arrivare alla quiete, a uno stato di non allora, non futuro, non passato, solo adesso, solo morire e morire e morire, e la signora Sweet morì, morì e non mise mai più i calzoni larghi alla cavallerizza, regalo della sua amica Rebecca che li aveva visti addosso agli operai municipali in Giappone durante un viaggio laggiù.

Ogni giorno ha ventiquattr’ore, ogni settimana ha sette di quei giorni, ogni anno ha cinquantadue settimane, ed è così, e l’età della Terra è fatta di più di quattro miliardi di anni, di quegli anni e quelle settimane e quei giorni e quelle ore, allora, adesso e ancora allora, forzatamente racchiusi dentro di essa, e così era ed è e sarà, si disse ancora e ancora la signora Sweet, come se fosse una canzone trasportata dal vento che lei avesse sentito e preso a cuore, una canzone sentita mentre camminava lungo le rive del fiume Battenkill per quarantacinque chilometri, e allora si fermava, immaginando il corso sinuoso del fiume che sarebbe infine sfociato nello Hudson a una certa distanza dal punto in cui le maree influenzano il fiume.

Tutto quello che verrà cambierà il modo di vedere l’adesso; l’adesso è sicuro, l’adesso è per sempre; quello che verrà creerà, distorcerà e addirittura cancellerà l’adesso; l’adesso sarà sostituito da un altro adesso: e l’adesso è l’unica cosa che c’è e l’unica cosa che c’è ancora e ancora e nessun reflusso dallo stomaco individuale, metafora universale per l’instabilità dell’intera impresa umana come viene vissuta dalla persona che prepara la colazione per la figliata di mammiferi addomesticati che ha davanti, e dal bambino e dalla bambina con in mano il Game Boy o Super Mario, a seconda dei casi, non importa come viene sentita o provata, ed è una tale delusione, proprio adesso, perché l’adesso è sempre incompleto, o almeno così ci sembra, ed è una fortuna, perché trasforma l’allora in quello che verrà, in tutto quello che verrà, anche se tutto quello che verrà deve contenere l’adesso e l’imperscrutabile desiderio dell’allora, quel tempo a venire dopo che la Terra è stata precambriana, adeana, proterozoica, paleozoica, cambriana, ordoviciana, siluriana, devoniana, cretacica, e inferiore di qua e superiore di là, e poi cenozoica e fagliata e vulcanica, quel tempo a venire dopo che la Terra è stata se stessa, quel tempo a venire era il tempo che era stato prima, perché oltre i confini della Terra c’era tutto quello che l’aveva fatta, c’era tutto quello che era stato ed è, e il futuro era il passato e il passato, che è allora, è sempre allora, si poteva trovare nella tavola periodica degli elementi e la signora Sweet alzò lo sguardo e vide attaccata alla porta della dispensa una cartina che illustrava proprio i princìpi di quella cosa, la tavola periodica, quando la bellissima Persephone aveva mostrato interesse per la chimica sua madre l’aveva comprata e messa lì, e allora la signora Sweet guardò fuori dalla finestra, attraverso le lastre di vetro che la separavano e proteggevano da tutto quello che c’era fuori dalla casa di Shirley Jackson, la casa in cui viveva con i suoi figli e suo marito e da cui vedeva un panorama tanto diverso da quello dove si era formata: il paradiso del sole permanente e del tempo gradevole, un paradiso così completo che subito si rappresentava come inferno; fuori adesso c’era la primavera e nella primavera, sulle rive del fiume Paran e fino ai fianchi dei monti Taconic e delle Green Mountains, c’erano grandi alberi, alcuni sempreverdi, alcuni caducifogli e proprio allora in boccio.