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Salute al giovane Heracles, si disse la signora Sweet e poi lo ripeté sussurrando all’orecchio del suo prezioso figlio (perché questo era, il suo prezioso figlio), e lo prese fra le braccia e lo baciò e poi lo lanciò in aria e lo afferrò saldamente e lo tenne in alto e lo guardò negli occhi e scoppiò a ridere con lui. Allora la signora Sweet si vide riflessa nei suoi occhi: era grossa quasi quanto un capanno per giardino, si disse, anche se il signor Sweet le aveva detto che somigliava all’attore Charles Laughton quando aveva interpretato il capitano di una nave partita dal Pacifico del Sud con un carico di legname, nella quale la ciurma si era ammutinata. La signora Sweet conosceva molto bene quel film, perché quando la ciurma si era ammutinata la nave trasportava un carico di frutti dell’albero del pane, ingrediente base della dieta della signora Sweet quando era bambina, e ingrediente base della dieta dei bambini di molte generazioni precedenti alla sua e tutti quei bambini lo detestavano. Allora, quando era bambina, la signora Sweet era molto magra e sua madre, visto che non aveva un padre, era molto preoccupata per lei. Sua madre, convinta che il fegato di mucca crudo avrebbe irrobustito la signora Sweet bambina, lo trovò da un macellaio con cui aveva fatto amicizia al mercato della carne; sua madre grattugiava le carote con una grattugia fabbricata da un vecchio portoghese, un uomo che fabbricava cose del genere, e inoltre saldava vecchie lattine per ricavarne utensili domestici: tazze, pentole, vasi da notte, cose del genere; e poi sua madre spremeva le carote grattugiate e faceva bere il succo alla bambina che non era ancora la signora Sweet. E così, quando il signor Sweet paragonò la forma del suo corpo, dopo la nascita del giovane Heracles, a quella del capitano di quell’orribile nave, alla signora Sweet venne da piangere, ma allora il signor Sweet rise della propria battuta, spesso pensava di aver detto la cosa più spiritosa di tutta la storia delle battute, mentre invece, allora e adesso, non era così.

Ma senza davvero far caso a tutto questo allora, che era proprio adesso, perché Adesso sarà Allora e Allora è proprio in questo istante: la signora Sweet avvicinò a sé il giovane Heracles e lo baciò sulla testa e poi sulle guance e sulla bocca e sugli occhi (il giovane Heracles li chiuse quando vide le labbra avvicinarsi) e sulle orecchie e poi sul mento grassoccio e sul collo e poi sul petto e poi gli affondò la faccia nella pancia e con la bocca fece dei rumori che potevano sembrare una scoreggia o lo strido di un maiale torturato o la risata di una clown che avrebbe spaventato i bambini che doveva divertire. Ma il giovane Heracles adorava tutto questo, i baci e i rumori e in particolare adorava l’odore di sua madre, la quale per lui non aveva l’aspetto né l’odore di un capitano; adorava la faccia di sua madre sospesa sopra di lui: gli occhi neri, scuri come la notte prima di essere inventata, neri come se aspettassero di dare significato alla luce, così neri che facevano scomparire la luce per sempre; il naso come quello di un mammifero acquatico; le guance rotonde come panini; e le labbra e la bocca enormi, come se insieme tenessero sotto controllo una distesa geografica sconosciuta. Quella era la faccia della signora Sweet come appariva al giovane Heracles, piccolo piccolo, non ancora capace di camminare, appena capace di star seduto senza essere sorretto da cuscini e a volte dal grande corpo della madre, che aveva quella faccia quando stava sospesa sopra di lui, e a volte quando lo teneva in alto e il giovane Heracles stava sospeso sopra di lei. E lui chiamava sua madre signora Sweet, perché gli sembrava dolce come una cosa da mangiare, e poi la chiamava mamma, sapendo senza saperlo che un tempo aveva bevuto il latte dai suoi seni, allora il suo unico cibo, la sua unica fonte di nutrimento.

Il giovane Heracles attraversò la fase del gattonamento, anche se era molto impacciato, e quella in cui cercava di tirarsi su da seduto, e dopo molti tentativi un giorno ci riuscì; e non molto tempo dopo riuscì ad attraversare la stanza da solo, anche se all’epoca, Allora, non camminava nel modo in cui normalmente si cammina, ma si lanciava da un capo all’altro della stanza e se raggiungeva il punto opposto a quello da cui era partito scoppiava a ridere e batteva le mani dalla gioia, orgoglioso del suo successo. La signora Sweet condivideva la sua felicità, e non poteva fare altrimenti, perché lo adorava! Un giorno il signor Sweet osservò quell’esibizione, e più tardi chiese alla signora Sweet se non fosse il caso di portare Heracles da uno specialista, perché il suo modo di buttarsi da un’estremità all’altra della stanza gli sembrava anormale. La signora Sweet disse hmmmmmh! e poi si mangiò le unghie fino alla carne viva, come avrebbero fatto a pagare l’enorme bolletta del riscaldamento della Greene’s Oil e quella dell’elettricità dell’azienda comunale? Come avrebbero fatto a vivere? La signora Sweet se lo chiedeva e poi guardava in alto e di tanto in tanto un grande assegno cadeva dal limpido cielo azzurro ed era indirizzato a lei; e poi di nuovo, di tanto in tanto, il postino portava tante buste sigillate e quando le buste erano indirizzate alla signora Sweet inevitabilmente contenevano assegni intestati all’entità somigliante a Charles Laughton. Anche il signor Sweet guardava il cielo e dalla sua azzurrità vedeva cadere a terra le buste bianche, e tutte le buste erano indirizzate alla signora Sweet; il signor Sweet intercettava il postino che stava per infilare la posta degli Sweet nella cassetta delle lettere e tutte le buste erano indirizzate alla signora Sweet e alcune contenevano assegni intestati alla signora Sweet. Ecco, è tutto per te, diceva il signor Sweet, buttando la posta sul tavolo della sala da pranzo, senza curarsi di come cadeva e dell’ordine in cui appariva, e a se stesso diceva: «È proprio una stronza», ma la signora Sweet non lo sentiva mai, perché lo diceva a se stesso, diceva tante cose a se stesso e solo lui, solo lui, si sentiva dire quelle cose.

 

 

Heracles fu presto in grado di camminare in modo normale, posando un piede, non parallelo, davanti all’altro per tenersi in equilibrio, fra grandi scoppi di risa e altre esclamazioni di gioia! E andava da una stanza all’altra senza inibizioni, e nella sua gioia gridava «Fatto, fatto!», e quella dichiarazione di successo era una fonte di curiosità per la signora Sweet, perché cosa voleva dire «Fatto, fatto», e il trionfo di Heracles che aveva varcato i confini tra la cucina e la sala da pranzo e il soggiorno e le porte che si aprivano sull’esterno, dove c’era una strada con macchine che andavano avanti e indietro verso destinazioni sconosciute e i loro conducenti incuranti dell’occasionale presenza del giovane Heracles; quel trionfo di Heracles era un grande mistero per la signora Sweet. Ma il signor Sweet osservò i danni provocati da quel bambino piccolo, non più di un anno, che andava da una stanza all’altra nel suo sforzo eroico, il suo corpo forte che spingeva i mobili fuori dalla finestra, strappava le tende e le faceva a brandelli come se fossero di carta velina, vomitando le verdure semidigerite sul divano bianco così per gioco, e pensò: cosa diavolo succede! che cos’ha questo bambino! da dove diavolo è saltato fuori! Quel bambino, il giovane Heracles, poteva morire se non veniva chiuso nelle stanze della casa di Shirley Jackson, con il giardino che la separava dalla strada trafficata, e il signor Sweet non desiderava questo: che il giovane Heracles venisse ucciso da una macchina guidata da un ubriaco o da un adolescente mentre Heracles gironzolava allegro per la bella strada di campagna, non visto dalla cara madre, l’amorevole signora Sweet; non lo desiderava affatto. E così il signor Sweet andò da Ames, un grande magazzino che allora vendeva molte cose utili a un prezzo che gli Sweet potevano permettersi, e comprò diversi cancelletti di sicurezza, barriere estensibili che installate fra due stipiti impedivano il passaggio da una stanza all’altra, e comprò anche delle chiusure di sicurezza per gli armadietti contenenti sostanze pericolose, in cucina, in bagno e in altri posti del genere, e quelle chiusure erano così complicate che solo un adulto poteva sbloccarle. Ma ecco che arriva il giovane Heracles! Le sue dita grosse e apparentemente sgraziate erano così intelligenti che riuscivano ad aprire gli armadietti contenenti i liquidi velenosi che un bambino potrebbe inghiottire, e la sua forza era tale che quando, nell’impeto della corsa, si lanciava contro i cancelletti di sicurezza, quelli cedevano, e il signor Sweet, disperato, scappava lontano da lui, da suo figlio, perché il signor Sweet era il padre del giovane Heracles. Voleva vederli morti, o immobilizzati in maniera permanente, non proprio morti ma immobilizzati, il giovane Heracles e sua moglie la signora Sweet; se solo una grande mano fosse apparsa per fermarli, madre e figlio, perché lei adorava vederlo distruggere i cancelletti di sicurezza, e guardava meravigliata le sue dita intelligenti che sbloccavano le chiusure a prova di bambino, installate su armadietti e porte e qualunque altra cosa potesse mettere a repentaglio la vita del giovane Heracles; quanto riusciva incredibile al signor Sweet, adesso e allora, vedere la sua amata signora Sweet – in passato, se non altro, perché l’aveva senz’altro amata quando vivevano insieme tutti soli al 284 di Hudson Street senza Heracles e quella figlia, Persephone, si chiamava, che adesso lui teneva ben nascosta in tasca, lontana dagli occhi della madre – sottomessa a un bambino, ma neanche, a un moccioso che sapeva solo andare barcollando da una stanza all’altra, e demolire le barriere che gli impedivano di andare da una stanza all’altra, e aprire gli armadietti contenenti liquidi velenosi per le pulizie domestiche e cose del genere, e se li avesse bevuti sarebbe morto. Ma il giovane Heracles non bevve mai i detersivi liquidi velenosi, e non corse mai in mezzo alla strada trafficata proprio mentre passava di lì un adolescente sventato su una macchina sportiva fatta di grafite, regalo di laurea dei suoi genitori, due professionisti che guadagnavano a sufficienza per fare un regalo simile a quel ragazzo sconsiderato, loro figlio. E sua madre, l’amata signora Sweet, lo amava più di quanto si possa immaginare, allora o adesso.

 

 

Oh, e ancora oh, per tutto quel tempo, Adesso e Allora, il signor Sweet aveva lavorato a una sinfonia, componendo un brano musicale che metteva insieme tante maniere diverse e addirittura contrastanti: melodie cantate dagli occupanti di un monastero, di un’abbazia, in pieno Medioevo, e in quei posti il sesso era proibito e tuttavia praticato; tracce di riff (una parola, un’idea, un riff che la signora Sweet non capiva bene) suonati al piano da discendenti di schiavi che, senza volerlo, si ritrovarono a New Orleans o in una cittadina dell’Alabama o sulle rive del Mississippi; ripetendo una coda di Mozart e Bach e Beethoven (o almeno così capiva la signora Sweet, ma la sua comprensione è sempre piena di malintesi), e tutto poi finiva in una calamità di suoni e melodie ed emozioni che il pubblico in ascolto avrebbe applaudito in piedi, perché il pubblico era formato da amici del signor e della signora Sweet che si trovavano nella loro stessa situazione: solo loro, dal primo all’ultimo, continuavano ad applaudirsi a vicenda per le loro mirabili imprese, tentando di rappresentare il mondo conosciuto in un modo nuovo e sperando di convincere tutti i suoi abitanti, o almeno i vicini (nel caso concreto degli Sweet, le persone che vivevano in quel paesino del New England), che le cose – in particolare le arti – erano in continuo mutamento e quel mutamento era l’essenza stessa della vita, e vivere in quel modo significava essere in contatto con l’ineffabile, il divino. E il signor Sweet aveva lavorato sodo a quella sinfonia, fin da prima che nascesse il giovane Heracles, mentre la signora Sweet portava il giovane Heracles nel ventre a costo di molte sofferenze: spesso il giovane Heracles le si addormentava in grembo soddisfatto, ma in una posizione che le schiacciava un’importante terminazione nervosa della gamba, il nervo sciatico; e il signor Sweet lavorava sodo alla sua sinfonia di maniere melodiche contrastanti e contraddittorie e così via, allora, adesso, e anche verso il momento in cui l’allora diventò il suo adesso; e a lui non importava nulla del malessere provato dalla signora Sweet nel portare in grembo il giovane Heracles, e al mondo non importava nulla delle sue composizioni, allora e adesso.

 

 

La signora Sweet amava tanto i pezzi di suo marito! Quando glieli suonava al pianoforte lei non li capiva, questo è vero, come li capiva il signor Sweet mentre li scriveva, quei capolavori musicali, indecifrabili per le persone mentalmente arretrate (cioè tutti quelli, tra cui la signora Sweet, che non capivano la teoria della relatività), ma sconvolgenti per i loro amici – un mondo fatto di persone amiche del signor Sweet da prima che lui nascesse –, e la signora Sweet amava tanto il signor Sweet che si era trasformata in una parte essenziale dell’Allora di lui e aveva inserito quell’allora nell’Adesso. Le fughe di boogie-woogie, dans la sueur, diventavano per lei come un calipso, steel band, iron band, il suono di due donne che litigano per un uomo che hanno amato ma che non le amava, in mezzo alla strada nella capitale di un’isola, la capitale deve avere una cattedrale. Il signor Sweet era diventato davvero parte di lei! Perché tutte le parti di un’altra persona che ami profondamente s’intrecciano con il tuo essere: il suo cuore con il tuo, le sue labbra con le tue, le sue dita con le tue, il suo Adesso, il suo allora con il tuo: è così che si fanno i bambini! E allora, proprio allora, la signora Sweet pianse, non dal dispiacere ma dalla gioia per qualcosa che non capiva, e si gonfiò di gioia e d’amore per il signor Sweet, che sedeva tutto solo in una stanzetta sopra il garage, soddisfatto di comporre musica con la lira, una musica che nessuno voleva sentire, nessuno in tutto il mondo, neppure quella donna meravigliosa, perché era musica che lei non capiva, e se quella musica fosse stata creata dal suo esemplare preferito del regno vegetale l’avrebbe considerata un difetto, perché un difetto è un ingrediente necessario della perfezione e anche dell’amore. Ma lei amava tanto il signor Sweet, il padre del suo amatissimo giovane Heracles e anche della sua amatissima Persephone, un grande uomo che sapeva ricavare qualcosa dal nulla, creare un’entità, un impero di suoni: una sinfonia, una fuga, soprattutto una fuga: struttura polifonica sfilacciata, come un nastro, una conflagrazione, e poi suoni armoniosi e dilatati e poi tutti racchiusi in un procedimento elegante! BAM!... BAM!... BAM!... e la signora Sweet ci stava sotto, che è il modo in cui lo avrebbe detto il giovane Heracles allora, a quattordici, quindici anni, e per tutti gli anni prima di andare al college: «ci sto sotto», e con questo intendeva «sì», solo «sì» e nient’altro che «sì!». E quella era la parola che veniva in mente alla signora Sweet quando pensava alle fughe del signor Sweet e alle sue sinfonie e rappresentazioni corali e alla musica per pianoforte a quattro mani, musica che non interessava a nessuno, neppure al signor Sweet che la scriveva; anche se nello stesso tempo era così pieno di sé, così sicuro di sé per la precisione, che il dubbio o lo spazio per il dubbio non gli entravano mai nella mente. E la signora Sweet amava immaginarlo da bambino, alto come un bambino dell’epoca Tudor, mentre accompagnava sua madre e suo padre ad ascoltare intere orchestre e cori che suonavano e cantavano la musica di Johann Sebastian Bach, Amadeus Mozart, César Franck, perché lei era cresciuta all’epoca del calipso, con suonatori di calipso che avevano nomi come Lord Executor, Attila the Hun, Mighty Sparrow, e una steel band di nome Hell’s Gate.

 

 

Così la signora Sweet amava suo marito, i loro due figli – Adesso, Allora –, la femmina, che il signor Sweet teneva sempre accanto a sé nascondendola alla signora Sweet fra le note; il maschio, il giovane Heracles che cresceva tanto in fretta, superando la necessità di portare i pannolini, innanzitutto, poi quella di calmarsi guardando uomini che manovravano macchine grandi e rumorose, smettendo di emozionarsi alla vista dello spartineve che avanzava in mezzo alla tormenta, smettendo di perdere l’equilibrio se camminava troppo in fretta, smettendo di storpiare le parole, non più un infante bensì un bambino, un bambino piccolo che cresceva presto, ogni suo Adesso che diventava un Allora, ogni suo Adesso un futuro Allora. E lei li amava e li amava e pensava al suo amore per loro come a una forma di ossigeno, senza la quale sarebbero morti.

Ma adesso, riflettendo sulla signora Sweet, perché è proprio questo che faceva allora il signor Sweet: la sua voce in particolare lo infastidiva, soprattutto il tono, perché le piaceva cantare con una voce acuta da bambino e lei non era un bambino, era una donna, e la sua voce sembrava quella di un bambino; non era un soprano, era sua moglie, banale come il pesce, il manzo o le verdure sul piatto della cena, o come il postino che portava le bollette. La signora Sweet non sapeva cantare, quando improvvisamente attaccava una canzone nessuno riteneva la sua voce una gioia, un piacere, una cosa da voler sentire ancora; solo Heracles l’adorava quando gli leggeva cantilenando i libri Buonanotte luna o Harold e la matita viola o James e la pesca gigante e poi lui – Heracles – diceva: «Oh, mamma, leggilo ancora», e prima che lei arrivasse alla fine stava già russando, così forte e in modo così insolito che sua madre scoppiava a ridere istericamente fra sé, anche se sembrava che stesse solo sorridendo. Eppure non sapeva certo cantare in un modo soddisfacente per il signor Sweet, un uomo che la madre e il padre portavano ai concerti fin da piccolo, e lì ascoltavano persone esercitate a cantare in modi diversi: contralto, soprano e tutti gli altri registri convenzionali; la signora Sweet cantava come una mungitrice, come una ragazza che canta agli animali domestici, cercando di distrarre gli animali e se stessa dalla situazione reale: la vita e l’esistenza e la morte e la cena! E per il signor Sweet la sua voce e tutto quello che conteneva, tutto quello che gli ricordava, quel suo modo di cantare erano una profanazione di tutte le cose del mondo musicale che gli era stato insegnato a conoscere e capire: esattamente come se fosse stato un crimine meritevole di finire davanti a una corte di giustizia formata dal mondo della cultura e della civiltà, qualunque cosa fossero, pensava la signora Sweet in segreto, questi pensieri li pensava sempre in segreto. Il suono della sua voce, mentre leggeva al giovane Heracles, gli faceva venire voglia di ucciderla, di prendere un’ascia (da bambino viveva in un appartamento, e non aveva mai visto una cosa del genere) e tagliarle la testa e poi il resto del corpo a pezzettini, pezzi così piccoli che un corvo avrebbe potuto divorarli con gusto, senza doversi preoccupare della grandezza dei bocconi. La voce della signora Sweet, la sua voce! Così nauseante... spesso quel suono gli faceva venire voglia di svuotarsi lo stomaco o di asportarselo del tutto ma naturalmente non poteva vivere senza stomaco; quella voce, la voce della signora Sweet, così piena d’amore per tutte le cose e le persone che amava, così ripugnante per il signor Sweet, perché lui non la amava; il suono di quella voce gli ricordava il rumore di un chiodo sfregato sul bordo di una lastra di vetro; quello di una spatola d’acciaio sul fondo della padella, mentre un uovo fritto alla perfezione veniva trasferito sul piatto della colazione; e con quella voce le piaceva cantare «Beauty’s Only Skin Deep, yeah, yeah, yeah».

 

 

Ma adesso, poiché il signor Sweet stava ancora riflettendo sulla signora Sweet, la voce di lei era come una sveglia indesiderata in un giorno che cadesse all’inizio della settimana; un semaforo rosso sulla strada ininterrotta, liscia, lunga e facile che si snodava fra montagne verdi: la sua voce era l’irritante semaforo rosso che interrompeva ogni cosa piacevole, per esempio il benessere del signor Sweet. Era così irritante, quella donna che era sua moglie, proprio adesso, dopo che il giovane Heracles era venuto al mondo: lei sul petto aveva due sacche piene di latte, il cui contenuto veniva consumato da quella nuova persona, il giovane Heracles; il busto sembrava un albero vecchissimo – un acero argentato – i cui insoliti tronchi gemelli erano tutto ciò che restava dopo una violenta tempesta che aveva falciato una larga striscia di terreno sul fianco di una collina, una valletta, un prato e così via; i piedi larghi e grossi entravano solo nei sandali Birkenstock; la sua testa, e questo gli fece venire in mente la sua voce, che si originava da qualche parte dentro la testa – e a quel pensiero il signor Sweet passò attentamente al vaglio le numerose opere, o commedie, che conosceva personalmente a memoria –, e in ogni caso lui aborriva il suono della sua voce quando la sentiva rivolgersi a lui o leggere una fiaba della buonanotte ai bambini, e aborriva il suono della sua voce perché stonava le canzoni che le piacevano, in particolare This Old Heart of Mine, e aborriva il suono della sua voce per ragioni niente affatto ragionevoli, il suono delle parti tenere delicatamente cotte di una mucca intrappolate fra le sue mandibole – stava mangiando un pezzo di bistecca – era il suono della masticazione. Lui la amava, oh sì, sì, certo, e la odiava, soprattutto per come faceva le cose, le cose piccole, necessarie: come alzarsi dal letto nel cuore della notte per fare pipì.

Ma un tempo gli piaceva stare con lei, perché lui aveva la statura di un principe dell’epoca Tudor e la capacità di guardare al resto del mondo come se esistesse per soddisfare i suoi interessi o per essere vulnerabile ai suoi interessi che appartenevano solo a lui; sì, sì, un tempo nel suo intelletto la amava e gli piaceva il suo modo di indossare frutti e ortaggi come se fossero vestiti, il suo modo di camminare in mezzo al traffico, sicura che le macchine si sarebbero fermate prima di trasformare la sua bella figura umana in una poltiglia morta, subito dimenticata; gli piaceva che trovasse straordinarie le cose più semplici: una volta la signora Sweet aveva preso in trappola quarantasei topi e poi non riusciva a credere che esistessero tante creature che odiava e temeva; gli piaceva che lo sovrastasse, non fisicamente, ma con la sua presenza, la sua realtà, veniva da lontano, adorava le cose speziate, da bambina non aveva mai mangiato l’uva, le mele e le pesche noci, e amava e amava e amava e il signor Sweet si era innamorato di lei per la passione con cui sapeva amare le tante cose che formavano il suo sé più autentico, anche se nulla in lei poteva spingerlo a soppesare la propria solida esistenza e a giudicarsi carente e a decidere che la sua esistenza, la sua vita, qualunque cosa gli appartenesse doveva venire dopo di lei. Ma la signora Sweet non lo sapeva, non sapeva come l’immaginazione del signor Sweet, il suo Adesso e il suo Allora, il suo modo di vedere presente, passato e futuro, colorassero il modo che aveva di vedere lei.

Eccola di nuovo: i capelli originariamente neri, grossi e ruvidi come le gomene che in genere si trovano nelle mani degli stivatori, tagliati così corti da farla sembrare uno stivatore, il colore dei suoi capelli era il colore di una gomena nuova nelle mani di uno stivatore: biondo; le sopracciglia depilate con il rasoio e sostituite da una riga nei colori: blu, se le andava; verde, se le andava; oro, se allora le andava; le labbra dipinte di rosso, un rosso inteso a riflettere il colore dei fuochi che ardevano in uno dei tanti cerchi inferiori dell’inferno; le guance impiastrate di un composto arancione, lo stesso arancione del giglio turco, Hemerocallis fulva, un fiore originario della Cina che però adesso cresce selvatico, libero, senza inibizioni, nel Nordest degli Stati Uniti, la zona in cui vivevano adesso gli Sweet, ma allora la signora Sweet non la conosceva, e per la percezione del signor Sweet era repellente allora ed è un incubo adesso! Ma Allora: quando la signora Sweet era giovane e tanto ignorante, lei, adesso così adorabile, allora pensava che invecchiare fosse un errore commesso dalla persona invecchiata, pensava che tutte le persone invecchiate fossero entrate da una porta, la porta sbagliata, e se solo avessero scelto la porta giusta avrebbero evitato l’assottigliarsi della pelle e l’imbarazzante cedimento della carne, adesso sarebbero ancora fresche suppergiù come il giorno in cui avevano compiuto ventun anni, e non sarebbero degli affari scricchiolanti che si lamentano dei loro organi malandati, proprio come si fa con una macchina che viaggia su e giù per le strade per molto tempo e il motore ha bisogno di qualcosa di nuovo, ha bisogno di molte cose nuove e la marmitta è spacciata ma si può sostituire anche quella e... be’, una persona non era forse così, una cosa utile allora e adesso non più, ma una persona non è come una macchina, una macchina invecchia naturalmente mentre una persona è entrata dalla porta sbagliata: di qua invecchi, di là non invecchi! Quando la signora Sweet era giovane, non invecchiare era scontato, come bere acqua e non cianuro, e la signora Sweet non aveva una chiara comprensione dell’Adesso e del di nuovo Adesso, e l’allora si trovava nelle regioni infime della sacra grammatica. E la sua giovinezza, prima di conoscere il principe di taglia Tudor, il signor Sweet, era un carnevale di sesso: tutti gli uomini da una parte, tutte le donne dall’altra, con vestiti ricavati dalla pelle di un animale – addomesticato o no – o senza niente addosso, che piroettavano al suono di una musica proveniente da una fonte particolare o di una musica che gli risuonava in testa; e tutta la sua giovinezza era un’enorme atmosfera di sensazioni, sensazioni e ancora sensazioni, e il suo Adesso (che alla fine diventa Allora, come ogni Adesso), in cui è la madre della ben nascosta Persephone e del giovane Heracles, e prima ancora la moglie del signor Sweet, un maestro della lira, allora le era sconosciuto; il suo Adesso è il meticoloso signor Sweet, un uomo (grande come un principe Tudor) che capiva Wittgenstein e Einstein e tutta quella gente. Tutta quella gente!

Ma Allora: ai tempi in cui la signora Sweet gli appariva giovane e bella, allora lui indossava camicie e pantaloni e una giacca di velluto a coste blu, e nella tasca della giacca di velluto a coste blu c’era il biglietto di suo padre, il biglietto che gli diceva come vivere la sua vita: due famiglie, due mogli, due divani, due coltelli; ma non l’aveva ancora trovato. Allora suonava il pianoforte da solo in una stanza, con un pubblico scarso, allora il signor Sweet, nel pieno della sua somiglianza con un principe Tudor, si sedeva e suonava musiche composte da Ferdinand Morton e Omer Simeon e Baby Dodds e Wolfgang Mozart, e se costretto avrebbe suonato la musica composta dal suo preferito in assoluto, Igor Stravinskij. Sua madre, anche lei una signora Sweet a pieno titolo, era deferente e disinformata come la signora Sweet – la signora Sweet di adesso, madre della ben nascosta Persephone e del giovane Heracles –, venerava quel concerto e dava il via all’applauso della famiglia e degli amici assortiti, e tutti si inchinavano, gli facevano la riverenza, e alcuni baciavano la terra. Il signor Sweet aveva allora dieci anni e per il resto della sua vita sarebbe rimasto così, un bambino di dieci anni, sempre in quell’adesso, in quella stanza dove suonava la musica di Ferdinand Morton e a volte dell’amatissimo W.A. Mozart, ma come poteva sapere, la signora Sweet, che quando si era innamorata del giovane uomo che si comportava come se fosse un giovane principe Tudor, come poteva sapere che a trent’anni, a quarant’anni, a cinquant’anni, a sessant’anni, a settant’anni, all’età di Matusalemme, adesso, avrebbe vissuto nel mondo come se fosse allora, come se avesse dieci anni?

La signora Sweet respirò a fondo, allora e adesso, e si gettò nel buio, perché vivere in qualunque Adesso e in qualunque Allora (sono sempre uguali) significa proprio questo, gettarsi nel buio, mettendo un piede davanti all’altro, sperando che i piedi incontrino un terreno solido, oltre che fertile, in senso reale o metaforico. Da giovane lei era come un fiore nella giungla profonda delle nuove Americhe: una dalia nera, un tagete marrone, una zinnia verdemare; quando era giovane, il mondo non la proteggeva come il guscio di un’ostrica, fornendole un gradevole spazio in cui trasformarsi in perla; quando era giovane, più giovane del giovane Heracles, la teneva in vita la paura della morte.

 

 

Bùttati o datti una mossa, così le diceva sua madre quando era piccola, una bambina alta e magra, tutta pelle e ossa, che aveva paura delle bambine più grosse e dei bambini più grossi di tutti, e ne aveva così paura che anche solo passargli accanto per la strada le era impossibile; e prima ancora aveva paura delle mucche, senza alcun motivo, solo perché erano mucche e avevano le corna, e così aveva paura anche di loro e le era impossibile passare accanto a un pascolo dove quegli animali vivevano recintati e legati a paletti di ferro piantati nel terreno: bùttati, metti un piede davanti all’altro, raddrizza la schiena e le spalle e tutto quello che può curvarsi, datti una mossa e va’ avanti, e in questo modo ogni ostacolo, fisico o solo immaginario, cade a faccia in giù riverente e sconfitto, perché buttarsi e darsi una mossa sconfigge sempre le avversità, così le aveva detto sua madre quando era piccola, magra nel corpo e nell’anima, e questo causava a sua madre molto dolore e grande vergogna, perché alla figlia – la giovane signora Sweet – bisognava inculcare le frasi fatte dei vincitori.

E così: bùttati, datti una mossa, mira a un esito trionfante, perché la morte è superiore al fallimento, la morte a volte è un trionfo, e tutto questo formava il liquido amniotico in cui viveva da bambina la signora Sweet: in questo modo la signora Sweet imparò a guidare la macchina, imparò ad amare la cruda realtà della sua vita con il signor Sweet (lui non l’aveva mai amata, né allora né adesso, lei accettava questo, adesso allora e di nuovo adesso), chiese un prestito alla banca per comprare la casa di Shirley Jackson, la casa in cui vivevano, ed era una bella casa, con vista su montagne e cascate e prati con fiori originari del New England, e fattorie in cui si coltivava cibo particolarmente gradito agli animali che poi sarebbero stati macellati e mangiati da persone ben note agli animali macellati, amici del signor e della signora Sweet e dei loro figli: il giovane Heracles e la nascosta Persephone; la signora Sweet scorgeva in lontananza la bella signora Burley – i lunghi capelli biondi raccolti in una treccia che le ricadeva silenziosamente lungo la schiena fin sotto le scapole –, una giovane formaggiaia che mungeva mucche e capre, e da quel latte avrebbe ricavato ottimi formaggi e squisiti yogurt che la signora Sweet avrebbe comprato e il resto della famiglia detestato: il signor Sweet, perché detestava tutto della signora Sweet, soprattutto le sue passioni, che erano: la coltivazione di fiori rari da semi che era andata a cercare nell’Asia temperata, la cucina e il lavoro a maglia, soprattutto l’infernale lavoro a maglia. Oh, mamma, mamma! Questo sarebbe il suono del giovane Heracles. E l’amore, il disprezzo e l’indifferenza rivolti alla signora Sweet dal suo adorato Heracles sembravano al contempo naturali come un bel venticello fresco che cambia all’improvviso l’umore di un gruppo di persone legittimamente arrabbiate, o di un gruppo di persone soddisfatte in ogni loro bisogno e aspettativa eppure ancora in cerca della felicità! A quel tempo (allora, adesso, e di nuovo allora), la signora Sweet aveva sepolto il suo passato nel cemento che compone la memoria, pur sapendo molto bene che il cemento si deteriora, cade a pezzi e alla fine rivela quello che doveva nascondere.

Bùttati, datti una mossa, e proprio questo faceva la signora Sweet raccogliendo i vestiti sparpagliati del signor Sweet e gli asciugamani sporchi e le lenzuola e i vestiti dei figli, le camicette Wet Seal di Persephone e i pantaloni di un’altra marca che non sapeva pronunciare, le magliette del giovane Heracles comprate in un negozio chiamato Manhattan, anche se si trovava in una città lontana dal vero luogo noto come Manhattan, e tutti gli articoli di abbigliamento e di merceria che una famiglia americana apparentemente prospera potrebbe usare. La signora Sweet lavava i vestiti e le altre cose del genere in lavatrice (che conosceva adesso, ma non conosceva allora, quando era quella bambina così fragile) e li asciugava nell’asciugatrice e poi piegava gli asciugamani e le altre cose del genere, e tirava fuori l’asse da stiro e stirava tutte le camicie del signor Sweet e anche i pantaloni, perché lo amava tanto e voleva che apparisse a chiunque lo vedeva per la prima volta come appena uscito dalla vetrina di un negozio di nome Amore: distinto e degno di rispetto. Tutto questo la stancava, nel corpo come nello spirito; era faticoso anche solo immaginarlo: vestiti puliti per due figli e il signor Sweet, per dare l’impressione che vivessero in un palazzo di una via signorile di Manhattan, o che lui vivesse in un paesino del New England con una moglie e madre che non aveva idea di come essere se stessa. Ma per la signora Sweet, con la quale lui era effettivamente e legalmente sposato, tutto questo era diverso: eccola che si buttava e si dava una mossa: e camminava sull’aria, su qualcosa di invisibile all’occhio umano, e non cadeva nell’oblio o in qualunque sostanza fosse stata prodotta per mascherare l’oblio, e andava avanti fino a quello che veniva dopo e poi dopo e poi dopo ancora, conquistandosi ogni cosa e ogni niente, e andava avanti come al solito, prendendosi cura del marito, occupandosi dei figli, guardando la luna (un quarto, mezza o piena) per vedere se era avvolta dalle nuvole (domani pioggia, in ogni caso), e sentendosi felice, qualunque cosa volesse dire, Allora e Adesso!